ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  274,  secondo
 comma,  del  codice  penale  militare  di  pace,  promossi  con  n. 2
 ordinanze emesse il 9 luglio e il 2 aprile 1992 dal  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  il Tribunale Militare di La Spezia nei
 procedimenti penali a carico di Tocci Ottavio e Barile Ciro, iscritte
 ai nn. 664 e 667 del  registro  ordinanze  1992  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  43, prima serie speciale,
 dell'anno 1992;
    Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di due distinti procedimenti penali, l'uno a carico
 di  Tocci  Ottavio  e  l'altro nei confronti di Barile Ciro, il primo
 imputato di diserzione (art. 148, n. 2,  codice  penale  militare  di
 pace)  ed  il  secondo  del reato di mancanza alla chiamata (art. 151
 codice  penale  militare  di  pace),  il  giudice  per  le   indagini
 preliminari  presso  il  Tribunale militare di La Spezia ha sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  274,  secondo
 comma,  codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 3, 25
 e 97 della Costituzione.
    I militari, accusati di diserzione per non essersi presentati  nei
 termini   di   legge  ai  corpi  di  appartenenza  (rientranti  nella
 giurisdizione  territoriale  di  Pisa),  si  erano   "volontariamente
 costituiti",  nelle more della celebrazione dell'udienza preliminare,
 al distretto militare della citta' di nascita, l'uno, e di residenza,
 l'altro, da dove poi erano stati, rispettivamente, il secondo avviato
 alle armi  e  il  primo  riavviato  alla  prosecuzione  del  servizio
 militare.
    Cosi',  il processo a loro carico, incardinato presso il Tribunale
 militare di  La  Spezia  (competente  anche  per  il  territorio  del
 distretto  di  Pisa, nel quale rientravano i corpi di appartenenza di
 entrambi i militari), si sarebbe dovuto rimettere, ai sensi dell'art.
 274 codice penale militare di pace, ai Tribunali dei  luoghi  dov'era
 avvenuta la "volontaria costituzione" degli imputati.
    2.  -  Ha  premesso il giudice remittente che in base all'art. 210
 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che
 ha fatto salve le previsioni in materia di competenza stabilite dalle
 leggi speciali - trova ancora piena applicazione  l'art.  274  codice
 penale  militare  di  pace,  atteggiandosi in materia di competenza a
 disciplina  speciale  rispetto  a  quella  generale  del  codice   di
 procedura penale.
    Ha   precisato,   altresi',   che   la   nozione   di  "volontaria
 costituzione", indicata nella disposizione in esame,  non  va  intesa
 come attivita' di costituzione dell'imputato colpito da provvedimento
 restrittivo  della  liberta'  personale, ma nel senso - costantemente
 affermato dalla giurisprudenza dei tribunali militari - di  spontanea
 presentazione  all'autorita'  militare  con  l'intenzione  di porsi a
 disposizione di essa.
    3. -  La  norma  impugnata,  secondo  l'ordinanza  di  remissione,
 sarebbe   in  contrasto,  innanzitutto,  con  il  principio  di  buon
 andamento della pubblica amministrazione contenuto nell'art. 97 della
 Costituzione, in quanto fonte  di  inconvenienti  alla  funzionalita'
 della   giurisdizione   militare.  Una  volta  iniziate  le  indagini
 preliminari presso l'ufficio di procura nel  cui  territorio  ove  ha
 sede  il  reparto  di  appartenenza del militare (o presso cui doveva
 presentarsi), il processo deve essere trasmesso al Tribunale militare
 competente  per  territorio,  sede  del  corpo  o  reparto  dove  nel
 frattempo,   per  qualsiasi  motivo,  questi  si  sia  spontaneamente
 presentato. Deriverebbero, a giudizio  del  remittente,  apprezzabili
 inconvenienti,  giacche'  la  polizia giudiziaria militare resterebbe
 sempre quella del reparto denunciante, mentre il  pubblico  ministero
 competente  sarebbe  quello  del  diverso  e  piu'  lontano Tribunale
 militare. E, inoltre, il rapporto  intercorrente  tra  l'ufficio  del
 pubblico ministero e la polizia giudiziaria militare, impersonata dai
 comandanti  di corpo ai sensi dell'art. 301 codice penale militare di
 pace, non si configura come un rapporto  esclusivamente  processuale,
 bensi'  anche  ordinamentale, in quanto il procuratore militare della
 Repubblica riveste contemporaneamente,  ai  sensi  dell'art.  52  del
 regio  decreto  9  settembre 1941, n. 1022, la qualita' di consulente
 legale dei comandi militari locali in materia di giustizia militare.
