ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8  della  legge
 della  Regione  Lombardia  8  febbraio  1982,  n.  12 (Disciplina del
 controllo sugli atti degli enti locali in  Lombardia,  norme  per  il
 funzionamento dell'organo regionale di controllo e modifica dell'art.
 17  della  legge  regionale  1›  agosto 1979, n. 42), come modificato
 dall'art. 4 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n. 16,
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  3  luglio  1992  dal  Tribunale
 amministrativo   regionale   della  Lombardia  sul  ricorso  proposto
 dall'Associazione Comuni ambito territoriale "Verbano sud" - U.S.S.L.
 n. 5 di Angera contro il CO.RE.CO. della Regione Lombardia ed  altra,
 iscritta  al  n.  100  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  11,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
    Udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Udito l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di un giudizio promosso con ricorso dell'Unita'
 socio-sanitaria locale n. 5  di  Angera  per  l'annullamento  di  tre
 provvedimenti  in  data  22  luglio  1991  del  comitato regionale di
 controllo (CO.RE.CO.) della regione Lombardia, con i quali era  stata
 dichiarata  la  decadenza  di  altrettante deliberazioni - in data 28
 maggio  1991  -  dell'  assemblea  generale  della  citata   U.S.S.L.
 (deliberazioni  aventi  ad  oggetto  l'elezione  del  presidente e la
 convalida degli eletti di detta  assemblea,  nonche'  la  nomina  del
 comitato  dei  garanti),  il Tribunale amministrativo regionale della
 Lombardia ha sollevato, con ordinanza del 3  luglio  1992  (pervenuta
 alla   Corte  costituzionale  il  23  febbraio  1993),  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 8  della  legge  della  Regione
 Lombardia  8  febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art. 4 della
 legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n.  16,  in  riferimento
 agli articoli 3, 117, 128 e 130 della Costituzione.
    Il  Tribunale  osserva che le pronunce di decadenza delle delibere
 della U.S.S.L. sono state adottate, da parte del  CO.RE.CO,  in  base
 alla  norma  denunciata  di  incostituzionalita' che prescrive che le
 delibere soggette a controllo debbano pervenire al CO.RE.CO. entro il
 termine di trenta giorni dalla  loro  adozione,  e  non  gia'  essere
 spedite  entro  detto  termine;  la regola della spedizione, infatti,
 vale in difetto di diverse specifiche disposizioni, quale  e'  quella
 in argomento.
    Correttamente,  dunque  -  prosegue  il  tribunale rimettente - il
 CO.RE.CO. ha adottato le declaratorie di  decadenza  delle  delibere,
 giacche' ne sussistono i seguenti presupposti di legge:
       a)  e' stato superato il ricordato termine di trenta giorni; al
 riguardo, il T.A.R. precisa che "e' pacifico e risulta agli atti" che
 la ricezione degli atti soggetti al controllo, adottati il 28  maggio
 1991,  e'  avvenuta  in data 28 giugno 1991, data indicata dal timbro
 apposto sull'avviso di ricevimento postale,  e  non  gia'  alla  data
 successiva  (4  luglio  1991)  risultante dal timbro di assunzione al
 protocollo del CO.RE.CO; per tale aspetto,  osserva  il  T.A.R.,  non
 puo' certo addebitarsi all'ente controllato una eventuale disfunzione
 riferibile agli uffici interni all'organo controllante;
       b)  l'ipotesi  di  decadenza  rilevata  nel  caso di specie non
 rientra nel novero  delle  pronunce,  di  carattere  costitutivo,  di
 annullamento  dell'atto  per  vizi  di  legittimita',  assoggettate a
 precisi termini di adozione e comunicazione  "anche  ai  sensi  della
 legge n. 142 del 1990", ed e' percio' suscettibile di essere rilevata
 e  dichiarata  in  qualunque  tempo,  salvo il limite delle posizioni
 giuridiche acquisite medio tempore;
       c) le delibere dichiarate decadute  non  rientrano  tra  quelle
 contemplate  nell'elenco  di cui all'art. 4 della legge della Regione
 Lombardia n. 12 del 1982, come modificata dalla legge regionale n. 16
 del 1990, comprensivo degli atti non assoggettati  a  controllo,  non
 avendo  dette  delibere  per  oggetto una delle categorie previste da
 questa norma.
    2. - Dati i precedenti rilievi, il giudice a quo  osserva  che  il
 ricorso  della  U.S.S.L.  andrebbe  rigettato;  e'  pero'  proprio la
 disposizione normativa su  cui  le  declaratorie  di  decadenza  sono
 basate  a  suggerire al giudice rimettente dubbi di costituzionalita'
 della norma medesima.
