ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale del  decreto  legislativo
 22  giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle
 concessioni regionali ai sensi dell'art.  3  della  legge  16  maggio
 1970, n. 281, come sostituito dall'art. 4 della legge 14 giugno 1990,
 n. 158) e dell'art. 3, comma 2, lett. c), della legge 16 maggio 1970,
 n.  281,  come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge 14 giugno
 1990, n. 158 (Norme di delega  in  materia  di  autonomia  impositiva
 delle regioni ed altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari
 tra lo Stato e le regioni), promossi con ricorsi delle Regioni Umbria
 e Lombardia notificati il 2 settembre e il 30 agosto 1991, depositati
 in  cancelleria il 5 e il 6 settembre 1991 ed iscritti ai nn. 33 e 34
 del registro ricorsi 1991;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  18  novembre  1992  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi l'avvocato Goffredo Gobbi per la Regione Umbria,  l'avvocato
 Valerio  Onida  per  la  Regione  Lombardia  e l'avvocato dello Stato
 Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con  ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  in data 30 agosto 1991, (reg.ric n. 34 del 1991) la Regione
 Lombardia ha sollevato, in via principale, questione di  legittimita'
 costituzionale  del  decreto  legislativo  22  giugno  1991,  n. 230,
 emanato ai sensi della delega di cui all'art.    3,  comma  1,  della
 legge 16 maggio 1970, n. 281 (come sostituito dall'art. 4 della legge
 14 gennaio 1990, n. 158) e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie
 generale,  n.  179  del 1› agosto 1991.  La nuova tariffa delle tasse
 sulle  concessioni  regionali,  approvata  con  l'impugnato  decreto,
 violerebbe  in  piu'  punti  i  limiti  ed  i  criteri  della delega,
 risultando,  sotto   diversi   profili,   lesiva   delle   competenze
 costituzionalmente   attribuite  alla  Regione.    Nelle  "note"  che
 accompagnano  alcune  voci  della  tariffa  non  ci  si  limiterebbe,
 infatti, secondo le  prescrizioni  della  legge  di  delegazione,  ad
 individuare gli atti soggetti al tributo, stabilendo i termini per la
 relativa   riscossione  e  disciplinandone,  eventualmente,  in  modo
 particolare l'applicazione, ma si  detterebbero  altresi'  norme  che
 attengono  all'attivita'  amministrativa della Regione, e cioe', piu'
 in particolare: ai presupposti o al contenuto  dei  relativi  atti  e
 provvedimenti,  alla loro efficacia temporale e alla destinazione del
 gettito del tributo. Sarebbero,  inoltre  regolati  i  presupposti  e
 l'importo  di  ulteriori  tasse o contributi che, seppure previsti da
 precedenti provvedimenti statali analoghi  a  quello  impugnato,  non
 rientrerebbero  nella  disciplina  propria del tributo nel cui ambito
 sono inseriti, e, quindi, nelle previsioni  della  delega,  attenendo
 piuttosto   all'esercizio   di  poteri  riconducibili  alla  potesta'
 normativa sostanziale spettante alle regioni nelle materie  consider-
 ate.  Le  censure  formulate  si riferiscono in particolare:  a) alle
 note alle voci n. 1 (concessione  per  l'apertura  e  l'esercizio  di
 farmacie)  e  n.  4  (autorizzazione  all'apertura e all'esercizio di
 stabilimenti termali-balneari e di gabinetti medici e ambulatori dove
 si pratica la radioterapia) nella  parte  in  cui  stabiliscono  che,
 oltre   alle   tasse   di  concessione,  i  titolari  delle  relative
 concessioni o autorizzazioni sono tenuti al pagamento,  nelle  misure
 ivi  indicate,  rispettivamente  di  una  "tassa annuale di ispezione
 regionale" e di una "tassa annuale  di  ispezione",  con  riferimento
 agli  artt.  128 e 196 del testo unico delle leggi sanitarie; b) alla
 nota alla voce n. 2 (autorizzazione all'apertura e  all'esercizio  di
 stabilimenti  di  produzione  e  smercio  di  acque minerali) dove si
 prevede che "l'autorizzazione e' sempre necessaria anche  se  l'acqua
 venga  posta in vendita alla fonte o nello stabilimento di produzione
 (art. 4 del regolamento 28 settembre 1919,  n.  1924)";  che  "quando
 trattasi  di  piu'  sorgenti  tra loro diverse per composizione o per
 modo  di  utilizzazione,   occorrono   distinte   autorizzazione   di
 produzione  o  di  smercio (art. 5 del regolamento n.  1924 del 1919,
 cit.)"; e che "qualunque modificazione deve essere autorizzata con un
 nuovo decreto da assoggettarsi a tassa"; c) alla nota alla voce n.  5
 (autorizzazione  all'apertura  di ambulatori, case o istituti di cura
 medico-chirurgica, etc ..), dove, sulla base di una definizione degli
 ambulatori, si stabilisce che "non sono soggetti ad autorizzazione  e
 quindi  al pagamento delle tasse sopradistinte, i gabinetti personali
 e privati, in cui i medici generici  e  specializzati  esercitano  la
 loro  professione";  d)  alla  nota  alla  voce  n. 7 (autorizzazione
 igienico-sanitaria per l'apertura di pubblici esercizi)  nella  parte
 in  cui  si  precisa  che  "l'autorizzazione  occorre  anche  per  le
 dipendenze   staccate   dall'esercizio    principale    dell'albergo,
 costituendo  queste esercizi a se' stanti"; e) alle note alle voci n.
 8 e n. 9 (autorizzazione all'apertura e all'esercizio di rivendite di
 latte, e autorizzazione a produrre  e  mettere  in  commercio  crema,
 panna  montata,  ecc.) nella parte in cui si prevedono alcuni casi in
 cui gli esercizi "sono esonerati dall'autorizzazione"  o  "non  hanno
 l'obbligo  di munirsi dell'autorizzazione"; f) alla nota alla voce n.
 10 (autorizzazione per la produzione  e  confezione  di  estratti  di
 origine  animale  o  vegetale)  dove  si  stabilisce  che "la domanda
 diretta ad ottenere l'autorizzazione ..   deve  essere  rivolta  alla
 regione,  distintamente per ogni singolo prodotto"; g) alla nota alla
 voce n. 17 (abilitazione all'esercizio venatorio) dove si prevede che
 "l'abilitazione  all'esercizio  venatorio  si  consegue soltanto dopo
 aver superato l'esame previsto dalla legge 27 dicembre 1977, n. 968";
 h) alla nota alla voce n.  18  (licenza  per  la  pesca  nelle  acque
 interne)  nella parte in cui si stabilisce che "le licenze di tipo A,
 B, e C hanno validita' di 6 anni dalla data di  rilascio;  quella  di
 tipo  D  ha  validita'  di  3  mesi";  che "nel caso di smarrimento o
 distruzione della licenza  non  puo'  rilasciarsi  un  duplicato  del
 documento,  bensi'  una nuova licenza con il pagamento della relativa
 tassa o soprattassa"; e che alla tassa e'  aggiunta  una  soprattassa
 annuale   "da   ripartire  fra  le  amministrazioni  provinciali,  le
 associazioni dei pescatori sportivi, le associazioni regionali  coop-
 erative  di categorie giuridicamente riconosciute, secondo criteri da
 stabilirsi con provvedimenti del consiglio regionale"; i)  alla  nota
 alla voce 23 (licenza per aprire e condurre agenzie di viaggio) nella
 parte  in cui prevede che "il rilascio della autorizzazione a persone
 fisiche e giuridiche straniere e'  subordinato  al  nulla-osta  dello
 Stato,    sentita    la    regione";    che    "non   hanno   bisogno
 dell'autorizzazione e quindi non sono  nemmeno  tenute  al  pagamento
 della  tassa  le aziende che si occupano esclusivamente della vendita
 di biglietti delle ferrovie dello Stato";  che  "oltre  al  pagamento
 della  tassa di apertura, i titolari delle agenzie sono tenuti a pre-
 stare la cauzione di cui all'art.  14  del  regio  decreto  legge  23
 novembre  1936,  n.  2423,  e dell'art. 9 della legge n. 217 del 1983
 nella misura fissata con legge regionale  in  relazione  al  tipo  di
 attivita'   per   cui   viene   rilasciata   l'autorizzazione";   che
 "l'autorizzazione e' valida anche per le succursali o filiali situate
 nella stessa o in altre localita' della regione", mentre sono  tenute
 a  munirsi  di distinte licenze le succursali o filiali delle agenzie
 aventi sede in altre regioni; e che  "l'autorizzazione  regionale  e'
 subordinata  al  nulla  osta  della  competente autorita' di pubblica
 sicurezza, per  quanto  attiene  all'accertamento  del  possesso  dei
 requisiti  di cui agli articoli 11 e 12 del testo unico approvato con
 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni (art.
