ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso della Corte dei conti notificato il
 21  maggio  1993,  depositato  in  Cancelleria  il 28 successivo, per
 conflitto di attribuzione sorto in relazione:
       a) alla  sottrazione  dell'I.R.I.,  dell'E.N.I.,  dell'I.N.A  e
 dell'E.N.E.L.  al  controllo della Corte dei conti previsto dall'art.
 100, secondo  comma,  della  Costituzione,  effettuata  sia  mediante
 l'esclusione  dei  magistrati  della  Corte dalle sedute dei relativi
 organi di amministrazione e di revisione, sia mediante l'omesso invio
 dei documenti concernenti la gestione di tali enti;
       b)  al  mancato  riconoscimento,  da  parte  del  Governo,  del
 persistente  obbligo  di sottoporre a controllo della Corte dei conti
 gli enti trasformati in societa' per azioni e, comunque, alla mancata
 ottemperanza,  da  parte  di  esso,  dell'obbligo   di   adottare   i
 provvedimenti   necessari  al  ripristino  di  tale  controllo,  come
 dichiarato  dalla  Corte  dei  conti,  Sezione  del  controllo,   con
 determinazione  n. 29/92 del 22 settembre/3 ottobre 1992, ed iscritto
 al n. 16 del registro conflitti del 1993;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  2  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi gli avvocati Giorgio Oppo e Alessandro Pace per la Corte dei
 conti e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso in data 15 febbraio 1993 la Corte dei conti - a
 seguito di determinazione adottata il 15/16 dicembre 1992 (n.  45/92)
 dalla  Sezione  di  controllo sulla gestione finanziaria degli enti a
 cui lo Stato contribuisce in via ordinaria - ha  sollevato  conflitto
 di  attribuzione nei confronti del Governo, in persona del Presidente
 del Consiglio dei ministri, nonche'  del  Ministro  del  tesoro,  del
 Ministro  del bilancio e della programmazione economica, del Ministro
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del Ministro delle
 partecipazioni  statali,  in  relazione  al  comportamento   omissivo
 consistente   nell'impedimento   all'esercizio   delle   attribuzioni
 costituzionali spettanti alla stessa Corte e relative al controllo ex
 art. 100, secondo comma, della Costituzione sulle societa' per azioni
 succedute - ai sensi dell'art. 15 del decreto-legge 11  luglio  1992,
 n.  333,  convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359 - all'Istituto
 nazionale  per  la  ricostruzione  industriale  -  I.R.I.,   all'Ente
 nazionale  idrocarburi - E.N.I., all'Istituto nazionale assicurazioni
 - I.N.A. e all'Ente nazionale per l'energia elettrica - E.N.E.L. Tale
 impedimento all'esercizio della  funzione  di  controllo  si  sarebbe
 realizzato  sia  mediante il mancato invito ai magistrati della Corte
 dei conti a partecipare alle sedute degli organi di amministrazione e
 revisione di tali societa', sia mediante l'omesso invio dei documenti
 concernenti  la  gestione  delle   stesse,   sia   con   il   mancato
 riconoscimento,  da  parte  del  Governo,  del persistente obbligo di
 sottoporre a controllo della Corte dei conti gli enti trasformati  in
 societa'   per  azioni  e,  comunque,  con  la  mancata  ottemperanza
 dell'obbligo di adottare i provvedimenti necessari al  ripristino  di
 tale  controllo, cosi' come richiesto dalla Sezione di controllo enti
 della Corte dei conti con determinazione n. 29/92 del 22  settembre/3
 ottobre 1992.
    2.  -  Nelle  premesse di fatto il ricorso - ripetendo quanto gia'
 illustrato nella determinazione  n.  45/92  -  espone  che  ai  sensi
 dell'art.  100,  secondo comma, della Costituzione la Corte dei conti
 "partecipa,  nei  casi  e  nelle  forme  stabilite  dalla  legge,  al
 controllo  sulla  gestione  finanziaria  degli  enti  a  cui lo Stato
 contribuisce in via ordinaria" e "riferisce direttamente alle  Camere
 sul  risultato  del  controllo  eseguito".  Si  ricorda  poi  che, in
 attuazione di tale norma costituzionale, e' stata emanata la legge 21
 marzo  1958,  n.  259,  dove  il  controllo  in   questione   risulta
 disciplinato  in  diversi modi, a seconda che l'ente sia destinatario
 di contribuzioni continuative periodiche ovvero fruisca  di  "apporto
 al  patrimonio"  o  di  "garanzia finanziaria" dello Stato. Mentre il
 destinatario  delle  contribuzioni  continuative   e'   genericamente
 indicato  dall'art.  2  della  legge  n.  259  in  "un  ente",  senza
 distinzione tra figure soggettive pubbliche e private  (cosi'  che  a
 tale  forma  di  controllo  sono  state sottoposte anche societa' per
 azioni, come la R.A.I. e le  societa'  di  navigazione  di  interesse
 nazionale),  nella  diversa  ipotesi  di  apporti  patrimoniali  o di
 garanzia  finanziaria  dello  Stato  l'art.  12  della medesima legge
 menziona come soggetti sottoposti al  controllo  soltanto  gli  "enti
 pubblici".
    Dopo   aver   richiamato   le   diverse   disposizioni  che  hanno
 assoggettato al controllo ex art. 12 della  legge  n.  259  l'I.R.I.,
 l'E.N.I.,  l'I.N.A.  e  l'E.N.E.L.  ( d.P.R. 11 marzo e 24 aprile del
 1961; legge n. 1643 del 1962), si sottolinea che  tale  controllo  e'
 stato esercitato da un magistrato della Corte dei conti incaricato di
 assistere  alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione
 e  di  svolgere  attivita'  istruttoria  per  conto   della   Sezione
 competente della stessa Corte.
