ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,
 lettera  b), del decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382 (Disposizioni
 urgenti sulla partecipazione alla spesa sanitaria e sul  ripiano  dei
 disavanzi   delle   unita'   sanitarie   locali),   convertito,   con
 modificazioni, nella legge  25  gennaio  1990,  n.  8,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  2  maggio  1992  dal  Pretore  di  Ravenna nel
 procedimento civile vertente tra Baioni Romano e il  Ministero  della
 sanita'  ed  altri,  iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1992 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  49,  prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  l'atto  di  costituzione di Baioni Romano nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  l'avv.  Giovanni  Angelozzi  per Baioni Romano e l'Avvocato
 dello Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza emessa il 2 maggio 1992 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 9 novembre 1992) il Pretore di Ravenna ha sollevato
 una questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  n.  1,
 lettera  b),  del  decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito
 nella legge 25 gennaio 1990, n.  8, "nella parte in cui non comprende
 fra  i  beneficiari  dell'esenzionedal  pagamento  delle   quote   di
 partecipazione  alla  spesa  sanitaria  i  titolari  di  pensione  di
 invalidita' erogata dall'I.N.P.S.   ai sensi dell'art.  24,  legge  3
 giugno  1975,  n.  160,  come  sostituito dall'art. 1 legge 12 giugno
 1984, n. 222, i quali, pur rientrando nei limiti di  reddito  di  cui
 alla  medesima  lettera,  non  abbiano  raggiunto l'eta' pensionabile
 prevista dall'A.G.O. per i  lavoratori  dipendenti",  assumendone  il
 contrasto  con  l'art.  3 della Costituzione. La stessa questione era
 gia' stata sollevata dal medesimo Pretore con ordinanza del 22 giugno
 1990 (r.o. n. 655 del 1990) e decisa con la sentenza n. 177 del 1991,
 che ha ordinato la restituzione degli atti  allo  stesso  Pretore  di
 Ravenna  per un nuovo esame della questione medesima, alla luce dello
 jus superveniens costituito dal decreto del Ministro della sanita' in
 data 1› febbraio 1991, che all'art. 6, ha modificato il regime  delle
 esenzioni  per  varie categorie di invalidi: e cio', in ragione della
 possibile incidenza di tale disposizione sulla posizione della  parte
 privata,  Baioni  Romano, titolare di pensione di invalidita', ma non
 avente ancora l'eta' prevista per  la  pensione  di  vecchiaia,  che,
 secondo   la   norma   denunciata,  costituisce  il  presupposto  per
 l'esenzione dal pagamento dei tickets.
    Dopo  la  riassunzione  del   giudizio,   il   Pretore,   aderendo
 all'eccezione  della parte privata, ripropone la questione, ritenendo
 che il citato decreto del Ministro della sanita' - al quale la  legge
 ha  demandato  di  rideterminare  le  forme morbose che danno diritto
 all'esenzione  dalla  spesa  sanitaria  -  non   ha   sostanzialmente
 modificato  la disciplina applicabile alla fattispecie in esame e non
 ha, quindi, eliminato la gia' lamentata disparita' di trattamento. Il
 ricorrente, infatti, fruendo di pensione di invalidita' riconosciuta,
 con decorrenza febbraio 1972, ai sensi dell'art.  24  della  legge  3
 giugno  1975,  n.  160, non sarebbe compreso fra i pensionati ammessi
 all'esenzione, totale  o  parziale,  dal  pagamento  delle  quote  di
 partecipazione  alla  spesa  sanitaria che, invece, e' garantita agli
 invalidi civili con riduzione della capacita' lavorativa superiore  a
 due  terzi  (art.  6,  primo  comma, lettera d)), cioe' con la stessa
 riduzione in base alla quale e' stata riconosciuta al  ricorrente  la
 pensione di invalidita' a carico dell'I.N.P.S..
