ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 177, primo
 comma, del  codice  penale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  13
 novembre   1992   dal   Tribunale   di  sorveglianza  di  Torino  nel
 procedimento  di  sorveglianza  nei  confronti  di  Mesina  Graziano,
 iscritta  al  n.  58  del  registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  9,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 21 aprile 1993 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale di sorveglianza di Torino, con ordinanza del  18
 ottobre  1991,  concedeva  a  Mesina  Graziano,  condannato alla pena
 dell'ergastolo, il beneficio della liberazione  condizionale:  veniva
 conseguentemente  applicata  all'interessato la liberta' vigilata per
 anni cinque.
    A se'guito di comunicazione da parte degli  organi  preposti  alla
 vigilanza, si instaurava la procedura per la revoca del beneficio.
    All'udienza  del 13 novembre 1992 il difensore del Mesina eccepiva
 l'illegittimita', in riferimento all'art. 3 e 27 della  Costituzione,
 dell'art.  177 del codice penale, nella parte in cui esclude che, nel
 caso di  revoca  della  liberazione  condizionale  gia'  concessa  al
 condannato all'ergastolo, il giudice possa determinare la pena ancora
 da espiare.
    2.   -  Con  ordinanza  del  13  novembre  1992  il  Tribunale  di
 sorveglianza  di  Torino  riteneva  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata  l'eccezione,  denunciando,  in  riferimento  ai  parametri
 costituzionali invocati dal  ricorrente,  l'illegittimita'  dell'art.
 177,  primo comma, del codice penale, "nella parte in cui esclude che
 nel caso di revoca della liberazione condizionale  gia'  concessa  al
 condannato  all'ergastolo,  il  giudice  possa  determinare  la  pena
 detentiva ancora da scontare".
    In punto di rilevanza, il Tribunale osserva che  il  comportamento
 del  Mesina  appare  tale  da  comportare la revoca della liberazione
 condizionale, donde l'applicazione della norma censurata nel giudizio
 a quo.
    In punto di non manifesta infondatezza, i  dubbi  di  legittimita'
 vengono  fatti  risalire  alle  statuizioni  contenute nella sentenza
 costituzionale n. 282 del 1989 che ha contestato l'automatismo  della
 revoca  ex art. 177 del codice penale, affermando il principio che la
 "nozione di esecuzione va estesa  fino  a  comprendere  le  modalita'
 esecutive  di  tutte  le misure, anche solo limitative della liberta'
 personale, nelle varie leggi previste".
    Secondo il giudice a  quo,  dalla  decisione  di  questa  Corte  -
 dichiarativa  dell'illegittimita'  dell'art.  177,  primo  comma, del
 codice  penale,  nella  parte  in  cui,  nel  caso  di  revoca  della
 liberazione  condizionale,  non consente al tribunale di sorveglianza
 di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenuto conto  del
 tempo trascorso in liberta' condizionale nonche' delle restrizioni di
 liberta'  subite  dal condannato e del suo comportamento durante tale
 periodo - deriverebbe la presa d'atto che  nell'ambito  dell'istituto
 della   liberazione   condizionale   all'estinzione  di  un  rapporto
 giuridico fa da riscontro la costituzione di un nuovo rapporto  dello
 stesso  tipo.  In  questa  prospettiva,  la  revoca della liberazione
 condizionale determina due conseguenze: per  un  verso,  l'estinzione
 dello  status  di  "vigilato  in  liberta'",  per  un altro verso, la
 (ri)costituzione dello status di detenuto;  un  effetto  estintivo  e
 costitutivo  insieme,  senza  che,  peraltro,  venga  considerato  il
 periodo trascorso in liberta' vigilata. Donde  -  sempre  secondo  le
 linee  tracciate  da  questa  Corte  - la diversita' della nuova pena
 detentiva, non determinabile se non attraverso un ulteriore giudizio,
 e con il compito del tribunale di sorveglianza "nel  quantificare  la
 residua  pena",  di  "provvedere  a sottrarre, dalla pena inflitta in
 sede  di  cognizione,  il  concreto  carico  afflittivo  subi'to  dal
 condannato durante la liberta' vigilata prima della causa di revoca".
