ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  13,  primo  e
 secondo   comma,   del   decreto-legge  24  novembre  1990,  n.  344,
 convertito, con modificazioni, nella legge 23  gennaio  1991,  n.  21
 (Corresponsione  ai  pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti
 economici  relativi  al  periodo  contrattuale   1988-1990,   nonche'
 disposizioni  urgenti  in  materia di pubblico impiego), promosso con
 ordinanza emessa il  24  giugno  1992  dal  Tribunale  Amministrativo
 Regionale  della  Puglia  -  Sezione di Lecce sul ricorso proposto da
 Bisanti Antonio ed altri contro l'I.N.P.S., iscritta al  n.  137  del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di costituzione  di  Bisanti  Antonio  ed  altri  e
 dell'I.N.P.S.,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 1993 il Giudice  relatore
 Francesco Guizzi;
    Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Pellegrino  per Bisanti Antonio ed
 altri, Fabio Fonzo per l'I.N.P.S.  e  l'avvocato  dello  Stato  Mario
 Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    Tre  avvocati  dipendenti  dell'INPS  (decima qualifica funzionale
 nell'area professionale legale)  proponevano  ricorso  al  TAR  della
 Puglia,  sezione  di Lecce, avverso un provvedimento di inquadramento
 operato dall'Ente nei livelli funzionali, lamentando la irragionevole
 disparita' di trattamento  rispetto  a  colleghi  di  pari  o  minore
 anzianita'  di  servizio nei livelli piu' elevati. Essi chiedevano la
 ricostruzione economica delle carriere e  la  condanna  dell'Istituto
 alla   corresponsione,   dal   1  luglio  del  1990,  della  medesima
 retribuzione percepita dai  predetti  avvocati,  con  pari  o  minore
 anzianita', collocati in piu' elevati livelli professionali.
    I tre ricorrenti erano stati inquadrati, con effetti economici dal
 1  luglio  1990, due nel livello iniziale e l'altro nel primo livello
 differenziato.  Fasce   di   professionalita',   queste,   introdotte
 dall'art.  14 del d.P.R. n. 43 del 1990, successivamente recuperato -
 in seguito al mancato "visto" della Corte dei conti  -  dall'art.  13
 del   decreto-legge   24  novembre  1990,  n.  344,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 23 gennaio 1991, n. 21.
    Tale  normativa  ha  infatti   innovato   il   precedente   quadro
 legislativo  istituendo  tre  fasce  di  professionalita': un livello
 iniziale, un primo  e  un  secondo,  attribuendo  ai  due  ultimi  un
 contingente  pari  al  40  e al 20 per cento della dotazione organica
 ("area legale") e differenziando i trattamenti retributivi iniziali.
    L'accesso, sulla base di concorsi per titoli, e'  consentito  dopo
 un'anzianita' minima di servizio.
    I  tre ricorrenti percepivano un trattamento economico inferiore a
 quello di colleghi  di  minore  anzianita',  vincitori  tuttavia  del
 concorso  per  l'accesso  ai  predetti livelli professionali. Il TAR,
 investito anche di un'istanza cautelare, ha ritenuto rilevante e  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 del gia' richiamato art. 13.
    A giudizio del rimettente la previsione di accesso (per titoli)  a
 livelli  differenziati  dell'area  professionale  legale  innoverebbe
 fortemente rispetto all'assetto di cui alla legge n. 70 del 1975,  la
 quale  -  istituendo il ruolo professionale - avrebbe fissato, per il
 personale degli enti  pubblici,  un'unica  qualifica  funzionale  per
 tutti  gli  appartenenti  all'"area  legale",  nel cui ambito sarebbe
 stata assicurata la progressione  economica  con  classi  stipendiali
 basate  esclusivamente sull'anzianita' di servizio. Tale normativa si
 sarebbe realizzata,  pienamente,  con  la  contrattazione  collettiva
 recepita  attraverso  lo  strumento del d.P.R. (411 del 1976, 509 del
 1979, 346 del 1983, 267 del 1987).