    Ad  avviso del giudice a quo rimane pertanto invariato il problema
 dell'irrazionale disparita' di trattamento  che  la  norma  impugnata
 determinerebbe  tra  i  titolari  di  pensione  di  vecchiaia che non
 superino un certo reddito e i titolari di  pensione  di  invalidita',
 egualmente  al  disotto  del  medesimo reddito, in quanto entrambi, a
 prescindere dall'eta', sono nella condizione di ricorrere a frequenti
 prestazioni sanitarie, inabili ad un proficuo lavoro e quindi non  in
 grado di integrare le proprie modeste entrate. Cosicche', in presenza
 di  situazioni  sostanzialmente  uguali,  il  cardine  del differente
 trattamento sarebbe costituito dal raggiungimento  o  meno  dell'eta'
 pensionabile,  di  per  se'  non sufficiente a giustificare la scelta
 operata dal legislatore.
    2. - Si e' costituita, a mezzo dell'avv. G.  Angelozzi,  la  parte
 privata  Baioni  Romano, attore nel giudizio a quo, che aderisce alle
 argomentazioni dell'ordinanza.
    3. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che la
 questione sia dichiarata inammissibile  per  irrilevanza,  sostenendo
 che  alla  parte  privata,  fruente  di  una  pensione  d'invalidita'
 riconosciuta ai sensi dell'art. 24 della legge 3 giugno 1975, n. 160,
 sarebbe riconosciuta l'esenzione dal  ticket  prevista  dall'art.  6,
 lettera  d),  del  decreto  ministeriale  1›  febbraio 1991, ove sono
 contemplati gli invalidi civili con  una  riduzione  della  capacita'
 lavorativa superiore ai due terzi.
    Nel  merito  l'Avvocatura  rileva  che, anche a voler sostenere la
 denunciata disparita' di  trattamento,  essa  non  deriverebbe  dalla
 legge  n. 8 del 1990, ma dai decreti ministeriali 24 maggio 1989 e 1›
 febbraio 1990, che per la loro  natura  di  atti  non  aventi  valore
 formale   di  legge  non  possono  essere  sottoposti  al  vaglio  di
 costituzionalita'.
    L'Avvocatura richiama infine quanto gia'  sostenuto  in  occasione
 dei due giudizi che hanno dato luogo alla sentenza n. 177 del 1991 ed
 all'ordinanza n. 402 del 1992.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con
 modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n. 8,  nel  riformare  la
 disciplina  delle  quote  di partecipazione a carico degli assisti ti
 per le spese di assistenza sanitaria,  stabilisce,  all'art.  3,  che
 sono  esentate  dal  pagamento  di  tali  quote  alcune  categorie di
 cittadini, tra i quali figurano,  oltre  agli  indigenti  (ma  questa
 previsione  e'  stata  successivamente  abrogata)  e  ai  titolari di
 pensione sociale, anche i  titolari  di  pensione  di  vecchiaia  con
 reddito  imponibile  lordo  non superiore ad un determinato ammontare
 (pari a lire 16 milioni, aumentato di 6  milioni  per  il  coniuge  a
 carico  e  di 1 milione per ciascun figlio a carico). Agli effetti di
 quest'ultima esenzione, per titolari  di  pensione  di  vecchiaia  si
 intendono       tutti       coloro       che,      a      prescindere
 dall'ordinamentopensionistico  di  appartenenza,  abbiano   raggiunto
 l'eta'  per  il  collocamento  a  riposo  prevista dall'assicurazione
 generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti;  rientrano  tra  i
 beneficiari   anche   i  titolari  di  pensione  di  invalidita',  di
 anzianita' e di  reversibilita',  purche'  abbiano  raggiunto  l'eta'
 anzidetta e rientrino nei limiti di reddito sopra indicati.