 Con   in  piu',  la  necessita'  che,  all'atto  della  revoca  della
 liberazione condizionale, il tribunale, sulla base  di  una  prognosi
 fondata  anche sul periodo trascorso in liberta', valuti "il grado di
 rieducazione raggiunto dal condannato  e  conseguentemente  il  grado
 della  sua  rieducabilita'  al  fine  di determinare la pena residua,
 personalizzando gli effetti della revoca, nell'entita' necessaria per
 l'ulteriore rieducazione del condannato".
    Quest'opera  di  rideterminazione  -  dovuta,  secondo  i  criteri
 indicati   dalla   Corte   costituzionale   -  risulterebbe  preclusa
 dall'assenza di ogni termine fissato dal legislatore  per  assicurare
 lo  stralcio  della  pena  inutilmente  espiata in regime di liberta'
 vigilata:   le   alternative   proponibili   riducendosi   o    nella
 determinazione ex novo della pena irrogata dal giudice di cognizione,
 con  conseguente,  violazione  del  giudicato, o riportando la revoca
 della  liberazione  condizionale   in   una   logica   esclusivamente
 afflittiva,  contrastante  con  la  piu' volte ricordata decisione di
 questa Corte.
    Di qui la  compromissione  dell'art.  3  della  Costituzione,  per
 l'ingiustificata  diversita'  di  trattamento  tra  condannato a pena
 temporanea e condannato all'ergastolo, pur prevedendo  la  legge  per
 entrambe   le  categorie  di  condannati,  quale  condizione  per  la
 concessione del beneficio, "il sicuro ravvedimento",  con  previsione
 di precise indicazioni temporali per accedere ad esso.
    Nel  caso  di  revoca, nonostante rimanga unico il presupposto per
 entrambi i condannati, mentre in  relazione  ai  primi  e'  possibile
 sottrarre  il  periodo  di  pena  inflitta  in liberta' vigilata, con
 riguardo ai secondi la detta operazione resta preclusa.
    Circa il contrasto con l'art. 27 della Costituzione, il giudice  a
 quo  sottolinea  la  funzione  intimamente  collegata  alla finalita'
 rieducativa  della  liberazione  condizionale,  una   finalita'   che
 resterebbe compromessa nel caso di revoca del beneficio al condannato
 all'ergastolo,  per  l'impossibilita'  sia  di  sottrarre  il  carico
 afflittivo gia' sopportato sia di rideterminare  la  pena  ancora  da
 espiare; con l'ulteriore pesantissimo aggravio di non poter usufruire
 una  seconda  volta  della liberazione condizionale. Senza, peraltro,
 tenere in alcun conto ne' la gravita' dei fatti che  hanno  provocato
 la  revoca  ne'  l'eventuale reinserimento sociale del condannato nel
 periodo in cui e' stato sottoposto a liberta' vigilata.
    3. - L'ordinanza, ritualmente notificata e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 9, prima serie speciale, del
 24 febbraio 1993.
    4. - Nel giudizio non si e' costituita la  parte  privata  ne'  ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3, primo
 comma,  e  27,  primo  e  terzo  comma,  della  Costituzione,   della
 legittimita'  dell'art.  177,  primo  comma, del codice penale, nella
 parte in cui esclude  che,  nel  caso  di  revoca  della  liberazione
 condizionale,  gia'  concessa al condannato all'ergastolo, il giudice
 possa determinare la pena detentiva ancora da espiare.
    Nonostante che  nella  motivazione  dell'ordinanza  il  rimettente
 accenni "all'ulteriore pesantissimo aggravio per il condannato di non
 poter   piu'   usufruire   una   seconda   volta   della  liberazione
 condizionale", il  thema  decidendum  resta  circoscritto  all'ambito
 della  questione  concernente  la  rideterminazione della pena, anche
 perche' il giudizio a  quo  risulta  rigorosamente  delimitato  dalla
 richiesta  di  revoca della liberazione condizionale, con conseguenti
 riverberi in ordine alla rilevanza.
    2. - A fondamento delle proposte censure e' il costante  richiamo,
 da  parte  del Tribunale di sorveglianza, alle proposizioni contenute
 nella sentenza n. 282 del 1989, con la quale questa  Corte  dichiaro'
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  177,  primo  comma,  del
 codice  penale,  nella  parte  in  cui,  nel  caso  di  revoca  della
 liberazione  condizionale,  non consente al tribunale di sorveglianza
 di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del
 tempo trascorso in liberta' condizionale, nonche'  delle  restrizioni
 subi'te dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo.