    In tale direzione, il T.A.R. richiama innanzitutto lo sviluppo del
 quadro normativo generale, orientato nel senso del riconoscimento  di
 una  crescente  autonomia agli enti locali; l'iter evolutivo va dalla
 drastica riduzione, con l'art. 59 della legge n.  62  del  1953,  del
 controllo  di  merito  sugli  atti  degli  enti  locali;  alla  coeva
 eliminazione del termine di decadenza  di  otto  giorni  per  l'invio
 delle delibere al controllo prescritto dalla vecchia legge comunale e
 provinciale;  alla  nuova  configurazione  dell'assetto dei controlli
 recato dalla legge n. 142 del 1990 sulle autonomie  locali,  dove  si
 disciplinano come ipotesi eccezionali quelle di decadenza per mancato
 invio  dell'atto  a  controllo e dove viene soppresso il pur limitato
 sindacato di merito ancora previsto dall'art. 60 della  legge  n.  62
 del  1953;  alla  significativa riduzione del tipo di atti soggetti a
 controllo, limitato dall'art. 45 della legge n. 142 del 1990 ai  casi
 che  riguardano  le  delibere c.d. fondamentali; sino alla abolizione
 del controllo del CO.RE.CO sugli atti delle U.S.S.L. (art.  4,  comma
 8,  della  legge n. 412 del 1991, peraltro non applicabile al caso di
 specie ratione temporis).
    In tale contesto, osserva il T.A.R., se pure  non  mancano  disci-
 pline  di  leggi  regionali  che  hanno voluto introdurre dei termini
 "acceleratori" per l'invio delle delibere al controllo,  in  funzione
 dell'esigenza di pubblico interesse rappresentata dalla sollecitudine
 nello  svolgimento  della  funzione,  la finalita' sollecitatoria non
 puo' - come e' invece nella normativa denunziata -  essere  raggiunta
 con  la  previsione  della  decadenza,  ne'  degli  atti tardivamente
 inviati a controllo ne' tantomeno di quelli spediti entro il  termine
 stabilito ma pervenuti oltre il termine medesimo.
    In  queste  ultime  ipotesi, ad avviso del rimettente, si verrebbe
 infatti ad imputare agli enti controllati una serie  di  "adempimenti
 successivi  di segreteria e conseguentemente degli apparati di ordine
 burocratico" che a detti enti fanno capo; adempimenti che  viceversa,
 non  essendo  piu'  ricollegati  alla  adozione  della  delibera e al
 relativo  contenuto,  non  dovrebbero  riflettersi  sugli atti, quali
 ragioni  di  decadenza  delle  delibere:  come  il  termine  per   la
 comunicazione   delle   decisioni   del   comitato   e',  secondo  la
 giurisprudenza  amministrativa,  di  carattere   ordinatorio,   cosi'
 reciprocamente  non  puo'  ammettersi  la  drastica conseguenza della
 decadenza in rapporto  al  superamento  del  termine  per  l'invio  a
 controllo,  giacche'  l'uno  e  l'altro  termine sono sostenuti dalla
 stessa ratio, consistente nel  rendere  piu'  efficace  e  tempestivo
 l'esercizio della funzione.
    3.   -   Ulteriori  argomentazioni  a  sostegno  della  ipotizzata
 illegittimita' costituzionale sono poi formulate dal T.A.R. alla luce
 del disposto dell'art. 32 (recte: 46, comma 6) della legge n. 142 del
 1990, che stabilisce la sanzione di  decadenza  delle  sole  delibere
 adottate in via di urgenza - e percio' immediatamente eseguibili - ma
 trasmesse oltre il termine di cinque giorni dalla loro adozione.
    In  questo  caso,  la previsione della decadenza si giustifica per
 l'esigenza di evitare che con il ricorso  agli  atti  urgenti  l'ente
 possa  vanificare  il  controllo, inviando l'atto allorche' questo ha
 gia' prodotto i suoi effetti; ma tale  giustificazione  non  sussiste
 rispetto alle delibere ordinarie di cui si tratta nel giudizio a quo,
 cosicche'  con  la  disposta  previsione  si  viene  in definitiva ad
 introdurre, per queste delibere, un  "terzo  genere"  di  caducazione
 dell'atto  amministrativo  in  sede di controllo, oltre le ipotesi di
 verifica di legittimita' e merito previste dalla Costituzione,  e  di
 natura piu' grave dell'annullamento, perche' operante ipso iure e per
 vicende estranee all'atto oggetto di verifica.