    Passando  poi  all'esame delle norme che hanno avviato il processo
 di "privatizzazione" degli enti pubblici economici si  richiamano  il
 decreto-legge   3   ottobre   1991,   n.  309  (non  convertito),  il
 decreto-legge 5 dicembre 1991, n.  386  (convertito  nella  legge  29
 gennaio  1992,  n.  35), il decreto-legge 26 maggio 1992, n. 298 (non
 convertito) e, infine, il decreto-legge n. 333 del  1992  (convertito
 nella  legge  n.  359  del  1992),  che  ha  previsto una riforma del
 procedimento   di    "privatizzazione"    disponendo    la    diretta
 trasformazione  in  societa'  per  azioni di I.R.I., E.N.I., I.N.A ed
 E.N.E.L., l'attribuzione del  capitale  azionario  al  Ministero  del
 tesoro, l'esercizio dei diritti dell'azionista al Ministro del tesoro
 d'intesa   con  i  Ministri  del  bilancio,  dell'industria  e  delle
 partecipazioni statali.
    Si rileva poi che, in attuazione  del  decreto-legge  n.  333  del
 1992,  i  presidenti  dei  quattro enti trasformati in societa' hanno
 convocato per i giorni 6 e 7 agosto  1992,  mediante  annuncio  nella
 Gazzetta  Ufficiale,  le  assemblee  delle  stesse  societa',  per la
 deliberazione degli statuti e la nomina  dei  titolari  degli  organi
 sociali.
    In   data   10  agosto  il  magistrato  incaricato  del  controllo
 sull'E.N.E.L. ha richiesto al presidente di tale ente  i  motivi  del
 mancato  invito  a partecipare all'assemblea della nuova Societa'. In
 risposta, il presidente dell'E.N.E.L. ha comunicato  la  nota  del  5
 settembre  del  Ministro  del  tesoro,  dove si esprimeva l'avviso di
 "ritenere ormai superata la disposizione del citato  art.  12"  della
 legge  n.  259  del  1958,  "in  quanto  le  modalita' di nomina e la
 composizione degli organi di amministrazione  e  di  controllo  delle
 societa'   (  ..)  sono  state,  per  legge,  devolute  agli  statuti
 societari", e "lo Stato  non  ha  piu'  poteri  di  autorizzazione  e
 direttive, bensi' i diritti dell'azionista".
    Il  Presidente  del  Consiglio, al quale il Presidente della Corte
 dei conti aveva rappresentato in precedenza la necessita'  che  nelle
 nuove   societa'   fossero   previste   forme  di  controllo  con  la
 partecipazione della Corte dei conti, aveva a  sua  volta  affermato,
 con  lettera  del  10  agosto, che "le nuove societa' fuoriescono dal
 rapporto con lo Stato  che  fa  da  presupposto  al  controllo  della
 Corte".
    Pertanto, fin dall'emanazione del decreto-legge n. 333 del 1992 il
 controllo di cui all'art. 12 della legge n. 259 del 1958 non e' stato
 piu'  esercitato,  in  quanto i magistrati della Corte non sono stati
 invitati alle sedute degli organi collegiali delle societa' succedute
 agli enti pubblici, ne' da queste  e'  pervenuto  alla  Corte  stessa
 alcun documento relativo alla gestione.
    La  situazione  descritta e' stata presa in esame dalla Sezione di
 controllo della Corte dei conti con  tre  successive  determinazioni.
 Una  prima volta, con la determinazione n. 23 del 16 giugno 1992, che
 disponeva di inviare al Parlamento una relazione sulla trasformazione
 degli enti pubblici economici in societa' per azioni  conseguente  al
 decreto-legge  n. 386 del 1991 ed alla relativa legge di conversione.
 Una seconda volta, con la determinazione n. 29 del 22 settembre 1992,
 dove, preso in esame il sopravvenuto decreto-legge n. 333 del 1993  e
 la  relativa legge di conversione, si rilevava, tra l'altro, come gli
 statuti delle societa' non fossero atti idonei a disporre  in  ordine
 al  controllo della Corte dei conti (trattandosi di materia riservata
 alla legge) e come la "fuoriuscita" delle societa' dal  rapporto  con
 lo  Stato  non  trovasse alcun riscontro reale nella nuova situazione
 (dal momento che non risultava superato il rapporto di  finanziamento
 pubblico, consistente nell'apporto dello Stato al capitale sociale).
    Infine,  una  terza  volta,  con la determinazione n. 45 del 1992,
 dove si esponevano tutti i termini del problema e, constatato che  il
 persistente  comportamento  omissivo  del  Governo veniva ad impedire
 alla Corte  dei  conti  l'esercizio  di  una  funzione  di  controllo
 attribuita  dalla Costituzione, si stabiliva di proporre il conflitto
 di attribuzione di cui e' causa.
    3.  -  Negli  svolgimenti  di  diritto  il  ricorso  si   sofferma
 innanzitutto sui presupposti soggettivi del conflitto, richiamando le
 decisioni   di   questa   Corte  che  hanno  affermato  la  rilevanza
 costituzionale della funzione di controllo attribuita alla Corte  dei
 conti  "nei  casi  e  nelle  forme  stabiliti dalla legge" (art. 100,
 secondo comma, della Costituzione). Risulterebbe, pertanto,  indubbio
 che la Corte medesima sia legittimata a sollevare conflitto, ai sensi
 dell'art.  134  della Costituzione, nei confronti di comportamenti di
 qualsiasi altro organo che si palesino lesivi delle sue attribuzioni.
    4. - Passando all'esame dei presupposti oggettivi del conflitto il
 ricorso  ribadisce  la  natura  costituzionale   delle   attribuzioni
 dell'organo di controllo che si ritengono violate, richiamando sia il
 carattere  attuativo  che  la legge n. 259 del 1958 presenta rispetto
 all'art.   100,   secondo   comma,   della   Costituzione,   sia   la
 giurisprudenza   della   Corte  costituzionale  nonche'  le  opinioni
 dottrinali  che  hanno  inteso  in  senso  ampio  la   natura   delle
 attribuzioni la cui lesione giustifica la proposizione del conflitto.
