IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 742 del 1991
 proposto dal Sindacato italiano chimici dipendenti  unita'  sanitarie
 locali,   in  persona  del  segretario  generale  pro-tempore,  dott.
 Giampaolo Fiorio, che agisce nella qualita' e in proprio, nonche' dei
 dottori  Giovanni  Imperato,  Luigi  Romano,  Sergio  Zofra,  Alberto
 Accardo,  Aniello  De Vita, Francesco Infante, Claudio Bufi, Giuseppa
 Mobilia, Silvestro Bonanno, Salvatore Sambataro, Francesco  Muccilli,
 Antonino Signorelli, Raimondo Germanotta, Signorino Barbaria, Alfredo
 Finocchiaro,  Angelo  Varelli,  Vincenzo  Zagami, Giuseppe Vernuccio,
 Francesca Longo, Maria Luisa Fichera, Guido Sippelli, Andrea Nastasi,
 Santo Pipito', Giovanni Giunta, Antonino  Abate,  Antonino  Marchese,
 Maria  Anna  Fedele,  Francesco  Paolo  Valentino,  Margherita Sergi,
 Domenico  Moscato,  Antonino  Dascola,  Giuseppa  Liliana   Messineo,
 Beniamino  Mazza,  Anna  Maria  Bille', Francesco Costantino, Onofrio
 Lattarulo, Vito Michele Perrino, Giuseppe Montella, Giorgio  Cavallo,
 Andrea  Ottaviano, Emanuele Spadola, Giuseppe Vitale, Giuseppe Amico,
 Antonio Amico, Roberto Giua, Maria Spartera, Mario Mossone,  Leonardo
 Merlini,  Fausto  Morini,  Pietro  Ruco,  Omero  Zampa, Piero Secondo
 Paolemili, Manola Castellani, Vanio Viola, Luigi  Standoli,  Raffaele
 Iodice,  Michele  Scotto  Lavina,  Elio  Calabrese, Nicola De Giorgi,
 Cosimo Colonna, Antonio Inguscio, Vincenzo Colonna,  Silvio  Martina,
 Giacomo  Greco,  Pantaleo  Azzollini, Gustavo D'elia, Daniela Ignazi,
 Domenico  Tancre',  Maurizio  Antonio  Giardino,   Giacinto   Muraca,
 Domenico  Colosimo,  Vincenzo  Cristiano,  Leonardo  Lecce, Francesco
 D'Ambrosio, rappresentati e difesi dall'avv. Arturo Merlo e  con  lui
 elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Bruno Aguglia in
 Roma, via Cicerone, 44 contro:
      la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  del
 Presidente pro-tempore;
     il Ministero della sanita', in persona del Ministro pro-tempore;
      il Ministero per la funzione pubblica, in persona  del  Ministro
 pro-tempore;
      il Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro-tempore;
      il  Ministero  del bilancio e della programmazione economica, in
 persona del Ministro pro-tempore;
      il Ministero del lavoro e della previdenza sociale,  in  persona
 del  Ministro  pro-tempore,  rappresentati  e  difesi dall'Avvocatura
 generale dello Stato; per l'annullamento del d.P.R. 20 novembre 1990,
 n. 384, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  295
 del  19  dicembre  1990 - Suppl. ord., recante il "Regolamento per il
 recepimento  delle  norme  risultanti   dalla   disciplina   prevista
 dall'accordo  del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto
 del servizio sanitario nazionale, di cui all'art. 6 del  decreto  del
 Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura generale
 dello Stato e la memoria da questa prodotta;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Uditi nella pubblica udienza del 7 dicembre 1992 il relatore cons.
 Marzio Branca, l'avv. Arturo Merlo  per  i  ricorrenti  e  l'Avvocato
 dello Stato Gian Paolo Polizzi per l'amministrazione;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  ricorso  ritualmente  notificato  e  depositato, un gruppo di
 chimici dipendenti di unita' sanitarie locali e il Sindacato  chimici
 dipendenti  unita' sanitarie locali (SICUS) hanno impugnato il d.P.R.