    Le richiamate fonti normative avrebbero previsto  differenziazioni
 retributive  soltanto  per  coloro  i  quali  ricoprano  incarichi di
 coordinamento.
    L'ultimo accordo (2 agosto 1989 recepito  nel  d.P.R.  n.  43  del
 1990)  prevedeva,  nell'ambito  della  X qualifica funzionale, i gia'
 indicati livelli differenziati di  professionalita'.  Previsione  cui
 sarebbe  mancato,  pero',  il  "visto" della Corte dei conti, si' che
 sarebbe stata reintrodotta nell'identica formulazione da una serie di
 decreti legge, di cui l'ultimo convertito nella legge n. 21 del 1991.
    L'innovazione sarebbe, per il TAR, in contrasto con  il  principio
 di  perequazione  retributiva ricavabile dal combinato disposto degli
 articoli 3, primo comma, e 36,  primo  comma,  della  Costituzione  e
 dalla  legislazione  quadro, in ispecie la legge 29 marzo 1983, n. 93
 in materia di pubblico impiego.
    Il   giudice  a  quo  ha  accolto  le  doglianze  dei  ricorrenti,
 sottolineando  l'anomalia  -  pur  in  seguito  a   concorso   -   di
 scavalcamenti  nell'accesso  ai  livelli differenziati superiori. Una
 disparita' ritenuta irrazionale, giacche' gli appartenenti  al  ruolo
 professionale  svolgerebbero  tutti la medesima attivita'. Qualora la
 questione dovesse risultare fondata - questa la conclusione del TAR -
 la  norma  censurata  andrebbe  eliminata  e,  conseguentemente,   si
 renderebbe  necessaria  una ricostruzione del trattamento retributivo
 degli appartenenti alla predetta X qualifica.
    Sono  intervenuti  i  ricorrenti,  tutti  gia'   patrocinanti   in
 Cassazione,  e  hanno ribadito la loro doglianza circa l'identita' di
 funzione,  impegno  e  responsabilita'  degli  appartenenti  all'area
 professionale  legale,  sostenendo  che  una scelta razionale avrebbe
 dovuto comportare l'inserimento nel livello iniziale dei procuratori,
 nel primo differenziato  degli  avvocati  e  nel  secondo,  pur  esso
 differenziato,  dei  patrocinanti  in Cassazione. Non altra soluzione
 sarebbe stata ipotizzabile.
    Il trattamento retributivo differenziato sarebbe in contrasto  non
 soltanto  con  i  gia'  citati articoli 3 e 36 della Costituzione, ma
 anche con il 97. Alcuni  dipendenti  potrebbero  infatti  rimanere  a
 tempo   indeterminato,   anche  sino  al  pensionamento,  al  livello
 stipendiale iniziale:  il  contingentamento  numerico  determinerebbe
 siffatta  irrazionalita',  che  potrebbe  essere eliminata prevedendo
 l'accesso ai livelli funzionali in base all'anzianita' di servizio e,
 quindi, senza sbarramenti.
    E'  intervenuto  l'INPS,  che  ha  chiesto  la   declaratoria   di
 inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza della questione.
    Con  una  prima memoria l'Istituto ha eccepito l'irrilevanza della
 questione, in quanto il rimettente avrebbe indicato  erroneamente  la
 norma   senza   coinvolgere   nell'impugnativa   altre   disposizioni
 rilevanti. L'articolo 13 del decreto-legge 24 novembre 1990, n.  344,
 si  comporrebbe  di  un  solo  comma  e non di due. Si potrebbe certo
 supporre, secondo l'INPS, che  il  riferimento  ai  primi  due  commi
 attenga,  in  realta',  ai  commi  12  e 13 dell'art. 14 del d.P.R 13
 gennaio 1990, n. 43, cosi' come modificato dal predetto art.  13  del
 decreto-legge;   ma   in   tal   caso   mancherebbe  il  rapporto  di
 conseguenzialita' tra l'oggetto della domanda e le norme  denunciate.