 9, comma 5, legge n. 217 del 1983)"; l) alla nota  alla  voce  n.  25
 (licenza  per  l'esercizio  della  trebbiatura  a  macchina)  dove si
 stabilisce che "la licenza di trebbiatura ha valore soltanto  per  la
 macchina  o  le  macchine trebbiatrici, per la specie di piante e per
 l'annata agraria", che "la licenza scade il 31 dicembre di ogni anno"
 e "il rinnovo puo' essere richiesto entro il  30  aprile  di  ciascun
 anno";  m)  alle  note  alle  voci  n. 28 (permesso per la ricerca di
 sorgenti di acque minerali e termali),  n.  32  (concessione  per  la
 coltivazione  di  giacimenti  di  acque  minerali  e termali) e n. 33
 (concessione per la coltivazione di cave e torbiere) nella  parte  in
 cui  stabiliscono  che  "oltre alla tassa di concessione e' dovuto il
 diritto proporzionale  annuo  previsto  dalla  vigente  normativa  in
 materia";  n) alla nota alla voce n. 35 (concessione alla costruzione
 e all'esercizio di vie funicolari  aeree  in  servizio  pubblico  per
 trasporto  di  persone  o cose) dove si prevede che "i titolari della
 concessione sono inoltre tenuti, ai sensi della legge 23 giugno 1927,
 n. 1110, al pagamento del contributo di sorveglianza" la  cui  misura
 viene  di seguito indicata; o) alle note alle voci n. 38 (concessione
 di filovie, con riferimento alla legge 28 settembre 1939,  n.  1822);
 n.  39  (concessione  per  l'impianto  e  l'esercizio  di slittovie e
 sciovie, con riferimento al decreto legge 7 settembre 1938, n. 1696);
 n.   41   (concessione   di  servizi  pubblici  automobilistici,  con
 riferimento alla legge 28 settembre 1939, n. 1822); n.  42  e  n.  43
 (concessione  per  l'esercizio  di  servizi  pubblici  di navigazione
 interna, con riferimento al d.P.R. 28 giugno 1949, n.  631)  dove  si
 prevedono analoghi contributi di sorveglianza; p) alla nota alla voce
 n.  39  (concessione  per  l'impianto  e  l'esercizio  di slittovie e
 sciovie) nella parte in cui stabilisce che "quando  l'impianto  abbia
 carattere  di  stabilita'  per  cio'  che  si  riferisce  alle  parti
 meccaniche, ai fabbricati e alla linea, la concessione ha  la  durata
 massima  di  anni  dieci, salvo rinnovo", mentre "negli altri casi la
 concessione ha la durata di una stagione, salvo rinnovi  di  stagione
 in  stagione";  q) alla nota alla voce n. 40 (concessione per servizi
 pubblici di autotrasporto di merci) dove si stabilisce che  nel  caso
 di  passaggio di proprieta' di autoveicoli il nuovo proprietario deve
 ottenere "altra apposita concessione con il relativo pagamento  della
 tassa";  r)  alla  nota  alla  voce n. 46 (permesso per trasporto per
 effettuare corse per trasporto viaggiatori fuori  linea  con  autobus
 adibiti  ai  servizi  pubblici) nella parte in cui stabilisce che "il
 permesso non puo' avere una durata superiore ai 5 giorni".
    Osserva la Regione ricorrente che il richiamo  di  atti  normativi
 statali  -  o  la  riproduzione  delle  relative  discipline  - senza
 precisare che  la  loro  validita'  e'  condizionata  all'assenza  di
 un'espressa  regolamentazione  regionale,  eccede  dai  limiti  della
 delega ed appare lesiva dell'autonomia regionale, e  cio'  anche  nei
 casi  in cui, non essendosi quest'ultima esercitata, occorra comunque
 far riferimento a quegli atti normativi statali. In altri casi,  poi,
 le  norme contenute nelle "note" alle singole voci della tariffa, non
 trovando  riscontro  in  alcun  testo   legislativo,   risulterebbero
 addirittura innovative dell'ordinamento, come, ad esempio, nella gia'
 menzionata  nota  alla  voce  n. 18 (licenza per la pesca nelle acque
 interne) dove si stabilisce,  con  disposizione  che  non  troverebbe
 riscontro  nella  vigente  legislazione,  la  devoluzione del gettito
 della soprattassa a determinate categorie di  soggetti.    Sempre  in
 riferimento  a  quest'ultima  voce,  la ricorrente ritiene poi che la
 relativa "nota", determinando  tipologie,  caratteristiche  e  durata
 della  licenza  di  pesca  nelle acque interne in modo difforme dalla
 legislazione regionale (artt. 37, 39, 40 e 41 legge Regione Lombardia
 26 maggio 1982 n. 25), violerebbe ulteriormente sia  i  limiti  della
 delega  che la sfera di competenze costituzionalmente attribuite alla
 regione. Si osserva al riguardo che anche il d.P.R.  26 ottobre  1972
 n.  641,  concernente  le  tasse sulle concessioni governative, omise
 ogni riferimento alla licenza  per  la  pesca  nelle  acque  interne,
 essendo  stata, nel frattempo, la materia, trasferita alla competenza
 delle regioni (art. 1, comma 2, lett. p, d.P.R. 15  gennaio  1972  n.
 11).    Per  quanto  riguarda,  poi, il criterio della delega (di cui
 all'art. 3, comma 2, lett. c., della legge 16  maggio  1970  n.  281,
 come  sostituito  dall'art.  4  della  legge 14 giugno 1990 n.   158)
 secondo cui, in caso di provvedimenti  o  atti  gia'  assoggettati  a
 tassa  di  concessione  regionale  di  importo  diverso  in  ciascuna
 regione, l'ammontare del tributo deve essere pari al 90 per cento del
 tributo di ammontare piu' elevato, ad avviso della  ricorrente,  tale
 criterio  risulterebbe  violato:    a)  nella  voce n. 15 (licenza di
 appostamento fisso di caccia), in quanto si omette di considerare  la
 licenza   di   appostamento  "con  tabelle"  prevista  della  vigente
 legislazione regionale (art. 30 della legge regionale 31 luglio  1978
 n. 47, come modificato dalla legge regionale 16 agosto 1988 n. 41), e
 comunque, qualora si ritenesse quest'ultima compresa nella licenza di
 appostamento  fisso, si determina un importo del tributo inferiore al
 90 per cento dell'importo piu' elevato previsto dalla vigente tariffa
 regionale (voce n. 15 della tabella allegata alla legge regionale  10
 marzo  1980,  n.  25 e successive modificazioni); b) nella voce n. 16
 sub 1 (concessione di costituzione di  azienda  faunistico-venatoria)
 dove,  da  un  lato,  non  si  prescrive una tassa fissa di rilascio,
 prevista,  invece,  dalla  disciplina  regionale,  e  dall'altro,  si
 stabilisce  una  tassa per ettaro in misura inferiore al 90 per cento
 del corrispondente importo fissato, per le aziende  faunistiche  pri-
 vate  fuori  dalla zona delle Alpi, dalla tariffa regionale in vigore
 (voce n. 16 della tabella allegata  alla  legge  regionale  10  marzo
 1980,  n.  25,  e  successive  modificazioni);  c)  nella  voce n. 18
 (licenza per la pesca nelle acque interne) in  quanto  si  stabilisce
 per  le  licenze  di  tipo "C" e "D" (non previste dalla legislazione
 regionale) importi assai  inferiori  al  90  per  cento  dell'importo
 prescritto  dalla vigente tariffa regionale per gli unici due tipi di
 licenza ivi previsti ""A" e "B", voce n. 18  della  tabella  allegata
 alla  legge  regionale n. 25 del 1980 e successive modificazioni); d)
 nella voce n. 41 (concessione di  servizi  pubblici  automobilistici)
 poiche',  anche in questo caso, si stabiliscono, con riferimento agli
 autoservizi con frequenza giornaliera ( sub 1), agli autoservizi  con
 frequenza non superiore a quattro giorni per settimana ( sub 2), agli
 autoservizi  con frequenza non superiore a due giorni per settimana (
 sub 3) e agli autoservizi a carattere esclusivamente  operaio  e  per
 studenti  (  sub  5),  importi  inferiori  al  90 per cento di quelli
 previsti dalla vigente tariffa regionale (voce n.  41  della  tabella
 allegata  alla  legge  regionale  10 marzo 1980, n.  25, e successive
 modificazioni).
    2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, costituitosi con il
 patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ha  chiesto  che  il
 ricorso  sia  dichiarato  infondato.    Ad  avviso  della Presidenza,
 infatti,  le  norme  censurate  risulterebbero   indispensabili   per
 determinare    in    modo   puntuale   le   fattispecie   costitutive
 dell'obbligazione  tributaria  ed  avrebbero,  dunque,  un  carattere
 essenzialmente  tributario, come quelle che, ad esempio, stabiliscono
 i casi in cui e' necessario il provvedimento amministrativo regionale
 soggetto a tributo, oppure ne determinano l'efficacia temporale.  Per
 quanto  attiene poi alla classificazione delle licenze di pesca (voce
 18  della  tariffa),  difforme  da  quella  adottata  dalla   Regione
 Lombardia,  osserva l'Avvocatura che una normativa statale, destinata
 a valere in tutte le regioni, non puo' considerare le  particolarita'
 di  ciascuna  legislazione  ed  e'  dunque plausibile che abbia fatto
 riferimento  alla  classificazione  tradizionale,   praticata   nella
 maggior  parte  delle regioni.  3. - Con altro ricorso, notificato al
 Presidente del Consiglio dei Ministri in data 2 settembre 1991  (reg.
 ric.  n.  33  del  1991),  la  Regione  Umbria  ha  sollevato, in via
 principale, questione di legittimita' costituzionale dei  principi  e
 dei criteri direttivi contenuti nella norma di delega di cui all'art.
