ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della legge
 della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato
 giuridico ed economico del personale  dell'amministrazione  regionale
 per  il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa
 concernente lo stesso personale), promosso con ordinanza emessa il  3
 dicembre  1992 dalla Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la
 Regione Siciliana - sul ricorso proposto da Cultrera  Alberto  contro
 la  Presidenza  della  Regione Siciliana ed altro, iscritta al n. 230
 del registro ordinanze 1993 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti l'atto di costituzione di Cultrera Alberto nonche' l'atto di
 intervento della Regione Siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato  Salvatore  La  Rosa  per  Cultrera  Alberto   e
 l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per la Regione Siciliana;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 16
 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11,  e'  stata
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dalla
 Corte  dei  conti,  sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana,
 nel corso di un giudizio promosso da Alberto Cultrera avverso la nota
 della Presidenza  della  stessa  Regione,  con  la  quale  era  stata
 respinta    l'istanza   per   l'attribuzione   dell'assegno   mensile
 integrativo di quiescenza previsto dall'art. 9, secondo comma,  della
 legge  della  Regione  Siciliana 27 dicembre 1985, n. 53 (Istituzione
 del ruolo speciale transitorio per i servizi degli uffici periferici,
 inquadramento del personale in posizione di comando presso la Regione
 ed utilizzazione del personale trasferito alla Regione in  forza  dei
 decreti  del  Presidente della Repubblica 13 maggio 1985, n. 245 e 14
 maggio 1985, n. 246).
    Poiche'  quest'ultima  norma  disponeva  l'anzidetto  beneficio  a
 favore  del  "personale  statale, gia' in posizione di comando presso
 l'amministrazione regionale a seguito di trasferimento  alla  Regione
 degli  uffici  statali  ai  sensi  dell'art.  2, collocato a riposo a
 decorrere dal 1 gennaio 1984" il ricorrente nel giudizio a quo,  gia'
 dipendente  statale  in posizione di comando presso l'assessorato del
 lavoro e della previdenza sociale della Regione Siciliana,  collocato
 in  pensione  a  domanda  con  decorrenza 1 agosto 1985 per raggiunti
 limiti di servizio, riteneva di  essere  ricompreso  tra  gli  aventi
 diritto.   Tuttavia,   l'amministrazione  regionale  giustificava  il
 proprio diniego richiamando l'art. 16 della legge regionale 15 giugno
 1988, n. 11, impugnato nel presente  giudizio  di  costituzionalita',
 con  il quale alla dizione "collocato a riposo", contenuta nel citato
 art. 9, secondo comma, era stata sostituita con efficacia retroattiva
 l'espressione  "cessato  dal  servizio  per  collocamento a riposo di
 ufficio o per decesso", in modo da far ritenere esclusi quanti,  come
 il  Cultrera, erano stati collocati a riposo a domanda, ancorche' nel
 periodo di tempo interessato.
    Sotto il profilo della rilevanza, il  giudice  rimettente  osserva
 che  l'eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'  della  norma
 denunciata, la quale esclude il diritto  del  ricorrente  all'assegno
 integrativo di quiescenza, consentirebbe l'accoglimento della domanda
 proposta nel giudizio a quo.
    Per  quanto  riguarda  i  profili di costituzionalita', la sezione
 della Corte dei Conti ricorda, in primo luogo,  che  l'art.  9  della
 legge  regionale n. 53 del 1985 rispondeva ad un fine perequativo del
 trattamento pensionistico di dipendenti che, pur appartenendo a ruoli
 diversi  (statale  e  regionale),  avevano  operato  per  la   stessa
 amministrazione  regionale, e, nello stesso tempo, mirava a garantire
 la proporzionalita' e  l'adeguatezza  del  trattamento  pensionistico
 alla  retribuzione  percepita  dallo  stesso  personale  comandato. A
 quest'ultimo  proposito  lo  stesso  giudice  precisa  che  l'assegno
 integrativo di quiescenza, disposto dall'art. 9 della legge regionale
 n.  53  del  1985,  era stato preceduto tanto dall'art. 3 della legge
 regionale 28 dicembre  1979,  n.  254,  che  aveva  previsto  per  il
 personale   comandato   l'attribuzione   di   acconti   nella  misura
 dell'ottanta per cento dei miglioramenti  retributivi  del  personale
 regionale,  quanto  dall'art.  55  della  legge regionale 29 dicembre
 1980, n. 145, che aveva disposto la corresponsione di una  indennita'
 mensile  pari  alla  differenza  tra la retribuzione statale e quella
 percepita dai dipendenti regionali di eguale qualifica ed anzianita'.