 28 novembre 1990, n. 384, recante  "Regolamento  per  il  recepimento
 delle  norme  risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6
 aprile 1990  concernente  il  personale  dal  comparto  del  servizio
 sanitario  nazionale,  di  cui all'art. 6 del d.P.R. 5 marzo 1986, n.
 68. Il provvedimento viene censurato sotto diversi profili.
    Con il primo mezzo di gravame si deduce un vizio di illegittimita'
 derivata, sostenendosi che il provvedimento impugnato  e'  il  frutto
 della   negoziazione   avvenuta   nella   "apposita   area"  "per  la
 professionalita'   medica,   concernente   i   medici   chirurghi   e
 veterinari", area individuata dall'art. 6 del d.P.R. 5 marzo 1986, n.
 68.  Quest'ultima  disposizione,  peraltro,  risulterebbe adottata in
 violazione dell'art. 5, secondo comma, della legge 29 marzo 1983,  n.
 93,  ad  anzi,  per  tale  motivo annullata dal t.a.r. Lazio, sezione
 prima, con sentenza 26 gennaio 1991, n. 95.
    Con il secondo motivo si sostiene l'illegittimita' degli artt.  58
 e  124  dell'impugnato  d.P.R.  n.  384  del 1990, nella parte in cui
 ammettono i  medici  a  condividere  le  competenze  per  l'attivita'
 prestata nei laboratori di analisi delle uu.ss.ll. in plus orario. Le
 disposizioni  anzidette,  pur  risultando conformi agli artt. 16 e 23
 del  d.P.R.  27  marzo  1969,  n.  128,  verrebbero  a   cadere   per
 illegittimita'  derivata ove venisse dichiarata l'incostituzionalita'
 delle  norme  teste'  richiamate.  A  tal  fine  si  propone  formale
 eccezione  per  contrasto  delle  medesime  con  gli artt. 33, quinto
 comma, e 97, primo comma, della Costituzione.
    Il terzo mezzo investe quelle disposizioni del d.P.R. n.  384  del
 1990  che determinano un trattamento giuridico ed economico deteriore
 per il chimico  rispetto  al  medico,  in  conformita',  peraltro,  a
 disposizioni  di  rango  legislativo  delle  quali  si  eccepisce  la
 illegittimita' costituzionale. In particolare  si  denunciano  l'art.
 47,  terzo  comma,  nn.  4  e  5,  che garantiscono solo ai medici il
 diritto all'esercizio della libera attivita'  professionale,  nonche'
 l'esercizio  di attivita' didattiche e scientifiche, e gli artt. 35 e
 36 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, che attribuiscono  ai  medici
 il   diritto   di   scelta   tra  tempo  pieno  e  tempo  definito  e
 conseguentemente di  svolgere  attivita'  libero-professionale  fuori
 delle  strutture  della  unita' sanitaria locale. Queste disposizioni
 contrasterebbero con gli artt. 3, 33, quinto comma,  51  e  97  della
 Costituzione,    perche'    determinerebbero    irrazionalmente   una
 aprioristica discriminazione nel trattamento giuridico  ed  economico
 di talune categorie rispetto ad altre, benche' tutte si pongano su un
 piano di pari dignita' e rilevanza.
    Con  il  quarto  motivo si censura l'art. 42 del d.P.R. n. 384 del
 1990, che per il triennio di competenza ha riconosciuto al  personale
 non  medico  una  indennita'  sostitutiva  in  luogo  del  sistema di
 progressione per classi stipendiali  e  scatti  biennali,  che  viene
 invece  conservato  per  il personale medico. La norma contrasterebbe
 con i principi enunciati dall'art. 4 della legge n. 93 del  1983,  in
 materia  di omogeneizzazione delle retribuzioni, e sarebbe affetta da
 eccesso  di  potere  per  ingiustizia  manifesta  e   disparita'   di
 trattamento.