 3,  comma  2,  lett.  c)  della  legge  16  maggio  1970 n. 281, come
 sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge 14 giugno 1990, n.  158,
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  144  del  22 giugno 1990,
 nonche' dell'intero decreto  legislativo  22  giugno  1991,  n.  230,
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 179 del 1› agosto 1991, con
 cui, in attuazione della  predetta  delega,  e'  stata  approvata  la
 tariffa  delle  tasse  sulle concessioni regionali.   Ad avviso della
 ricorrente, solo l'emanazione del succitato decreto, dando attuazione
 alla relativa norma  di  delega  e  rendendola  concretamente  lesiva
 dell'autonomia finanziaria e della potesta' legislativa regionale, ne
 avrebbe  consentito  l'impugnazione  dinanzi a questa Corte secondo i
 principi dalla stessa elaborati (vengono al  riguardo  richiamate  le
 sentenze nn. 111 del 1972 e 13 del 1964).
    Si  sostiene,  nel ricorso, che un'effettiva autonomia finanziaria
 non puo' non implicare per le regioni - ai sensi dell'art. 119  della
 Costituzione  -  un  potere di autonoma determinazione delle entrate,
 anche se nel quadro dei principi fondamentali stabiliti  dalle  leggi
 dello  Stato.  E,  pur  volendo  negare  un  esatto  parallelismo tra
 autonomia finanziaria ed autonomia legislativa,  cosi'  riconoscendo,
 al  fine  di  assicurare  l'unitarieta'  della  finanza  pubblica, al
 legislatore  statale  un'ampia  potesta'  di  intervento,  anche   in
 dettaglio,  in materia di finanza regionale, non si potrebbe tuttavia
 negare che il concetto di autonomia finanziaria implichi un minimo di
 autonomia normativa. Che poi tra le due sfere debba esistere un nesso
 di coerenza sostanziale - nel senso che la  regione  dovrebbe  essere
 messa  quantomeno  in  grado  di  percepire  entrate derivanti da una
 propria imposizione tributaria e di avere un reale margine di  scelta
 nella regolamentazione e nella manovra dei tributi - costituirebbe un
 principio  gia'  affermato  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte.
 Osserva, al riguardo, la ricorrente che, mentre  prima  la  normativa
 statale,  di  cui  all'art.  3  della legge n. 281 del 1970, lasciava
 all'autonomo esercizio della  potesta'  regionale,  seppure  entro  i
 limiti predeterminati, uno spazio minimo di fissazione delle aliquote
 dei  tributi  propri,  ora  la norma impugnata non solo individua gli
 atti per i quali il tributo e' dovuto,  i  termini  e  le  discipline
 particolari,  ma  determina,  altresi',  l'ammontare  della  tassa in
 misura fissa per tutte le regioni, cosi' annullando qualsiasi residua
 possibilita', sicuramente postulata dall'art. 119 della Costituzione,
 di adeguare l'importo della tassa alle specifiche condizioni  e  alle
 peculiari  esigenze  della collettivita' e del territorio di ciascuna
 regione.    La  disposizione  censurata  e  le  relative   norme   di
 attuazione,  contenute nel decreto legislativo n. 230 del 1991 che ha
 approvato  la  nuova  tariffa,   avrebbero   comportato   il   totale
 disconoscimento   dell'autonomia   impositiva  regionale,  in  palese
 violazione  dell'art.    119  della  Costituzione  che  sancisce   il
 principio  dell'autonomia  finanziaria  delle  regioni - intesa anche
 come autonomia normativa - nonche' degli artt.  117  e  118  inerenti
 alla  potesta'  legislativa  e  amministrativa  regionale.    In  via
 subordinata,  la  ricorrente  ha  poi  impugnato  alcune  voci  della
 tariffa,  approvata  con  il  predetto decreto legislativo n. 230 del
 1991, ritenendole in contrasto  con  gli  artt.  76  -  in  relazione
 all'art.  4  della  legge  n.  158  del  1990 -, 117, 118 e 119 della
 Costituzione.
    Le previsioni della tariffa contenute nelle voci:
      1   (concessione  per  l'apertura  e  l'esercizio  di  farmacie)
 limitatamente alla lett. a),
      7   (autorizzazione   igienico-sanitaria   per   l'apertura    e
 vidimazione  annuale di pubblici esercizi), limitatamente ai punti: 1
 (strutture ricettive alberghiere e altre strutture  ricettive)  lett.
 c, d, e, f; 2 (esercizi per la somministrazione di alimenti) lett. c,
 d, e; 3 (esercizi per la somministrazione di bevande),
      16,   punto  1  (concessione  per  la  costituzione  di  azienda
 faunistico-venatoria),
      41   (concessione   di   servizi   pubblici    automobilistici),
 limitatamente  ai  punti  1,  2, 3, e 5, individuando l'ammontare del
 tributo, dovuto per ciascun atto o provvedimento, in misura inferiore
 al 90 per cento  degli  importi  attualmente  vigenti  nella  Regione
 Umbria,  violerebbero il principio della norma di delega secondo cui,
 in caso  di  provvedimenti  o  atti  gia'  assoggettati  a  tassa  di
 concessione  regionale  di  ammontare  diverso  in  ciascuna regione,
 l'importo del tributo da indicare nella  nuova  tariffa  deve  essere
 pari  al  90  per  cento  del tributo di ammontare piu' elevato. E la
 violazione  di  tale  principio,  posto  a  garanzia  delle   entrate
 regionali,  non  potrebbe  non  riflettersi sulla sfera di competenze
 costituzionalmente attribuite alla Regione.
    4. - Nel giudizio cosi' promosso  si  e'  costituita  l'Avvocatura
 generale dello Stato, eccependo in via preliminare l'inammissibilita'
 del  ricorso,  perche'  tardivamente  notificato  al  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, e, in  ogni  caso,  l'inammissibilita'  delle
 censure concernenti l'art. 4 della legge di delega 14 giugno 1990, n.
 158,  perche'  anch'esse tardive rispetto al momento di pubblicazione
 del relativo testo legislativo nella Gazzetta Ufficiale.  Nel merito,
 deducendo  comunque  l'infondatezza  del  ricorso,  osserva  che   il
 criterio  direttivo  di  cui  all'art.  3,  comma  2,  lett. c, terzo
 periodo, della legge 16 maggio 1970 n. 281, come sostituito dall'art.
 4, comma 1, della legge  di  delega  n.  158  del  1990,  si  sarebbe
 limitato  ad  uniformare  verso l'alto l'ammontare del tributo, cosi'
 contenendo  differenze  tra  le  discipline  regionali  ritenute  dal
 legislatore  nazionale evidentemente troppo ampie, mentre, il comma 5
 della stessa disposizione  impugnata  prevederebbe  espressamente  la
 possibilita'  di  un  successivo adeguamento normativo da parte delle
 singole regioni.
    5. - Con successiva  memoria  la  Regione  Umbria  ha  chiesto  il
 rigetto  delle  eccezioni  di  inammissibilita' sollevate dalla parte
 convenuta, anche previa, se del caso, dichiarazione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 32, comma 2, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87.
    Premesso  che  il ricorso era stato presentato per la notifica tre
 giorni prima della scadenza del termine stabilito dalla legge, con la
 richiesta di provvedere all'incombente improrogabilmente entro il  30
 agosto,  si  osserva  nella memoria che, per una scelta arbitraria ed
 incontrollabile  dell'ufficiale  giudiziario,  lo  stesso  e'   stato
 notificato  prima  -  e  cioe'  il  30  agosto  - alla Presidenza del
 Consiglio presso l'Avvocatura e, poi, - il 2 settembre - alla  stessa
 Presidenza  nella  sua  sede  di  palazzo  Chigi.  L'ipotesi sarebbe,
 dunque, del tutto diversa dal caso - gia' esaminato da  questa  Corte
 con  le  sentenze  n.  13  del  1960  e  n.  548 del 1989 (relative a
 conflitti  di  attribuzione)  -  in  cui  la  notifica  venne  invece
 esclusivamente  effettuata  presso  l'Avvocatura.  Cio' nondimeno, si
 osserva nella memoria che proprio le  peculiarita'  del  giudizio  di
 costituzionalita'  -  dove, piu' che in altra occasione, "l'interesse
 generale esige l'accertamento e  l'attuazione  della  volonta'  della
 legge"  -  indussero, nella prima delle indicate pronunce, a ritenere
 la notifica effettuata soltanto presso l'Avvocatura come una semplice
 irregolarita', che non poteva avere le stesse conseguenze che avrebbe
 avuto  in  un  normale  processo  volto  a  dirimere   un   conflitto
 intersubiettivo  di  interessi.    D'altra  parte,  se e' vero che la
 seconda delle  citate  sentenze,  seppur  in  modo  non  convincente,
 ritenne il ricorso inammissibile, e' pur vero, come fu autorevolmente
 osservato in margine alla prima (n.  13 del 1960), che il giudizio di
 costituzionalita' promosso in via principale e' un giudizio di parti,
 nel  quale  il  Governo  e' istituzionalmente difeso - ai sensi degli
 artt. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e, 9 della legge 3  aprile
 1979,  n.  103  - dall'Avvocatura generale, con la conseguenza che la
 notifica del ricorso presso quest'ultima, anziche' direttamente nella
 sede della Presidenza del Consiglio, risulterebbe sufficiente ad  una
 corretta  instaurazione  del contraddittorio.  Infine, la circostanza
 che  la  Presidenza  stessa  si  sia  regolarmente  costituita,   non
 limitandosi  ad  eccepire la tardivita' del ricorso, ma contestandone
 anche il merito, sanerebbe, secondo un principio generale del  nostro
 ordinamento,   la   dedotta   nullita'  della  notifica.     Soltanto
 nell'ipotesi in cui questa Corte dovesse ritenere il ricorso comunque
 inammissibile, in base ad un'interpretazione letterale dell'art.  32,
 comma  2,  della  legge  11 marzo 1953, n. 87, la ricorrente denuncia
 l'illegittimita' costituzionale di tale  norma  nella  parte  in  cui
 comporta,  appunto,  l'inammissibilita'  del  ricorso tempestivamente
 presentato all'Ufficio notifiche, ma notificato alla  Presidenza  del
 Consiglio,  nella sua sede, oltre il termine, ovvero, tempestivamente
 notificato presso l'Avvocatura, ma tardivamente -  contravvenendo  ad
 un'espressa  richiesta  del ricorrente - nella sede della Presidenza.