 Pertanto, con la previsione  di  un  assegno  integrativo,  la  legge
 regionale   n.   53   del  1985  intendeva  adeguare  il  trattamento
 pensionistico ai disposti perequamenti retributivi.
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  tali  finalita'  sarebbero  state
 irragionevolmente  frustrate dall'art. 16 della legge regionale n. 11
 del 1988, che ha sostituito il ricordato art. 9 della legge regionale
 n. 53 del 1985. La disposizione contestata,  infatti,  modificherebbe
 retroattivamente,  senz'alcun  fondamento  ragionevole,  un  testo di
 legge che avrebbe dovuto avere applicazione con  riferimento  ad  una
 classe  di  soggetti (peraltro ben circoscritta nel tempo e in via di
 esaurimento) in capo  ai  quali  era  gia'  maturato  il  diritto  al
 beneficio.   Inoltre,  la  stessa  disposizione  discriminerebbe  una
 categoria (il personale  statale  comandato  collocato  a  riposo  su
 domanda)   che   ha   prestato   la   propria   opera   al   servizio
 dell'amministrazione regionale al pari dei destinatari del  beneficio
 (personale  statale comandato, collocato a riposo d'ufficio). Infine,
 l'art.   16   violerebbe   il   principio   di   adeguatezza   e   di
 proporzionalita'  del  trattamento  pensionistico  alla  retribuzione
 percepita in attivita' di  servizio  (art.  36  della  Costituzione),
 negando   il   diritto   ad  un  assegno  integrativo,  previsto  dal
 legislatore regionale per perequare le indennita' mensili  introdotte
 dalla  legge  regionale  n. 145 del 1980 dopo gli acconti della legge
 regionale n. 254 del 1979.
    2. - Nel presente giudizio di  costituzionalita',  e'  intervenuto
 Alberto  Cultrera,  ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  il quale, nel
 richiedere che la questione  sia  accolta,  sottolinea  le  finalita'
 perequative  dell'originario  art.  9 della legge regionale n. 53 del
 1985,   il   quale   si   proponeva   di  parificare  il  trattamento
 pensionistico di dipendenti, che, pur appartenendo a  ruoli  diversi,
 avevano  svolto le medesime mansioni al servizio dell'amministrazione
 regionale. Riecheggiando quanto esposto nell'ordinanza di  rimessione
 della  Corte  dei Conti, la memoria difensiva insiste sul sostanziale
 tradimento dell'originario disegno, effettuato con  l'art.  16  della
 legge  regionale  n.  11 del 1988, sottolineandone il contrasto con i
 principi    costituzionali    di     uguaglianza,     ragionevolezza,
 proporzionalita'   e   adeguatezza   del  trattamento  previdenziale,
 espressi dagli artt. 3 e 36 della Costituzione.