    Un   appesantimento  e  una  complicazione  della  procedura,  che
 sarebbero   non   conformi   al   principio   di    buon    andamento
 dell'amministrazione della giustizia.
    4.  -  Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la norma sarebbe viziata
 altresi'  dalla  violazione  dell'art.   25,   primo   comma,   della
 Costituzione.  Essa  consentirebbe all'imputato la scelta dell'organo
 che lo deve giudicare, attraverso la  sua  "spontanea  presentazione"
 presso  un  reparto  anziche'  un  altro. La lesione del parametro si
 rivelerebbe  considerando  la   volontarieta'   della   costituzione,
 deliberata  dopo  la  consumazione del delitto e indipendentemente da
 questo. In tal modo si creerebbe una situazione simile a  quella  che
 indusse   il  legislatore,  nel  1977,  alla  modifica  dell'art.  39
 dell'abrogato  codice  di  procedura  penale  diretta   a   sottrarre
 all'imputato  l'anomalo  potere  di  scegliersi l'organo giudiziario,
 inquirente o giudicante.
    5. - Il remittente lamenta, infine, la lesione dell'art.  3  della
 Costituzione,  sostenendo  che  la disciplina prevista dall'art. 274,
 secondo  comma,  sarebbe  incongrua  e  illogica,  sia  pure  in  via
 derivata,  in ragione dell'opera abolitiva della Corte costituzionale
 e di quella riformatrice del legislatore.
    Nel precedente sistema normativo, anteriore all'entrata in  vigore
 della  legge  5  agosto 1988, n. 330, e del nuovo codice di procedura
 penale, anteriore altresi' alla sentenza n. 503/1989 di questa  Corte
 (la quale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 308
 codice  penale militare di pace, che imponeva l'obbligo di arresto in
 flagranza  per  qualunque  reato  militare),  la   norma   impugnata,
 stabilendo  la  competenza  territoriale  del "tribunale militare del
 luogo dell'arresto, della consegna o della volontaria  costituzione",
 aveva  una  sua  logica  spiegazione  volta  com'era  ad  evitare "le
 lungaggini e il dispendio che  importerebbero  la  traduzione  di  un
 detenuto  da  un luogo ad un altro" (relazione al progetto definitivo
 del codice penale militare di pace del 1941).
    Fino  al  1988  i  militari  assenti  arbitrariamente  dal   Corpo
 venivano,  in  costanza  dell'assenza, colpiti da ordini o mandati di
 cattura,  e  potevano  essere  arrestati,  in  flagranza,  ai   sensi
 dell'art.  308  codice penale militare di pace. Tale sistema e' stato
 abolito  dai  combinati  effetti  risultanti  dalla   riforma   della
 disciplina  dei  provvedimenti  restrittivi della liberta' personale,
 attuata con la citata legge n. 330 che ha reso  inapplicabile  l'art.
 314   codice  penale  militare  di  pace,  e  dalla  declaratoria  di
 incostituzionalita' del gia' menzionato art. 308 pronunciata  con  la
 sentenza n. 503/1989.
    Essendo  venuto  meno il sistema dell'obbligatorieta' dell'arresto
 in flagranza per i reati militari, ne e' scaturito che, di fatto,  la
 perdurante   assenza   arbitraria  del  militare  dal  reparto  viene
 solitamente eliminata con la "volontaria costituzione" dell'imputato.
 Cio'  in  quanto   una   consolidata   e   uniforme   interpretazione
 giurisprudenziale    equipara   la   volontaria   costituzione   alla
 presentazione a una qualsiasi autorita' militare con l'intenzione  di
 porre  fine all'assenza, escludendo la necessita' di un provvedimento
 restrittivo. Ne conseguirebbe,  percio',  il  venir  meno  di  quella
 logicita', e congruenza, che erano alla base della norma censurata.
                         Considerato in diritto
    1.  - La Corte e' chiamata ad esaminare, in riferimento agli artt.
 97, 25, secondo comma,  e  3  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  274,  secondo  comma, codice
 penale militare di pace nella parte in cui prevede che,  in  caso  di
 volontaria costituzione dell'imputato di uno dei reati di assenza dal
 servizio, la competenza a conoscere del fatto appartenga al tribunale
 militare  del  luogo  della  volontaria costituzione, interpretandosi
 quest'ultima espressione come effettiva assunzione,  o  riassunzione,
 del    servizio   presso   il   corpo   militare   di   appartenenza,
 indipendentemente dall'esistenza d'un  provvedimento  di  coercizione
 personale a carico del militare inquisito.