    Dopo   aver   ricordato  che  lo  Stato  contribuisce  tuttora  al
 patrimonio di I.R.I., E.N.I., I.N.A e E.N.E.L., dal  momento  che  le
 azioni  degli  enti  trasformati in societa' sono state attribuite al
 Ministro del  tesoro,  nel  ricorso  si  sostiene  che  dal  disposto
 dell'art.  100,  secondo  comma, della Costituzione - che attribuisce
 alla Corte  dei  conti  il  controllo  sugli  enti  a  cui  lo  Stato
 contribuisce  in  via ordinaria - non puo' desumersi l'esclusione del
 controllo  della  stessa  Corte  sugli  enti  ai   quali   lo   Stato
 contribuisce   soltanto  con  apporto  al  patrimonio.  Sotto  questo
 profilo, l'apporto al patrimonio sarebbe  "la  piu'  ordinaria  delle
 contribuzioni",   dovendosi   la   ordinarieta'  intendere  in  senso
 funzionale e non temporale ed essendo le contribuzioni al  patrimonio
 ancor  piu'  rilevanti  di  quelle  periodiche o saltuarie. Su questo
 punto si richiama la sentenza n. 35 del 1962, nella  quale  la  Corte
 costituzionale ha affermato, con riferimento ad un conflitto relativo
 all'assoggettamento  al  controllo  della  Corte dei conti di un ente
 della  Regione  siciliana,  che  "le  sovvenzioni  al  patrimonio  in
 capitale menzionate dall'art. 12 della legge n. 259 .. anche  se  non
 erogate  secondo  le  modalita'  tipiche  indicate nell'art. 2 .. non
 possono  non  ritenersi  comprese  nell'ambito  dell'art.  100  della
 Costituzione".
    La  permanenza  del  controllo  della  Corte  dei conti sugli enti
 trasformati  in  societa'  sarebbe,  del  resto,   confermata   dalla
 legislazione   sulle   "privatizzazioni"   che  non  contiene  alcuna
 statuizione espressa in materia. Inoltre, neppure  dall'art.  20  del
 decreto-legge  n.  333  del  1992,  che  ha disposto l'abrogazione di
 "tutte le disposizioni di legge contrarie od incompatibili", potrebbe
 desumersi che tra queste rientri anche la legge n. 259 del  1958.  In
 proposito,  si  osserva  che  una  tale  abrogazione implicita non e'
 possibile, dal momento che la legge n. 259, oltre ad  attuare  l'art.
 100 della Costituzione, non appare in alcun modo incompatibile con la
 riforma   intervenuta.  Inoltre,  si  rileva  che  un'interpretazione
 dell'art. 20 del decreto-legge n. 333 che  escludesse  dal  controllo
 un'intera  area di primario interesse per la finanza pubblica - quale
 quella  degli  enti  in  via  di  "privatizzazione",  ma  tuttora  di
 proprieta'  statale - non potrebbe non risultare in contrasto con gli
 artt. 3, 81 e 100, secondo comma, della Costituzione.
    Viene poi esaminato il profilo relativo alla  modificazione  della
 natura  di  ente  pubblico  dell'I.R.I.,  dell'E.N.I.,  dell'I.N.A. e
 dell'E.N.E.L., contestandosi che, ai sensi dell'art. 12  della  legge
 n.  259,  sia  venuto  meno  anche  l'assoggettamento  di  tali  enti
 trasformati in societa' per  azioni  al  controllo  della  Corte  dei
 conti.  In  proposito,  si  individua un collegamento tra la legge 22
 dicembre 1956, n. 1589, istitutiva del Ministero delle partecipazioni
 statali, e l'art. 12 della legge n.  259,  concernente  il  controllo
 della  Corte  dei conti sugli enti pubblici cui lo Stato contribuisce
 con apporto al patrimonio: secondo l'interpretazione  proposta  dalla
 ricorrente,  l'art.  12  fu emanato nell'implicito presupposto che il
 controllo sugli enti di gestione comportasse anche il controllo sulle
 imprese partecipate.
    Sotto   diverso   profilo,   richiamandosi   alcune   disposizioni
 comunitarie  e statali che comprendono tra le imprese pubbliche anche
 le societa' alimentate da mezzi provenienti dalla finanza pubblica  e
 sulle  quali  lo Stato esercita influenza dominante, si rileva che lo
 stesso art. 12 della legge n. 259 puo' essere interpretato nel  senso
 che  al  controllo  della  Corte  dei conti siano soggette, in quanto
 imprese pubbliche, anche le societa'  succedute  agli  enti  pubblici
 economici.
    Sono inoltre contestate le affermazioni contenute nelle note sopra
 ricordate  del  Presidente  del  Consiglio e del Ministro del tesoro,
 secondo  le  quali  gli  enti,  per  effetto  della   trasformazione,
 "fuoriescono"  dal rapporto con lo Stato si che' lo Stato non avrebbe
 piu'  "poteri  di  autorizzazione  e  direttive,  bensi'  i   diritti
 dell'azionista".    Infatti,    con    l'assunzione   diretta   delle
 partecipazioni  al  capitale   delle   nuove   societa',   lo   Stato
 instaurerebbe un rapporto ancor piu' immediato di quanto lo avesse in
 precedenza   e,   come   azionista   di  controllo,  continuerebbe  a
 contribuire "ordinariamente" agli  enti  trasformati,  conservando  i
 poteri di direttiva e comando sulle nuove societa'.
    Secondo  la  ricorrente,  l'art. 100 della Costituzione prevede il
 controllo sugli enti ai quali lo Stato contribuisce in via  ordinaria
 indipendentemente  dalla  loro  natura  pubblica  o  privata,  e,  di
 conseguenza, l'interpretazione di una norma di legge che conducesse a
 negare  tale  equiparazione  sarebbe  in  contrasto  con  il  dettato
 costituzionale: cio' varrebbe anche per l'art. 12 della legge n. 259.
