ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 513, primo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 il  18 settembre 1992 dal Pretore di Macerata nel procedimento penale
 a carico di Civitarese Alessandra ed altro, iscritta al  n.  806  del
 registro  ordinanze  1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  24 marzo 1993 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto che, con ordinanza del 18 settembre 1992, il  Pretore  di
 Macerata   ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 513, primo comma, del codice  di  procedura  penale  "nella
 parte  in  cui non consente che sia data lettura a richiesta di parte
 delle dichiarazioni rese, con le  garanzie  difensive,  alla  polizia
 giudiziaria dall'imputato contumace";
      che il giudice a quo osserva che il decreto-legge 8 giugno 1992,
 n.  306,  convertito  nella  legge  7  agosto  1992,  n. 356, ha, tra
 l'altro, modificato sostanzialmente il quinto comma dell'art. 503 del
 codice, consentendo l'acquisizione nel fascicolo del dibattimento  (e
 dunque  la  loro  utilizzabilita'  come  prove)  delle  dichiarazioni
 dell'imputato utilizzate per le contestazioni, non solo nel caso  che
 esse  siano  state  assunte  dal  pubblico ministero, ma anche quando
 siano state assunte dalla polizia giudiziaria;
      che ne deriva che se l'imputato, come nella specie,  sceglie  di
 rimanere  contumace,  non potendosi ricorrere al descritto meccanismo
 processuale - il quale presuppone la sottoposizione dell'imputato  ad
 esame  -, la norma dell'art. 513 (non toccata dalla novella) consente
 di dar lettura soltanto delle dichiarazioni precedentemente  rese  al
 pubblico  ministero  o al giudice, non anche di quelle rese o assunte
 dalla polizia giudiziaria nel rispetto delle garanzie di difesa;
      che tale assetto,  oltre  a  confliggere  con  il  principio  di
 eguaglianza   in   quanto   sottopone  ad  un  trattamento  deteriore
 l'imputato che si sia presentato al dibattimento e si sia  sottoposto
 all'esame rispetto a quello che sia rimasto contumace (o, comparendo,
 abbia   rifiutato   di  sottoporsi  all'esame),  appare  altresi'  in
 contrasto, conclude il remittente,  con  il  principio  -  desumibile
 dagli  artt.  24  e  112 della Costituzione - dell'esatto ed efficace
 esercizio della giurisdizione penale  e  della  pretesa  punitiva  da
 parte dello Stato;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, concludendo per l'infondatezza della questione;
    Considerato che, con sentenza n. 476 del  1992,  questa  Corte  ha
 gia'   dichiarato  non  fondata,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 513,  primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui
 non prevede la possibilita' di dar lettura delle  dichiarazioni  rese
 dall'imputato alla polizia giudiziaria con l'assistenza del difensore
 ai sensi dell'art. 350 del codice medesimo;
      che in detta pronuncia si e' osservato, in sintesi, che la norma
 impugnata,   limitando   la   possibilita'   di   lettura  alle  sole
 dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o  al  giudice
 con  esclusione  delle  sommarie  informazioni  assunte dalla polizia
 giudiziaria ex art. 350  del  codice  di  procedura  penale,  non  e'
 certamente   irragionevole,   in   considerazione  della  sostanziale
 differenza  -  sotto  l'angolo  visuale  delle   garanzie   difensive
 dell'imputato   (fra   le  quali  e'  compresa  la  facolta'  di  non
 rispondere) - tra tale atto di indagine della polizia  giudiziaria  e
 l'interrogatorio  effettuato dall'autorita' giudiziaria, dovendo solo
 quest'ultimo essere svolto con  le  modalita'  garantistiche  di  cui
 all'art. 65 del codice di procedura penale;
      che    le   medesime   considerazioni   valgono   a   dimostrare
 l'infondatezza anche dell'odierna questione, in quanto  il  raffronto
 con  la  nuova  disciplina dell'art. 503, quinto comma, del codice di
 procedura penale (come modificato dall'art. 8  del  decreto  legge  8
 giugno  1992, n. 306, convertito con legge 7 agosto 1992, n. 356) non
 e' pertinente, poiche' essa concerne l'interrogatorio compiuto  dalla
 polizia  giudiziaria  su delega del pubblico ministero (cfr. anche il
 nuovo testo dell'art. 370 del codice di procedura penale),  cioe'  un
 atto  che  non puo' non essere soggetto - a differenza delle sommarie
 informazioni ex art. 350 - alla disciplina prevista in  via  generale
 per  l'interrogatorio, ivi compresa pertanto quella dettata dall'art.
 65 del codice di procedura penale;
      che, in ordine, poi alla denunciata violazione degli artt. 24  e
 112 della Costituzione, va ribadito (come gia' detto nella menzionata
 sentenza n. 476 del 1992) che la disciplina dettata dall'art. 513 del
 codice  di procedura penale concerne il regime di utilizzabilita', ai
 fini   della   decisione,  di  precedenti  dichiarazioni  provenienti
 dall'imputato  ed  attiene  pertanto  essenzialmente  al  tema  delle
 garanzie  difensive  di  quest'ultimo,  per  cui  il  richiamo  ad un
 generico  "principio  dell'esatto   ed   efficace   esercizio   della
 giurisdizione  penale  e della pretesa punitiva da parte dello Stato"
 (desumibile, ad avviso del  remittente,  dagli  anzidetti  parametri)
 risulta, nei termini in cui e' prospettato, del tutto inconferente;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;