 Il  presupposto  e  la  differenziazione  dei trattamenti retributivi
 sarebbero infatti costituiti dalla selezione concorsuale prevista dal
 terzo comma della norma impugnata, ovvero dal comma 14  dell'art.  14
 del  citato d.P.R. n. 43. La questione sarebbe comunque infondata, in
 quanto basata  su  un  presupposto  erroneo:  la  medesima  attivita'
 professionale esplicata dagli appartenenti al ruolo professionale.
    In  una  successiva  memoria  l'INPS  ha aggiunto che la pronuncia
 additiva   richiesta   alla    Corte    invaderebbe    l'ambito    di
 discrezionalita'  del  legislatore; ed ha precisato che l'irrilevanza
 della  questione  si  paleserebbe  anche  in  relazione  alla  misura
 cautelare sollecitata dai ricorrenti. Essa supporrebbe l'accertamento
 del  fumus  boni  iuris  e del periculum in mora e, conseguentemente,
 l'accertamento del suo presupposto - l'identita' di funzione - che e'
 invece un postulato tutto da verificare processualmente in  relazione
 al  fumus  e,  dunque,  motivato  in  funzione  della rilevanza della
 questione.
    Quanto  alla  infondatezza,  l'Istituto  considera  arbitrario  il
 richiamo alla legge 20 marzo 1975,  n.  70,  che  non  prescinde  dal
 pregresso quadro normativo, ove si prevede per i professionisti degli
 enti  pubblici  un diverso sistema di retribuzioni ancorato ai gradi,
 al merito comparativo e ai concorsi, come  avviene  per  l'Avvocatura
 dello Stato.
    La  realta',  secondo  l'INPS,  e'  diversa da quanto sostengono i
 ricorrenti: i professionisti  del  parastato  svolgerebbero  funzioni
 differenziate,  perche'  legati  da  un  rapporto  derivante  sia dal
 mandato professionale sia dal pubblico impiego  e,  inoltre,  perche'
 pure  nello  svolgimento  del  mandato  professionale  risulterebbero
 differenziati i livelli di merito e di capacita'.
    Sotto il profilo del rapporto di pubblico  impiego  si  dovrebbero
 apprezzare,  per vero, le diversita' qualitative tra i professionisti
 e  i  livelli  di  produttivita'  prefissati   dall'ente.   Di   qui,
 l'arbitrarieta'  delle  ipotesi  avanzate  dai  ricorrenti  circa una
 distinzione - quanto ai  livelli  professionali  -  fra  procuratori,
 avvocati  e  patrocinanti in Cassazione: una distinzione apodittica e
 ignota a qualsiasi normativa di rango costituzionale.
    Alla base della questione sollevata vi sarebbe, poi,  il  problema
 inerente   alla   tipologia   dei   titoli   idonei  ad  immettere  i
 professionisti nei livelli differenziati di professionalita'; ma tale
 questione  atterrebbe  alla  normativa  regolamentare   estranea   al
 giudizio di costituzionalita' promosso dal TAR.
    E' intervenuto infine il Presidente del Consiglio, rappresentato e
 difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto il rigetto
 della questione perche' infondata. La  norma  impugnata  sarebbe,  ad
 avviso  dell'Avvocatura, in linea con la legge quadro n. 93 del 1983,
 che  delineerebbe  per  il   pubblico   impiego   un   ventaglio   di
 professionalita'  distinte  e diversamente retribuite. L'ordinanza si
 baserebbe, quindi, sul presupposto errato della identita' di funzioni
 fra i legali dell'INPS.
                        Considerato in diritto
    1. - Viene all'esame della  Corte  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 13, primo e secondo comma, del decreto-legge
 24  novembre  1990,  n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di
 acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo  contrattuale
 1988-1990,  nonche'  disposizioni  urgenti  in  materia  di  pubblico
 impiego),  convertito  nella  legge  23  gennaio  1991,  n.  21,  con
 modificazioni  (piu' esattamente trattasi dei commi 12 e 13 dell'art.