    Le   amministrazioni  intimate  si  sono  costituite  in  giudizio
 chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato, e,
 con successiva memoria hanno illustrato le ragioni dell'irrilevanza e
 della   manifesta   infondatezza   delle   proposte   eccezioni    di
 illegittimita' costituzionale.
    Alla  pubblica  udienza  del  7  dicembre  1992, con dichiarazione
 inserita nel verbale, i ricorrenti hanno rinunciato al  primo  motivo
 di  ricorso  ed  hanno  poi  insistito per l'accoglimento delle altre
 censure. Anche l'Avvocatura  generale  dello  Stato  insisteva  nelle
 proprie conclusioni e la causa passava in decisione.
                             D I R I T T O
    Con  sentenza  in pari data il tribunale, dato atto della rinuncia
 al primo motivo di ricorso, ha esaminato il terzo ed il quarto motivo
 ritenendoli infondati.
    Con  il  secondo  e  residuo  mezzo   di   gravame   si   sostiene
 l'illegittimita'  degli artt. 58, decimo comma, e 124, secondo comma,
 del d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, di  recepimento  dell'accordo  6
 aprile 1990 concernente il comparto del servizio sanitario nazionale,
 i  quali stabiliscono la partecipazione dei medici addetti ai servizi
 di analisi delle unita'  sanitarie  locali  alla  ripartizione  degli
 introiti  per le prestazioni di laboratorio svolte in plus orario. Le
 disposizioni anzidette sarebbero affette da  illegittimita'  derivata
 in quanto costituiscono applicazione degi artt. 16 e 23 del d.P.R. 27
 marzo  1969, n. 128, dei quali si denuncia il contrasto con gli artt.
 33, quinto comma, e 97, primo comma,  della  Costituzione.  Le  norme
 impugante,  disponendo  la  preposizione al servizio di analisi (art.
 16) ed al servizio di virologia (art. 23) di personale medico,  ossia
 di  personale  privo  della  idoneita'  professionale necessaria allo
 svolgimento delle  attivita'  di  competenza  dei  predetti  servizi,
 contrasterebbero:
       a)  con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in base al
 quale nessuna attivita' professionale puo' essere esercitata senza la
 previa  abilitazione  conseguita  mediante  esame  di  Stato,  previa
 acquisizione di uno specifico diploma di laurea;
       b)  con  l'art.  97, primo comma, della Costituzione, in quanto
 l'utilizzazione di personale non abilitato ad esercitare  prestazioni
 erogate  da strutture pubbliche non e' conforme al principio del buon
 andamento.
    La  proposta  questione  appare  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata, nei termini piu' oltre precisati. In ordine alla rilevanza
 si  osserva  che  la  censura  tendente  all'annullamento delle norme
 regolamentari da cui consegue la  attribuzione  ai  medici  di  quote
 incrementali  del fondo di incentivazione derivanti da prestazioni di
 laboratorio, non puo' essere  giudicata  senza  risolvere  il  dubbio
 sulla   legittimita'   costituzionale  delle  norme  legislative  che
 dispongono la presenza  dei  medici  nei  servizi  di  analisi  e  di
 virologia  delle unita' sanitarie locali (artt. 16 e 23 del d.P.R. n.
 128 del 1969). L'eliminazione delle anzidette disposizioni,  infatti,
 verrebbe  a privare dell'attuale fondamento giuridico le disposizioni
 regolamentari  impugnate,  aprendo  la  via  all'accoglimento   della
 censura  formulata  nel  motivo in esame. Va dunque disattesa la tesi
 avanzata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato   secondo   cui   i
 ricorrenti  diferrerebbero  di  un  interesse  concreto  e  quindi di
 legittimazione   a   sollevare    l'eccezione    di    illegittimita'
 costituzionale.