 Una  diversa   interpretazione,   infatti,   frustrando   l'effettiva
 possibilita'  della  Regione  di  difendere dinanzi a questa Corte la
 sfera di competenze costituzionalmente attribuitele,  violerebbe  gli
 artt.  117  e 24 della Costituzione, nonche' l'art. 2, comma 1, della
 legge  costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1.    Quanto,  infine,
 all'eccezione   di   inammissibilita'   del   ricorso   per   tardiva
 impugnazione dell'art. 4 della legge  14  giugno  1990,  n.  158,  la
 ricorrente,  ribadendo  quanto gia' affermato nell'atto introduttivo,
 osserva che una norma di delega e' sicuramente impugnabile insieme al
 decreto legislativo che, nel darle attuazione, determina la  concreta
 ed immediata lesione della sfera di competenze regionali.
    6.  -  Con  ulteriore  memoria,  la  Regione Umbria ha ribadito il
 contrasto dell'impugnata norma di delega e  del  conseguente  decreto
 legislativo  di  attuazione  con  gli  artt.  117,  118  e  119 della
 Costituzione.
    Le disposizioni denunciate,  infatti,  individuando  gli  atti  da
 sottoporre  al tributo e stabilendo termini di riscossione, normative
 speciali e ammontare delle tariffe,  non  lascerebbero  alcun  minimo
 margine  di  discrezionalita'  al  potere  impositivo  delle regioni,
 costringendolo ad una  mera  riproduzione  della  normativa  statale.
 Anche  le  impugnate  voci  della  tariffa  approvata  con il decreto
 delegato, e ritenute in contrasto con il criterio della delega  volto
 ad   assicurare   alle  regioni  un  certo  livello  di  entrate,  si
 risolverebbero in una lesione della sfera di competenze regionali.
    7.  -  In  relazione al giudizio promosso dalla Regione Lombardia,
 l'Avvocatura generale dello Stato, con  una  successiva  memoria,  ha
 rilevato  che,  a  causa delle vistose differenze formatesi nel tempo
 fra  le  varie  normative  regionali,  il  legislatore  nazionale  ha
 ritenuto  necessario  individuare  anche i presupposti dei tributi in
 questione. Tuttavia, tali presupposti e le  relative  "note"  che  li
 disciplinano  rivestirebbero  una  valenza esclusivamente tributaria,
 inidonea  ad  incidere   sulla   potesta'   legislativa   sostanziale
 riconosciuta  alle  regioni  nelle  materie di cui all'art. 117 della
 Costituzione.   La   nozione   stessa   di   autonomia    finanziaria
 risulterebbe,  infatti,  ontologicamente  diversa  dalla  nozione  di
 autonomia normativa e troverebbe il suo esclusivo fondamento  in  una
 distinta  norma  costituzionale.    Per  quanto  riguarda  le censure
 attinenti alle singole voci della tariffa, ed in  particolare  quelle
 corrispondenti  ai  nn. 15 (licenza di appostamento fisso di caccia),
 16  sub  1  (concessione  di  costituzione  di  azienda   faunistico-
 venatoria)   e  18  (licenza  per  la  pesca  nelle  acque  interne),
 l'Avvocatura osserva che  le  lamentate  divergenze  con  la  vigente
 disciplina   regionale   derivano   dalla  violazione,  da  parte  di
 quest'ultima, dei limiti posti  dalla  precedente  normativa  statale
 (d.P.R.  n.  121 del 1961), i cui contenuti non sono stati modificati
 dalla legge di delega e, quindi, dal decreto delegato.
    8. - Con ordinanza n. 54 del 1992, questa  Corte,  considerata  la
 sopravvenienza  del  decreto  legislativo  23  gennaio 1992 n. 31, di
 rettifica degli importi di talune voci della  tariffa  sui  quali  si
 erano  appuntate  le censure addotte dalle ricorrenti, ha rinviato la
 causa a nuovo ruolo, ravvisando l'opportunita' di sentire  nuovamente
 le parti.
    9. - In prossimita' della nuova udienza di discussione, la Regione
 Umbria   ha   depositato   una  terza  memoria,  nella  quale  chiede
 dichiararsi  la  cessazione  della  materia  del   contendere   sulla
 questione,  proposta  in  via  subordinata, concernente le previsioni
 della tariffa delle tasse  di  concessione  regionale  approvata  con
 decreto  legislativo  22 giugno 1991 n. 230, contrassegnate con i nn.
 1, lett. a); 7: punto 1, lett. c), d), e), f); punto 2, lett. c), d),
 e); punto 3; 16, punto 1; 41, punti 1, 2, 3, 5, per essere stati  gli
 importi  ivi  previsti rettificati correttamente (nella misura del 90
 per cento  o  superiore  del  tributo  regionale  di  ammontare  piu'
 elevato,  in  conformita'  con  la  legge di delega) dal sopravvenuto
 decreto legislativo 23 gennaio 1992 n. 31.    Relativamente,  invece,
 alla  questione proposta in via primaria, concernente la legittimita'
 costituzionale dell'art. 4 della legge di delega 14  giugno  1990  n.
 158,  nonche',  "nel  loro  complesso, delle disposizioni del decreto
 legislativo 22 giugno 1991 n. 230 - pur con le correzioni  introdotte
 dal  decreto  legislativo  n. 31 del 23 gennaio 1992 - per violazione
 degli artt.  117,118 e 119 della Costituzione", la ricorrente insiste
 per l'accoglimento del ricorso sulla base delle  considerazioni  gia'
 svolte nei precedenti scritti difensivi.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  due  ricorsi  in via principale le Regioni Lombardia ed
 Umbria hanno impugnato, entrambe, il decreto legislativo n.  230  del
 1991, recante la tariffa delle tasse sulle concessioni regionali e la
 sola  regione Umbria anche l'art. 3, comma 2, lett. c, della legge 16
 maggio 1970 n. 281, come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge
 di  delega  n.  158  del  1990, che ha autorizzato il Governo a porre
 norme nella specifica materia.
    In proposito si deduce che la legge di delega, non lasciando spazi
 alle determinazioni  regionali,  violerebbe  l'autonomia  finanziaria
 regionale  (ricorso della Regione Umbria) e che le norme delegate, in
 contrasto con i principi  ed  i  criteri  contenuti  nella  legge  di
 delega,  detterebbero  non  la  disciplina  del  tributo  bensi'  dei
 provvedimenti   amministrativi   cui   si   riferisce   l'imposizione
 tributaria,  mediante  la  fissazione di taluni presupposti di essi e
 delle modalita' per la loro adozione, cosi' invadendo le  materie  di
 spettanza   regionale  relativamente  ai  settori  interessati  dalla
 tariffa (entrambi i ricorsi).
    Ancora le norme  delegate  ed  in  particolare  varie  voci  della
 tariffa  nonche'  alcune  "note"  riferite  alle  voci  stesse,  sono
 censurate  sotto  il  profilo  dell'eccesso  di  delega  sia  perche'
 l'ammontare  dei  tributi  ivi previsto sarebbe determinato in misura
 inferiore a quella disposta nella  legge  di  delega  e  sia  perche'
 sarebbero  disciplinati  diritti,  soprattasse e contributi ulteriori
 rispetto alle tasse di concessione regionale.
    2.1.   -   L'Avvocatura   generale   dello   Stato   ha   eccepito
 l'inammissibilita'  del  ricorso  della  Regione Umbria notificato al
 Presidente del Consiglio dei ministri il 2 settembre  1991  e  quindi
 tardivamente,  dato  che  il  decreto  legislativo n. 230 del 1991 e'
 stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 179 del 1› agosto 1991.
    Al riguardo la Regione replica  di  avere  presentato  il  proprio
 ricorso  all'ufficio  notifiche  competente  tre  giorni prima (il 28
 agosto 1991)  della  scadenza  del  termine  previsto  dall'art.  32,
 secondo  comma,  della  legge  11 marzo 1953, n. 87, e che, mentre e'
 stata regolarmente eseguita la notifica alla Presidenza del Consiglio
 dei ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato (il  30  agosto
 1991),  quella  diretta  alla  stessa  Presidenza, nella sua sede, e'
 stata  eseguita  soltanto  il  2  settembre  successivo  per   scelta
 arbitraria o negligenza dell'ufficiale giudiziario.
    2.2.  -  L'eccezione  di  inammissibilita'  deve  essere condivisa
 perche' questa Corte ha gia' affermato nella sent.  13  del  1960,  e
 ribadito  nella sent. 548 del 1989, che ai giudizi costituzionali non
 si applicano le norme sulla rappresentanza dello  Stato  in  giudizio
 previste dall'art. 1 della legge 25 marzo 1958 n. 260 e dalla legge 3
 aprile  1979  n. 103, la quale ultima, disponendo espressamente circa
 la sua applicabilita' ai giudizi davanti al Consiglio di Stato  e  ai
 Tribunali amministrativi regionali, l'ha implicitamente esclusa per i
 giudizi  costituzionali,  per i quali quindi "la forma corretta, alla
 stregua delle disposizioni vigenti,  e'  quella  della  notificazione
 diretta  al destinatario (Presidente del Consiglio dei ministri), non
 presso l'Avvocatura generale dello Stato".