    Il  Pretore di Ravenna ritiene che l'esclusione dall'esenzione dei
 titolari di pensione  di  invalidita'  di  eta'  inferiore  a  quella
 prevista  per  il collocamento a riposo, pur se rientranti nei limiti
 di  reddito  previsti  dalla  norma,  determini  una   ingiustificata
 disparita'  di trattamento a loro danno, in quanto gli stessi versano
 in una situazione sostanzialmente analoga a quella  dei  titolari  di
 pensione di vecchiaia, essendo per definizione inabili ad un proficuo
 lavoro ed essendo per essi ugualmente presumibile la necessita' di un
 frequente  ricorso  a  prestazioni  sanitarie,  in ragione delle loro
 menomate condizioni fisiche.
   2. - Secondo l'Avvocatura, la  questione  sarebbe  irrilevante,  in
 quanto  il ricorrente nel giudizio a quo, titolare di una pensione di
 invalidita' riconosciuta ai sensi dell'art. 24 della legge  3  giugno
 1975,  n.  160,  e'  da  considerare esente in virtu' dell'art. 6 del
 decreto ministeriale 1› febbraio  1991,  secondo  cui  sono  esentati
 dalla  partecipazione alla spesa per la generalita' delle prestazioni
 sanitarie i cittadini appartenenti a talune  categorie  di  invalidi,
 tra  le  quali  la  lettera  d)  del  medesimo  art.  6 comprende gli
 "invalidi civili con riduzione della capacita' lavorativa superiore a
 due terzi". Comunque, aggiunge l'Avvocatura, la denunziata disparita'
 di  trattamento  non  deriverebbe  dalla   disposizione   legislativa
 impugnata,  ma  dai decreti ministeriali 24 maggio 1989 e 1› febbraio
 1991, i quali, per la loro natura di atti non aventi  valore  formale
 di    legge,   non   possono   essere   sottoposti   al   vaglio   di
 costituzionalita'.  Nel  merito,   l'Avvocatura   sostiene   che   le
 situazioni poste a confronto sono diverse, perche', mentre i titolari
 di pensione di vecchiaia sono per definizione permanentemente inabili
 a  proficuo lavoro, per i titolari di pensione di invalidita' che non
 abbiano raggiunto l'eta' pensionabile  puo'  residuare  una  sia  pur
 ridotta capacita' lavorativa che consente di integrare il reddito.
    3.  -  Nell'ultimo  quindicennio  la  disciplina legislativa della
 partecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria e delle  relative
 esenzioni ha subi'to frequentissime modificazioni.
    L'art.  2  della  legge  5  agosto  1978, n. 484 previde che tutti
 coloro che avevano diritto all'assistenza farmaceutica in  virtu'  di
 assicurazione obbligatoria fossero tenuti a corrispondere una quota -
 variabile  da lire 200 a lire 600 - del prezzo di vendita al pubblico
 dei medicinali non compresi nell'elenco  dei  medicinali  esenti.  La
 legge  non  contemplava  esenzioni  soggettive, ma, per i titolari di
 pensione sociale, era prevista, dall'art. 3, un'erogazione  annua  di
 lire  10.000, a titolo di rimborso forfettario degli oneri introdotti
 dalla nuova legge.
    Il ticket cosi' introdotto  era  concepito  piu'  in  funzione  di
 dissuasione  dal  consumo  eccessivo di medicinali che in funzione di
 finanziamento della  spesa  sanitaria,  tant'e'  vero  che  esso  non
 figurava  fra  le  entrate del Fondo sanitario nazionale disciplinate
 dall'art. 69 della legge di riforma sanitaria.