    Ove  la proposta questione risultasse fondata, il personale medico
 non potrebbe piu' far parte della "equipe che ha reso le  prestazioni
 aggiutive"  di  laboratorio, con evidenti riflessi sulla legittimita'
 delle norme regolamentari impugnate.
    Circa  la  non manifesta infondatezza della questione, il collegio
 osserva che il problema della competenza dei medici  alla  esecuzione
 delle  analisi  "chimico-cliniche e microbiologiche" rimane al centro
 di un vivace contrasto di opinioni. La sentenza  4  giugno  1990,  n.
 1341,  con la quale le sezioni unite penali della Corte di cassazione
 hanno stabilito che non e' configurabile  a  carico  dei  medici  che
 eseguono  le  analisi  in  questione il reato di cui all'art. 348 del
 c.p., non ha esaurito la complessa tematica in discussione.
    Le sezioni unite, infatti, hanno  dimostrato  che  l'ampio  quadro
 normativo,  che,  a  partire  dal t.u. delle leggi sanitarie (c.d. 27
 luglio 1934, n. 1256) fino al d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128,  consente
 ai  medici  di operare nei laboratori ospedalieri di analisi non puo'
 ritenersi abrogato dal d.m. 9 settembre 1957, n.  274,  e  successive
 modificazioni,   che   sopprime   la  prova  pratica  di  laboratorio
 nell'esame di Stato per i laureati in medicina e chirurgia, e neppure
 dalla  legge  27  maggio   1967,   n.   398,   istitutiva   dell'albo
 professionale  dei  biologi,  dalla quale non puo' desumersi (art. 3,
 u.c.) che le analisi microbiologiche siano state riservate  a  questi
 ultimi.
    Ma  la  valutazione  circa la liceita' di una determinata condotta
 alla stregua della legislazione vigente non tocca e non pregiudica il
 diverso  problema   della   compatibilita'   dell'accennato   assetto
 normativo  con i principi costituzionali ed in particolare con l'art.
 33, quinto comma, che  subordina  l'esercizio  della  professione  al
 superamento  dell'esame di Stato: problema che alle sezioni unite non
 e' stato  proposto  e  che  non  risulta  esaminato  nella  decisione
 ricordata.
    La  Corte  costituzionale,  d'altra  parte,  e' stata recentemente
 investita di una questione, che, pur ricollegandosi alla tematica che
 si intende focalizzare, ha riguardato gli artt. 16 e 23 del d.P.R. n.
 128 del 1969 "nella parte in cui prevedono che a posti  di  primario,
 aiuto  e  assistente  previsti  in  organico nei servizi di analisi e
 virologia possano aspirare esclusivamente i medici con esclusione  di
 biologi  e  chimici"  (reg.  ord.  n.  398  del 1980 t.a.r. Sicilia -
 sezione Catania).
    La sentenza che ha  deciso  la  questione  (n.  29  del  1990)  ha
 disposto  un  intervento  additivo, dichiarando illegittimo l'art. 23
 cit., nella parte in cui non prevede nell'organico  del  servizio  di
 virologia   le   posizioni   funzionali   di   biologo  coadiutore  e
 collaboratore e di  chimico  coadiutore  e  collaboratore.  Le  altre
 questioni  sono state dichiarate inammissibili in base al rilievo che
 "l'inserimento dei biologi e dei chimici negli organici dei  predetti
 servizi  nei  sensi  invocati  nell'ordinanza  di  rimessione .. deve
 ritenersi riservato all'intervento del legislatore".
    Puo' dunque concludersi che  l'eccezione  sollevata  nel  giudizio
 pendente  dinanzi  a  questo  giudice, pur riferendosi a disposizioni
 gia'  esaminate  dalla  Corte,  pone  un  problema   sul   quale   la
 giurisprudenza costituzionale non si e' ancora pronunciata.