   3. - Si e' altresi' costituita in giudizio la Regione Siciliana, la
 quale, nel chiedere il rigetto della  questione  sollevata,  osserva,
 innanzitutto, che non si puo' contestare la disparita' di trattamento
 in  relazione  a  due  situazioni diverse e non comparabili tra loro,
 quali  il  collocamento  a  riposo  d'ufficio,  da  un  lato,  e   il
 collocamento  a  riposo  su  domanda  dell'interessato, ancorche' per
 raggiunta anzianita' di servizio, dall'altro. Diversi sono,  infatti,
 i  presupposti dei due istituti e diversa e' l'efficacia del relativo
 provvedimento, che, nel caso del  collocamento  a  riposo  d'ufficio,
 avrebbe  un  valore soltanto formale, ricognitivo dell'estinzione ope
 legis del rapporto di servizio per raggiunti limiti di eta',  mentre,
 nel caso del collocamento a riposo su domanda, opererebbe, nonostante
 la  sussistenza  dei presupposti richiesti dalla legge, soltanto dopo
 l'accettazione dell'amministrazione di appartenenza.  Il  legislatore
 regionale,     nell'esercizio    non    irragionevole    della    sua
 discrezionalita', avrebbe pertanto previsto  un  trattamento  diverso
 delle  due situazioni, facendo giustificatamente valere l'esigenza di
 evitare che il personale statale comandato chiedesse il  collocamento
 a riposo prima del raggiungimento dell'anzianita' massima (sottraendo
 con cio' i propri servizi all'amministrazione regionale) al solo fine
 di  assicurarsi  il  beneficio  del  trattamento integrativo disposto
 dall'art. 9, secondo comma, della legge regionale  n.  53  del  1985.
 Inoltre,  a  proposito  dell'effetto  retroattivo  della disposizione
 impugnata, la Regione sostiene che tale effetto si  fonderebbe  sulla
 non  irragionevole esigenza di non discriminare ingiustificatamente i
 dipendenti comandati a seconda che avessero presentato domanda  prima
 o  dopo la data di entrata in vigore della "presente legge", e cioe',
 come ha ritenuto lo stesso giudice di  merito,  fino  all'entrata  in
 vigore della legge regionale n. 53 del 1985.
    4.  - In prossimita' dell'udienza il ricorrente nel giudizio a quo
 ha depositato una  memoria  per  ribadire  la  propria  richiesta  di
 accoglimento  della  questione  e  per  contestare le ragioni esposte
 dalla Presidenza della Regione Siciliana.
    Ad avviso della parte privata, non avrebbe alcuna  giustificazione
 la  discriminazione operata dal legislatore regionale del 1988 tra il
 personale comandato collocato a riposo a domanda e quello collocato a
 riposo d'ufficio ai fini dell'erogazione dell'assegno integrativo  di
 quiescenza.  Infatti,  trattandosi  di  un  beneficio  attribuito  al
 personale statale comandato presso la Regione e collocato a riposo in
 un periodo di tempo ormai concluso (ossia quello intercorrente tra il
 1 gennaio 1984 e il 31 dicembre 1985) non avrebbe  senso  leggere  la
 disposizione  dell'art.  16 della legge regionale n. 11 del 1988 come
 una norma che si proponeva  di  evitare  una  "fuga"  a  domanda  del
 personale  comandato.  Ne',  diversamente  da  quel  che  sostiene la
 Regione, si potrebbe riconoscere fondamento alla  considerazione  che
 la retroattivita' della norma impugnata avrebbe un effetto preclusivo
 della  disparita' di trattamento che si sarebbe altrimenti verificato
 con l'entrata in  vigore  della  legge  regionale  n.  11  del  1988.
 Infatti,  una  discriminazione temporale (che troverebbe, in linea di
 massima,  giustificazione  nella  giurisprudenza  di  questa   Corte)
 sarebbe  stata  sostituita  con una discriminazione all'interno della
 medesima categoria di soggetti (personale statale comandato presso la
 Regione) sulla base di un elemento, come la causa del collocamento  a
 riposo, del tutto privo di razionalita', in quanto non terrebbe conto
 della  durata  del  servizio  prestato, alla quale non viene in alcun
 modo ragguagliato l'ammontare del beneficio.  Infine,  il  ricorrente
 assume  di essere l'unico soggetto colpito dalla norma impugnata, non
 esistendo altri, nella sua posizione,  che  nel  periodo  interessato
 abbia  presentato  domanda  di  collocamento  a  riposo per raggiunta
 anzianita' di servizio.