    La successiva  evoluzione  legislativa  ha  invece  attribuito  al
 ticket  una  sempre  maggiore  valenza  di strumento per la riduzione
 della spesa pubblica in  materia  sanitaria  ed  ha  correlativamente
 disposto  un'articolata  disciplina  delle esenzioni. In particolare,
 l'art. 12 della legge 26 aprile 1982, n. 181, esento' dalle quote  di
 partecipazione  alla spesa per prestazioni di diagnostica strumentale
 e di laboratorio sia i cittadini con reddito inferiore a  determinati
 livelli,  sia  i  grandi invalidi di guerra, di servizio e del lavoro
 nonche' gli invalidi civili di cui all'art. 12 della legge n. 118 del
 1971 (titolari della pensione di inabilita' prevista per i mutilati e
 gli  invalidi  colpiti da inabilita' lavorativa totale ed in possesso
 di determinati requisiti reddituali).
    Il decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,  convertito,  con
 modificazioni,   nella  legge  11  novembre  1983,  n.  638,  amplio'
 notevolmente le categorie di invalidi  per  le  quali  era  stabilita
 l'esenzione,  comprendendovi  gli  invalidi  civili  e del lavoro con
 riduzione della capacita' lavorativa in misura superiore a due terzi;
 gli invalidi di guerra o per  servizio  appartenenti  alle  categorie
 dalla 1› alla 5› della tabella A allegata alla legge n. 313 del 1968;
 i privi della vista e i sordomuti di cui agli artt. 6 e 7 della legge
 n.  482 del 1968; gli invalidi civili minori degli anni 18 e titolari
 dell'assegno di accompagnamento di cui all'art. 17 della legge n. 118
 del 1971.
    Tra i successivi interventi legislativi, va  ricordato  l'art.  28
 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, che, nel rideterminare i livelli
 di  reddito  previsti  per  l'esenzione, abrogo' ogni altra esenzione
 riferita a  livelli  di  reddito,  facendo  salve,  peraltro,  quelle
 previste   dai   precedenti   decreti  ministeriali  in  relazione  a
 specifiche patologie, quelle indicate nei protocolli  per  la  tutela
 della  maternita'  di  cui  al decreto del Ministero della sanita' 14
 aprile 1984,  nonche'  quelle  previste  per  invalidi  e  assimilati
 dall'art. 11 del decreto-legge n. 463 del 1983.
    Dopo  altri  interventi  legislativi,  la  materia delle esenzioni
 venne nuovamente affrontata dall'art. 3 della legge 1› febbraio 1989,
 n. 37, che esonero' dal pagamento delle quote di partecipazione  alla
 spesa   per   prestazioni  farmaceutiche  le  seguenti  categorie:  i
 cittadini di cui sia riconosciuto lo stato di poverta'; i titolari di
 pensione sociale; i disoccupati iscritti nelle liste di collocamento.
    Il comma 2 del medesimo articolo abrogava  ogni  altra  esenzione,
 con  esclusione  di  quelle  riferite a forme morbose determinate, ai
 protocolli per la  tutela  della  maternita'  e  "alle  categorie  di
 invalidi e assimilati di cui alla normativa vigente".
    Infine  intervenne  il  decreto-legge  25  novembre  1989, n. 382,
 convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n. 8, del
 cui art. 3, comma 1, la Corte e' chiamata a valutare la  legittimita'
 costituzionale.   L'art.   1   del   medesimo  decreto  prevedeva  la
 partecipazione  degli  assistiti  alla  spesa  per   prestazioni   di
 diagnostica  strumentale  e  di  laboratorio  (partecipazione che era
 stata soppressa con il decreto-legge n. 443 del 1987, convertito, con
 modificazioni, nella legge n. 531 del 1987) nonche' per le  visite  e
 le   prestazioni   specialistiche,   e   rideterminava  le  quote  di
 partecipazione relative alle  prestazioni  farmaceutiche.  L'art.  3,
 comma  1,  disciplinava le esenzioni nel modo di cui gia' si e' fatto
 cenno all'inizio, mentre il comma 3 abrogava ogni altra esenzione dal
 pagamento delle quote di partecipazione  alla  spesa  sanitaria,  con
 esclusione  delle  esenzioni riferite a forme morbose determinate, ai
 protocolli per la tutela della maternita', alle categorie di invalidi
 ed assimilati di cui alla normativa vigente, ai donatori di organi  e
 di  sangue  in  connessione  con  gli atti di donazione nonche' delle
 esenzioni relative all'accertamento dell'idoneita'  allo  svolgimento
 di determinate attivita' sportive.