    Sul   principio   enunciato  dall'art.  33,  quinto  comma,  della
 Costituzione, la giurisprudenza costituzionale, sia con  affermazioni
 di  massima, sia con la soluzione adottata su singole fattispecie, ha
 elaborato  un  orientamento  ampiamente  consolidato,   che   occorre
 brevemente  richiamare, per stabilire entro quali limiti la questione
 sia di ritenere non manifestamente infondata.
    La   sentenza   n.  26  del  1990,  riassuntivamente,  puntualizza
 l'indirizzo della Corte affermando  che  l'esame  di  Stato,  al  cui
 superamento   e'  subordinato  l'eservizio  delle  professioni,  deve
 soddisfare "l'esigenza di un  serio  ed  oggettivo  accertamento  del
 grado  di  maturita'  del  discente  e del concreto possesso da parte
 dello stesso  della  preparazione,  attitudine  e  capacita'  tecnica
 necessarie    perche'    dell'esercizio    pubblico    dell'attivita'
 professionale  i  cittadini  possano   giovarsi   con   fiducia.   La
 determinazione  dei criteri e del contenuto dell'esame di Stato resta
 quindi  demandata  al  legislatore  ordinario  col  solo  vincolo  di
 soddisfare ragionevolmente l'esigenza suindicata. Trattasi di materia
 nella  quale non puo' non riconoscersi, anche in relazione ai diversi
 tipi di corsi di studio, e di professioni cui danno accesso - e  cio'
 vale   specialmente   per   studi   e   professioni   ad   accentuata
 caratterizzazione  tecnico  pratica  -   una   discrezionalita'   del
 legislatore  notevolmente ampia". In linea con tali affermazioni, con
 la sentenza n. 29, gia'  citata,  come  si  e'  visto,  la  Corte  ha
 ritenuto  di  non  potersi  pronunciare in merito alla esclusione dei
 chimici  e  dei  biologi  dalle  posizioni  apicali  nei   laboratori
 ospedalieri  di  analisi, rientrando la scelta nella discrezionalita'
 del legislatore.
    L'ampiezza di tale discrezionalita' ha consentito  alla  Corte  di
 ritenere legittima l'acquisizione della abilitazione alla professione
 anche  nei  casi  in cui gli interessati non sostengono uno specifico
 esame di Stato.
    Tale  e'  il  caso  dei   periti   industriali,   che   conseguono
 l'abilitazione con il superamento del solo esame conclusivo del corso
 di  studi  (sentenza  n.  26  del 1990); degli ufficiali superiori di
 artiglieria e del genio militare, che ottengono  l'abilitazione  alla
 professione  di  ingegnere  senza  essere  in possesso della laurea e
 senza aver sostenuto l'esame di Stato (ordinanza n.  197  del  1988);
 dei  magistrati, che possono iscriversi all'albo degli avvocati senza
 aver superato l'apposito esame, perche' la legge poteva  ritenere  la
 congruita'  - ai fini dell'accertamento della capacita' professionale
 - del concorso sostenuto per l'ingresso in magistratura (sentenza  n.
 174 del 1980).
    Coerentemente,  si e' considerato violato l'art. 33, quinto comma,
 della  Costituzione,  quando  l'abilitazione  all'esercizio  di   una
 professione  veniva accordata indipendentemente da qualunque forma di
 accertamento dalla capacita' e  preparazione  (sentenza  n.  175  del
 1980, n. 127 del 1985; n. 202 del 1987).