                        Considerato in diritto
    1. - La sezione giurisdizionale per la  Sicilia  della  Corte  dei
 conti   ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  36  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  16
 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina
 dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione
 regionale  per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla
 normativa concernente lo  stesso  personale),  nella  parte  in  cui,
 sostituendo  l'art.  9,  secondo  comma,  della  legge  della Regione
 Siciliana 27 dicembre 1985, n.  53,  prevede  che  l'assegno  mensile
 integrativo  di  quiescenza sia corrisposto al personale statale gia'
 in posizione di comando, collocato a riposo d'ufficio o  cessato  dal
 servizio  per decesso, con decorrenza non anteriore al 1 gennaio 1984
 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge.
    Ad avviso del giudice rimettente, nel sostituire  retroattivamente
 il  requisito  del  semplice  collocamento a riposo a decorrere dal 1
 gennaio  1984,  contenuto  nell'abrogato  art.  9,  con  quello  piu'
 restrittivo  del "collocamento a riposo di ufficio o per decesso, con
 decorrenza non anteriore al 1  gennaio  1984  e  fino  alla  data  di
 entrata  in  vigore  della presente legge", la disposizione impugnata
 introduce un'innovazione normativa, la quale contrasterebbe  con:  a)
 il  principio costituzionale di ragionevolezza, in quanto con effetto
 retroattivo sottrarrebbe senz'adeguata giustificazione  il  godimento
 di  un beneficio che costituiva gia', ai sensi del modificato art. 9,
 un diritto acquisito  degli  originari  destinatari  di  quest'ultima
 disposizione;   b)   il   principio   costituzionale  di  parita'  di
 trattamento  (art.  3  della  Costituzione),   per   il   fatto   che
 discriminerebbe   i   dipendenti   statali   gia'   comandati  presso
 l'amministrazione regionale  siciliana  sulla  base  di  un  criterio
 arbitrario,  consistente  nella  volontarieta' o meno della causa del
 collocamento a riposo;
   c)  il  principio  di  adeguatezza  e   di   proporzionalita'   del
 trattamento  previdenziale  rispetto alla retribuzione (art. 36 della
 Costituzione), considerato che il beneficio in questione assolverebbe
 a una funzione integrativa del  trattamento  di  quiescenza,  che  il
 giudice  rimettente  ritiene parallela a quella svolta, rispetto alla
 retribuzione, dall'assegno perequativo attribuito alla totalita'  del
 personale   statale   comandato  presso  l'amministrazione  siciliana
 dall'art. 55 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145.
    2. - La questione non e' fondata.
    L'art. 16 della legge regionale n. 11  del  1988,  nel  sostituire
 l'art.  9, secondo comma, della legge regionale n. 53 del 1985, ne ha
 in parte riprodotto il testo e, per altra  parte,  ne  ha  modificato
 alcuni  elementi.  L'art. 9, secondo comma, infatti, stabiliva che al
 personale   statale,   gia'   in   posizione   di   comando    presso
 l'amministrazione  regionale a seguito del trasferimento alla Regione
 degli uffici statali, "collocato a riposo a decorrere dal  1  gennaio
 1984",  e'  attribuito  un assegno mensile integrativo di quiescenza,
 pari alla differenza tra il trattamento pensionistico lordo  ad  essi
 spettante  e  il  trattamento  spettante  al  personale  regionale in
 quiescenza di corrispondente qualifica e pari anzianita'. L'art.  16,
 oltre  ad  altre  variazioni  che  qui non interessano, ha confermato
 l'attribuzione del predetto  beneficio  al  medesimo  personale  gia'
 comandato,  ma ha precisato che a goderne fosse soltanto il personale
 "cessato dal servizio per collocamento a  riposo  di  ufficio  o  per
 decesso,  con  decorrenza non anteriore al 1 gennaio 1984 e fino alla
 data di entrata in vigore della presente legge".