    4.   -   La   ricognizione   del  quadro  normativo  si  completa,
 nell'ordinanza di rimessione, con il rilievo dell'art. 46,  comma  7,
 della  legge n. 142 del 1990 di riforma delle autonomie locali: detta
 norma contempla una riserva a favore della legge  regionale,  cui  e'
 demandato  di stabilire "..le modalita' e i termini per l'invio delle
 deliberazioni all'organo di  controllo  e  per  la  disciplina  della
 decorrenza  dei  termini  assegnati  ai  comitati  regionali  ai fini
 dell'esercizio del controllo stesso".
    Ma  questa  riserva  non  puo',  ad  avviso  del  giudice  a  quo,
 estendersi  sino  a  ricomprendere la disciplina dell'esercizio della
 funzione di controllo e conseguentemente a prevedere  forme  nuove  e
 ulteriori  di  caducazione  delle  delibere,  giacche'  la competenza
 legislativa regionale delineata dalla norma  in  parola  deve  essere
 configurata  come competenza attuativa ai sensi dell'art. 117, ultimo
 comma, della Costituzione, e dunque limitata alla posizione di  norme
 di  adattamento  alla  legislazione  statale, con riguardo alle "mere
 modalita' di inoltro degli atti all'organo tutorio".
    5.  -  Sulla  base  di  quanto  rilevato  alla  luce  dell'assetto
 normativo  generale  nella  materia,  il giudice rimettente individua
 nella disciplina  impugnata  la  violazione  dei  seguenti  parametri
 costituzionali:
      art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  di  situazioni  identiche, in ragione di
 circostanze estrinseche (la ricezione dell'atto) non coerenti con  la
 finalita'  della  funzione  di  controllo ne' sorrette da ragionevole
 motivo di diversificazione della disciplina;
      art.  117  della  Costituzione,  in quanto la legge regionale e'
 andata oltre i limiti segnati dalla  previsione  costituzionale,  che
 riserva   alla  normativa  statale  la  determinazione  del  tipo  di
 controlli esercitabili e dei relativi effetti, affidando  alla  legge
 regionale   una  piu'  contenuta  facolta'  di  emanazione  di  norme
 attuative, nei limiti  gia'  accennati;  il  precetto  costituzionale
 risulterebbe  poi  violato  anche  in ragione dell'introduzione di un
 nuovo genere di sindacato, non previsto ne'  dalla  Costituzione  ne'
 dalle leggi statali in materia, che si realizzerebbe con effetti piu'
 rigorosi di quanto avviene per il generale controllo di legittimita',
 data   l'operativita'  ipso  iure  e  la  natura  dichiarativa  della
 pronuncia;
      art. 128  della  Costituzione,  per  lesione  del  principio  di
 autonomia  degli  enti  sottoposti  a controllo, che si sostanzia nel
 sottrarre la disciplina delle relative  procedure  alla  legislazione
 regionale, attraverso una riserva di legge statale al riguardo;
      art. 130 della Costituzione, "per quanto riguarda i principi sul
 funzionamento del CO.RE.CO.".
    6.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente della giunta della
 Regione Lombardia,  deducendo,  in  primo  luogo,  l'inammissibilita'
 della  questione  per difetto di rilevanza. Emerge dagli atti, a tale
 proposito, che le declaratorie - poi impugnate dinanzi al T.A.R. - di
 decadenza delle delibere sono state adottate dal  comitato  regionale
 di controllo "in data 24 luglio e 7 agosto 1991", e cioe' oltre venti
 giorni  dopo  il  ricevimento  degli  atti medesimi; detto termine di
 venti giorni e' stabilito dal secondo  comma  dell'impugnato  art.  8
 della  legge  regionale  n.  12  del 1982 quale momento finale per la
 possibilita' di adozione della pronuncia di annullamento (o di rinvio
 per  riesame)  da  parte  del  CO.RE.CO,  con  conseguente   espressa
 attribuzione di esecutivita' dell'atto non controllato nel termine.