    Passando  poi  all'esame  delle  figure  di  societa'  per  azioni
 previste nell'ordinamento, si  sottolinea  che  tali  figure  non  si
 esauriscono  in quelle disciplinate dal codice civile, ma comprendono
 anche le societa' "di diritto  speciale"  che  mutuano  dallo  schema
 codicistico  solo  alcuni  aspetti  strutturali,  mentre ne divergono
 sotto i profili genetico, funzionale e del rapporto con gli interessi
 generali. Nel caso di specie,le societa' nate dalla trasformazione di
 I.R.I., E.N.I., I.N.A e E.N.E.L.,  assommerebbero,  per  il  disposto
 degli  artt. 15 e 16 del decreto-legge n. 333 del 1992, sotto tutti i
 profili anzidetti (genetico, funzionale e di rapporto con l'interesse
 generale),  le  piu'  rilevanti  difformita'  rispetto   al   modello
 codicistico, proprie delle diverse societa' di diritto speciale. Tali
 difformita' riguardano la derivazione, senza soluzione di continuita'
 ne'  mutamento  di  identita',  da  un  ente  pubblico  preesistente;
 l'assenza, all'origine, di un contratto o, piu' in  generale,  di  un
 atto   di   autonomia,   sostituito,   nel  caso,  da  un  intervento
 legislativo;  la  mancanza  iniziale  di  una  pluralita'   di   soci
 costituenti,  con  la  concentrazione delle azioni e del controllo in
 una sola mano; la mancanza iniziale di un capitale determinato  e  di
 uno  statuto (elementi che sopravverranno dopo la trasformazione); la
 statuizione per legge dell'esercizio  dei  poteri  sociali  da  parte
 dell'azionista  d'intesa  con altri soggetti ed il carattere pubblico
 di tale intesa (che la legge  riferisce  all'azionista  Ministro  del
 tesoro  e  ad  altri tre Ministri); l'esercizio del potere sociale da
 parte dell'azionista secondo un programma elaborato in sede  pubblica
 da piu' Ministri, finalizzato al riordino e alla valorizzazione delle
 partecipazioni,  con  la  previsione legislativa di cessioni, scambi,
 fusioni, ecc. e con devoluzione dei ricavi alla riduzione del  debito
 pubblico.
    A  cio' va aggiunto che la delibera del CIPE del 30 dicembre 1992,
 con la quale sono state dettate le  direttive  per  le  "dismissioni"
 future,  prevede altre condizioni, quali l'attribuzione allo Stato di
 diritti speciali nella nomina degli organi sociali;  la  costituzione
 di  "nuclei  stabili" tra azionisti di riferimento in cui lo Stato ha
 diritto di prelazione sulle azioni degli altri partecipanti e diritto
 di gradimento dell'ingresso di nuovi soci;  l'imposizione  di  limiti
 massimi alle partecipazioni individuali.
    A  fronte  di  cosi'  penetranti  deroghe  allo schema codicistico
 occorre chiedersi, secondo la ricorrente, cosa residui della societa'
 per azioni "tipica" e se il modello previsto dal decreto-legge n. 333
 conservi lo  stesso  carattere  privato  delle  societa'.  La  natura
 pubblicistica  non  sarebbe,  infatti, incompatibile con la struttura
 azionaria, mentre nel caso dell'E.N.E.L. il carattere pubblico  della
 societa' risulterebbe condizionato anche dalla "riserva di attivita'"
 prevista dall'art. 43 della Costituzione.
    In  tale  quadro normativo la previsione del controllo della Corte
 dei conti non contrasterebbe ne' con la  forma  azionaria  -  essendo
 invece  una  conseguenza  diretta  della  presenza  dello  Stato  nel
 capitale delle societa' - ne' con le regole della  gestione  sociale.
 Il  ricorso  rileva conclusivamente che non risulta possibile "con un
 mutamento di  etichetta,  e  anche  di  qualificazione,  superare  la
 realta' degli interessi coinvolti e le normative che, anche a livello
 costituzionale,   li   tutelano".   Si   sottolinea,   infine,  anche
 l'impoverimento che la soppressione del  controllo  della  Corte  dei
 conti  sugli  enti  trasformati  verrebbe  a determinare nell'area di
 conoscenza del Parlamento.
    5. - Con ordinanza n. 242 del 13 maggio 1993 il conflitto in esame
 e' stato dichiarato ammissibile nei confronti del Governo e  non  dei
 singoli ministri, in quanto attinente a comportamenti imputabili alla
 responsabilita'  collegiale  del Governo rappresentato dal Presidente
 del Consiglio dei ministri.
    6. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per chiedere che il ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  o
 comunque infondato.
    Nell'atto   di   costituzione   si  premette  che  l'art.  20  del
 decreto-legge n. 333 del 1992,  convertito  con  modificazioni  nella
 legge  n.  359 del 1992, ha abrogato tutte le norme incompatibili con
 quelle contenute nel decreto stesso.
    Risulterebbero percio' abrogate quelle norme della legge 21  marzo
 1958,  n.  259,  non  piu' compatibili con il nuovo regime societario
 degli enti  pubblici  trasformati  in  societa'  per  azioni,  mentre
 l'assetto   derivante   dalla  nuova  normativa  non  sarebbe  lesivo
 dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, dove si prevede  la
 partecipazione  della  Corte dei conti al controllo "nei casi e nelle
 forme stabilite dalla legge".
    A seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992
 - osserva l'Avvocatura  dello  Stato  -  si  e'  delineato  un  nuovo
 rapporto  tra  societa'  derivate  dalla  trasformazione  degli  enti
 pubblici economici e lo Stato  che  esercita  ora  i  diritti  tipici
 dell'azionista quali previsti dal regime societario. In questo quadro
 gli specifici casi di controllo attribuito alla Corte dei conti sulle
 c.d.  "societa'  legali" (RAI e societa' di navigazione di preminente
 interesse nazionale) andrebbero considerati come eccezioni e non come
 indici di una regola generale.
    Infine, l'Avvocatura dello Stato sostiene che il controllo che  la
 Corte  dei  conti  continua  ad  esercitare  sul  conto  generale del
 patrimonio dello Stato (nel quale sono iscritte le partecipazioni  ai
 fondi  di  dotazione  ed  al  capitale  degli  enti  pubblici e delle
 societa') rappresenterebbe una sede  idonea  per  l'attuazione  dello
 scopo  in  precedenza perseguito attraverso gli strumenti di verifica
 di cui alla legge n. 259 del 1958.
    7. - In prossimita' dell'udienza hanno depositato memoria  sia  la
 Corte dei conti che l'Avvocatura Generale dello Stato.