   Secondo   il   giudice   a  quo,  poiche'  "nel  caso  di  condanna
 all'ergastolo  non  e'  possibile  effettuare  l'operazione   logico-
 valutativa  richiesta  dalla norma in esame ai fini della revoca", ne
 consegue, di fatto, la preclusione della  procedura  "di  sottrazione
 dalla  pena  inflitta dal giudice di cognizione del carico afflittivo
 sopportato dal condannato all'ergastolo nel tempo  in  cui  e'  stato
 sottoposto  a  liberta' vigilata". Non sarebbe, infatti, possibile la
 rideterminazione  della  pena  relativamente  al  condannato  a  pena
 perpetua,  restando  inipotizzabile  l'operazione di "scorporo" della
 frazione di pena utilmente espiata in regime  di  liberta'  vigilata,
 perche' altrimenti si verrebbe a determinare ex novo una pena diversa
 rispetto  a  quella  stabilita  in  sede  di  cognizione, in tal modo
 violandosi   il   principio   dell'intangibilita'   del    giudicato.
 L'impossibilita'   di   una   simile  rideterminazione  comporterebbe
 l'effetto che la revoca  automatica,  facendo  rivivere  ex  tunc  la
 sanzione  inflitta  dal  giudice della cognizione, cioe' l'ergastolo,
 assegnerebbe alla  revoca  una  funzione  esclusivamente  afflittiva,
 peraltro  venuta  meno  proprio  a se'guito della sentenza n. 282 del
 1989.
    3. - La questione e' inammissibile.
    L'aggancio istituito dagli argomenti addotti dal rimettente -  nel
 censurare  il disposto dall'art. 177, primo comma, del codice penale,
 relativamente  ai  condannati  all'ergastolo   -   alle   statuizioni
 contenute  nella  piu'  volte  ricordata  sentenza  n.  282 del 1989,
 risulta  senza  dubbio  pertinente.  La  Corte,  infatti,  con   tale
 decisione,  dopo  aver rilevato che "la liberazione condizionale, dal
 momento dell'ammissione del condannato alla medesima  fino  a  quello
 della   sua   revoca   ex   art.  177  del  codice  penale,  comporta
 l'adempimento da parte del condannato  di  particolari  prescrizioni"
 limitative  della  sua  liberta',  ne ha tratto la conseguenza che la
 posizione del condannato stesso "non e' di "totale  liberta'".  Dalla
 revoca   della   liberazione   deve  percio'  derivare,  riconosciuta
 l'esistenza di vincoli afflittivi, la possibilita' di uno  "scomputo"
 della  pena  trascorsa  in  liberta'  condizionale.  Se  detenzione e
 liberta' vigilata sono "misure" che, per la loro non omogeneita', non
 possono  dirsi  equivalenti,  la  comune   funzione   afflittiva   (e
 rieducativa)  impone  comunque  di  determinare  il tasso di concreta
 afflittivita'  sopportato  dal  condannato  assoggettato  a  liberta'
 vigilata a se'guito della concessa liberazione condizionale.
    All'ammissione  alla  liberazione,  quale  ultima  frazione di una
 fattispecie "estintiva e costitutiva insieme", si contrappone  l'atto
 di  revoca  della detta liberazione che partecipa delle stessa natura
 costitutiva ed estintiva;  perche'  all'estinzione  dello  status  di
 "vigilato in liberta'" si "(ri)costituisce quello di detenuto", senza
 che  pero'  "venga  preso  in  considerazione il periodo trascorso in
 liberta' vigilata, con tutti i suoi contenuti afflittivi".