    Se   pure   il   T.A.R.  rimettente  sostiene  che  nella  specie,
 trattandosi di declaratoria di decadenza -  e  non  di  pronuncia  di
 annullamento  -  essa  e'  suscettibile  di  rilevazione in qualsiasi
 momento, indipendentemente dai termini stabiliti per l'esercizio  del
 controllo  (art. 59, comma 2, legge n. 62 del 1953; art. 46, comma 1,
 legge n. 142 del 1990; art. 8, comma 2, legge  regionale  n.  12  del
 1982),  si deve in contrario osservare, per l'interveniente, che, una
 volta decorso il termine senza l'adozione di alcun provvedimento,  il
 CO.RE.CO  non aveva piu' alcun potere dispositivo sugli atti; sia che
 questi fossero (come erano) decaduti perche' pervenuti all'organo  di
 controllo oltre il termine perentorio in argomento, sia che viceversa
 fossero  pur  sempre  efficaci, non spettava al comitato alcun potere
 provvedimentale. Le declaratorie di decadenza del CO.RE.CO, in questa
 linea, avrebbero dovuto essere considerate quali  mere  dichiarazioni
 di  scienza,  come  del resto incidentalmente affermato dal giudice a
 quo che attribuisce alle stesse natura "meramente  dichiarativa";  di
 conseguenza,   il   T.A.R.,   che   avrebbe  dovuto  alternativamente
 dichiarare il proprio difetto di giurisdizione - in quanto  investito
 di   impugnativa   di  "non  provvedimenti"  -  ovvero  annullare  le
 declaratorie - se  considerate  indebitamente  "atti"  con  contenuto
 dispositivo  e provvedimentale - avrebbe comunque potuto - e dovuto -
 definire il giudizio applicando le norme, non  interessate  da  alcun
 dubbio  di  costituzionalita', che stabiliscono il termine perentorio
 di venti giorni per l'emanazione dell'atto di controllo, prescindendo
 in   radice   dalla   risoluzione   della   proposta   questione   di
 costituzionalita' della norma denunziata, in quanto non rilevante.
    7.  - L'interveniente deduce poi, nel merito, l'infondatezza della
 questione.
    Previa disamina  dell'evoluzione  normativa  nella  materia  della
 decadenza  di  delibere  di enti locali, la regione sottolinea che la
 vigente disciplina del controllo sugli atti degli enti locali,  quale
 recata  nella  legge n. 142 del 1990, oltre a stabilire il termine di
 venti giorni  dalla  ricezione  dell'atto  per  l'espletamento  della
 funzione  (art.  46,  comma  1),  ha  previsto  che  sia la normativa
 regionale  a  stabilire  "modalita'  e  termini  per  l'invio   delle
 deliberazioni  all'organo  di  controllo  e  per  la disciplina della
 decorrenza dei  termini  assegnati  ai  comitati  regionali  ai  fini
 dell'esercizio  del  controllo  stesso" (comma 7 del citato art. 46),
 statuendo altrove  (comma  6  dello  stesso  articolo)  una  espressa
 decadenza per le deliberazioni urgenti non trasmesse all'organo della
 regione entro cinque giorni dalla loro adozione.
    La ratio di siffatte previsioni - al pari di quelle analoghe poste
 da  varie leggi regionali emanate prima della riforma delle autonomie
 locali del 1990 - e', prosegue la regione, evidente: anche se  l'atto
 non  urgente e non immediatamente eseguibile non produce effetti fino
 all'invio per il controllo e alla successiva decorrenza  del  termine
 per  il  controllo,  la fissazione di un termine di invio risponde ad
 una fondamentale esigenza di speditezza dell'azione amministrativa  e
 certezza  delle situazioni implicate con l'atto; sarebbero infatti in
 contrasto con tali  basilari  principi  anomale  prassi  di  delibere
 adottate  ma  non  inviate  a controllo, sia rispetto all'esigenza di
 sollecita verifica della delibera rispetto alla situazione  normativa
 e di fatto cui si riferisce, sia rispetto all'opportunita' di evitare
 invii "pilotati" al controllo.
    Ne'  puo'  essere  condivisa,  per  la regione, l'affermazione del
 giudice  a  quo  circa   la   non-imputabilita'   degli   adempimenti
 "burocratici",  successivi  all'adozione  delle  delibere,  agli enti
 controllati, poiche' anche questi adempimenti sono  svolti  sotto  la
 direzione  degli  organi  di  vertice dell'ente e sono espressione di
 oneri e obblighi facenti capo all'ente medesimo.
    E' dunque in queste coordinate che si iscrive la norma denunziata,
 che del resto si limita a stabilire  il  termine  perentorio  per  la
 ricezione  degli  atti  inviati  a  controllo, senza disciplinare gli
 effetti decadenziali che discendono dal mancato invio.
