IL TRIBUNALE L'anno 1992 addi' nelle cause civili di appello, promosse da Marcon Giovannina, Moretto Giocondo, Ruhert Maria, Chivilo' Francesco rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Marchi per mandato a margine del ricorso di primo grado, appellanti, contro l'I.N.P.S., rappresentato e difeso dall'avvocato O. D'Ottavio per procura generale alle liti n. 13281 del 14 luglio 1988, appellato, ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Il diritto dell'I.N.P.S. a ripetere somme indebitamente erogate (che costituisce l'oggetto della presente controversia) e' disciplinato dall'art. 52 della legge n. 88/1989. 2. - Nel testo originario l'art. 52 stabiliva, al primo comma, che "le pensioni .. possono essere rettificate in ogni momento dagli enti o fondi erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della stessa"; ed aggiungeva, al secondo comma (posto da odiern appellat a fondamento della eccepita irripetibilita'), che "nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo al recupero della somma corrisposta salvo che la percezione indebita sia dovuta a dolo dell'interessato". 3. - L'art. 13 della legge n. 412/1992 ha inteso interpretare la norma appena citata, dichiarando che "le disposizioni di cui all'art. 52, secondo comma della legge 9 marzo 1989, n. 88 si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alla somma corrisposta in base a formale definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura". 4. - Rileva innanzitutto il collegio che la validita' della norma da ultimo richiamata e' idonea, nel caso di specie, a definire la controversia. L'errore dell'I.N.P.S. e' consistito infatti nel pagamento di una integrazione non piu' dovuta: l'indebito ha quindi avuto origine dall'erogazione di una seconda pensione non a carico dell'Istituto, e non da un suo "provvedimento formale" (come richiede l'art. 52 dopo la modifica introdotta con la legge n. 412/1992). 5. - Occorre quindi accertare se l'art. 52 della legge n. 88/1989, dopo l'interpretazione fornita dal legislatore con la legge n. 412/1992, sia ancora conforme al dettato costituzionale. 6. - A questo proposito va ricordato che la ratio dell'art. 52, secondo comma della legge n. 88/1989 (nella sua formulazione originaria) era stata concordemente individuata dalla giurisprudenza nell'applicazione al settore previdenziale dei principi contenuti negli artt. 36 e 38 della Costituzione. In particolare la suprema Corte aveva chiarito che il pensionato e', per l'ordinamento vigente, un soggetto bisognoso di una prestazione alimentare; e che quindi l'obbligo di rimborsare quanto indebitamente percepito a causa dell'errore commesso dagli enti previdenziali verrebbe per necessita' ad incidere sulla prestazione stessa (dovendosi presumere che le somme ricevute vengano destinate ai bisogni della vita, e non al risparmio), e di conseguenza sul minimo garantito dai richiamati articoli della Carta costituzionale (cosi' cassazione sez. L, 14 novembre 1989, n. 4805). La norma, ritenuta cosi' superamento dei limiti dell'art. 80 r.d. n. 1422/1924, ha trovato applicazione assai vasta nella giurisprudenza: valga rammentare cassazione sez. L, 5 febbraio 1992, n. 1230 e 1231; sez. L, 1 febbraio 1992, n. 1034; sez. L, 7 ottobre 1991, n. 10454; sez. L, 8 maggio 1991, n. 5105; e, in particolare, cassazione n. 1839 del 21 febbraio 1991, secondo cui "l'irripetibilita' sancita dall'art. 52 della legge n. 88/1989 comprende .. non solo l'ipotesi di errore nella liquidazione o assegnazione ma anche l'ipotesi di errore nel pagamento della prestazione in conseguenza di una sopravvenuta modificazione legislativa del trattamento pensionistico (nella specie art. 19 della legge n. 843/1978)". 7. - Posto quindi che l'irripetibilita' non sanziona un errore dell'ente ma tutela il pensionato (garantendogli la conservazione di somme destinate alla vita e non all'accumulazione), si deve concludere che l'interpretazione data all'art. 52 della legge n. 88/1989, dall'art. 13 della legge n. 412/1992, confligge con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; con gli artt. 36 e 38, perche' comporta la riduzione della prestazione pensionistica al di sotto del minimo vitale; e con l'art. 3, perche' ai dipendenti pubblici l'art. 206 d.P.R. n. 1092/1973 assicura la piena irripetibilita' (ed a questo proposito va ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 383 del 31 luglio 1990, ha escluso l'esistenza di una disparita' di trattamento fra le pensioni erogate dallo Stato o da altri enti pubblici e quelle erogate dall'I.N.P.S., valendo anche per queste ultime la regola della piena irripetibilita' in forza dell'art. 52 della legge n. 88/1989). 8. - Il motivo di illegittimita' appena esaminato e' senza dubbio prevalente su ogni altro. Ad esso va pero' aggiunto quello costituito dall'efficacia retroattiva dell'interpretazione data dal legislatore all'art. 52 della legge n. 88/1989. 9. - Che di un'interpretazione autentica si tratti (almeno dal punto di vista formale) non vi e' dubbio: di tale verbo fa uso proprio il legislatore, dimostrando cosi' (almeno in apparenza) di non voler innovare l'ordinamento. 