    Dunque  -  ha  osservato  la  sentenza  n.  282  del  1989  -   la
 carcerazione  conseguente  alla revoca della liberazione condizionale
 "e' nuova e diversa", con la necessita' che la pena detentiva residua
 deve "essere determinata attraverso un nuovo giudizio che tenga conto
 anche dell'afflittivita' sopportata durante la liberta' vigilata". Di
 qui la gia' ricordata illegittimita' dell'art. 177, primo comma,  del
 codice  penale,  anzitutto perche', "aggiungendo l'effetto risolutivo
 della  revoca",  aumenta  "ingiustificatamente  la   pena   detentiva
 determinata   dalla  sentenza  di  condanna",  annullando  "anche  le
 limitazioni della liberta' personale dovute alla  liberta'  vigilata"
 ed  impedisce  "il  nuovo giudizio determinativo della "residua" pena
 detentiva". Inoltre, poiche' il limite alla pena detentiva fissato in
 sede di cognizione non puo'  essere  superato  per  fatti  realizzati
 successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna,
 mentre la detta pena puo' essere ridotta o modificata in melius nella
 fase  esecutiva,  se  ne  e'  concluso  per  l'incompatibilita' della
 disposizione ora di  nuovo  denunciata,  nei  sensi  sopra  indicati,
 perche'    altera,    a    danno    del    condannato,   l'equilibrio
 proporzionalistico tra reato e pena  determinato  in  astratto  dalla
 legge  ed  in concreto dal giudicato, aggiungendo, in caso di revoca,
 alla  quantita'  di  pena  detentiva  inflitta  con  la  sentenza  di
 condanna, altra afflizione da questa non giustificata.
    Il   tutto   con   un'importante   precisazione:  che,  prevalendo
 nell'istituto della liberazione condizionale la funzione  rieducativa
 sulla  esigenza  retributiva,  la  revoca  della  liberazione, se non
 determina l'integrale scorporo  del  periodo  trascorso  in  liberta'
 condizionata  e vigilata dalla durata dell'originaria pena detentiva,
 deve necessariamente collegarsi alla possibilita' di  valutazione  di
 tale   periodo,  compiuta  verificando  sia  la  fase  trascorsa  dal
 condannato nell'osservanza  delle  prescrizioni  sia  la  qualita'  e
 quantita'  dei  comportamenti  che  hanno  dato  luogo  alla  revoca,
 emettendo  un   giudizio   prognostico   sulla   rieducabilita'   del
 condannato,   da   effettuarsi   sulla   base  dell'esame  della  sua
 personalita'.
    4. - Le argomentazioni svolte nella richiamata sentenza n. 282 del
 1989  vanno  qui  ribadite  anche  nei   confronti   del   condannato
 all'ergastolo,  riguardo  al quale la perpetuita' della pena irrogata
 non  puo'  costituire  un  ostacolo  sufficiente  per  precludere  in
 assoluto  la medesima opera "di scomputo". Sia perche' altrimenti gli
 sarebbe riservato  un  trattamento  di  maggior  rigore  rispetto  al
 condannato  a  pena  temporanea sia perche' alla funzione rieducativa
 della pena non puo'  essere  sottratto  il  condannato  all'ergastolo
 senza  che  ne  risulti  vulnerato  l'art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione.
    Senonche', la questione, cosi' come proposta, in quanto incentrata
 su un petitum diretto a conseguire lo scomputo del periodo  trascorso
 in  liberta'  vigilata dal condannato all'ergastolo, si risolve nella
 richiesta di un'integrazione della  norma  denunciata  che  finirebbe
 ineluttabilmente  per  travolgere  l'efficacia  stessa del giudicato,
 giacche' qualsiasi  detrazione  del  periodo  trascorso  in  liberta'
 vigilata  ai fini della determinazione del residuo da espiare viene a
 porsi  in  termini  di  ontologica  inconciliabilita'  rispetto  alla
 condanna  all'ergastolo  che,  essendo  pena  perpetua,  non  ammette
 "scomputi" che non incidano  sulla  natura  stessa  della  pena.  Se,
 dunque,  nei  confronti  del  condannato  all'ergastolo il periodo di
 liberta' vigilata potra' essere valutato,  nel  caso  di  revoca  del
 beneficio,  ad  effetti  diversi da quello del computo del residuo di
 pena da espiare a seguito della revoca, la  manipolazione  normativa,
 che  il giudice a quo sollecita, fuoriesce dalle competenze di questa
 Corte, perche' involgente soluzioni non costituzionalmente obbligate,
 ma scelte discrezionali riservate al legislatore.
    Di cio' sembra, del resto, consapevole lo stesso  rimettente,  con
 il suo implicito richiamo ad un criterio in base al quale, in caso di
 revoca  del  beneficio,  al  condannato  all'ergastolo  possa  venire
 sottratto il carico afflittivo gia' sopportato in  liberta'  vigilata
 al  fine  di rideterminare la pena da espiare; il tutto, pero', senza
 indicare le modalita' attraverso le  quali  questa  operazione  debba
 essere compiuta.