    Il  giudice  remittente  ritiene  che  la norma non sia conforme a
 costituzione, in quanto contrasterebbe: a) con il principio  di  buon
 andamento  della pubblica amministrazione, perche' provocherebbe seri
 inconvenienti al  funzionamento  della  giustizia  militare;  b)  con
 quello  del  giudice  naturale, perche' consentirebbe all'imputato la
 scelta dell'organo  giudicante;  c)  con  quello  di  ragionevolezza,
 perche'  la  disciplina  della  competenza territoriale dei tribunali
 militari, un tempo ben giustificata, sarebbe ora -  a  seguito  delle
 intervenute  e  non  coordinate  modificazioni  normative - del tutto
 incongrua ed illogica.
    In particolare, la  riforma  delle  discipline  dei  provvedimenti
 restrittivi  della  liberta'  personale,  attuata  con  la  legge  n.
 330/1988, che ha reso inapplicabile l'art. 314 codice penale militare
 di pace, e la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 308 dello
 stesso codice (sent. n. 503/1989), hanno fatto venir meno il  sistema
 dell'obbligatorieta'  dell'arresto  in flagranza per i reati militari
 e, quindi, il fondamento della norma ora impugnata, che aveva la  sua
 logica  spiegazione  nella necessita' di evitare lunghe e dispendiose
 traduzioni di detenuti da un luogo un altro.
    2. - La questione e' infondata.
    Non e' dato  cogliere  come,  all'altezza  degli  attuali  livelli
 tecnologici  (telefonia,  telematica,  ecc.),  il  principio del buon
 andamento della pubblica amministrazione, per effetto di qualsivoglia
 modificazione o spostamento di  competenza,  possa  seriamente  dirsi
 vulnerato.  La  materia  della  competenza, che costituisce uno snodo
 assai importante tra la disciplina del  processo  e  l'organizzazione
 giudiziaria,  di fatto vive proprio di queste vicende. Ne' potrebbero
 altrimenti giustificarsi le norme che disciplinano  i  conflitti  fra
 piu'  autorita'  giudiziarie  e  quelle  -  non  oggetto del presente
 giudizio - riguardanti gli uffici  giudiziari,  che  sono  (o  devono
 essere)  organizzati  in  modo  da  far  fronte  agli  eventi, almeno
 ordinari, dei processi.
    Nel caso di specie, ci si duole anche degli inconvenienti nascenti
 dal coordinamento del processo  con  una  disposizione  ordinamentale
 (l'art.  52  del  regio  decreto n. 1022 del 1941) che attribuisce al
 procuratore presso i tribunali militari  la  qualita'  di  consulente
 legale  dei  comandi  locali  in materia giudiziaria militare, con la
 conseguenza (deprecata) di andare  incontro  a  diversi  indirizzi  e
 direttive.
    Anche tale doglianza non ha pregio, perche' risolubile nell'ambito
 del coordinamento delle diverse autorita' di polizia giudiziaria, che
 e'  problema  comune  a  tutte  le forme (ordinaria e speciali) della
 giurisdizione penale.
    3.  -  La  norma  censurata  prevedeva, ancora prima delle cennate
 modifiche  legislative,  una  ipotesi  di   competenza   territoriale
 alternativa  (luogo  dell'arresto,  della consegna o della volontaria
 costituzione) per i reati di diserzione,  mancanza  alla  chiamata  e
 allontanamento  illecito.  Essa, tuttavia, e' rimasta tale anche dopo
 le  modificazioni  al   sistema,   previgente,   dell'obbligatorieta'
 dell'arresto, in flagranza, per i reati militari.
    L'asserita    interpretazione    del   concetto   di   "volontaria
 costituzione", prevista dal secondo comma dell'art. 274 codice penale
 militare di pace, era, del resto, gia' largamente acquisita  in  anni
 precedenti  alle sottolineate modificazioni del regime della liberta'
 personale avvenute fra il 1988 e il 1989 (si veda  la  decisione  del
 Tribunale  supremo  militare  del  18  maggio  1963,  che  decise  il
 conflitto di competenza tra i pubblici ministeri militari di Padova e
 di Roma, in favore del secondo). La nuova normativa dei provvedimenti
 restrittivi della liberta' personale ha dunque comportato un  effetto
 indiretto,   meramente  fattuale,  sulla  concreta  disciplina  della
 competenza territoriale per i reati di assenza dal servizio,  facendo
 accrescere   il   numero   dei   casi  di  "volontaria  costituzione"
 dell'imputato,  in  ragione   della   impossibilita'   di   procedere
 obbligatoriamente  al  suo  arresto. Con il conseguente aumento delle
 ipotesi di trasmigrazione della competenza dal luogo in  cui  si  era
 aperto  il  procedimento  a  quello  della  volontaria  presentazione
 dell'imputato.