    Le asserzioni dedotte nell'ordinanza di rimessione sono  pertanto,
 ad    avviso   dell'interveniente,   prive   di   fondamento:   lungi
 dall'istituire un tertium genus di controllo, la legge  regionale  si
 e'  limitata  a  stabilire  - sulla falsariga di quanto gia' disposto
 dalla  normativa  statale  -  un  termine  per  l'invio  degli   atti
 nell'ambito  del  procedimento  di  controllo, rientrante sicuramente
 nell'ambito della competenza legislativa della regione;  ne'  fissare
 quel  termine  equivale a introdurre una tipologia della funzione, ma
 significa solo disciplinarne le modalita'.
    Neppure puo' essere invocato a contrario l'art. 46, comma 6, della
 legge n. 142  del  1990,  che  stabilisce  un  termine  di  decadenza
 limitatamente  all'invio  degli  atti  dichiarati urgenti, poiche' la
 stessa legge rinvia alla normativa regionale quanto  alla  disciplina
 dei "termini per l'invio" delle delibere (comma 7 cit.), il che rende
 evidente  che  il termine di cinque giorni rappresenta uno "standard"
 minimo  e  vincolante  per  il legislatore regionale, che resta pero'
 libero di disciplinare in termini piu' ampi la materia  attribuitagli
 dalla  stessa legge dello Stato. Ancora, e' inesatta - per la regione
 - la qualificazione della competenza legislativa  in  argomento  come
 meramente  attuativa  a  norma  dell'ultimo comma dell'art. 117 della
 Costituzione,   giacche'   essa   si   raccorda    alla    disciplina
 dell'attivita' di organi "della regione" a tutti gli effetti, sebbene
 costituiti  nei  modi  stabiliti  dalla legge statale (art. 130 della
 Costituzione).
    La normativa impugnata non puo' ritenersi percio' in contrasto con
 l'art. 117 della Costituzione, tanto piu' alla luce del  rinvio  alla
 legge  regionale  contenuto nell'art. 46, comma 7, della legge n. 142
 del 1990; sarebbe in contrasto con la lettera di  tale  ultima  norma
 l'asserita  limitazione  della  disciplina  alle  "mere  modalita' di
 inoltro"  degli  atti:  disciplinare  i  "termini"  non  puo'   voler
 significare porre termini che possano arbitrariamente essere violati.
    Quanto  agli  altri  parametri costituzionali invocati, la regione
 osserva:
      che il richiamo dell'art. 130 della Costituzione non e'  chiaro,
 non  essendovi  spiegazione  alcuna  dell'affermato  contrasto  della
 disciplina  denunziata  con  i  "princi'pi"  sul  funzionamento   del
 CO.RE.CO;
      che l'art. 3 della Costituzione non puo' dirsi violato, giacche'
 la  stabilita  perentorieta' del termine diversifica, legittimamente,
 tra le situazioni difformi del rispetto e  del  mancato  rispetto  di
 detto termine;
      che  la  disciplina impugnata non lede in alcun modo l'autonomia
 degli enti garantita dall'art. 128 della Costituzione, limitandosi  a
 stabilire  determinate  procedure  per  l'effettuazione dei controlli
 previsti dalla Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'articolo  8 della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982,
 n. 12, come modificato dall'art. 4 della  legge  regionale  20  marzo
 1990,  n. 16, "nella parte in cui (comma primo) prevede la decadenza"
 delle delibere pervenute all'organo di controllo oltre il termine  di
 trenta giorni dalla loro adozione.
    Nell'ordinanza di rinvio si sostiene il contrasto con: a) l'art. 3
 della  Costituzione, per "ingiustificata disparita' di trattamento di
 situazioni identiche  per  circostanze  che  non  risultano  sorrette
 ragionevolmente   da   una   differenza  sostanziale  ma  da  fattori
 totalmente  estrinseci  e  pertanto  avulsi  dalle  finalita'   della
 funzione  di  controllo",  e in particolare: per la impossibilita' di
 imputare  all'ente  controllato,  sotto  forma  di  decadenza   delle
 delibere  da  questi  adottate,  adempimenti  successivi di carattere
 burocratico non riferibili alla fase di adozione dell'atto e  al  suo
 contenuto,  bensi' ad evenienze estranee; per la necessita' di eguale
 trattamento degli  effetti  collegati  alla  mancata  osservanza  dei
 termini  rispettivamente  accordati all'ente controllato e all'organo
 di controllo, posto che per quest'ultimo il termine e'  da  ritenersi
 ordinatorio;  b) l'art. 117 della Costituzione, poiche' la competenza
 legislativa regionale in materia e' di carattere meramente attuativo,
 mentre la norma  impugnata  avrebbe  surrettiziamente  introdotto  un
 nuovo  -  e  radicale - tipo di caducazione in sede di controllo, non
 previsto  ne'  dalla  Costituzione ne' dalle leggi statali; c) l'art.