10. - La retroattivita' dell'interpretazione, come si apprende dalla teoria generale, discende dal suo carattere di attivita' di conoscenza e non di volizione. Altrimenti detto, l'interpretazione chiarifica ed esplicita il precetto, che le preesiste: ragionevolmente, allora, gli effetti del precetto hanno inizio non dal momento della conoscenza acclarata dall'interpretazione, ma da quello della volizione del contenuto della norma da parte dell'autorita' legittimata a porla. 11. - Nel caso dell'interpretazione autentica si verifica pero' una situazione particolare: legislatore ed interprete coincidono; ne consegue che, in concreto, all'azione intellettiva dell'interpretare potrebbe aggiungersi (o addirittura sostituirsi) l'azione volitiva del legiferare. Tale fenomeno e', in linea teorica, pienamente legittimo: nella Costituzione manca infatti, per la legge in generale, e quindi in materia di diritto privato, una norma che sancisca il principio di irretroattivita' (fissato, per la legge penale, dall'art. 25, secondo comma della Costituzione). E la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che il legislatore puo' attribuire efficacia retroattiva alle sue disposizioni sia mediante un'apposita norma, sia ricorrendo ad uno strumento diverso, come la autodefinizione di interpretazione autentica (Corte costituzionale 2 febbraio 1988, n. 123; negano che l'interpretazioine autentica costituisca indebita interferenza nella sfera del potere giudiziario anche numerose altre sentenze: n. 754, del 30 giugno 1988; n. 6, del 19 gennaio 1988; n. 91, del 26 gennaio 1988; n. 167, del 1 luglio 1986; n. 36, del 13 febbraio 1985; n. 35, del 22 febbraio 1983, ed altre ancora). 12. - La Corte costituzionale ha pero' stabilito, nel contempo, che "non puo' essere considerata interpretativa una norma che non si limiti a chiarire il significato della norma interpretata ma rechi una nuova formulazione delle norma originaria, introducendovi sostanziali novita'" (cosi' Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155, 25 maggio 1989, n. 283, e, di recente, 20 maggio 1992, n. 246); e che "il legislatore non fa buon uso del suo potere quando emani norme dichiarate autentiche allo scopo di sostituirsi al potere cui e' affidato il compito istituzionale dell'interpretazione della legge, dichiarando l'autentico significato di una precedente legge con valore obbligatorio e vincolante per il giudice, se non ricorra l'esigenza di dirimere dubbi sorti in sede di interpretazione della legge anteriore, che abbia rivelato gravi ed insuperabili anfibologie" (in questo senso Corte costituzionale 10 dicembre 1981, n. 187, richiamata dal tribunale di Genova nell'ordinanza 1 aprile 1992, in Gazzetta Ufficiale n. 25, del 10 giugno 1992). 13. - Nel caso concreto rileva il collegio che l'art. 52 della legge n. 88/1989 (nella sua formulazione originaria) e' sempre stato interpretato dalla giurisprudenza in modo sostanzialmente univoco (Cass. sez. L, 5 febbraio 1992, n. 1230; sez. L, 1 febbraio 1992, n. 1034; sez. L, 8 novembre 1991, n. 11918; sez. L, 28 settembre 1991, n. 10166; sez. L, 12 agosto 1991, n. 8792; sez. L, 30 luglio 1991, n. 8432; sez. L, 5 giugno 1991, n. 6394; sez. L, 4 settembre 1991, n. 6294; sez. L, 29 maggio 1991, n. 6088; sez. L, 8 maggio 1991, n. 5105; sez. L, 16 aprile 1991, n. 4061; sez. L, 5 aprile 1991, n. 3575; sez. L, 21 febbraio 1991, n. 1839; sez. L, 15 febbraio 1991, n. 1578; sez. L, 13 febbraio 1991, n. 1470; sez. L, 29 gennaio 1991, n. 828; sez. L, 24 gennaio 1991, n. 675; sez. L, 12 novembre 1990, n. 10924; sez. L, 26 ottobre 1990, n. 10369; sez. L, 13 ottobre 1990, n. 10061; sez. L, 14 novembre 1989, n. 4805): l'art. 13 della legge n. 412/1992 non ha percio' il carattere dell'interpretazione, che "ricorre ove la legge, senza modificare il tenore testuale della norma interpretata, ne precisi il significato precettivo, scegliendo una fra le interpretazioni possibili" (cosi', nella parte motiva, la sentenza della Corte costituzionale n. 246/1992). 14. - La retroattivita' della nuova disciplina introdotta dall'art. 13 appena citato contrasta poi con gli artt. 36 e 38 della Costituzione: se infatti l'onere di controllare che l'I.N.P.S. non esegua pagamenti indebiti (che, in ultima analisi, la novella pone a carico del pensionato) e' da ritenere illegittimo per il futuro, tanto piu' lo e' per il passato (quando, cioe', era in vigore una norma che un simile onere certo non prevedeva, stabilendo l'irripetibilita' di tutte le somme erroneamente pagate dall'I.N.P.S., anche senza un provvedimento formale). Ed ancora contrasta con il principio secondo cui "l'irretroattivita' della legge costituisce un principio generale del nostro ordinamento che, pur non essendo elevato, al di fuori della materia penale, a dignita' costituzionale, rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema, che il legislatore deve applicare, salvo deroghe per ragionevoli cause giustificatrici, in quanto la certezza dei rapporti preferiti costituisce un indubbio cardine di civile convivenza e di tranquillita' dei cittadini" (Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155). Ritiene quindi il tribunale che nell'art. 13 della legge n. 412/1992 sia ravvisabile una violazione degli artt. 101 e 104 della Costituzione, mancando una ragionevole causa giustificatrice per qualificare come interpretativa (e quindi retroattiva) una norma che invece, nella sostanza, innova l'ordinamento in misura assai rilevante.