ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  5-  bis  della
 legge  8 agosto 1992, n. 359 (recte: art. 5- bis d.l. 11 luglio 1992,
 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359) (Misure urgenti
 per il risanamento della finanza pubblica), promossi con le  seguenti
 ordinanze:  1) ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dalla Corte d'Appello
 di Lecce nel procedimento civile  vertente  tra  Matteo  Pasquale  ed
 altre  ed  il  Comune  di  Lecce,  iscritta  al  n.  232 del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993; 2) n. 3 ordinanze emesse
 il 21 gennaio, il 28 gennaio ed il  6  aprile  1993  dalla  Corte  di
 appello  di Genova nei procedimenti civili vertenti tra Fresca Elsa e
 il Comune di Savona, Pozzo Emma ed altri  e  il  Comune  di  Recco  e
 Morixe  Renza  ed altri e il Comune di Vado Ligure, ai nn. 268, 269 e
 270 del registro ordinanze  1993,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1993;
    Visto  l'atto  di  costituzione di Fresia Elsa nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 20  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Ritenuto  che  nel  corso di un giudizio di opposizione alla stima
 dell'indennita' di espropriazione,  promosso  da  Matteo  Pasquale  e
 Centonze  Concetta,  la  adita  Corte d'appello di Lecce ha sollevato
 (con  ordinanza  del  4  marzo   1993)   questione   incidentale   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 5- bis, commi 1, 2, 6 e 7 della
 legge 8 agosto 1992 n. 359 (recte: art. 5- bis d.l. 11 luglio 1992 n.
 333,  convertito  nella  legge  8  agosto  1992 n. 359) recante nuovi
 criteri per la determinazione della indennita' suddetta,  ipotizzando
 la violazione: a) dell'art. 24, commi 1 e 2, della Costituzione nella
 parte  in  cui,  sostanzialmente penalizzando il soggetto che non sia
 addivenuto alla cessione volontaria del bene e che  abbia  scelto  la
 via  giudiziaria  per  la  tutela  del  proprio  diritto,  stabilisce
 comunque per quest'ultimo una riduzione dell'importo indennitario  in
 misura  del  40%;  b) dell'art. 3 della Costituzione perche' crea una
 irragionevole disparita' di trattamento tra chi al momento della  sua
 entrata  in  vigore  ha  visto  definita  la propria posizione con la
 vecchia normativa e chi, invece, per cause assolutamente indipendenti
 dalla sua volonta', tale posizione non ha visto definita in tempo; c)
 dell'art. 42, comma 3, della  Costituzione  perche'  non  costituisce
 "serio  ristoro"  un indennizzo espropriativo pari a circa il 30% del
 valore venale del bene espropriato;
      che  in  altrettanti  analoghi giudizi di opposizione alla stima
 dell'indennita'  di  espropriazione  -  proposti  rispettivamente  da
 Fresia  Elsa,  Pozzo  Emma  ed  altri, e da Morixe Reza ed altro - la
 medesima norma (anche con  riferimento  al  quinto  comma)  e'  stata
 censurata  dalla  Corte d'appello di Genova con ordinanze del 21 e 28
 gennaio e 6 aprile 1993 per sospetta  violazione:  a)  dell'art.  42,
 comma   3,   della  Costituzione  (per  inadeguatezza  e  difetto  di
 congruita' dell'indennizzo espropriativo quale risultante  dal  nuovo
 criterio  di  calcolo, che - dovendo farsi riferimento alla semisomma
 (peraltro ridotta del 40%) del valore venale e del reddito dominicale
 - comporta una diminuzione dell'indennita'  che  va  ben  oltre  quel
 margine  di  scostamento, tra il "serio ristoro" dovuto a chi subisce
 l'espropriazione ed il pieno "valore venale"  del  bene  espropriato,
 scostamento  che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha riconosciuto
 compatibile con  la  natura  dell'istituto  dell'espropriazione);  b)
 (ancora)  dell'art.  42,  comma  3,  della  Costituzione  (perche' la
 previsione del quinto comma della norma  censurata,  secondo  cui  e'
 rinvia  ad  un  regolamento, da emanarsi con decreto ministeriale, la
 definizione dei criteri e dei requisiti per la  individuazione  della
 edificabilita'  di  cui al precedente terzo comma, viola il principio
 della riserva di legge); c) degli  artt.  3  e  24,  comma  1,  della
 Costituzione  (per  disparita'  di  trattamento  tra  chi accede alla
 cessione volontaria del bene e chi invece intende  adire  l'autorita'
 giudiziaria  con  opposizione alla stima e per violazione del diritto
 di agire in giudizio perche' la penalizzazione  della  riduzione,  in
 tal   caso,  del  40%  dell'indennizzo  si  traduce  in  un  ostacolo
 all'esercizio di un diritto soggettivo; inoltre vi sarebbe disparita'
 di trattamento tra chi al momento dell'entrata in vigore delle  nuove
 norme abbia gia' subito l'esproprio e non possa quindi piu' convenire
 la  cessione  volontaria  del  bene,  e chi, non essendo ancora stato
 emesso  un  provvedimento  ablatorio,  puo'  accedere  alla  cessione
 volontaria senza subire la riduzione del 40%);
      che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che le questioni  siano  dichiarate  manifestamente  inammissibili  o
 infondate  in quanto gia' delibate da questa Corte con la sentenza n.