 128  della  Costituzione,  per  lesione  dell'autonomia  degli   enti
 assoggettati a controllo, garantita dalla riserva di legge statale in
 materia;  d)  l'art.  130  della Costituzione, "per quanto riguarda i
 principi sul funzionamento del CO.RE.CO".
    2.  -  Deve  essere  preliminarmente  disattesa   l'eccezione   di
 inammissibilita'  sollevata  dalla Regione Lombardia nell'assunto che
 le pronunce di decadenza delle delibere della unita'  socio-sanitaria
 locale,  impugnate  dinanzi al Tribunale amministrativo regionale che
 ha sollevato la questione, sono state adottate da parte del  comitato
 regionale  di  controllo  (CO.RE.CO) oltre il termine di venti giorni
 previsto dalla legge per l'esercizio  della  funzione  di  controllo,
 onde  il  giudizio  a  quo  dovrebbe  essere  definito  solamente con
 l'applicazione delle norme che considerano perentorio tale termine  e
 quindi  indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione
 di costituzionalita'.
    Osserva la Corte che nell'ordinanza  di  rimessione  il  Tribunale
 amministrativo  regionale  della  Lombardia  ha  preso  posizione sul
 punto, allo scopo  di  dimostrare  la  rilevanza  in  concreto  della
 questione,   manifestando   l'avviso  dell'infondatezza  delle  altre
 censure  del  ricorso  -  con  il  quale  erano  stati  impugnati   i
 provvedimenti del CO.RE.CO. - e, fra esse, quella con la quale si era
 denunciata  l'illegittimita'  di  quei  provvedimenti proprio perche'
 adottati dopo lo scadere dei venti giorni  previsti  per  l'esercizio
 del  potere  di annullamento. Si sostiene, difatti, nell'ordinanza di
 rinvio, l'inapplicabilita' di  quest'ultimo  termine  perche'  "nella
 specie   si   verte  non  in  ipotesi  di  pronuncia  costitutiva  di
 annullamento  per  vizi  di  legittimita'  dell'atto   sottoposto   a
 controllo,  ma  in  ipotesi  di declaratoria di decadenza, e pertanto
 suscettibile di essere rilevata in qualunque tempo".
    Orbene, una cosi' precisa presa di posizione in ordine al problema
 del termine entro cui deve essere pronunciata la  decadenza,  assunta
 dal  giudice a quo, che ha in tal modo gia' escluso di poter decidere
 la controversia nei sensi  che  condurrebbero,  secondo  la  regione,
 all'inammissibilita'  per  irrilevanza  in  concreto della questione,
 costituisce circostanza sufficiente a contrastare  l'eccezione.  Cio'
 in   conformita'  all'indirizzo  di  questa  Corte,  secondo  cui  il
 controllo   sull'ammissibilita'   della   questione   potrebbe    far
 disattendere  la  premessa  interpretativa  offerta dal giudice a quo
 solo quando quest'ultima  dovesse  risultare  palesemente  arbitraria
 (sentt. nn. 238 e 103 del 1993; 436 del 1992), il che non si verifica
 nel caso di specie.
    3.1.  -  Nel  merito,  deve precedere in ordine logico l'esame dei
 profili della questione che muovono  dall'assunto  secondo  cui  alla
 regione  non  spetti di introdurre nuove ipotesi e forme di controllo
 al di la' di quelle previste dalle leggi dello Stato.  Essa  dovrebbe
 limitarsi  ad  emanare  soltanto norme di attuazione delle prime, la'
 dove, nella specie, sarebbe stato  introdotto  un  tertium  genus  di
 controllo  rispetto  a  quelli  di  legittimita' e di merito indicati
 nell'art. 130 della Costituzione, con la  previsione  di  un  termine
 perentorio per l'invio delle delibere degli enti locali all'organo di
 controllo,  un  termine  alla  cui mancata osservanza e' connessa, in
 quanto perentorio, la pronuncia di decadenza "che  si  realizza  ipso
 iure  ed  ha  natura  meramente  dichiarativa". Cio', oltre a violare
 l'art. 117 della Costituzione, sarebbe in contrasto con il successivo
 art.  128,  sotto  il profilo della lesione dell'autonomia degli enti
 controllati, per i quali vige il principio  della  riserva  di  legge
 statale,  e  con l'art. 130 della Costituzione "per quanto riguarda i
 principi sul funzionamento del CO.RE.CO.".