    Ne' puo' indurre a  diverso  avviso  il  richiamo,  operato  dalla
 ricorrente, al lontano precedente costituito dalla sentenza n. 13 del
 1960  cit.  che, nonostante la constatata irritualita' della notifica
 alla sola Avvocatura dello Stato, non pervenne ad  una  pronuncia  di
 inammissibilita' nella considerazione che era "la prima volta" che si
 poneva  una  questione  siffatta,  "cosi' che mancava ogni precedente
 atto a servire di norma".
    La  Corte  ritiene invece di uniformarsi al piu' recente indirizzo
 fissato con la sentenza n. 548 del  1989  che,  avendo  evidentemente
 ritenuto  superata  l'incertezza  rilevata  quella  prima  volta,  ha
 dichiarato l'inammissibilita' del ricorso notificato nei termini alla
 sola Avvocatura dello Stato. Questo piu' recente indirizzo, che tiene
 peraltro conto di una prassi  interpretativa  ormai  consolidata,  ha
 definitivamente  sancito  il  principio  e  non  vi  sono ragioni per
 modificarlo.
    Quanto all'esemplare notificato alla Presidenza del Consiglio, non
 puo' ritenersi sanato il vizio della notifica  tardiva,  per  effetto
 della costituzione in giudizio della stessa Presidenza per il tramite
 dell'Avvocatura  dello  Stato, dato che tale costituzione e' avvenuta
 proprio per contrastare l'ammissibilita' dell'impugnazione (sent.  n.
 215 del 1988).
    Ne'  d'altronde la Corte ritiene che sussistano valide ragioni per
 aderire alla istanza della  ricorrente,  la  quale  chiede  a  questa
 Corte,  nell'ipotesi  in  cui  vengano  disattese  le sue ragioni, di
 sollevare  d'ufficio  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  32,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, nella
 parte in cui prevede  un  termine  perentorio  troppo  breve  per  la
 notifica,   comminando   l'inammissibilita'   di   un   ricorso   pur
 tempestivamente presentato  all'Ufficio  notifiche  e,  cionondimeno,
 notificato  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri, nella sua
 sede, oltre i trenta giorni, per fattori del  tutto  imponderabili  e
 casuali  imputabili  all'ufficiale  giudiziario,  a  maggior ragione,
 quando, come nel caso in esame, la notifica sia stata tempestivamente
 eseguita presso l'Avvocatura generale dello  Stato.  Si  sostiene  al
 riguardo   la   "violazione  dell'art.  117  della  Costituzione,  in
 riferimento all'art. 24, primo comma  della  stessa  Costituzione,  e
 dell'art.  2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948
 n. 1, che garantiscono alla regione  la  difesa  davanti  alla  Corte
 costituzionale delle proprie competenze".
    In  proposito  si  osserva  che  il  termine di 30 giorni previsto
 dall'art. 32 della legge n. 87 del 1953 non puo' considerarsi -  come
 invece   sostiene   la   ricorrente  -  talmente  breve  da  renderne
 impossibile il rispetto. Le circostanze che, nella  specie,  si  sono
 verificate  (pubblicazione  della legge il 1› agosto, con conseguente
 scadenza del termine per ricorrere il 31 agosto; consegna del ricorso
 all'ufficio notifiche il 28 agosto e notifica alla  Presidenza  il  2
 settembre,  per  essere  il 31 agosto caduto di sabato) sono tutte di
 mero fatto e non possono essere assunte a sostegno di  una  questione
 di  legittimita' costituzionale (ordinanze nn. 410 del 1990 e 556 del
 1987).
    L'accoglimento  dell'eccezione  di  inammissibilita'  del  ricorso
 della   Regione   Umbria  sotto  l'anzidetto  profilo  e'  assorbente
 dell'altra eccezione di inammissibilita'  della  stessa  impugnativa,
 per  tardivita',  nella parte in cui essa si rivolge avverso la norma
 di delega contenuta nell'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158.
    3. - Passando all'esame del ricorso della Regione  Lombardia,  con
 un  primo  gruppo  di  censure  la  ricorrente  assume che il decreto
 legislativo n. 230 del 1991, nella  parte  in  cui  pretenderebbe  di
 dettare  la  disciplina  attinente ai presupposti, al contenuto, alla
 validita' temporale e agli effetti dei  provvedimenti  amministrativi
 regionali  cui  il  tributo  si  riferisce,  violerebbe  "l'autonomia
 costituzionalmente garantita alla regione". Tali censure si rivolgono
 a  quelle  voci  della  tariffa  allegata  al  decreto  nelle  quali,
 prendendosi  a  riferimento  il  precedente  sistema   normativo   di
 determinazione  delle  tasse  di  concessione governativa, si sarebbe
 dettata la disciplina direttamente di  tali  provvedimenti  ormai  di
 competenza  regionale e si sarebbero per di piu' previste altre forme
 di prelievo (quali soprattasse, contributi di sorveglianza e  simili)
 non consentite dalla norma di delega.
    I  parametri costituzionali invocati sarebbero, come si ricava sia
 pure implicitamente in virtu' delle espressioni adoperate, gli  artt.
 76, 117 e 118.
    4.  -  In primo luogo, anche in relazione alla richiesta formulata
 dalla ricorrente nel  corso  della  discussione  orale,  deve  essere
 dichiarata   la  cessazione  della  materia  del  contendere  per  la
 questione concernente la voce  41  della  tariffa  (servizi  pubblici
 automobilistici  di  interesse  regionale),  avendo  il  sopravvenuto
 decreto legislativo n. 31 del 1992, correttivo di  quello  impugnato,
 modificato  il  contenuto  di  tale voce in modo da far venir meno le
 doglianze formulate nel ricorso.
    5.1.  -  Ai  fini  dell'inquadramento  delle  restanti  questioni,
 relativamente  alle  quali  non  ha  invece inciso, in modo del tutto
 satisfattivo per la ricorrente, il citato decreto legislativo  n.  31
 del  1992, vanno richiamati alcuni principi affermati da questa Corte
 (sentenza n. 271 del  1986)  secondo  cui,  pur  essendo  l'autonomia
 tributaria   delle  regioni  un  aspetto  dell'autonomia  finanziaria
 prevista dall'art. 119 della Costituzione,  onde  le  regioni  devono
 dirsi   titolari   di  potesta'  normativa  tributaria,  tuttavia  il
 riferimento alle "forme" ed ai "limiti", nonche'  alle  "leggi  della
 Repubblica",  contenuto  nello stesso art. 119, condiziona largamente
 il contenuto di tale autonomia sia per  quanto  attiene  al  tipo  di
 tributo,  nella  sua  configurazione e nei suoi elementi costitutivi,
 sia in relazione al suo  profilo  quantitativo.  In  virtu'  di  tale
 condizionamento,  e'  quindi  la  legge statale la fonte necessaria e
 obbligata della disciplina degli spazi regionali, con la  conseguenza
 che la potesta' normativa tributaria delle regioni - pur riconosciuta
 per  provvederle  dei  mezzi  occorrenti  per  far  fronte alle spese
 necessarie allo svolgimento delle loro  funzioni  normali  -  non  e'
 "strumentale"  rispetto  alle  competenze  di  cui all'art. 117 della
 Costituzione, cosi' atteggiandosi con la stessa forza di  quelle,  ma
 opera  al  di  fuori  di quell'ambito "con proprio oggetto ed entro i
 diversi particolari confini  che  le  leggi  della  Repubblica  -  in
 conformita'   dei   principi  costituzionali  -  sono  legittimate  a
 fissare", anche al fine di adeguare la finanza  locale  alla  riforma
 tributaria  generale. Tale potesta' regionale si configura, pertanto,
 non come una  potesta'  legislativa  di  tipo  "concorrente",  bensi'
 soltanto "attuativa" delle leggi dello Stato, analoga a quella di cui
 all'ultimo  comma  dell'art. 117 della Costituzione (sentenze nn. 272
 del 1986, 204 del 1987, 214 del 1987 e 294 del 1990).
    5.2. - Cio' premesso, va ricordato che il testo  originario  dell'
 art.  3  della  legge n. 281 del 1970 - che trovava il suo fondamento
 nel dettato appunto dell'art. 119, primo comma, della Costituzione  -
 nel  fissare  le fattispecie impositive attinenti ai "tributi propri"
 (tasse sulle concessioni regionali, tassa per l'occupazione di  spazi
 e  aree  pubbliche,  tassa  sulla  circolazione), aveva lasciato alle
 regioni margini limitati, quali la fissazione  delle  aliquote,  gia'
 predeterminate  nei  limiti  minimi  e  massimi,  e  la disciplina in
 materia di ricorsi contro gli atti di accertamento e di riscossione.
    In particolare, le  tasse  sulle  concessioni  regionali  relative
 "agli  atti  e provvedimenti adottati dalle regioni nell'esercizio di
 loro funzioni" erano, ai sensi di quella legge, disciplinate in tutto
 e per tutto "dalle norme dello Stato  che  regolano  le  tasse  sulle
 concessioni   governative",  riservandosi  al  legislatore  regionale
 soltanto di fissare le percentuali entro l'ottanta  e  il  centoventi
 per   cento   delle  corrispondenti  tasse  erariali.  Era,infatti,il
 criterio della "corrispondenza" delle attivita' regionali con  quelle
 gia' di competenza dello Stato (prima del trasferimento alle regioni)
 a  costituire  il  presupposto  per  l'imposizione sia nell'anche nel
 quantum (sentenza n. 294 del 1990).