    Il  richiamato  assetto  della  giurisprudenza  costituzionale sul
 puntuale  argomento,  da  cui  emerge  che  il  nucleo   strettamente
 precettivo   della   disposizione   invocata   va  individuato  nella
 necessita' non derogabile che la capacita' professionale nel  settore
 specifico  sia  -  pur  nella  varieta'  dei  meccanismi - seriamente
 accertata,  va  integrato  con  il  rilievo   che,   ancora   secondo
 l'insegnamento della Corte (sentenza n. 100 del 1989), il legislatore
 non   puo'  limitare  ai  soli  iscritti  ad  un  albo  professionale
 l'esercizio di una determinata professoine se la stessa attivita' era
 consentita a seguito di una diversa abilitazione. La Corte ha infatti
 annullato le disposizioni (artt. 4, 5 e  20  della  legge  24  luglio
 1985, n. 409) non consentiva ai medici che si fossero iscritti al neo
 istituito   albo  degli  odontoiatri  di  continuare  a  svolgere  la
 professione di medico, con la conseguenza sostanziale che l'esercizio
 dell'odontoiatria  continua  ad  essere  consentito in base alla sola
 abilitazione medica.
    Cosi'  delineato  il  quadro  costituzionale  di  riferimento,  il
 quesito proposto con l'eccezione in esame consiste nello stabilire se
 possa  ritenersi  che  l'ordinamento  non preveda adeguati sistemi di
 accertamento della specifica capacita' dei medici,  che  operano  nel
 servizio  sanitario nazionale, ad eseguire analisi chimico-cliniche e
 microbiologiche, sicche' le norme che prevedono la  loro  applicazone
 ai   laboratori  ospedalieri  si  potrebbero,  in  contrasto  con  il
 principio costituzionale in precedenza illustrato.
    La soluzione del quesito non puo' essere unitaria.
    Il sistema costituzionale, come si  e'  visto,  non  accoglie  una
 concezione  formalistica  dell'esame  di  Stato  ed  ammette  che  la
 capacita' professionale sia accertata in modi diversi ed  alternativi
 alla  particolare  procedura tipica di tale istituto. Ne consegue che
 il  binomio  titolo  di  studio-esame  di  Stato,  che,   secondo   i
 ricorrenti,  rappresenterebbe  il  riferimento insostituibile ai fini
 della individuazione del contenuto di  una  determinata  abilitazione
 professionale,  puo' assumere un rilievo preminente e forse esclusivo
 con riguardo alle professioni che sono svolte in forma privata, ossia
 al di fuori di qualsiasi  altro  controllo,  ma  non  puo'  ritenersi
 esauriente  e  decisivo  quando  il  riscontro  abbia  ad  oggetto le
 professioni esercitate presso le strutture pubbliche, alle quali, per
 principio costituzionale si accede per concorso.
    Il pubblico concorso  infatti  e  l'istituto  mediante  il  quale,
 talvolta  congiuntamente  all'esame di Stato, talvolta in alternativa
 ad esso (vedi Corte costituzionale n.  77  del  1964),  l'ordinamento
 accerta  la  capacita' professionale degli aspiranti all'esercizio di
 pubbliche funzioni anche di tipo professionale. Puo'  anzi  ritenersi
 che  il  concorso,  mirando  alla  copertura di un numero limitato di
 posti,   e   quindi   implicando   una   selezione   dei    candidati
 necessariamente  piu'  rigorosa  rispetto  ad  una  prova di semplice
 idoneita',  realizzi  una  verifica  particolarmente  accurata  della
 preparazione professionale.
    Occorre  pero'  che  il  concorso  sia  disciplinato  in  modo  da
 garantire un controllo sufficientemente specifico, ossia che  preveda
 il  superamento  di prove strettamente attinenti ai compiti cui sara'
 applicato il personale assunto.
    L'idoneita'  del  concorso  sostenuto  dal  personale  medico  per
 l'accesso  al  Servizio sanitario nazionale al fine dell'accertamento
 di una professionalita' specifica, deve essere valutata  in  base  al
 d.m.  30  gennaio  1982  (Normativa  concorsuale  del personale delle
 unita' sanitarie locali, in Gazzetta Ufficiale suppl. ord. n. 51  del
 22  febbraio  1982).  Il  decreto  e'  stato  pazialmente  modificato
 dall'art. 9 della legge 20 maggio 1985, n. 207, ma  non  nelle  parti
 che qui interessano.