    In particolare, la ricorrente richiama il contenuto della nota del
 Presidente del Consiglio dei ministri del 13 aprile 1993, nella quale
 si riconosce "coerente con l'interesse collettivo che le societa' per
 azioni  nelle  quali  lo  Stato  ha  una  partecipazione  totale o di
 controllo, e sino a quando perdura  una  tale  partecipazione,  siano
 sottoposte  nelle  forme appropriate alla verifica della Corte". Ma a
 questo proposito nella memoria si contesta la "proposta di soluzione"
 avanzata nella stessa nota dal Presidente del consiglio, secondo  cui
 per   attuare  il  controllo  in  questione  sarebbe  sufficiente  la
 previsione,   negli   statuti   delle   societa'   risultanti   dalla
 trasformazione,  della  nomina  da  parte  dello  Stato di uno o piu'
 sindaci da scegliere tra magistrati della Corte dei conti.
    Ad  avviso  della  ricorrente  la  disciplina  della  materia   va
 individuata  soltanto  nell'art. 100 della Costituzione e nella legge
 n. 259 del 1958. Ove si seguisse, invece, l'orientamento espresso dal
 Presidente   del   Consiglio,   non   solo   si   affiderebbe    alla
 discrezionalita'  del  Governo la previsione della nomina e la scelta
 del nominato, ma si attribuirebbero a  quest'ultimo  i  diritti,  gli
 obblighi   e   le  responsabilita'  proprie  dei  sindaci  di  nomina
 assembleare, secondo quanto previsto dall'art. 2458 c.c .
    8. - L'Avvocatura dello Stato, nella sua memoria, osserva  che  le
 nuove  societa'  sono senza dubbio persone giuridiche private - anche
 se a capitale pubblico - e  che  ognuna  di  esse  ha  deliberato  il
 proprio statuto ed e' soggetta alla normativa vigente per le societa'
 per  azioni:  dal  che'  l'esclusione  del  controllo  esercitato dal
 magistrato della Corte dei conti ai sensi dell'art. 12 della legge n.
 259 del 1958.
    Questa  interpretazione  letterale  delle  norme   sarebbe   anche
 confortata  da  quella  logica,  essendo  evidente  che la principale
 finalita' delle disposizioni contenute nel decreto-legge n.  333  del
 1992   e'   quella   di   avviare  le  "privatizzazioni",  mentre  il
 mantenimento del controllo  pubblico  della  Corte  dei  conti  sulle
 societa'   derivate   dalla  trasformazione  potrebbe  costituire  un
 ostacolo notevole al raggiungimento di tale obbiettivo.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte dei conti, con il ricorso in  esame,  rivendica,  in
 sede  di  conflitto  di  attribuzione  tra  i  poteri dello Stato, la
 propria  competenza   a   esercitare   nei   confronti   dell'I.R.I.,
 dell'E.N.I.,  dell'I.N.A. e dell'E.N.E.L. il controllo sulla gestione
 finanziaria previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 per  gli  enti
 cui  lo Stato contribuisce in via ordinaria, anche dopo che tali enti
 sono stati trasformati - ai sensi dell'art. 15 del  decreto-legge  11
 luglio  1992,  n.  333  (convertito, con modificazioni, nella legge 8
 agosto 1992, n. 359) - in societa' per azioni: e questo fino a quando
 in tali societa' permanga una partecipazione totalitaria o prevalente
 dello Stato. Conseguentemente, la ricorrente chiede a questa Corte di
 voler dichiarare l'obbligo del Governo ad  adottare  i  provvedimenti
 necessari  per  il  mantenimento  od  il  ripristino del controllo in
 precedenza esercitato dalla Corte dei conti nei confronti degli  enti
 sottoposti  a  trasformazione  e  di  annullare  gli atti governativi
 eventualmente contrari.
    Resiste al ricorso il Governo,  ritenendo  che  la  trasformazione
 degli enti in questione in societa' per azioni abbia fatto venir meno
 i  presupposti per l'esercizio del controllo di cui alla legge n. 259
 del 1958: controllo che risulterebbe ormai superato dal nuovo assetto
 delle societa', soggette soltanto alla disciplina del  codice  civile
 che  affida  le modalita' di nomina e di composizione degli organi di
 amministrazione e di controllo agli statuti societari.
    2.  -  Sussistono,  nella  specie,  le  condizioni  soggettive  ed
 oggettive  per  la  proposizione del conflitto, ai sensi dell'art. 37
 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Come  gia' rilevato nell'ordinanza n. 242 del 1993, concernente il
 giudizio preliminare di ammissibilita' del conflitto,  la  Corte  dei
 conti,  nell'esercizio della sua funzione di controllo sulla gestione
 finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via  ordinaria,
 gode,   sotto   il  profilo  soggettivo,  della  qualita'  di  potere
 legittimato alla proposizione  del  conflitto,  venendo  a  disporre,
 nell'esercizio  di  tale funzione, di una piena autonomia dagli altri
 poteri. D'altro  canto,  sotto  il  profilo  oggettivo,  non  possono
 sussistere  dubbi  in ordine al fatto che la sfera di attribuzione di
 cui viene nel ricorso lamentata la lesione trovi la propria copertura
 costituzionale nell'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
    Va, pertanto, confermata, sotto ogni profilo, l'ammissibilita' del
 ricorso.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    La  soluzione  del  conflitto   pone   essenzialmente   in   gioco
 l'interpretazione  della  legge  21  marzo 1958, n. 259, alla luce di
 quanto previsto dal dettato costituzionale in tema di controllo sulla
 gestione finanziaria degli enti cui  lo  Stato  contribuisce  in  via
 ordinaria.
    L'art.  100,  seconda  parte del secondo comma, della Costituzione
 statuisce che la Corte dei conti "partecipa, nei casi e  nelle  forme
 stabilite  dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli
 enti a cui  lo  Stato  contribuisce  in  via  ordinaria",  prevedendo
 l'obbligo  per  la stessa Corte di riferire "direttamente alle Camere
 sul risultato del riscontro effettuato".
    In attuazione di tale disposto,  la  legge  n.  259  del  1958  ha
 regolato  due  diversi tipi di controllo, istituendo ai fini del loro
 esercizio una speciale Sezione in seno alla stessa Corte (art. 9): il
 primo  tipo,  riferito  agli  enti  -  indicati  dalla  legge   senza
 l'aggiunta  di altra qualificazione - cui la pubblica amministrazione
 conferisce contributi con  carattere  di  periodicita'  da  oltre  un
 biennio  ovvero  attribuisce  continuativamente  un potere impositivo
 (art. 2); il secondo, riferito, invece,  agli  enti  -  espressamente
 qualificati dalla legge come pubblici - nei cui confronti la pubblica
 amministrazione  contribuisce con apporto al patrimonio in capitale o
 servizi o beni ovvero mediante concessione  di  garanzia  finanziaria
 (art. 12).