    L'art.  1,  comma  2,  della  legge  di  conversione  dispose  che
 restassero salvi gli atti e i provvedimenti adottati in base a taluni
 decreti-legge non convertiti, tra i quali il decreto-legge 27  aprile
 1989,  n.  152, il cui art. 2, comma 2, aveva demandato ad un decreto
 del  Ministro della sanita' la individuazione delle forme morbose che
 davano  titolo  all'esenzione   dalla   partecipazione   alla   spesa
 sanitaria,  determinando  l'ambito  di  applicazione  di ogni singola
 esenzione. In attuazione di tale norma era stato emanato  il  decreto
 ministeriale  24  maggio  1989  che  elencava varie forme morbose che
 davano luogo ad esenzione dalla  partecipazione  alla  spesa  per  la
 generalita'  delle prestazioni sanitarie ad esse correlate ovvero per
 la generalita' delle  prestazioni  sanitarie.  Il  decreto  prevedeva
 anche,   peraltro,  l'esenzione  generale  per  talune  categorie  di
 cittadini, tra le quali era compresa quella degli invalidi civili con
 riduzione della capacita' lavorativa superiore ai due terzi.
    La  materia  della  partecipazione  degli  assistiti  alla   spesa
 sanitaria e delle relative esenzioni e' stata successivamente oggetto
 di  altri  interventi legislativi. In particolare, l'art. 5, comma 3,
 della legge 29 dicembre 1990, n. 407 ha abrogato l'esenzione prevista
 per i cittadini in condizione di indigenza e ha demandato al Ministro
 della sanita'  di  determinare  con  decreto  "le  forme  morbose  in
 riferimento alle patologie croniche ed acute, che incidono gravemente
 sull'autosufficienza  e  la qualita' della vita e le modalita' per il
 riconoscimento, che danno diritto alla esenzione dal pagamento  delle
 quote di partecipazione alla spesa saniraria".
    In  attuazione di quanto disposto dal richiamato comma 3, e' stato
 emanato il decreto ministeriale 1› febbraio 1991 che elenca le  forme
 morbose che danno luogo ad esenzione dal ticket per i farmaci ad esse
 correlati e per le correlate prestazioni di diagnostica strumentale e
 di  laboratorio  e  prestazioni  specialistiche.  Anche  tale decreto
 comprende, all'art. 6, un elenco di categorie di  cittadini  esentati
 dalla  partecipazione alla spesa per la generalita' delle prestazioni
 sanitarie e menziona a tal fine, tra gli altri, gli  invalidi  civili
 con una riduzione della capacita' lavorativa superiore a due terzi.
    L'art.  4,  comma  4,  della  legge  30  dicembre  1991, n. 412 ha
 nuovamente modificato le  quote  di  partecipazione  alla  spesa  per
 farmaci, specificando che tali quote sono dovute da tutti i cittadini
 "esclusi   i   pensionati  esenti  dalla  partecipazione  alla  spesa
 sanitaria per motivi di reddito e gli invalidi di guerra titolari  di
 pensione  diretta  vitalizia, nonche', ai sensi dell'articolo 5 della
 legge 3 aprile 1958, n. 474, i grandi invalidi per servizio".
    La materia della partecipazione  alla  spesa  sanitaria  e'  stata
 quindi radicalmente riformata con il decreto-legge 19 settembre 1992,
 n.  384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992,
 n. 438. L'art. 6, comma  4,  ultima  parte,  demanda  ad  un  decreto
 ministeriale  di  stabilire,  tra l'altro, "un tetto massimo di spesa
 per la fruizione dell'assistenza farmaceutica in regime di  esenzione
 dalla  quota  di  partecipazione  alla spesa sanitaria per i soggetti
 esenti ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge 25  novembre  1989,  n.
