ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  64, primo
 comma,  della  legge  3  febbraio  1963,  n.  69  (Ordinamento  della
 professione  di  giornalista),  promosso  con  ordinanza  emessa il 2
 giugno 1992 dalla Corte di cassazione  sul  ricorso  proposto  da  Di
 Bella   Franco   contro   il   Consiglio  Nazionale  dell'Ordine  dei
 Giornalisti ed altri, iscritta al n. 741 del registro ordinanze  1992
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di costituzione di Di Bella Franco e del  Consiglio
 Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore
 Francesco Greco;
    Uditi gli avvocati Corso Bovio per Di Bella  Franco  e  Franco  G.
 Scoca per il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Di Bella Franco, con ricorso notificato il 18 settembre 1990,
 impugnava  per cassazione la sentenza del 3 aprile 1990, con la quale
 la Corte di appello di Milano, confermando la  decisione  del  locale
 Tribunale, aveva ritenuto la legittimita' della sanzione disciplinare
 della  censura  ad  esso  ricorrente inflitta dal Consiglio Regionale
 dell'Ordine dei Giornalisti con deliberazione del 13 dicembre 1982, e
 confermata dal Consiglio Nazionale con  deliberazione  del  28  marzo
 1985.
    L'adita  Corte,  in  accoglimento  dell'eccezione sollevata dal Di
 Bella, con ordinanza del 2 giugno 1992 (R.O. n.  741  del  1992),  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 64 della
 legge 3 febbraio 1963, n. 69, nella parte in cui, per le impugnazioni
 davanti   al   giudice   ordinario  in  primo  e  secondo  grado  dei
 provvedimenti disciplinari emessi a carico di giornalisti, prevede il
 rito camerale anziche' l'udienza pubblica.
    La Corte remittente ha rilevato che il  procedimento  disciplinare
 de quo si articola in due fasi - una di carattere amministrativo, che
 si  svolge  dinanzi  al Consiglio regionale dell'ordine, e in sede di
 impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale; e l'altra, di carattere
 giudiziario, che riguarda le  impugnazioni  delle  deliberazioni  del
 Consiglio  nazionale  -,  e che si svolge dinanzi al Tribunale e alla
 Corte di appello con il rito camerale, cioe' in camera  di  consiglio
 sentiti  il  pubblico ministero e gli interessati. Ed ha ritenuto che
 sussisterebbe violazione dell'art. 101 della Costituzione  il  quale,
 secondo l'interpretazione datane da questa Corte (specialmente con la
 sentenza  n. 50 del 1989), prevede l'operativita' del principio della
 pubblicita' delle udienze quale espressione  di  civilta'  giuridica,
 affermato   anche  dall'art.  6  della  Convenzione  europea  per  la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
 firmata a Roma il 4 novembre 1950.
    2.  -  L'ordinanza,  ritualmente  comunicata e notificata e' stata
 altresi' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    2.1. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono  costituiti  la
 parte privata ed il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.
    La   difesa   della   prima   ha   insistito   per  l'accoglimento
 dell'eccezione  di  illegittimita'   costituzionale   con   argomenti
 sostanzialmente  sovrapponibili  a  quelli  fatti  propri dalla Corte
 remittente.
    La difesa del secondo insiste,  invece,  per  la  declaratoria  di
 infondatezza  della  questione  osservando  che,  alla  stregua della
 stessa  giurisprudenza  costituzionale   citata   nell'ordinanza   di
 rimessione, il principio della pubblicita' delle udienze in relazione
 alle  peculiarita'  del  procedimento  di  cui  trattasi, puo' subire
 eccezioni, il cui apprezzamento e' affidato alla discrezionalita' del
 legislatore; che nella specie la deroga al principio  suddetto  trova
 piena  e  ragionevole  giustificazione nella esigenza di riservatezza
 del  giornalista  inquisito  nonche'  nella  salvaguardia  della  sua
 immagine professionale e dei diritti della persona.