    3.2. - Osserva la  Corte  che  le  censure  cosi'  prospettate  si
 fondano  sulla  errata  premessa  che  la  decadenza  delle delibere,
 inviate al comitato oltre il termine perentorio a tal fine  previsto,
 realizzi una nuova forma di controllo sugli atti degli enti locali.
    Questa  tesi  non  puo'  essere  seguita perche' la verifica della
 tempestivita' dell'invio non riguarda  il  contenuto  dell'atto,  cui
 chiaramente  si riferisce l'art. 130 della Costituzione nel prevedere
 le due forme di controllo tradizionale: di legittimita' e di  merito,
 bensi'  concerne un elemento esterno a tale contenuto e quindi non si
 concreta in una forma di sindacato  sull'atto,  ma  in  una  verifica
 della  regolarita'  del  procedimento  in  relazione  ai  presupposti
 previsti per l'esercizio della funzione da parte del comitato.
    Invero, la norma denunciata si muove in un quadro normativo  ormai
 compiutamente  delineato  dalla legge n. 142 del 1990 sulle autonomie
 locali - cui si deve far riferimento come norma  interposta  ai  fini
 del  presente  scrutinio  di  costituzionalita',  perche' e' essa che
 detta i principi attualmente  vigenti  -  che  demanda  appunto  alle
 regioni  la  disciplina  del  procedimento. In particolare l'art. 46,
 comma 2, di detta legge, prevede che le regioni debbano stabilire "le
 modalita' e i termini per l'invio delle deliberazioni  all'organo  di
 controllo  e per la disciplina della decorrenza dei termini assegnati
 ai comitati regionali ai fini dell'esercizio del controllo stesso".
    Il potere attribuito alle regioni di stabilire "le modalita' ed  i
 termini  per  l'invio  delle  deliberazioni" e' dunque cosi' ampio da
 comprendere la possibilita' di prevedere, come nel caso  della  legge
 regionale  impugnata,  un termine perentorio cui consegue, in caso di
 inosservanza, la decadenza delle  delibere.  La  norma  statale,  una
 volta  operate  dette attribuzioni che concernono anche i termini per
 l'attivazione della  funzione  di  controllo,  non  contiene  difatti
 alcuna   limitazione,  ne'  da  essa  e'  desumibile  in  alcun  modo
 l'esclusione  della  possibilita'  di  stabilire  un  termine  avente
 carattere  perentorio,  un  termine  percio' che, una volta stabilito
 come tale,  comporta  necessariamente  in  caso  di  inosservanza  la
 decadenza  dell'atto,  cioe'  la  sanzione  propria  a  tale  tipo di
 violazione. Ma, una volta che tale decadenza si  produce  in  ragione
 del  mero decorso del tempo, non puo' considerarsi estraneo ai poteri
 legislativi attribuiti alla regione,  bensi'  perfettamente  aderente
 alle  finalita'  in  vista  delle  quali  il termine e' stabilito con
 carattere di perentorieta', che la declaratoria di tale  effetto  sia
 stata  compresa  dall'art.  23,  primo  comma,  lett.  d) della legge
 regionale 8 febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art.  6  della
 legge  regionale  20  marzo  1990  n.  16 (peraltro non espressamente
 impugnato nell'ordinanza di rinvio che pur lamenta l'attribuzione  di
 detta declaratoria al CO.RE.CO) fra le attribuzioni dell'organo della
 regione.  Non  si  tratta invero di una nuova forma di controllo, non
 prevista dalle leggi dello Stato, bensi' della  presa  d'atto  di  un
 evento,  quale  la  decadenza, di per se' gia' prodottosi per effetto
 del ritardato invio della delibera. Dato che spetta alle  regioni  di
 fissare  il termine per l'invio delle delibere al comitato e dato che
 nella  specie  la  Regione Lombardia lo ha legittimamente determinato
 con il carattere della perentorieta', non risulterebbe rispondente  a
 logica   che   l'atto   dell'ente   locale  debba  essere  ugualmente
 assoggettato a controllo nonostante l'inosservanza di  quel  termine,
 che,  invece,  ove  constatata,  rende  inoperante  l'esercizio della
 funzione. Appare  percio'  coerente  con  la  finalita'  propria  del
 carattere  perentorio  del  termine  che la decadenza sia rilevata da
 parte dell'organo nei cui confronti essa in primo luogo si manifesta,
 e  che  cio'  avvenga  in  sede  di  verifica  dei  presupposti   per
 l'esercizio di quel potere.