 382,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n.
 8, e successive modificazioni".
    Dopo l'emanazione di tale decreto, ma prima della sua  conversione
 in  legge,  e'  stata  promulgata  la  legge 23 ottobre 1992, n. 421,
 recante delega al Governo per la  razionalizzazione  e  la  revisione
 delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di pubblico impiego, di
 previdenza e di finanza territoriale. La delega riguardava anche,  in
 particolare,  il riordino della disciplina dei tickets (art. 1, comma
 1,  lettera a)). Il decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502,
 attuativo  di  tale  delega,  non  contiene   peraltro   disposizioni
 rilevanti ai fini della questione qui in esame.
    4. - La sequenza di interventi legislativi sopra accennata - oltre
 a  confermare  la  vigenza  attuale  della norma impugnata - consente
 anche di rilevare che l'esenzione prevista per  gli  invalidi  civili
 con  riduzione  della  capacita' lavorativa superiore a due terzi non
 deriva dai decreti ministeriali del 24 maggio 1989 e del 1›  febbraio
 1991,  bensi'  da  norme  legislative  (cosi'  come  e'  per tutte le
 esenzioni riferite a determinate categorie di cittadini), e che  tale
 previsione  non  e'  estensibile in via interpretativa ai titolari di
 pensione di invalidita'.
    L'esenzione venne infatti stabilita dall'art. 11 del decreto-legge
 n. 463 del 1983 ed espressamente fatta salva dalle leggi  successive,
 quanto  meno fino al 1990 (art. 28 legge n. 41 del 1986, art. 3 legge
 n. 37 del 1989, art. 3 decreto-legge n. 382 del 1989). La delega alla
 decretazione ministeriale contenuta  negli  artt.  2,  comma  2,  del
 decreto-legge  n.  152  del 1989 e 5, comma 3, della legge n. 407 del
 1990 riguardava, del resto, solo le esenzioni riferite a  particolari
 forme  morbose  e  a  prestazioni  sanitarie  ad esse correlate e non
 comprendeva anche la individuazione di esenzioni generali per  deter-
 minate  categorie  di  cittadini, sicche' deve ritenersi che quanto i
 decreti sopra menzionati contengono al riguardo  abbia  solamente  un
 valore meramente ricognitivo ed esplicativo.
    La rassegna delle norme che si sono succedute in materia evidenzia
 compiutamente  che  gli invalidi civili con riduzione della capacita'
 lavorativa superiore a due terzi, ai quali si  riferisce  l'esenzione
 in  esame,  sono quelli di cui alla legge n. 118 del 1971 (art. 13) e
 le  categorie  ad  essi  assimilati  dalla  legge,   mentre   nessuna
 assimilazione   e'   possibile  per  i  titolari  delle  pensioni  di
 invalidita'  erogate  dall'assicurazione  generale  obbligatoria  per
 l'invalidita',   la  vecchiaia  e  i  superstiti  e  dalle  forme  di
 previdenza sostitutive del  regime  generale,  non  essendovi  alcuna
 norma che stabilisca tale assimilazione ed essendo diversi i criteri,
 i modi e gli effetti dell'accertamento dell'invalidita'. E' del resto
 decisivo  il rilievo che nella norma impugnata i titolari di pensione
 di invalidita' sono espressamente contemplati come tali nel comma  1,
 sicche' e' da escludere che l'interprete possa riferire anche ad essi
 la  formula  "invalidi  e  assimilati  di cui alla normativa vigente"
 contenuta nel comma 2.
    Il giudice a quo ha quindi esattamente individuato la disposizione
 legislativa  alla  quale  doveva  essere  rivolta   la   denunzia   e
 l'interpretazioneche egli ne ha presupposto non appare contestabile.