    3.  - Nell'imminenza dell'udienza la difesa della parte privata ha
 depositato una memoria  con  la  quale  ha  sottolineato  che  alcuni
 giudici  di  merito, nei procedimenti aventi ad oggetto l'irrogazione
 di sanzioni disciplinari a  carico  di  giornalisti,  hanno  ritenuto
 applicabile  la  Convenzione  europea  sui  diritti  dell'uomo  e, di
 conseguenza, hanno disposto la celebrazione di udienze pubbliche.
                         Considerato in diritto
    1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 64, primo  comma,
 della  legge  3  febbraio  1963,  n.  69,  nella parte in cui esclude
 l'applicabilita' dell'art. 128 del codice di procedura civile e l'ivi
 sancito principio di pubblicita' delle udienze ai giudizi, davanti al
 Tribunale ed alla Corte di appello,  in  materia  di  responsabilita'
 disciplinare  dei  giornalisti,  violi l'art. 101 della Costituzione,
 che   sancisce   l'operativita'   del   detto   principio,    secondo
 l'interpretazione  datane  dalla  giurisprudenza costituzionale ed in
 conformita' a quanto stabilito da vari atti internazionali.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Si e' piu' volte affermato (sent. nn. 373/92, 69/91, 50/89) che la
 pubblicita'  del  giudizio  che   si   svolge   dinanzi   ad   organi
 giurisdizionali  costituisce  un cardine dell'ordinamento democratico
 fondato   sulla   sovranita'   popolare   sulla   quale    si    basa
 l'amministrazione della giustizia.
    La  validita' del suddetto principio e' sancita anche in vari atti
 internazionali citati nelle sentenze richiamate, tra  essi  l'art.  6
 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
 delle   liberta'   fondamentali   del  4  novembre  1950,  ratificata
 dall'Italia con la  legge  n.  848  del  1955,  e  il  secondo  comma
 dell'art.  19  della  Dichiarazione  dei  diritti  e  delle  liberta'
 fondamentali, adottata dal Parlamento europeo con la risoluzione  del
 12  aprile  1989,  secondo cui chiunque ha diritto a che la sua causa
 sia trattata equamente, pubblicamente, entro un termine  ragionevole,
 dinanzi  ad  un  tribunale indipendente ed imparziale istituito dalla
 legge.
    Il principio suddetto pero' non  trova  un'applicazione  assoluta.
 Possono   essere   posti   limiti   alla  pubblicita'  delle  udienze
 nell'interesse della morale, dell'ordine  pubblico,  della  sicurezza
 nazionale,  per  esigenze  della  tutela degli interessi dei minori o
 della vita privata delle stesse parti del processo o degli  interessi
 della stessa giustizia.
    Nella  recente  legge  12  aprile 1990, n. 74, per il procedimento
 disciplinare a carico dei magistrati si  e'  affermato  il  principio
 della pubblicita' delle udienze ma si sono anche previsti limiti alla
 sua applicazione.
    3. - Nella fattispecie la mancanza di pubblicita' riguarda le fasi
 del procedimento che si svolgono dinanzi al Tribunale e alla Corte di
 Appello  per  cui  potrebbe  trovare applicazione il principio di cui
 trattasi.
    Tuttavia,  anche in questo particolare procedimento possono venire
 in discussione la stessa dignita' umana e alcuni aspetti  della  vita
 di  relazione  del  giornalista, per cui la sua applicazione non puo'
 essere assoluta  ed  incondizionata  ma  puo'  essere  necessario  il
 bilanciamento  dei vari interessi in gioco; in particolare, di quelli
 che fanno capo allo stesso giornalista  e  di  quelli  relativi  alla
 garanzia  del controllo della pubblica opinione sullo svolgimento del
 procedimento. Il suddetto bilanciamento e la correlativa  definizione
 degli  eventuali  limiti  sono  affidati  alla  discrezionalita'  del
 legislatore, al quale non puo' sostituirsi questa Corte.
    Pertanto,  la   questione   sollevata   deve   essere   dichiarata
 inammissibile.