    Come correttamente afferma il giudice rimettente, non v'e'  dubbio
 che  la  disposizione  impugnata  abbia  un'efficacia retroattiva. La
 norma  introdotta  dall'art.  16,  al  pari   del   testo   normativo
 sostituito,  entra  a  far  sistema  con  la  complessiva  disciplina
 prevista dalla legge regionale n. 53  del  1985,  intervenendo  sulle
 condizioni  per l'erogazione dell'assegno integrativo di quiescenza a
 favore del personale statale gia'  in  posizione  di  comando  presso
 l'amministrazione  regionale, nell'ambito di una disciplina vo'lta ad
 assicurare il passaggio di quel personale  nei  ruoli  della  Regione
 attraverso  la  possibilita' per lo stesso di esercitare, entro il 31
 dicembre 1985, il diritto di opzione fra l'impiego statale  e  quello
 regionale.  La necessita' di assegnare alla disposizione sopravvenuta
 i medesimi effetti temporali propri della  legge  modificata  deriva,
 inoltre,  dallo  stesso  contenuto precettivo dell'art. 16, il quale,
 per la  parte  interessata  dalla  contestazione,  riveste  carattere
 interpretativo,  dal  momento  che,  a  seguito di una considerazione
 sistematica della  norma  modificata,  chiarisce  il  significato  da
 assegnare alla nozione di collocamento a riposo, oltreche' al termine
 finale  dello stesso collocamento ai fini del godimento del beneficio
 ivi previsto.
    Piu' precisamente, come questa Corte  ha  costantemente  affermato
 (v., ad esempio, sentt. nn. 39 del 1993; 455, 454 e 440 del 1992; 380
 e 155 del 1990; 233 del 1988; ordd. nn. 480 del 1992 e 205 del 1991),
 si  deve  riconoscere  il carattere interpretativo a quelle norme che
 hanno il fine obiettivo di chiarire il senso  di  norme  preesistenti
 ovvero  di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti
 ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo  di
 imporre  a  chi e' tenuto ad applicare la disposizione considerata un
 determinato significato normativo. Le leggi interpretative, pertanto,
 vanno definite tali in relazione al  loro  contenuto  normativo,  nel
 senso  che la loro natura va desunta da un rapporto fra norme - e non
 fra disposizioni - tale che il sopravvenire della norma interpretante
 non fa venir meno la  norma  interpretata,  ma  l'una  e  l'altra  si
 saldano  fra  loro  dando luogo a un precetto normativo unitario. Nel
 caso  di  specie,  al di la' della sostituzione integrale dell'intero
 articolo e di tutte le  disposizioni  contenute  nell'art.  9,  resta
 ferma  la  norma  relativa  all'attribuzione dell'assegno mensile ivi
 considerato al personale gia' in posizione  di  comando  collocato  a
 riposo a decorrere dal 1 gennaio 1984, ma si chiarisce, in base a una
 considerazione  sistematica  della relativa disciplina, che in quella
 categoria  non   possono   essere   ricompresi   coloro   che   hanno
 volontariamente  richiesto il collocamento a riposo, oltreche' coloro
 che sono cessati  dal  servizio  in  una  data  posteriore  a  quella
 dell'entrata in vigore della legge medesima.
    Non  di  meno,  premessa  la  natura  interpretativa  della  norma
 contestata, occorre verificare se l'intervento del legislatore, della
 cui  legittimita'  costituzionale  dubita  il  giudice  a  quo,   sia
 contrastante  con  i  canoni  della  ragionevolezza,  con particolare
 riferimento alla certezza dei rapporti  preteriti  e  all'affidamento
 eventualmente sorto in capo agli interessati.