    Nel  primo  caso  il  controllo e' esercitato nelle forme indicate
 dagli artt. 4, 5 e 6 della stessa legge (invio da  parte  degli  enti
 dei  conti  consuntivi, dei bilanci di esercizio e dei relativi conti
 dei profitti e delle perdite;  richiesta  di  informazioni  da  parte
 della   Corte  dei  conti  ai  rappresentanti  delle  amministrazioni
 pubbliche presenti nei collegi sindacali  degli  enti;  richiesta  di
 ulteriori  informazioni,  atti  e  documenti  agli  stessi  enti e ai
 ministeri competenti); nel secondo caso  il  controllo  si  esercita,
 oltre  che  con  l'invio  dei  consuntivi  e dei bilanci, mediante la
 presenza  diretta  di  un  magistrato  della  Corte,  legittimato  ad
 assistere alle sedute degli organi di amministrazione o di revisione.
    Nell'una  e  nell'altra ipotesi la Corte e' tenuta a riferire alle
 Camere i risultati del controllo eseguito, potendo altresi', nel caso
 in cui accerti irregolarita' nella gestione e,  comunque,  quando  lo
 ritenga  opportuno,  formulare  rilievi  al  Ministro del tesoro e al
 Ministro competente (artt. 7 e 8).
    In  attuazione  di questa disciplina, l'I.R.I., l'E.N.I. e l'I.N.A
 venivano sottoposti al controllo di cui all'art. 12  della  legge  n.
 259  mediante  decreti  del  Presidente della Repubblica, adottati ai
 sensi dell'art. 3 della stessa legge (d.P.R. 11  marzo  e  25  aprile
 1961), mentre nei confronti dell'E.N.E.L. lo stesso tipo di controllo
 veniva  statuito  mediante  una specifica disposizione espressa nella
 legge istitutiva dell'ente (art. 1. ultimo comma, L. 6 dicembre 1962,
 n. 1643).
    Sopravvenuta - ai sensi dell'art. 15 del decreto-legge  11  luglio
 1992,  n.  333,  convertito  nella  legge  8 agosto 1992, n. 359 - la
 trasformazione degli enti in questione in  societa'  per  azioni,  il
 controllo  della  Corte  dei  conti  e'  venuto di fatto a cessare in
 conseguenza del comportamento omissivo tenuto  dal  Governo,  che  ha
 impedito  la  convocazione  dei  magistrati addetti al controllo alle
 sedute degli organi di amministrazione e di  revisione  delle  stesse
 societa'  nonche'  l'invio  alla  Corte  da parte di queste dei conti
 consuntivi e dei bilanci.
    Il Governo ha poi spiegato le ragioni  del  proprio  atteggiamento
 esprimendo  l'avviso  che "le nuove societa' fuoriescono dal rapporto
 con lo Stato che fa da presupposto al controllo della Corte" (lettera
 10 agosto 1992 del Presidente del Consiglio al Presidente della Corte
 dei conti) e che il potere di controllo previsto dall'art.  12  della
 legge  n.  259  va ritenuto ormai superato "in quanto le modalita' di
 nomina e  la  composizione  degli  organi  di  amministrazione  e  di
 controllo  delle  societa'  per  azioni derivate dalla trasformazione
 dell'I.R.I., dell'E.N.I., dell'E.N.E.L. e dell'I.N.A. sono state, per
 legge, devolute agli statuti societari" (lettera  14  settembre  1992
 del Ministro del tesoro al Presidente dell'E.N.E.L.).
    Dal suo canto la Corte dei conti, con le determinazioni nn. 23, 29
 e  45  del 1992, nel rivendicare la propria competenza, ha illustrato
 ampiamente le ragioni che verrebbero a giustificare la  conservazione
 del  controllo  di  cui  alla  legge n. 259 anche nei confronti delle
 nuove societa', giungendo, infine,  alla  decisione  di  proporre  il
 conflitto di cui e' causa.
    4.  -  Con  riferimento  al quadro ora descritto, il comportamento
 tenuto   dal   Governo   si   presenta   lesivo   della    competenza
 costituzionalmente  spettante alla Corte dei conti ai sensi dell'art.
 100, secondo comma, della Costituzione, cosi' come specificato  dalla
 legge 21 marzo 1958, n. 259.
    Diversamente  da quanto asserito dallo stesso Governo, la semplice
 trasformazione degli enti pubblici economici di cui all'art. 15 della
 legge n. 359 del 1992  non  puo'  essere,  infatti,  ritenuto  motivo
 sufficiente  a determinare l'estinzione del controllo di cui all'art.
 12 della legge n. 259 del 1958, fino  a  quando  permanga  inalterato
 nella  sostanza  l'apporto  finanziario  dello  Stato  alla struttura
 economica dei nuovi soggetti, cioe' fino a quando lo  Stato  conservi
 nella  propria  disponibilita'  la  gestione  economica  delle  nuove
 societa'  mediante  una  partecipazione  esclusiva  o  prevalente  al
 capitale  azionario  delle stesse. In proposito va, infatti, rilevato
 che il processo di "privatizzazione", iniziato con  il  decreto-legge
 n.  386 del 1991 (convertito nella legge n. 35 del 1992) e sviluppato
 mediante l'art. 15 del decreto-legge n. 333 (convertito  nella  legge
 n.  359 del 1992), ha assunto come propri obbiettivi fondamentali sia
 il riordino e la valorizzazione del  complesso  delle  partecipazioni
 pubbliche  sia  la  "dismissione"  graduale da parte dello Stato, per
 esigenze  di  risanamento  della  finanza  pubblica,  del  patrimonio
 azionario risultante dalle trasformazioni e  conferito  al  Ministero
 del  tesoro (v. art. 16 legge n. 359 del 1992). Le ragioni che stanno
 alla base del controllo spettante alla Corte  dei  conti  sugli  enti
 pubblici economici sottoposti a trasformazione non possono, pertanto,
 considerarsi  superate  in conseguenza del solo mutamento della veste
 giuridica degli stessi enti, ove a tale mutamento formale non  faccia
 seguito  anche una modifica di carattere sostanziale nell'imputazione
 del patrimonio  (ora  trasformato  in  capitale  azionario)  tale  da
 sottrarre   la  gestione  finanziaria  degli  enti  trasformati  alla
 disponibilita' dello Stato. E questo tanto piu' ove si consideri  che
 il  passaggio  di  tale  patrimonio  dalla  sfera pubblica alla sfera
 privata avviene, in base al processo di  "privatizzazione"  in  atto,
 nel rispetto di condizioni particolari che sono state poste con norme
 speciali di diritto pubblico.