 14 del d.P.R. 13  gennaio  1990,  n.  43,  quali  risultano  inseriti
 dall'art.  13 del citato d.l. 24 novembre 1990, n. 344). Normativa in
 contrasto con i principi di perequazione retributiva (secondo  cui  a
 identiche    funzioni   deve   corrispondere   identico   trattamento
 economico), ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, primo
 comma, e 36, primo comma, della Costituzione  e  dalla  normativa  in
 materia  di  pubblico impiego; di ragionevolezza, considerato che gli
 appartenenti  al  ruolo  professionale  -  area  legale  -  dell'INPS
 svolgerebbero  tutti la medesima attivita' in forza dell'abilitazione
 all'esercizio delle professioni di avvocato e  procuratore;  di  buon
 andamento dell'amministrazione pubblica.
    2.  -  La  difesa  dell'INPS  ha sollevato, nelle memorie scritte,
 alcune eccezioni di inammissibilita'.
    Va rigettata, anzitutto, quella  relativa  all'errata  indicazione
 della  norma  impugnata.  L'osservazione  dei ricorrenti, secondo cui
 nell'ordinanza  di   rimessione   la   norma   impugnata   e'   stata
 adeguatamente  individuata  attraverso  la trascrizione dei primi due
 capoversi, consente di superare l'eccezione sollevata dall'Istituto.
   Ad analoga soluzione deve pervenirsi  anche  con  riferimento  alla
 seconda eccezione, quella circa il preteso difetto di rilevanza della
 questione  prospettata  dal Tribunale rimettente rispetto al giudizio
 di merito e a quello cautelare, sollecitato dai  ricorrenti.  E  cio'
 perche'  l'asserita  manchevole  valutazione  del fumus boni iuris in
 sede cautelare, che pure non implica  un'ampia  motivazione,  non  e'
 certo sindacabile in questa sede.
    3.   -   Meritevole   di  ben  altra  considerazione  e',  invece,
 l'eccezione  di  inammissibilita'  della   questione   proposta   con
 riferimento all'esito additivo della pronuncia invocata.
    Invero  l'ordinanza  - sia pure non formalmente, ma di certo nella
 sostanza - richiede l'affermazione dell'illegittimita' costituzionale
 della  norma  impugnata  con  riferimento  ai   soli   professionisti
 dell'area  legale  degli  enti  pubblici  non  economici, in tal modo
 allontanando il pericolo di un esito  dagli  effetti  incontrollabili
 per   la   possibilita'   di   coinvolgere   anche   altre  categorie
 professionali (oltre quella degli avvocati e procuratori).
    Quand'anche cosi' limitato, il petitum  di  cui  all'ordinanza  di
 rimessione  non  e'  affatto  univoco,  bensi'  aperto  a piu' di una
 soluzione. Non condurrebbe, infatti, all'invocato  risultato  univoco
 il  riferimento a un meccanismo di mera ricostruzione economica delle
 retribuzioni dei professionisti, basato sulla anzianita' di servizio,
 quale - ad avviso dei ricorrenti - risulterebbe dalla caducazione dei
 due  commi  impugnati,   senza   peraltro   intaccare   gli   assetti
 organizzativi,  la  progressione  nella  carriera  e  i meccanismi di
 selezione. Cio' in  quanto  la  pretesa  irrazionalita'  dell'assetto
 retributivo  denunciato e' la conseguenza dell'attuale organizzazione
 della categoria professionale all'interno dell'"area legale".  Capace
 com'e',  tale  assetto,  di  determinare  disparita'  di  trattamento
 economico - che potranno essere oggetto di ulteriore  valutazione  da
 parte   del   legislatore   -   tra   professionisti  aventi  diverse
 abilitazioni  professionali,  a  causa  della  differente  anzianita'
 dell'esercizio forense, potendo professionisti piu' giovani risultare
 favoriti  da  meccanismi  di selezione basati su un concorso per soli
 titoli e  sganciato  dall'abilitazione  posseduta,  poiche',  per  la
 normativa  in esame, non rileva l'essere procuratore legale, avvocato
 o addirittura patrocinante in Cassazione.