    3.  - Nel suo complesso la legge regionale n. 53 del 1985 contiene
 la disciplina dell'inquadramento e dell'utilizzazione  del  personale
 in  servizio  presso  la Regione in posizione di comando e trasferito
 alla stessa in forza dei decreti presidenziali  nn.  245  e  246  del
 1985.  In  particolare, per quanto riguarda il personale comandato di
 provenienza statale e' istituito un ruolo speciale transitorio  (art.
 1),  nel quale l'inquadramento e' previsto a domanda dell'interessato
 e previo nulla osta dell'amministrazione di provenienza (art. 2).  In
 ogni  caso, tale diritto di opzione, qualora non sia stato esercitato
 con una precedente istanza, si consuma  entro  il  31  dicembre  1985
 (art.  2), dopo di che il personale cessa comunque dalla posizione di
 comando (art. 12).
   La concessione  dell'assegno  mensile  integrativo  di  quiescenza,
 originariamente  disposto  dall'art.  9,  secondo  comma, della legge
 regionale n. 53 del 1985, va  sistematicamente  coordinato  con  tale
 disciplina.  Considerata nell'ambito di quest'ultima, l'erogazione di
 quell'assegno, oltre che basata su scopi perequativi del  trattamento
 pensionistico    rispetto    a    quello   retributivo,   si   rivela
 prevalentemente  fondata  sulla  finalita'   di   non   arrecare   un
 pregiudizio, sotto il profilo del trattamento previdenziale, a quanti
 non  avessero  potuto esercitare il diritto di opzione nei termini in
 cui esso e' disciplinato dalla stessa legge, per  essere  gia'  stati
 collocati a riposo ancorche' in data non anteriore al 1 gennaio 1984.
 Questa  finalita', gia' insita nella norma posta dall'art. 9, secondo
 comma, e' chiarita  e  resa  evidente  dalla  precisazione  contenuta
 nell'art.  16  della  legge n. 11 del 1988. Infatti, nel disporre che
 hanno diritto al predetto assegno soltanto coloro che  siano  cessati
 dal  servizio  a  decorrere  dal  1 gennaio 1984 e "fino alla data di
 entrata in vigore della presente legge" - e cioe', come  conviene  lo
 stesso  giudice  a  quo,  fino al giorno dell'entrata in vigore della
 legge 27 dicembre 1985, n. 53 (29 dicembre 1985) -, l'art.  16  della
 legge  n.  11  del 1988 instaura un significativo parallelismo con il
 termine (31 dicembre 1985) entro il quale puo' essere  esercitata  la
 facolta'  di  opzione  tra  l'ingresso  in ruolo nell'amministrazione
 regionale e la permanenza nel ruolo statale.
    Questo collegamento dell'erogazione dell'assegno  considerato  con
 la  previsione  della possibilita' di optare per l'ingresso nei ruoli
 regionali e' importante anche ai fini di una corretta interpretazione
 dell'altro segmento normativo sul  quale  e'  intervenuto  l'art.  16
 della  legge n. 11 del 1988. Come si e' gia' detto, l'art. 9, secondo
 comma, prevedeva che a godere dell'assegno in esame dovesse essere il
 personale gia' comandato "collocato a riposo" a  partire  dalla  data
 prima  ricordata.  La  disposizione  impugnata, nell'escludere che in
 questa generale formulazione dovessero essere ricompresi  coloro  che
 erano   cessati   dal   servizio  volontariamente,  ha  ristretto  il
 significato  dell'espressione  originariamente  usata  in  un   senso
 conforme  alla  ratio  della  concessione dell'assegno integrativo di
 quiescenza come misura in senso lato indennitaria a favore di  coloro
 che  nel  periodo considerato non avevano potuto esercitare utilmente
 il predetto diritto di opzione in quanto collocati a riposo d'ufficio
 o deceduti. In questo quadro, infatti, la domanda di  collocamento  a
 riposo,  ancorche'  per  raggiunti limiti di servizio, presentata dal
 dipendente statale in posizione di  comando  presso  la  Regione,  il
 quale,  al  pari  di  tutti gli appartenenti alla medesima categoria,
 avrebbe potuto fare istanza di  inquadramento  nei  ruoli  regionali,
 deve  considerarsi come un modo di esercizio del ricordato diritto di
 opzione. Sicche' la chiarificazione  operata  dall'art.  16,  per  la
 quale  la formula contenuta nell'art. 9, secondo comma, ("collocato a
 riposo") deve intendersi ristretta alle sole ipotesi di  collocamento
 a  riposo d'ufficio o per decesso, e' una ragionevole interpretazione
 di quella espressione in quanto dettata dall'esigenza di prevenire il
 rischio  che  la  norma  interpretata,  ove  fosse   stata   ritenuta
 comprensiva   del   collocamento   a   riposo   su  domanda,  potesse
 rappresentare,  per  il  personale  considerato,  un   incentivo   ad
 abbandonare  l'amministrazione  regionale,  con conseguenti possibili
 problemi di  compatibilita',  nel  caso  specifico,  con  i  principi
 costituzionali  di  buon  andamento  e  di  efficienza della pubblica
 amministrazione.