 283/93;
      che si e' costituita la parte privata  Fresia  Elva  depositando
 memorie e in particolare, nel prendere atto della sentenza n. 283 del
 1993  di questa Corte, emessa nelle more del giudizio, non ha chiesto
 la discussione in pubblica udienza;
    Considerato  che  e'  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  5- bis, primo comma, d.l. n.
 333/92 cit. sollevata - in riferimento all'art. 42,  comma  3,  della
 Costituzione  - sotto il profilo che l'indennizzo espropriativo (pari
 al 40% della semisomma del valore venale e  del  reddito  dominicale)
 non  presenta  le  caratteristiche  del  "serio  ristoro", che invece
 dovrebbe avere, atteso che la Corte ha gia' dichiarato non fondata la
 medesima questione con la sentenza n. 283  del  1993,  ne'  le  Corti
 d'appello   rimettenti   allegano   nuovi   e   diversi  elementi  di
 valutazione;
     che e' viceversa manifestamente  inammissibile  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  5-  bis, primo comma, ultima
 parte,   e   secondo   comma,   riguardante   il   previsto   esonero
 dall'abbattimento  del 40% dell'indennizzo espropriativo solo in caso
 di  cessione volontaria per assunta disparita' di trattamento (art. 3
 della Costituzione) e per asserita vulnerazione del diritto di azione
 (artt. 24 della Costituzione) essendo,  in  entrambe  le  fattispecie
 all'esame  dei  giudici  a  quibus,  gia'  intervenuti  i  decreti di
 espropriazione  sicche'  non  puo'  piu'  trovare   applicazione   la
 disciplina  della  cessione  volontaria,  come  ritenuto  in  analoga
 fattispecie dalla cit. sent. n. 283/93;
      che altresi' manifestamente inammissibile  e'  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  5-  bis,  quinto comma, cit.
 sollevata - in riferimento all'art. 42, comma 3, della Costituzione -
 sotto il profilo della violazione della riserva di legge, atteso  che
 nelle  ordinanze  di  rimessione  non e' precisato se la destinazione
 edificatoria del suolo, accertata dal c.t.u., sia di natura legale  o
 di  fatto,  sicche'  manca  un  elemento  essenziale  per valutare la
 effettiva rilevanza della questione nei giudizi a quibus;
      che e' manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  5-  bis,  sesto  comma,  cit. sollevata in
 riferimento all'art. 3  della  Costituzione  perche'  la  prospettata
 disparita'  di  trattamento  tra  espropriati,  secondo  che nei loro
 confronti sia stato emesso, o meno, il decreto di  espropriazione  al
 momento  della  entrata  in  vigore  del d.l. n. 333/92 cit., risulta
 rimossa - successivamente alle ordinanze di rimessione -  dalla  cit.
 sentenza n. 283/93, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 del  secondo  comma  del  medesimo art. 5- bis nella parte in cui non
 prevede  in  favore  dei  soggetti  gia'   espropriati   al   momento
 dell'entrata  in  vigore della legge n. 359 del 1992, e nei confronti
 dei quali la indennita' di espropriazione  non  sia  ancora  divenuta
 incontestabile,  il diritto di accettare l'indennita' di cui al primo
 comma con esclusione della riduzione del 40%, e quindi  la  pronuncia
 additiva  invocata dalla Corte d'appello di Genova e' stata gia' resa
 (ancorche' riferita al secondo  comma  e  non  gia'  al  sesto  della
 disposizione  impugnata);  mentre non puo' esaminarsi - perche' fuori
 dal thema decidendum quale  devoluto  dalla  Corte  rimettente  -  il
 profilo,   indicato  in  una  sua  memoria  dalla  parte  costituita,
 dell'incidenza dell'onere delle spese processuali;
      che e' manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  5-  bis, sesto e settimo comma, cit. nella
 parte in cui la nuova  disciplina  dell'indennizzo  espropriativo  si
 applica  (con  efficacia  retroattiva)  anche  ai procedimenti (ed ai
 relativi giudizi) in corso per violazione del principio di parita' di
 trattamento (art. 3 della Costituzione) e del diritto d'azione  (art.
 24  della  Costituzione)  avendo questa Corte gia' escluso la lesione
 dei suddetti parametri nella cit. sentenza n. 283/93, senza che nuovi
 e diversi  profili  di  valutazione  siano  prospettati  dalle  Corti
 d'appello rimettenti;
    Visti  gli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma
 2,  delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte
 costituzionale.