    3.3. - Non puo', peraltro, a questo punto non considerarsi come la
 disciplina   regionale  impugnata,  con  la  previsione  del  termine
 perentorio per l'invio delle delibere,  ripristinando  un  meccanismo
 gia'  stabilito  nel precedente sistema dei controlli sia pure con la
 indicazione,  allora,  di  un  termine  di  gran  lunga  piu'  breve,
 conferisca  trasparenza  all'attivita'  degli enti locali in funzione
 della certezza dei loro rapporti con gli amministrati.
    Cio' serve ad impedire  che  l'attuazione  di  delibere  dei  loro
 organi  istituzionali  possa  artificiosamente  essere  ostacolata  o
 ritardata  senza  alcun  presumibile  limite   di   tempo,   per   il
 perseguimento di finalita' estranee agli interessi dell'ente.
    E'  poi  evidente  come la previsione della decadenza, a causa del
 ritardato invio  delle  delibere  rispetto  al  termine  congruamente
 previsto   in   trenta   giorni   dalla  legge  regionale  in  esame,
 contribuisca al buon andamento ed  all'imparzialita'  della  funzione
 amministrativa,    sia   perche'   sollecita   la   vigilanza   degli
 amministratori sugli  uffici,  ai  fini  di  uno  spedito  corso  dei
 deliberati  dell'ente,  sia  perche'  pone  al  riparo  i  funzionari
 amministrativi da eventuali indebite pressioni  dirette  a  ritardare
 quel   corso,   costituendone  remora  le  responsabilita'  cui  essi
 andrebbero  incontro  in  caso  di  decadenze  dipendenti   da   loro
 comportamenti.
    4. - Le considerazioni teste' formulate inducono a disattendere la
 questione  sollevata  con riguardo all'art. 8 cit. nel suo complesso,
 per asserita violazione dell'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo della ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni
 identiche,  perche'  la  decadenza verrebbe fatta dipendere non dalla
 volonta' degli  organi  istituzionali  dell'ente,  ma  dalla  mancata
 osservanza    di    adempimenti    successivi    di   segreteria   e,
 conseguentemente, degli apparati  di  ordine  burocratico,  cioe'  da
 comportamenti che non dovrebbero essere imputati all'ente.
    Osserva  la  Corte  che,  per  quel che riguarda l'attivita' degli
 uffici amministrativi dell'ente, l'imputazione a questo degli effetti
 dei  comportamenti  negligenti  degli  uffici  stessi,  che   possano
 produrre  la  decadenza  delle  delibere  degli organi istituzionali,
 costituisce  la  naturale  conseguenza  dell'inquadramento  di  detti
 uffici nella struttura dell'ente medesimo e della loro subordinazione
 alla  vigilanza  degli  organi  elettivi.  Questa,  se regolarmente e
 costantemente  attivata,  garantisce  che  gli  uffici  stessi  siano
 indotti  ad  adempiere  i loro compiti con esattezza e tempestivita',
 tenuto  conto  delle  responsabilita'  cui,  come  si  e'  detto,   i
 rispettivi  titolari  andrebbero  incontro  in  caso di comportamenti
 negligenti.  E'  questo  controllo  interno,  dunque,   la   premessa
 indispensabile   affinche'  la  previsione  della  perentorieta'  del
 termine,  di  cui alla legge regionale impugnata, produca gli effetti
 voluti in termini di trasparenza, di certezza dei rapporti e di  buon
 andamento che la giustificano.
    5.  -  La  censura  e' invece fondata per la parte in cui la norma
 denunziata imputa all'ente locale le conseguenze  dovute  ai  ritardi
 del  servizio  postale,  stabilendo  che,  come rileva l'ordinanza di
 rimessione, le delibere, entro i  termini  perentori  previsti  dalla
 disposizione,  che  accomuna  in  un'unica previsione normativa anche
 l'ipotesi delle delibere immediatamente eseguibili, debbano pervenire
 all'organo di controllo anziche', come appare ragionevole, essere  ad
 esso spedite.
    La disposizione impugnata, sotto tale aspetto, e' difatti priva di
 giustificazione,  facendo  irragionevolmente  discendere  conseguenze
 negative per l'ente locale da comportamenti di uffici  esterni,  come
 quelli  postali, e quindi non controllabili dall'ente stesso. Essa e'
 percio' costituzionalmente  illegittima  in  riferimento  all'art.  3
 della Costituzione.