    Per   quanto   concerne   le   posizioni  funzionali  di  primario
 ospedaliero e di aiuto corresponsabile ospedaliero (artt. 27 e 30 del
 d.m. citato) e' previsto che il concorso venga bandito per specifiche
 discipline, prescrivendosi, oltre una prova scritta una prova pratica
 "su tecniche e manualita'  peculiari  della  disciplina  oggetto  del
 concorso".
    Il  successivo  art.  165  individua  le  discipline  per le quali
 debbono essere banditi  i  concorsi,  e,  per  l'area  funzionale  di
 medicina,  indica  al  n.  12 "laboratorio analisi chimico-cliniche e
 microbiologia".
    Puo' dunque affermarsi che nel concorso sostenuto  dai  primari  e
 dagli  aiuti  le  prove risultano strettamente finalizzate ai compiti
 tipici  dei  servizi  ospedalieri  di  analisi  e  di  virologia,  e,
 pertanto,  puo'  escludersi che l'ordinamento consenta l'esercizio di
 attivita' professionale  non  subordinata  ad  adeguato  accertamento
 della  necessaria  capacita'  e  preparazione.  In  conclusione,  con
 riguardo alle ricordate categorie di personale medico la questione va
 dichiarata manifestamente infondata.
    La disciplina, invece, dei concorsi per il personale che accede al
 profilo  professionale  di   assistente,   a   differenza   dai   due
 precedentemente  considerati, non reca alcun riferimento a discipline
 specifiche dell'area funzionale, potendo svolgersi indistintamente su
 tutte le materie ricomprese nell'area  medesima  (art.  35  del  d.m.
 cit.).  E  poiche' gli assistenti, a norma dell'art. 17 del d.P.R. n.
 761 del 1979, possono essere assegnati a prestare servizio  presso  i
 laboratori  di  analisi e di virologia senza un apposito accertamento
 in sede concorsuale della relativa preparazione, il dubbio  sollevato
 dai  ricorrenti  circa  la conformita' della normativa impugnata agli
 artt. 33, comma 5, e  97  della  Costituzione,  e'  da  ritenere  non
 manifestamente  infondato,  posto  che l'esame di Stato sostenuto dai
 laureati in medicina e  chirurgia  non  offre  al  riguardo  adeguata
 garanzia.
    Come  ha ritenuto anche la giurisprudenza costituzionale (sentenza
 n. 43 del 1972), l'art. 33,  quinto  comma,  della  Costituzione,  ha
 recepito   l'ordinamento   dell'esame   di   Stato  risultante  dalla
 legislazione anteriore al 1948, e precisamente  dal  r.d.  31  giugno
 1933, n. 1592 (t.u. delle leggi sull'istruzione superiore).
    Tale  legislazione,  per  quello  che  qui  interessa,  esprime il
 principio che ai laureati ed ai diplomati non e' consentito scegliere
 liberamente l'esame di Stato cui sottoporsi  (indipendentemene  cioe'
 dal  titolo  di  studio  posseduto)  ma  che puo' sostenersi soltanto
 l'esame di Stato relativo alla laurea corrispondente,  essendo  anche
 necessario  che  siano  stati  superati determinati esami di profitto
 (art. 172 del t.u. cit.).
    Il collegamento tra un determinato esame di  Stato  ed  il  titolo
 accademico  di ammissione e' sempre stato rigidamente codificato come
 risulta dalle tabelle annesse al r.d. del 1933 e al r.d. 31  dicembre
 1923,  n.  2909.  Tali  tabelle hanno stabilito e stabiliscono che la
 laurea  in  medicina  e  chirurgia   e'   requisito   di   ammissione
 esclusivamente  all'esame  di  Stao  per l'abilitazione all'esercizio
 della professione di medico chirurgo, mentre  le  lauree  in  chimica
 consentono di partecipare soltanto all'abilitazione di chimico.