    Il  controllo  in  questione  verra', invece, a perdere la propria
 ragione d'essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento  in
 cui   il   processo   di  "privatizzazione",  attraverso  l'effettiva
 "dismissione" delle quote azionarie in mano pubblica,  avra'  assunto
 connotati  sostanziali,  tali  da determinare l'uscita delle societa'
 derivate dalla sfera della finanza pubblica.
    5. - Contro la soluzione ora  indicata  non  puo'  valere  ne'  il
 richiamo  alla  formula letterale dell'art. 12 della legge n. 259 del
 1958 ne' l'asserita incompatibilita' del tipo di  controllo  previsto
 da  tale  norma  con  la  natura  di  societa' per azioni assunta dai
 soggetti trasformati.
    Per quanto riguarda il richiamo al dato letterale, se e' vero  che
 l'art. 12 della legge n. 259 riferisce il controllo in questione agli
 "enti  pubblici", e' anche vero che la disposizione espressa con tale
 articolo non  puo'  non  richiedere  un'interpretazione  adeguata  al
 dettato  costituzionale,  anche in relazione alla funzione propria di
 questo tipo di controllo ed alla evoluzione subita, rispetto al tempo
 dell'enunciazione della norma, dalla stessa nozione di ente pubblico.
    Su questo piano non possono sussistere dubbi in  ordine  al  fatto
 che  il  controllo  regolato  dall'art. 12 della legge n. 259 risulti
 incluso nell'ambito della sfera disciplinata dall'art.  100,  secondo
 comma,   della   Costituzione,  dal  momento  che  tale  dato  emerge
 chiaramente dallo stesso art. 12 (dove si richiama l'art. 100  Cost.)
 ed  e'  stato  gia' evidenziato da questa Corte nella sent. n. 35 del
 1962. Ma l'art. 100, secondo comma, della Costituzione, pur rinviando
 alla legge ordinaria la determinazione dei casi  e  delle  forme  del
 controllo,  riferisce  il  controllo stesso agli "enti a cui lo Stato
 contribuisce in via ordinaria", senza porre  distinzione  alcuna  tra
 enti   pubblici   ed   enti  privati.  E  questo  spiega  come  nella
 formulazione  originaria  del  disegno  di   legge   governativo   di
 attuazione  dell'art.  100, secondo comma, della Costituzione, da cui
 e' scaturita la legge n. 259 del 1958 (Senato, n. 27  del  1953),  si
 fosse  fatto  esplicito  riferimento, ai fini della definizione della
 sfera soggettiva del controllo della  Corte  dei  conti,  agli  "enti
 pubblici  e privati cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" (art.
 1). Caduta questa dizione nel corso dei lavori  parlamentari  -  dove
 emerse  la distinzione tra il controllo di cui all'art. 2 e quello di
 cui all'art. 12 -  e'  rimasta  pur  sempre  l'esigenza  di  adeguare
 l'interpretazione  di  questa  seconda disposizione, formalmente piu'
 restrittiva  della  prima, al dettato costituzionale: interpretazione
 che in alcun modo puo' trascurare la funzione propria  del  controllo
 previsto  dall'art.  100,  secondo  comma, della Costituzione, che e'
 stata da questa Corte collegata "all'interesse preminente dello Stato
 (costituzionalmente  rilevante  per  l'art.  100  Cost.)  che   siano
 soggette  a  vigilanza  le  gestioni  relative  ai  finanziamenti che
 gravano  sul  proprio  bilancio,  sottoponendole  in  definitiva   al
 giudizio  del  Parlamento" (sent. n. 35 del 1962). Ora, e' proprio la
 considerazione di tale finalita' primaria che  puo'  giustificare  la
 permanenza del controllo in questione anche nei confronti delle nuove
 societa',  se  e  fino  a quando la gestione delle stesse resti nella
 disponibilita' dello Stato e sia  suscettibile,  di  conseguenza,  di
 incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale.
    D'altro   canto,  sul  piano  della  individuazione  dei  soggetti
 sottoposti al controllo, si  puo'  anche  ricordare  come  la  stessa
 dicotomia  tra  ente  pubblico  e  societa' di diritto privato si sia
 andata, di recente, tanto in sede  normativa  che  giurisprudenziale,
 sempre   piu'  stemperando:  e  questo  in  relazione,  da  un  lato,
 all'impiego crescente dello strumento della societa' per  azioni  per
 il  perseguimento di finalita' di interesse pubblico (v. ad es., L. 5
 marzo 1982 n. 63; L. 19 dicembre 1983, n. 700; L. 22  dicembre  1984,
 n.  887,  art.  18,  nono  comma;  L. 8 giugno 1990 n. 142, art. 22);
 dall'altro, agli indirizzi emersi in sede di normazione  comunitaria,
 favorevoli   all'adozione  di  una  nozione  sostanziale  di  impresa
 pubblica (art. 2 direttiva CEE n.  80/723,  in  tema  di  trasparenza
 delle  relazioni  finanziarie  tra gli Stati membri e le loro imprese
 pubbliche; art. 1 direttiva CEE n. 90/531, in tema  di  procedure  di
 appalto degli enti erogatori di servizi).