    5. - Nel merito la questione e' fondata.
    L'esenzione  generale  dalla  partecipazione alla spesa sanitaria,
 disposta dall'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 382 del  1989  in
 favore  dei  pensionati  di vecchiaia che abbiano redditi inferiori a
 determinati livelli, corrisponde  alla  corretta  individuazione,  da
 parte  del  legislatore,  di una categoria di cittadini non abbienti,
 che si trovano presuntivamente  nell'impossibilita',  a  causa  delle
 loro  condizioni  fisiche e per ragioni di ordine sociale, di trovare
 fonti di reddito ulteriore, e che, a causa del deperimento fisico che
 generalmente si accompagna all'eta' avanzata,  hanno  presumibilmente
 un  bisogno maggiore e piu' frequente di far ricorso a prestazioni di
 cura, di prevenzione e di riabilitazione.
    Tali  essendo  le ragioni che giustificano l'esenzione generale in
 oggetto, appare chiaro che essa rappresenta attuazione del  contenuto
 minimo  essenziale  del  diritto  alla tutela della salute, garantito
 dall'art. 32 della  Costituzione:  il  quale,  considerato  anche  in
 correlazione  con  il  principio  di uguaglianza sostanziale (art. 3,
 secondo comma), impone che la  salute  abbia  una  protezione  piena,
 esaustiva  ed  effettiva  (sentenza  n.  992  del  1988).  Orbene, la
 condizione dei pensionati di invalidita'  infrasessantacinquenni  che
 abbiano  redditi  inferiori  ai  livelli previsti per i pensionati di
 vecchiaia presenta tutti gli elementi  ai  quali  si  ricollegano  le
 ragioni  dell'esenzione  in  esame. Anche in questo caso, infatti, si
 tratta di cittadini parimenti non abbienti,  che  si  trovano  -  per
 definizione legislativa e per specifico accertamento amministrativo o
 giudiziale   -  nell'impossibilita',  a  causa  delle  loro  menomate
 condizioni fisiche e per collegate  ragioni  di  ordine  sociale,  di
 trovare  fonti di guadagno ulteriore, e che a causa dell'infermita' o
 del  complesso  di  infermita'   di   cui   sono   portatori,   hanno
 presumibilmente un bisogno maggiore e piu' frequente di far ricorso a
 prestazioni di cura, di prevenzione e di riabilitazione.
    Appare  quindi  del  tutto  ingiustificata ed irrazionale (e tanto
 piu' grave in quanto incide sull'effettiva  garanzia  di  un  diritto
 fondamentale  della persona) l'esclusione di questa seconda categoria
 di cittadini dall'esenzione doverosamente prevista per  la  prima.  E
 l'irrazionalita'  di tale disparita' di trattamento appare ancor piu'
 evidente inserendo nel quadro della  comparazione  anche  l'esenzione
 prevista  per  gli  invalidi  civili  con  riduzione  della capacita'
 lavorativa superiore a  due  terzi  (e  cioe'  di  misura  pari  alla
 riduzione  della  capacita'  di guadagno o della capacita' lavorativa
 prevista per il diritto alla pensione di invalidita'). Questa  Corte,
 del  resto,  ha  gia'  ritenuto  che  "l'inabilita' connessa all'eta'
 avanzata sia praticamente  indistinguibile  da  quella  derivante  ai
 parzialmente  inabili  da  pregresse  condizioni di salute .. si' che
 entrambe diano titolo,  nelle  medesime  condizioni  di  bisogno,  ad
 un'identica   prestazione   assistenziale".   In   presenza  di  tale
 sostanziale equivalenza tra le condizioni invalidanti -  ha  aggiunto
 la    Corte   -   "non   hanno   ragion   d'essere   differenziazioni
 nell'individuazione delle condizioni di bisogno che danno  titolo  al
 sostegno solidaristico della collettivita'".