ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  17,  terzo
 comma,  del  d.P.R.  24  marzo 1981, n. 145, in relazione all'art. 21
 dello stesso d.P.R. (Ordinamento dell'Azienda autonoma di  assistenza
 al  volo  per  il  traffico  aereo  generale), promosso con ordinanza
 emessa il 15 ottobre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale  del
 Lazio  sul  ricorso  proposto da De Tullio Osvaldo ed altro contro la
 Presidenza  del  Consiglio  dei ministri ed altri, iscritta al n. 200
 del registro ordinanze 1993 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  6  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto  che  il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha
 sollevato - con ordinanza del 15 ottobre  1992,  pervenuta  a  questa
 Corte  il  14 aprile 1993 - questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento agli artt. 3 e 36 della  Costituzione,  dell'art.  17,
 terzo  comma, del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, in relazione all'art.
 21 dello stesso  d.P.R.,  "nella  parte  in  cui  viene  prevista  la
 possibilita'  che  le funzioni di revisore dei conti presso l'Azienda
 autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale vengano
 prestate a titolo gratuito";
      che il remittente premette che, ai sensi della norma  impugnata,
 i  revisori  dei  conti  appartenenti  ad amministrazioni dello Stato
 (come i ricorrenti nel giudizio a quo) sono collocati fuori del ruolo
 organico di appartenenza e percepiscono,  in  aggiunta  alla  normale
 retribuzione,  non gia' gli emolumenti pur previsti - mediante rinvio
 ad apposito d.P.R. -  dal  primo  comma  dello  stesso  art.  17,  ma
 soltanto   la   eventuale   differenza   tra  il  trattamento  goduto
 nell'amministrazione di provenienza e quello  spettante  in  base  al
 menzionato  d.P.R.,  con  la  conseguenza  che,  quando  il primo sia
 superiore al secondo (come avviene  nella  fattispecie),  i  revisori
 prestano la propria opera senza alcun compenso;
      che,  ad avviso del giudice a quo, tale disciplina viola i sopra
 indicati parametri costituzionali  in  primo  luogo  per  irrazionale
 disparita'  di  trattamento  rispetto  ad una serie di altre analoghe
 fattispecie il cui regime normativo prevede (o comunque non  esclude)
 un  compenso specifico per i membri di collegi di revisori dei conti,
 pur se dipendenti di pubbliche amministrazioni collocati fuori ruolo;
      che, in particolare, mentre appare evidente  la  discriminazione
 con  riferimento  al regime previsto per il collegio dei revisori dei
 conti della Cassa depositi e prestiti, la cui situazione e' del tutto
 speculare a quella in esame, anche in  ordine  ad  altre  fattispecie
 richiamate  (collegio  dei  revisori  dell'Agenzia spaziale italiana,
 dell'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno,  delle
 Universita'  degli  studi,  ecc.) la disparita' di trattamento non e'
 giustificata, in quanto le stesse  costituiscono  espressione  di  un
 principio normativo in base al quale all'impiegato pubblico collocato
 fuori  ruolo  per adempiere a funzioni di revisione o controllo viene
 riconosciuto (anche  implicitamente)  il  diritto  ad  uno  specifico
 emolumento   aggiuntivo   rispetto   al   trattamento   economico  di
 provenienza;
      che, in secondo luogo, prosegue il  remittente,  e'  ravvisabile
 una  disparita'  di  trattamento  irrazionale  anche  all'interno del
 collegio dei revisori in esame, in quanto, a  causa  del  particolare
 meccanismo  previsto  dalla  norma  impugnata,  a parita' di funzioni
 svolte si vengono a privilegiare i membri che  hanno  un  trattamento
 economico di provenienza di importo inferiore;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  il  quale ha eccepito l'inammissibilita' della questione - in
 quanto il remittente chiede  una  sentenza  additiva  invasiva  della
 discrezionalita'  del legislatore, con violazione nella specie, anche
 dell'art. 81, quarto comma, della  Costituzione  -,  concludendo,  in
 subordine, per l'infondatezza della medesima;
    Considerato  che l'eccezione sollevata dall'Avvocatura dello Stato
 deve essere respinta, in quanto nella richiesta del giudice a  quo  -
 tendente  in  sostanza ad ottenere che, attraverso l'eliminazione del
 particolare meccanismo previsto dalla norma  impugnata,  il  compenso
 per   l'opera   svolta   dai   ricorrenti  sia  comunque  corrisposto
 integralmente - non si rinviene  alcun  motivo  di  inammissibilita',
 risultando,  d'altro  canto,  del  tutto  inconferente il riferimento
 all'art. 81, quarto comma, della Costituzione;
      che  la  questione  si  rivela  chiaramente  non  fondata  sotto
 entrambi i profili prospettati;
      che, invero, rispetto alle discipline richiamate dal remittente,
 relative  a  collegi  di  revisori  dei conti di altri enti, non puo'
 ritenersi  che  il  legislatore,  nell'ambito  della  sua  sfera   di
 discrezionalita',   abbia   introdotto  nella  fattispecie  in  esame
 un'irragionevole disparita' di trattamento,  in  quanto  trattasi  di
 situazioni  certamente  non  identiche  e, d'altro canto, inidonee ad
 integrare - contrariamente a quanto afferma il giudice  a  quo  -  un
 asserito  principio  generale  in  materia,  cui  la  norma impugnata
 avrebbe ingiustificatamente derogato;
      che, del  resto,  poiche'  la  normativa  in  esame  prevede  in
 astratto  la  corresponsione  di  un compenso, la censura si incentra
 essenzialmente  sul  sistema  di  calcolo   degli   emolumenti,   che
 effettivamente  puo'  portare  (come  avviene  per  i  ricorrenti nel
 giudizio a quo) ad un azzeramento  del  compenso  aggiuntivo  qualora
 l'ammontare  della  retribuzione  percepita  nell'amministrazione  di
 provenienza sia pari o superiore agli emolumenti spettanti in base al
 d.P.R. cui rinvia il primo comma dell'art. 17 in questione;
      che, tuttavia, tale meccanismo non determina alcuna  irrazionale
 disparita'   di   trattamento   all'interno   del  collegio,  essendo
 evidentemente ispirato  -  come  riconosce  lo  stesso  remittente  -
 proprio  da  un  intento  di perequazione del complessivo trattamento
 economico dei componenti del  collegio  medesimo,  i  quali,  essendo
 collocati  fuori ruolo, svolgono esclusivamente le eguali funzioni di
 cui trattasi;
      che,  infine,  quanto   al   riferimento   all'art.   36   della
 Costituzione,  va  ribadito il costante orientamento di questa Corte,
 secondo cui il principio in esso affermato attiene alla  retribuzione
 considerata nel suo complesso e non alle singole componenti di questa
 o alle prestazioni accessorie (cfr. sent. n. 314 del 1987);
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.