    Vero e' che, in proposito, gia' prima della legge n. 158 del 1990,
 che ha modificato  la  precedente  normativa,  questa  Corte  con  la
 sentenza  n.  321  del  1989  aveva  affermato  che,  quando manca il
 "presupposto" richiesto per l'applicabilita' del "limite" posto  alla
 regione    quanto    all'ammontare    del   tributo,   ovverosia   la
 "corrispondenza fra le attivita'  imponibili,cui  si  riferiscono  le
 (nuove)  tasse  regionali,  e  quelle  gia' di competenza dello Stato
 assoggettate alle tasse sulle concessioni governative" (nella  specie
 trattavasi  della  tassa  regionale  per la raccolta dei tartufi, non
 prevista  nella  tariffa  statale),  le  regioni  erano   legittimate
 (sempre, pero', in base alla legge statale) ad istituire il tributo e
 a  fissarne  la  misura,  con il solo limite (riscontrabile anch'esso
 nella  legge  statale  autorizzativa)   della   sua   "idoneita'   al
 finanziamento  dei  fini"  della legge statale (da valere quale legge
 cornice) e di quella regionale nella specifica materia. Precisazioni,
 queste, che confermavano la potesta' primaria dello Stato, nei limiti
 della quale alla Regione era  riconosciuto,  non  di  incidere  sulla
 essenza del tributo, bensi' solo di determinare alcuni elementi della
 fattispecie impositiva.
    Ora,  con  l'art. 4 della legge n. 158 del 1990 - che trova sempre
 il suo fondamento nel  dettato  dell'art.  119,  primo  comma,  della
 Costituzione  - viene sostituito l'art. 3 della legge n. 281 del 1970
 e si dispone che "le tasse sulle concessioni regionali  si  applicano
 agli atti e provvedimenti adottati dalle regioni nell'esercizio delle
 loro  funzioni  o  degli  enti  locali  nell'esercizio delle funzioni
 regionali ad essi delegate ai sensi  degli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione,  indicati  nell'apposita  tariffa approvata con decreto
 del Presidente della Repubblica, avente valore  di  legge  ordinaria"
 (primo  comma); che la tariffa "deve essere coordinata con le vigenti
 tariffe delle tasse sulle concessioni governative e sulle concessioni
 comunali" e deve indicare gli atti  cui  si  applicano  le  tasse,  i
 termini  di  pagamento,  l'ammontare  del  tributo, nonche' eventuali
 norme disciplinatrici dello stesso come indicato in alcune voci della
 tariffa (secondo comma, lettere a, b, c, d). In  particolare,  quanto
 all'ammontare  del tributo, si precisa che per gli atti gia' soggetti
 a tassa di  concessione  (governativa,  regionale  o  comunale)  esso
 corrisponde a quello dovuto prima della entrata in vigore della nuova
 tariffa,  e  che, in caso di provvedimenti "gia' assoggettati a tassa
 di concessione regionale di ammontare diverso  in  ciascuna  regione,
 l'ammontare  del tributo .. sara' pari al 90 per cento del tributo di
 ammontare piu' elevato,  e  comunque  non  inferiore  al  tributo  di
 ammontare  meno elevato". Inoltre e' previsto che con legge regionale
 possano essere disposti annualmente "aumenti della tariffa anche  con
 riferimento  solo ad alcune voci .. in misura non superiore al 20 per
 cento degli importi determinati per il periodo precedente".
    Pur non facendo piu'  riferimento  alla  regola  della  necessaria
 "corrispondenza"  (tra  atti  regionali  e atti gia' statali soggetti
 alle tasse sulle concessioni governative), il  nuovo  sistema,  nella
 sostanza, non differisce molto da quello precedente, perche' il comma
 8  (non impugnato) sub art. 4 cit. dispone ancora che "le tasse sulle
 concessioni regionali ... sono disciplinate dalle leggi  dello  Stato
 che  regolano  le  tasse  sulle  concessioni governative". Il che, in
 altri termini, conferma la competenza legislativa dello  Stato  nella
 materia, riservandosi alla regione una competenza meramente attuativa
 e, nella specie, soltanto la possibilita' di disporre annualmente con
 legge aumenti della tariffa non superiori al venti per cento.
    Ne' dalla discussione parlamentare che ha portato all'approvazione
 della  norma  in  esame si ricava alcun elemento tale da testimoniare
 che si sia  voluto  introdurre  un  sistema  del  tutto  diverso  dal
 precedente,  con  il  quale  dare,  in  maniera  compiuta, attuazione
 all'art.  119  della  Costituzione,  essendosi  viceversa  registrato
 l'intento  di  adottare  norme  di  carattere provvisorio, "in attesa
 delle disposizioni di riforma della finanza regionale". Una locuzione
 del genere compare espressamente nell'art. 2 della legge n.  158  del
 1990 relativamente alla disciplina del fondo comune, ma, come ha gia'
 rilevato la Corte in altra occasione (sentenza n. 427 del 1993, punto
 14.2  della motivazione), non puo' non considerarsi riferita anche ad
 altre parti della stessa legge.
    Da ultimo va considerato che, poiche' la delega suddetta  consente
 allo  Stato di dettare "eventuali norme disciplinatrici del tributo",
 non e' in contrasto con essa che alcune voci della  tariffa  facciano
 riferimento  al  provvedimento  amministrativo  della regione, quando
 cio' avvenga per determinare il presupposto di fatto ed il momento in
 cui il tributo deve essere corrisposto.
    6.1. - Con la prima censura la Regione Lombardia  lamenta  che  le
 norme  delegate,  nelle  "note"  che  accompagnano  alcune voci della
 tariffa, non si  limiterebbero  a  dettare  disposizioni  sugli  atti
 soggetti  al tributo e a stabilire i termini entro i quali il tributo
 deve  essere  corrisposto,  ma  recherebbero  anche   la   disciplina
 attinente  all'attivita' amministrativa della regione, ai presupposti
 o al contenuto dei relativi provvedimenti, all'efficacia temporale di
 questi o alla destinazione del  gettito  del  tributo,  ed  anche  ai
 presupposti e all'importo di ulteriori tasse e contributi previsti da
 normative  non  piu'  in vigore, con cio' violando la legge di delega
 che fissa limiti ben precisi riferiti all'esclusiva  regolamentazione
 del tributo in quanto tale.
    La  ricorrente  prospetta  la censura fornendo un elenco analitico
 delle diverse  note,  delle  quali  richiama  alcune  parti  da  essa
 ritenute illegittime, e concludendo riassuntivamente con una generale
 affermazione  che  "le  note  fanno riferimento a testi legislativi o
 regolamentari statali anche anteriori  al  passaggio  delle  funzioni
 alle regioni" e che "la riproduzione nella tariffa in oggetto di tali
 discipline .. soprattutto senza la precisazione che esse valgono solo
 salva   diversa  disciplina  recata  dai  competenti  atti  normativi
 regionali, appare lesiva dell'autonomia regionale ed eccede  comunque
 la delega ..".
    6.2. - La censura non e' fondata.
    Per  quanto concerne le note alle voci 2, 7, 10, 23 (in parte), 25
 (in parte) e 40, si deve  infatti  osservare  che  le  locuzioni  ivi
 adoperate,  anche  se  sembrano  fare  riferimento  al  provvedimento
 amministrativo,  in  realta'  sono  tutte  dirette  ad  indicare   il
 presupposto   impositivo  inteso  come  "fatto  economico";  il  che,
 attenendo al tributo, spetta allo Stato di determinare.
    Cosi' quando si riferiscono: a) al  commercio  di  acque  minerali
 (voce  2):  "l'autorizzazione  e'  sempre necessaria anche se l'acqua
 venga  posta  in  vendita  alla  fonte  o   nello   stabilimento   di
 produzione",  o  "quando  trattasi  di  piu'  sorgenti  .. diverse ..
 occorrono distinte autorizzazioni", o "qualunque  modificazione  deve
 essere  autorizzata  con  nuovo decreto da assoggettarsi a tassa"; b)
 all'apertura di pubblici esercizi (voce 7): "l'autorizzazione occorre
 anche per le dipendenze staccate .."; c) alla produzione di  estratti
 di  origine  animale  o  vegetale  (voce  10): "la domanda diretta ad
 ottenere l'autorizzazione .. deve essere rivolta .. distintamente per
 ogni singolo prodotto"; d) alle  agenzie  di  viaggio  (voce  23,  in
 parte):  "sono  tenute a munirsi di distinta licenza" le succursali e
 le filiali di agenzia aventi la sede principale in altra regione;  e)
 all'esercizio  della  trebbiatura a macchina (voce 25, in parte): "la
 licenza  ..  ha  valore  soltanto  per  la  macchina  o  le  macchine
 trebbiatrici,  per la specie di piante .."; f) ai servizi pubblici di
 autotrasporti merci in concessione (voce 40): in caso di passaggio di
 proprieta'  dell'autoveicolo  il  nuovo  proprietario  deve  ottenere
 "altra apposita concessione con il relativo pagamento della tassa".
    Analogamente  le note alle voci 18 (in parte), 25 (per la restante
 parte), 39 e 46, disciplinando la durata temporale dei  provvedimenti
 regionali  cui  si ricollega l'obbligo del pagamento del tributo, non
 possono reputarsi in contrasto con  la  norma  di  delega  e  nemmeno
 invasive   delle  competenze  regionali,  in  quanto  sono  volte  ad
 indicare, anche se in modo indiretto, evenienze di fatto e quindi  il
 presupposto da assoggettare al pagamento della tassa.