    4. - Non puo', pertanto, parlarsi di  irrazionalita'  sopravvenuta
 della    disciplina   della   competenza,   poiche'   essa   non   e'
 strutturalmente  mutata,  essendo  rimasta  identica  anche  dopo  le
 cennate  modificazioni  normative. Ne' l'accrescersi, in fatto, della
 frequenza di uno dei tre  criteri  di  radicamento  della  competenza
 (quello della "volontaria costituzione") rispetto agli altri due puo'
 ritenersi  produttivo  d'un  irrazionale meccanismo di individuazione
 del  giudice,  poiche'  -  nella  previsione  del  legislatore  -  e'
 soddisfacente  il  funzionamento  anche  di  uno  qualsiasi  dei  tre
 criteri, essendo essi del tutto equivalenti.  Cio'  che  spiega  pure
 l'infondatezza  della  ipotizzata  lesione  del principio del giudice
 naturale precostituito per legge.
    5. - Nella specie, come gia' si e' detto, si versa in una  ipotesi
 di competenza territoriale alternativa "la cui risoluzione pur sempre
 avviene   in   base  a  meccanismi  stabiliti  a  priori  dall'organo
 legislativo" (sent. n. 269/1992 che richiama la sent. n. 158/1982).
    A tale proposito questa Corte, nel riaffermare  che  il  principio
 della  precostituzione del giudice sancito nell'art. 25, primo comma,
 della Costituzione e' rispettato "allorche' l'organo  giudicante  sia
 stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in
 anticipo  e  non  gia'  in  vista  di singole controversie" (sent. n.
 269/1992 e sentt. ivi citate),  ha  ribadito  che,  comunque,  "nulla
 (esso) ha da vedere con la ripartizione della competenza territoriale
 tra   giudici,   dettata   da  normativa  nel  tempo  anteriore  alla
 istituzione  del  giudizio"  (sent.   n.   269/1992,   che   richiama
 testualmente la sent. n. 251/1986).
    E   se  nel  caso  esaminato  con  la  sentenza  n.  88  del  1962
 l'alternativa fra piu' giudici venne ritenuta  non  conciliabile  con
 l'art. 25 della Costituzione, perche' la sua risoluzione era affidata
 alle  scelte "discrezionali" inerenti alla "designazione" del giudice
 per  il  singolo   processo   con   provvedimento   autoritativo   ed
 insindacabile  di  organi dello stesso potere giudiziario, e dunque a
 posteriori,  nel  caso  esaminato  con  la  sent.  n.   269/1992   la
 risoluzione  riguardava,  al  contrario,  un  meccanismo  stabilito a
 priori dal legislatore. Ne' si  dica  che  la  "scelta"  tra  i  fori
 alternativi,  quando  e'  rimessa  a un comportamento rilevante della
 parte, integra la lesione del menzionato principio costituzionale.
    La possibilita' che il legislatore elevi a criterio di radicamento
 della competenza una attivita' dell'imputato (che non si riduca pero'
 a mero arbitrio)  non  puo'  dirsi  in  contrasto  con  il  principio
 costituzionale  di precostituzione del giudice. Cio' non solo perche'
 gia' con la decisione di commettere un reato in un luogo anziche'  in
 un  altro  l'imputato opera pure la "scelta" dell'ufficio giudiziario
 che dovra'  poi  giudicarlo;  ma  contestualmente  perche'  una  tale
 "scelta",   se   consente  d'individuare  l'ufficio  giudiziario  ove
 s'incardinera' il procedimento, non per questo consente la scelta del
 magistrato che in quel processo  promuovera'  l'azione  penale  o  lo
 giudichera'.  Del  resto, costituisce materia sufficiente a garantire
 la congruita'  della  scelta  legislativa  con  l'invocato  parametro
 costituzionale assumere a criterio di radicamento della competenza un
 comportamento  non  puramente  arbitrario, che incontri, comunque, un
 ostacolo nella vischiosita' dell'agire quotidiano o in fatti  sociali
 e tecnici (sent. n. 1 del 1965).