    Del  resto,  la  stessa  normazione sulle "privatizzazioni" che ha
 dato luogo al conflitto costituisce un esempio di quanto si  presenti
 oggi  sfumata  la  linea  di  confine  che, nell'ambito di discipline
 speciali quali quelle in esame, viene a distinguere gli enti pubblici
 dalle societa' di diritto privato. Basti solo  considerare  il  fatto
 che   le  societa'  per  azioni  derivate  dalla  trasformazione  dei
 precedenti enti pubblici conservano connotazioni proprie  della  loro
 originaria  natura  pubblicistica,  quali  quelle, ad esempio, che si
 collegano alla assunzione della veste di concessionarie necessarie di
 tutte le attivita' in precedenza attribuite  o  riservate  agli  enti
 originari  o  che  mantengono  alle nuove societa' le attribuzioni in
 materia di dichiarazione di pubblica  utilita'  e  di  necessita'  ed
 urgenza  gia' spettanti agli stessi enti (v. art. 14, primo ed ultimo
 comma, legge n. 359 del 1992).
    6.  -  Non  e'  dato,   d'altro   canto,   rilevare   un'oggettiva
 incompatibilita'    tra    la    nuova   disciplina   relativa   alle
 "privatizzazioni" ed il controllo di cui all'art. 12 della  legge  n.
 259,  controllo  da trasferire, nei limiti sopra enunciati, sui nuovi
 soggetti societari.
    Va innanzitutto escluso che la legge n. 359 del 1992  possa  avere
 determinato  -  attraverso  la clausola generale posta nell'art. 20 -
 l'abrogazione tacita della legge  n.  259  del  1958,  sia  pure  con
 riferimento  ai  soli  enti  trasformati  di  cui all'art. 15. A tale
 evenienza vengono, infatti, a opporsi sia i contenuti che  la  natura
 della  legge  n.  259,  attraverso  cui  e'  stato  attuato,  con una
 disciplina caratterizzata da completezza  e  organicita',  l'istituto
 del   controllo   specificamente   previsto  in  sede  costituzionale
 dall'art. 100, secondo comma: elemento questo che di per se' induce a
 escludere  l'eventualita'  di  una  abrogazione   tacita   realizzata
 attraverso la formulazione di una normazione quale quella adottata in
 tema  di  "privatizzazioni",  che  appare  estranea  alla materia del
 controllo affidato alla Corte dei conti.
    A questo si aggiunga che anche  la  veste  formale  assunta  dalle
 societa'  che  sono  venute  a sostituire gli enti pubblici economici
 sottoposti a trasformazione non  puo'  dirsi  caratterizzata  da  una
 naturale  incompatibilita'  con  i  caratteri  propri  del  controllo
 affidato alla Corte dei Conti dalla  Costituzione  e  regolato  dalla
 legge n. 259.
    In  proposito,  si puo' richiamare la natura di "diritto speciale"
 che va riconosciuta a dette societa'  e  che  viene  a  emergere  dal
 complesso  della  disciplina adottata al fine di regolare il processo
 di "privatizzazione": natura che risulta connotata -  come  e'  stato
 ampiamente  illustrato negli scritti difensivi della ricorrente - sia
 dalla costituzione che dalla struttura e dalla gestione  delle  nuove
 societa' e che viene a specificarsi attraverso la previsione di norme
 particolari - differenziate da quelle proprie del regime tipico delle
 societa'  per  azioni  -  sia  in tema di determinazione del capitale
 sociale (v. artt. 15 e 16 decreto-legge n. 333 del  1992,  convertito
 nella  legge  n. 359 del 1992 e decreto-legge 21 giugno 1993, n. 198,
 convertito nella legge 9  agosto  1993,  n.  292),  sia  in  tema  di
 esercizio  dei  diritti  dell'azionista  (spettanti  al  Ministro del
 tesoro, ma previa intesa con altri Ministri: v. art. 15, terzo comma,
 decreto-legge n. 333 del 1992), sia infine, in tema di patti sociali,
 poteri speciali, clausole di gradimento, modifiche statutarie, quorum
 deliberativi nelle assemblee, limiti al possesso di  quote  azionarie
 da  parte  dei  terzi acquirenti (v. delibera CIPE 30 dicembre 1992 e
 decreto-legge n. 389 del 1993, reiterato con il decreto-legge n.  486
 del 1993). Non senza, infine, considerare il vincolo esterno connesso
 al  fatto  che  i  ricavi  derivanti  dalla  cessione  dei cespiti da
 dismettere vanno destinati alla riduzione  del  debito  pubblico  (v.
 art. 16, secondo comma, decreto-legge n. 333 del 1992).
    Da  questo  complesso  di  norme  emerge  non solo il quadro delle
 finalita', dei vincoli e delle  condizioni  di  natura  pubblicistica
 entro  cui  il processo di "privatizzazione" si sta oggi sviluppando,
 ma anche la natura differenziata  e  speciale  delle  societa'  sorte
 dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici economici.
    Rispetto  a  questo  quadro  ed  a questa natura non puo', dunque,
 considerarsi dissonante il fatto che possa permanere, sia pure in via
 transitoria - e cioe' fino a quando le "dismissioni" non risulteranno
 effettivamente attuate - il controllo sulla gestione  finanziaria  di
 cui  alla  legge  n.  259: controllo destinato a restare esterno alle
 societa' e a garantire l'informazione del Parlamento anche durante la
 delicata fase di passaggio  che  si  e'  aperta,  nel  sistema  delle
 partecipazioni    statali,    con    l'avvio    del    processo    di
 "privatizzazione".
    7. - Le osservazioni che precedono conducono, dunque, ad affermare
 la spettanza alla Corte dei conti nei confronti  delle  societa'  per
 azioni   derivate   dalla  trasformazione  dell'I.R.I.,  dell'E.N.I.,
 dell'I.N.A. e dell'E.N.E.L. del potere di controllo di  cui  all'art.
 12  della  legge  n. 259 del 1958: potere da esercitare nelle forme e
 nei limiti in precedenza applicati e fino a quando permanga, rispetto
 al  capitale  delle  stesse  societa',  la partecipazione esclusiva o
 maggioritaria dello Stato.
    Essendo il conflitto insorto  in  relazione  ad  un  comportamento
 omissivo  tenuto  dal  Governo,  non  esistono  atti  formali nei cui
 confronti disporre l'annullamento.