    Alle  stesse  conclusioni,in base ad una corretta lettura, si deve
 pervenire  relativamente  ad  altre  voci  che,  a   causa   di   una
 formulazione  non  chiara, potrebbero indurre a far ritenere, a prima
 vista, una fuorvianza rispetto ai limiti della delega. Cosi'  per  le
 note  alle  voci:  a)  5, ove si stabilisce che "non sono soggetti ad
 autorizzazione e quindi al  pagamento  delle  tasse  ..  i  gabinetti
 personali  e  privati,  in  cui  i  medici  generici  e specializzati
 esercitano la loro professione "; b) 8 e 9, ove, per gli impianti  di
 rivendita  di latte e prodotti simili, si prevede che "sono esonerati
 dall'autorizzazione"   o"   non   hanno    l'obbligo    di    munirsi
 dell'autorizzazione"  taluni  esercizi; c) 23 (in parte), ove, per le
 agenzie  di  viaggio,   si   chiarisce   che   "non   hanno   bisogno
 dell'autorizzazione  le  aziende che si occupano esclusivamente della
 vendita di biglietti delle ferrovie dello Stato".
    Orbene, anche se nelle norme si fa riferimento all'autorizzazione,
 esse devono essere lette nel senso di escludere che in  relazione  ai
 "fatti" oggetto dell'autorizzazione (ove sia altrimenti prevista) sia
 dovuto il tributo. In altri termini si deve ritenere non che la legge
 dello  Stato  abbia voluto escludere l'autorizzazione per quei fatti,
 bensi'  solo  escludere  che,  qualora   sia   prevista,   essa   sia
 assoggettabile  a tributo. Da cio' consegue che, pur restando integro
 il potere della regione di prevedere per l'esercizio  delle  relative
 attivita'  un'  autorizzazione,  ove  lo ritenga per la disciplina di
 settore, essa non puo' essere assoggettata a tributo.
    Parimenti non invasiva delle competenze regionali  deve  ritenersi
 una  delle previsioni contenute nella nota alla voce n. 18 in tema di
 licenze di pesca. Questa previsione dispone tra  le  altre  che,  nel
 caso  di  smarrimento del documento abilitante, "non puo' rilasciarsi
 un duplicato,  bensi'  una  nuova  licenza  con  il  pagamento  della
 relativa  tassa".  Anche  in  questo  caso  si  deve  ritenere che la
 disposizione e' in realta' diretta - in  qualunque  modo  la  regione
 voglia  denominare  il  documento  abilitativo  sostitutivo di quello
 smarrito - ad  assoggettare  a  tributo  il  rilascio  del  documento
 sostitutivo.
    Quanto alla nota alla voce 17 - ove si prevede che "l'abilitazione
 all'esercizio  venatorio  si  consegue  soltanto  dopo  aver superato
 l'esame previsto dalla legge 27 dicembre 1977 n. 968" - pur potendosi
 discutere se  il  testo  normativo  in  esame  costituisca  la  sedes
 materiae opportuna, in realta' con tale previsione si rende esplicito
 un principio ricavabile
 dalla  legge-quadro  sulla  caccia,  e  quindi  come tale essa non e'
 lesiva di nessuna attribuzione regionale. Egualmente  deve  ritenersi
 per  alcune  previsioni  della  nota  alla  voce 23 per le agenzie di
 viaggio   (per   le   quali   e'   previsto    che    "il    rilascio
 dell'autorizzazione  a  persone  fisiche  o  giuridiche  straniere e'
 subordinato al nulla osta dello Stato,  sentita  la  regione"  o  che
 "l'autorizzazione  regionale  e'  subordinata  al  nulla  osta  della
 competente  autorita'  di  pubblica  sicurezza,  per  quanto  attiene
 all'accertamento del possesso dei requisiti di cui agli artt. 11 e 12
 del  testo  unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 e
 successive modificazioni - art. 9 comma  5,  legge  217  del  1983"),
 perche'  dette previsioni normative attengono a profili di polizia di
 sicurezza residuata alla competenza dello Stato (sentenza n.  77  del
 1987).
    7.  -  La  ricorrente  denuncia ancora che nel decreto legislativo
 impugnato talune voci prevedono, oltre  alle  tasse  di  concessione,
 ulteriori  tasse  di  ispezione,  contributi  di  vigilanza,  diritti
 proporzionali e simili (voci 1, 4, 28, 32, 33, 35, 38, 39, 41,  42  e
 43)  che,  a  suo avviso, non rientrerebbero nella disciplina propria
 delle tasse  di  concessione  regionale,  ma  atterrebbero  piuttosto
 all'esercizio   di   poteri  riconducibili  alla  potesta'  normativa
 sostanziale delle regioni, cosi' violando l'autonomia regionale ed  i
 limiti della delega.
    Anche questa questione non e' fondata.
    Le  ulteriori  tasse  o  contributi  o  diritti  accedono tutti al
 tributo secondo la legislazione statale vigente (come  si  vedra'  in
 prosieguo)  che,  sotto  questo  aspetto,  contiene principi tutt'ora
 validi e vincolanti per le regioni di diritto comune, poiche' diretti
 ad esigenze sia di chiarezza, nel senso di precisare  le  fattispecie
 in cui e' ammesso un cumulo di oneri, sia di coordinamento, nel senso
 di  evitare  che dal cumulo derivino oneri complessivi troppo gravosi
 ed  assicurare  cosi'  il  rispetto  dei  principi   dell'eguaglianza
 tributaria e della capacita' contributiva.
    8.1.  -  Altre  due  specifiche doglianze si rivolgono ancora alla
 nota alla voce 18 (licenza per la pesca nelle acque interne). Con una
 si censura che la voce 18 cit. distingua quattro tipi di  licenza  di
 pesca,  in  relazione  agli  attrezzi utilizzati ed alle modalita' di
 esercizio dell'attivita', secondo una classificazione risalente  alla
 legislazione statale precedente il trasferimento delle funzioni nella
 materia  alle  regioni,  non  piu'  corrispondente a quanto stabilito
 dalla legge regionale n. 25 del  1982  (art.  37)  nell'ambito  delle
 autonome  scelte effettuate dal legislatore regionale. Con l'altra si
 contesta la parte in cui e' prevista la devoluzione  del  gettito  di
 una soprattassa (per le licenze di tipo C) a determinate categorie di
 soggetti  "con  disposizione  che  non  ha  riscontro  nella  vigente
 legislazione".
    Entrambe le questioni non sono fondate.
    Quanto  alla  prima,  come  riconosce  la  stessa  ricorrente,  la
 classificazione dei tipi di licenza operata dalla tariffa corrisponde
 a   quella   che  era  prevista  nel  precedente  testo  unico  delle
 disposizioni in materia di tasse sulle concessioni governative di cui
 al d.P.R. 1 marzo 1961 n. 121 (voce  54  della  tariffa),  richiamato
 dall'art. 22- bis del regio decreto 8 ottobre 1931 n. 1604 in tema di
 pesca,  come modificato dall'art. 1 della legge 20 marzo 1968 n. 433.
 Dal fatto che detto testo unico del 1961  fu  espressamente  abrogato
 dall'art.  15  del  successivo d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641 che, nel
 dettare  la  nuova  disciplina  delle  sole  tasse   di   concessione
 governativa, omise ogni riferimento alla licenza di pesca nelle acque
 interne  (e  cioe'  ad  una  materia  nel  frattempo  trasferita alle
 regioni), non  si  puo'  pero'  far  derivare  quanto  sostenuto  nel
 ricorso,  e  cioe'  che  "la  tipologia delle licenze in relazione ai
 soggetti  e  mezzi  impiegabili,  e'  divenuta  oggetto  della   sola
 normativa  regionale"  a  tutti  gli effetti, perche' per gli aspetti
 tributari deve essere sempre ritenuta la competenza dello  Stato.  La
 Corte,  infatti,  con  la sentenza n. 294 del 1990 cit., ha affermato
 che la vicenda  normativa  intervenuta  in  materia  di  tasse  sulle
 concessioni,   in   correlazione  con  l'attuazione  dell'ordinamento
 regionale a partire dai decreti presidenziali del  1972,  "offre  una
 chiara  indicazione  sulla  portata della norma abrogatrice contenuta
 nell'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641 e cioe' sul fatto  che
 l'abrogazione in essa disposta - dato anche il tenore letterale della
 norma  -  sia  venuta ad investire le sole disposizioni del d.P.R. n.
 121  del  1961  concernenti  le  tasse  sulle   concessioni   rimaste
 governative, senza in alcun modo toccare le norme dello stesso d.P.R.
 relative  alle  tasse  trasferite  alle  regioni. Queste ultime norme
 sono, pertanto, rimaste in vita al fine di assolvere  alla  specifica
 funzione  di  fungere da presupposto e da parametro per la disciplina
 regionale relativa  alle  tasse  sulle  concessioni  trasferite  alle
 regioni a statuto ordinario".
    Da tali principi la Corte non ritiene di discostarsi nemmeno nella
 vigenza del "nuovo" sistema introdotto dall'art. 4 della legge n. 158
 del 1990, il quale, prevedendo (comma 8) che le tasse in parola "sono
 disciplinate  dalle  leggi  dello  Stato  che regolano le tasse sulle
 concessioni  governative",  fa  implicito  riferimento   anche   alla
 disciplina  di  principio  rappresentata  ancora,  per  la  parte  di
 interesse regionale, dal d.P.R. n. 121 del 1961.