    Si  individua,  quindi,  una  sequenza tra corso universitario, la
 laurea che lo conclude e l'esame di Stato, nella  quale  quest'ultimo
 e'  preordinato  a  fornire  una  ulteriore  verifica della capacita'
 professionale, alla cui acquisizione tendono per legge  (art.  1  del
 t.u. 1933) gli studi universitari.
    Ne  consegue che l'abilitazione ricollegata all'esame in questione
 ha ad oggetto un ambito di attivita' i cui confini sono segnati dalla
 formazione impartita dal corso universitario  concluso  dalla  laurea
 corrispondente.
    Orbene,  ne'  il  curriculum  universitario,  ne' conseguentemente
 l'esame di Stato assicurano ai medici la padronanza  delle  metodiche
 necessarie  alla  esecuzione  delle  analisi di laboratorio, che sono
 metodiche chimiche e biologiche in costante evoluzione tecnologica.
    La laurea in medicina e chirurgia e' conseguita al termine  di  un
 corso,  nel  quale  la chimica e la biologica hanno un peso del tutto
 marginale,   secondo   trattazioni   di    livello    preminentemente
 informativo,  come  emerge  dal  raffronto  con il corso di laurea in
 chimica e in scienze biologiche  (v.  Tabelle  allegate  al  r.d.  30
 settembre 1938, n. 1652).
    La  tesi che qui si accoglie, secondo cui i medici ospedalieri con
 qualifica di assistente non possono considerarsi - in  base  al  solo
 esame  di  Stato  - abilitati alle prestazioni proprie dei servizi di
 analisi e virologia trova conferma nella circostanza che la normativa
 per i concorsi di accesso a tali strutture ha costantemente  previsto
 lo  svolgimento  di  prove  su  materie  strettamente  attinenti alle
 prestazioni in questione.
    Gia' il r.d. 11 marzo 1935, n. 281, all'art. 73, prevedeva che nei
 concorsi  per  i  posti  di  assistente  "presso  il  reparto  medico
 micrografico  nei  laboratori  provinciali di igiene e profilassi" si
 sostenessero tre prove pratiche,  riguardanti  la  microbiologia,  la
 microscopia  e  parassitologia  e  la  clinica  applicata all'igiene;
 l'istologia normale e patologica la chimica clinica; oltre  cio'  una
 prova scritta riguardante le malattie infettive di origine alimentare
 e parassitaria.
    Analogamente,  il  r.d.  30  settembre 1938, n. 1631, all'art. 65,
 lett. o): " ..per il concorso  ai  posti  di  assistente  presso  gli
 istituti  laboratori o gabinetti speciali, di una prova prativa della
 materia relativa al posto messo a concorso".
    Non diversamente il d.P.R. 27 marzo 1969,  n.  130,  all'art.  91,
 prevedeva,  tra l'altro, "due prove pratiche relative alla disciplina
 messa a concorso".
    Il criterio  dell'accertamento  della  professionalita'  specifica
 imposto  dall'art.  33, quinto comma, della Costituzione, non risulta
 invece osservato, come si e' visto dal d.m. 30 gennaio 1982,  emanato
 in  applicazione  dell'art. 12 del d.P.R. n. 761 del 1979, per quanto
 concerne il concorso degli assistenti medici.  Tale  inosservanza  si
 riverbera  sugli  artt.  16  e  23  del  d.P.R.  n. 128 del 1969, che
 prevedono l'impiego  di  assistenti  nei  laboratori  ospedalieri  di
 analisi e virologia.
    Tale  normativa  si  pone  anche  in contrasto con l'art. 97 della
 Costituzione, risultando non conforme al principio di buon  andamento
 dell'amministrazione   la   preposizione  ad  organismi  pubblici  di
 personale non fornito della necessaria preparazione professionale.