    L'area legale - ai sensi dell'art. 17 della legge 20  marzo  1975,
 n.  70,  sul  riordinamento  degli  enti  pubblici  -  avrebbe dovuto
 garantire, cosi' come avviene per  le  categorie  professionali  piu'
 vicine,  una  differenziazione  delle classi stipendiali conseguibili
 per anzianita', ma anche (in anticipo) a seguito del superamento, per
 un massimo di due volte, di "appositi concorsi  o  corsi  interni  di
 aggiornamento  o specializzazione promossi dall'ente .. per un numero
 di posti in ogni caso non superiore al  15%  dei  posti  in  organico
 nella   qualifica".   Invece,  il  decreto-legge  n.  344  del  1990,
 convertito, con modificazioni, nella legge 23 gennaio  1991,  n.  21,
 nel  generalizzare  l'istituto  del  concorso  (per soli titoli) come
 strumento  di selezione per l'accesso ai due livelli differenziati di
 professionalita', ha sbarrato la strada al piu'  lento,  ma  comunque
 sicuro,   avanzamento  per  anzianita',  quale  canale  parallelo  di
 valorizzazione, anche economica, della professionalita'.
    Orbene, la progressione  in  carriera  sulla  base  d'un  siffatto
 concorso, del tutto avulso dalle abilitazioni conseguite nel rispetto
 della  disciplina  vigente,  potrebbe  non  valorizzare pienamente la
 professionalita'  di  questa  specialissima  categoria  di   pubblici
 dipendenti.  Del  resto,  sia l'avvocatura pubblica sia quella libera
 conoscono forme di progressione professionale, rispettivamente  nella
 carriera  e  nella professione, incentrate su rigorose prove di esame
 (anche  scritte)  o  sulla  base  delle  esperienze  maturate  in  un
 adeguato, e comprovato nel tempo, esercizio professionale.
    Se,  invero,  non e' da revocarsi in dubbio che l'attivita' svolta
 dai professionisti legali e'  identica  per  tutti  gli  appartenenti
 all'"area  legale"  (perche' tutti indistintamente esplicano funzioni
 identiche), le differenze piu'  significative  rilevabili  andrebbero
 riferite  al  valore  dei  singoli,  cioe' alle capacita' di ciascuno
 nell'espletamento del mandato professionale, anche in  considerazione
 della finalita' perseguita dall'ente pubblico. Questa Corte (sent. n.
 928 del 1988) ha gia' affermato la necessita' di considerare entrambi
 i  profili  che  vengono  in  rilievo quando si esamini la figura dei
 legali  degli  enti  pubblici:  quello  di  dipendente  e  quello  di
 professionista.  E  se  e' nell'aspetto professionale l'ubi consistam
 dell'attivita'  e  la  ragione  stessa  del  reclutamento  da   parte
 dell'ente  pubblico,  tuttavia  la  progressione nella carriera e nel
 trattamento economico non puo' essere del tutto disancorata da quanto
 si  verifica  nel  libero  foro,  ove  si  prende  in  considerazione
 l'anzianita'  nell'esercizio professionale e si consente l'iscrizione
 (meno rapida) all'albo degli  avvocati  e  al  patrocinio  presso  le
 giurisdizioni superiori.
    Le  norme  impugnate  sembrano  ignorare queste modalita', si' che
 potrebbero  apparire  non  conformi   ai   parametri   costituzionali
 invocati;   ma   una  decisione  di  accoglimento  comporterebbe  una
 pluralita' di soluzioni che rientrano nella sfera di  competenza  del
 legislatore,  qual  e'  certo,  tra l'altro, quella prospettata della
 difesa dei ricorrenti - con la previsione d'un  ancoraggio  alle  di-
 verse  abilitazioni  professionali  -  o, anche, quella cui si ispira
 l'Avvocatura dello  Stato,  la'  dove  la  progressione  conosce  una
 duplicita'  di  strade entrambe idonee a contemperare l'anzianita' di
 servizio con il valore individuale del singolo (si veda  la  sentenza
 di questa Corte n. 315 del 1993).
    La questione, percio', deve considerarsi inammissibile.