    Orbene,  poiche',  secondo  la disciplina anteriore sulle tasse di
 concessione   regionale,   vigeva   il   criterio   espresso    della
 "corrispondenza" degli atti gia' di competenza dello Stato, ne deriva
 che  le  regioni, nel disciplinare le materie nell'ambito delle quali
 alcuni provvedimenti  comportavano  il  pagamento  del  tributo,  non
 potessero discostarsi dalla normativa statale sostanziale, ovverosia,
 nella  specie,  dalle  disposizioni del testo unico sulla pesca e del
 d.P.R.  n.  121  del  1961  sulle  tasse  di   concessione   (allora)
 governativa. Ed il fatto che la regione abbia gia' legiferato in modo
 non  conforme a quelle disposizioni non puo' rilevare nel giudizio di
 costituzionalita', perche', come questa Corte ha gia' osservato,  "la
 sussistenza di una precedente disciplina regionale non impedisce allo
 Stato  di  esercitare  la  potesta' istituzionalmente spettantegli di
 ridisciplinare  la  materia,  (potesta')  ancora  piu'  frequente  in
 materia tributaria ..", dovendosi "convogliare in un quadro omogeneo,
 anche  se  articolato,  i  diversi impulsi della normativa regionale"
 (sentenza n. 272 del 1986 cit.).
    La disciplina, da parte della legge  dello  Stato,  degli  aspetti
 tributari  dei  provvedimenti regionali risponde difatti all'esigenza
 di rendere omogeneo il quadro di riferimento, non potendosi ammettere
 una  disarticolazione  sganciata  dai  criteri  dell'art.  119  della
 Costituzione  e  non potendosi neppure pretendere, come sembra invece
 sostenere la Regione, che il  legislatore  statale  si  assumesse  il
 preventivo  onere  di  una  integrale ricognizione di tutti i diversi
 tipi di provvedimenti regionali per parametrare rispetto ad ognuno di
 essi il tributo da corrispondere.
    8.2. - Le stesse considerazioni, circa la vigenza della  normativa
 statale  di  riferimento,  valgono  per  rigettare  anche  la seconda
 censura. Infatti nel citato d.P.R. n. 121 del 1961 era gia'  prevista
 la  ripartizione  di  alcune  soprattasse  a  favore  di  determinati
 organismi (consorzi per  la  tutela  e  l'incremento  del  patrimonio
 ittico,  Federazione  italiana  della pesca e agenti di vigilanza); e
 poiche' alcuni di essi (come i consorzi), a  seguito  dell'attuazione
 dell'ordinamento  regionale disposta dal d.P.R. n. 616 del 1977, sono
 stati soppressi dal decreto legge 18 agosto 1978 n.  481,  convertito
 nella  legge  21  ottobre  1978  n.  641, e la Federazione, in quanto
 organismo centrale, si giustificava con la sola  competenza  (allora)
 dello  Stato,  e'  legittimo  che  ora la disciplina statale indichi,
 nell'orma dello stesso principio di ripartizione, gli  organismi  che
 perseguono oggi gli stessi fini di quelli sostituiti.
    Inoltre  va  anche considerato che la nota alla voce 18 dispone la
 ripartizione di quei proventi "fra le amministrazioni provinciali, le
 associazioni di pescatori sportivi, le associazioni regionali cooper-
 ative di categorie giuridicamente riconosciute,  secondo  criteri  da
 stabilirsi  con  provvedimenti  del  consiglio  regionale". La norma,
 quindi, in primo luogo  indica  soggetti  (quali  le  amministrazioni
 provinciali)  per  i quali lo Stato puo' dettare apposita disciplina,
 trattandosi  di  enti  locali  territoriali;  in  secondo  luogo   si
 riferisce  ad  associazioni  operanti  in  sede regionale e come tali
 riconosciute dalle stesse regioni e quindi sono in definitiva  queste
 a  stabilire  se spetti loro o meno quota del tributo; in terzo luogo
 affida all'organo deliberativo regionale di  definire  i  criteri  di
 riparto  tra  detti soggetti, se ed in quanto esistenti in ambito lo-
 cale, dovendosi quindi escludere la lesione  delle  competenze  degli
 enti di autonomia.
    9.  -  Resta  da  esaminare  l'ultima  questione,  prospettata per
 asserita violazione della norma di delega (art. 4 della legge n.  158
 del   1990)   che   a'ncora  l'ammontare  del  tributo,  in  caso  di
 provvedimenti gia' assoggettati a tassa di concessione  regionale  di
 importo  diverso  in  ciascuna  regione,  al 90 per cento del tributo
 stabilito  in  sede  regionale  (a  norma  della  disciplina  statale
 anteriore) di ammontare piu' elevato.
    La  questione si riferisce alle voci 15, 16 sub 1 e 18, mentre per
 la voce 41 sub 1, 2, 3, 5 e' stata gia' dichiarata (v. sopra n. 4) la
 cessazione della materia del contendere.
    Per quanto riguarda la voce 15 (licenza di appostamento  fisso  di
 caccia),  la  Regione  Lombardia sostiene che la disciplina statale -
 che non distingue tra appostamenti  "con"  o  "senza  tabelle",  come
 invece  fa  la  legge  regionale  "10  marzo  1980 n. 25 e successive
 modifiche", prevedendo due  tipi  diversi  di  tasse  di  rilascio  -
 violerebbe  i  limiti  della  delega "che impone l'assoggettamento al
 tributo di tutti gli atti e provvedimenti gia' assoggettati  a  tassa
 di   concessione   regionale",  perche'  lo  specifico  provvedimento
 regionale (licenza di appostamento con tabelle) non sarebbe preso  in
 considerazione e resterebbe quindi escluso dalla tassa.
    In  ogni  caso,  poi,  se  la  voce 15 cit. si ritenga riferita ad
 entrambi i tipi di licenza  previsti  nella  legislazione  regionale,
 sarebbe    violato   il   criterio   della   delega   relativo   alla
 quantificazione del tributo (90 per cento di quello regionale).
    La censura non e' fondata.
    Per il primo profilo valgono le considerazioni gia'  espresse  (v.
 supra  n.  8.1)  a  proposito  delle  licenze  di  pesca  e della non
 conformita'  delle  leggi  regionali  sia  alla  disciplina   statale
 precedente   che   a  quella  ora  in  atto  che,  nell'ambito  della
 definizione dell' an del tributo, hanno previsto  un  unico  tipo  di
 licenza.  La  voce  n. 51 della tariffa allegata al d.P.R. n. 121 del
 1961 non distingueva, difatti, ai  fini  tributari  gli  appostamenti
 fissi  di  caccia a seconda che fossero o meno con tabelle, bensi' li
 considerava unitariamente "anche quando .. sprovvisti degli  appositi
 segnali  perimetrali".  Nello  stesso modo si esprime la disposizione
 ora impugnata.
    Ne deriva  che  il  secondo  profilo  fondato  su  di  un'autonoma
 determinazione  regionale  del  presupposto  impositivo,  sulla quale
 prevale la legge dello Stato, perde di consistenza.
    Per la voce 16 sub  1  (concessione  di  costituzione  di  aziende
 faunistico-venatorie) la ricorrente osserva che sono ivi previste una
 tassa  di rilascio e una tassa annuale di lire 4.650 per ogni ettaro,
 e non invece la tassa di rilascio in cifra fissa (pari a lire 469.500
 per le aziende private fuori dalla zona delle Alpi e a  lire  118.000
 per le aziende private nella zona delle Alpi) come disciplinata dalla
 legge regionale n. 25 del 1980 e successive modifiche cit.
    Anche  tale  censura  e' priva di fondamento per le stesse ragioni
 innanzi esposte: la regione non puo' creare nuovi tributi al di fuori
 delle previsioni della "legge della Repubblica", che nella specie non
 li consente. La voce 52 del d.P.R. n. 121 del 1961 non  prevedeva  la
 tassa  fissa  di  rilascio per le riserve di caccia e ad essa occorre
 sempre riferirsi per l'assimilazione che,  ai  fini  tributari,  deve
 essere  fatta  tra riserve e aziende faunistiche (sentenza n. 271 del
 1986).
    Circa  l'ammontare  della  tassa  prevista  in  detta voce, che la
 Regione ritiene comunque non conforme al criterio  della  delega  (90
 per  cento), va osservato in primo luogo che la somma ivi prevista e'
 stata aumentata a lire 6.065 dal decreto legislativo n. 31 del  1992,
 correttivo del precedente; inoltre, ogni residua difformita' di detta
 somma  rispetto all'ammontare stabilito in sede regionale (e indicato
 nel ricorso in lire 7.000, il cui 90 per cento  ammonterebbe  a  lire
 6.300)  non  puo'  essere valutata, perche' persiste l'obbligo per le
 regioni di "rispettare i limiti  posti  dalla  legislazione  statale"
 (sentenza  n.  271  del  1986  cit.)  in materia di riserve di caccia
 nonche' di aziende faunistico-venatorie all'uopo "assimilabili"  alle
 prime.
    Quanto infine alla voce 18 (licenza di pesca nelle acque interne),
 la  censura  sull'ammontare  degli  importi,  che  sarebbe  inferiore
 rispetto a  quello  previsto  dalla  regione,  si  basa  sull'erroneo
 presupposto  che  legittimamente  la legge regionale n. 25 del 1980 e
 successive  modifiche  cit.  avrebbe  previsto  tipi  di  licenza  da
 assoggettare  al  tributo  in  difformita'  della  normativa  statale
 precedente. Poiche' cio' non le  era  consentito,  le  determinazioni
 regionali  difformi  non  possono,  come  gia' detto, essere prese in
 considerazione al fine della valutazione  del  criterio  quantitativo
 fissato dalla legge di delega.