    Le considerazioni ora  svolte  escludono  altresi'  che  la  norma
 impugnata  possa ritenersi in contrasto con l'affidamento maturato o,
 addirittura, con i diritti acquisiti da una categoria  di  pensionati
 sulla  base  dell'originaria formulazione dell'art. 9, secondo comma,
 della legge regionale n. 53 del 1985.
    4. - Del pari  non  fondate  sono  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  sollevate  nei  confronti  del medesimo art. 16 della
 legge n. 11 del 1988  sotto  i  profili  attinenti  al  principio  di
 parita'  di  trattamento  (art.  3 della Costituzione) e alla pretesa
 violazione dell'art. 36 della Costituzione.
    Sotto il primo degli aspetti indicati, occorre  osservare  che  le
 posizioni  messe  a  confronto  -  collocamento  a riposo d'ufficio e
 collocamento a riposo su domanda - non sono comparabili, tenuto conto
 della disciplina normativa nella  quale  vengono  in  considerazione.
 Infatti, a parte le differenze concernenti la configurazione generale
 dei  due  istituti nell'ambito dell'impiego pubblico, determinante e'
 il rilievo, precedentemente sottolineato, secondo il quale la ragione
 giustificatrice  della  concessione   dell'assegno   integrativo   di
 quiescenza  in  questione  riposa  sulla  mancata  possibilita' per i
 soggetti considerati di esercitare il diritto di opzione nei  termini
 disciplinati dagli artt. 2 e 12 della legge regionale n. 53 del 1985.
 E,  per  questo aspetto, le due posizioni indicate, per i motivi gia'
 detti, non sono affatto omogenee.
    Sotto  il  profilo  della  dedotta  violazione  del  principio  di
 adeguatezza e di proporzionalita' del trattamento di quiescenza  alla
 retribuzione,  pur  a non considerare la appropriatezza del parametro
 invocato (art. 36 della Costituzione),  basta  osservare  che,  sulla
 base  della  costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad esempio,
 sentt. nn.  42  e  226  del  1993,  119  del  1991),  i  principi  di
 proporzionalita' e di adeguatezza non comportano che sia in ogni caso
 garantita l'integrale corrispondenza fra retribuzione e pensione, ma,
 anche se questo e' l'obiettivo ottimale da raggiungere, presuppongono
 che   l'avvicinamento   ad   esso   dipenda   da   non  irragionevoli
 determinazioni  discrezionali  del  legislatore,  chiamato   a   dare
 graduale attuazione al complesso dei valori costituzionali coinvolti.
 Sicche'   la   non   irragionevolezza   della   scelta  sottesa  alla
 disposizione impugnata, della quale s'e' detto in precedenza, esclude
 la violazione dei principi costituzionali invocati.