ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2, quarto
 comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure  urgenti  per
 il  risanamento  della  finanza  pubblica),  convertito nella legge 8
 agosto 1992, n. 359, cosi' come  interpretato  dall'art.  7,  settimo
 comma,  della  legge  14  novembre  1992,  n. 438, di conversione del
 decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
 previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
 fiscali),  promosso  con  ordinanza  emessa  l'11  febbraio  1993 dal
 Tribunale  amministrativo  regionale  del  Trentino-Alto  Adige   sul
 ricorso  proposto  da  Chiaro  Pietro ed altri contro il Ministero di
 grazia e giustizia, iscritta al n. 670 del registro ordinanze 1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 46, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  9  marzo 1994 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  corso  del  giudizio  instaurato   da   alcuni
 magistrati  ordinari  per  l'accertamento  di diritti patrimoniali ad
 essi spettanti, al fine di ottenere un livello stipendiale  allineato
 a quello del collega Antonio Francesco Esposito, di minore anzianita'
 dei  ricorrenti,  che  gode  fin dal 1990 di un trattamento economico
 piu' favorevole, ai sensi dell'art. 202 del d.P.R. 10  gennaio  1957,
 n. 3, nonche' dell'art. 12 del successivo d.P.R. 28 dicembre 1970, n.
 1079, avendo egli in precedenza prestato servizio alle dipendenze del
 Senato della Repubblica, in qualita' di referendario parlamentare, il
 Tribunale  amministrativo  regionale  del  Trentino-Alto  Adige,  con
 ordinanza dell'11 febbraio 1993, ha sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione,  la  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio
 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto  1992,  n.  359,  cosi'
 come interpretato dall'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre
 1992,  n. 438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n.
 384;
      che il giudice a quo nell'ordinanza osserva che in base all'art.
 2, quarto comma, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito
 dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, recante  "Misure  urgenti  per  il
 risanamento  della  finanza pubblica" e' stata prevista l'abrogazione
 immediata di talune norme, ed in particolare del "secondo periodo del
 terzo  comma,  dell'art.  4  del  decreto-legge 27 settembre 1982, n.
 681", che fissava per la prima volta - con specifico  riferimento  al
 personale  militare - il principio dell'allineamento stipendiale, poi
 esteso ad altre categorie di dipendenti pubblici, e che con l'art.  7
 del  decreto-legge  19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge
 14 novembre 1992, n. 438,  recante  "Misure  urgenti  in  materia  di
 previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
 fiscali" e' stata dettata una disposizione secondo cui  la  norma  di
 cui  sopra  va  interpretata  "nel senso che dalla data di entrata in
 vigore del predetto decreto-legge non possono  essere  piu'  adottati
 provvedimenti  di  allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti
 anteriori all'11 luglio 1992";
     che secondo il collegio remittente tali nuove  disposizioni,  che
 si  applicano  anche  al  personale  di magistratura, hanno carattere
 retroattivo e soppressivo di situazioni soggettive  gia'  maturate  e
 comportano  pertanto una ingiustificata disparita' di trattamento tra
 dipendenti pubblici in analoghe situazioni, in violazione dell'art. 3
 della Costituzione, e che, sempre ad avviso del giudice  a  quo,  una
 tale  situazione  di  sperequazione  potrebbe  altresi'  riverberarsi
 negativamente sulla stessa efficienza  dell'amministrazione,  poiche'
 il   pubblico  dipendente  "non  allineato"  vedrebbe  conservato  un
 maggiore trattamento economico a favore di colleghi casualmente  gia'
 raggiunti  da  provvedimenti di allineamento, e cio' non potrebbe che
 influire negativamente sul  rendimento  dei  primi,  con  conseguente
 violazione   del   principio   di   buon   andamento,  oltre  che  di
 imparzialita', sancito dall'art. 97 della Costituzione;
      che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
 infondata;
    Considerato che con la sentenza n. 6 del 1994 questa Corte ha gia'
 dichiarato    infondata    identica    questione    di   legittimita'
 costituzionale  sul  rilievo  che  la  soppressione   con   efficacia
 retroattiva  dell'istituto  dell'allineamento  stipendiale  e'  stata
 determinata dalla irrazionalita' e dalle diseguaglianze che  si  sono
 andate determinando nelle applicazioni pratiche di tale istituto;
      che, sempre con la sentenza n. 6 del 1994, la Corte ha affermato
 che  - nella particolarita' della situazione che il legislatore si e'
 trovato a dovere  affrontare  per  la  necessita'  di  evitare  gravi
 sperequazioni - non puo' assumere rilievo il richiamo al principio di
 eguaglianza  di  cui  all'art.  3 della Costituzione che risulterebbe
 violato a causa della disparita' tra coloro  che  hanno  potuto  gia'
 acquisire  l'allineamento  e  coloro  che  non  possono ottenere tale
 vantaggio, pur trovandosi in posizione identica ai primi, dal momento
 che  la  richiamata  disparita'   "non   potrebbe   giustificare   la
 sopravvivenza,  sia  pure  limitata,  di un istituto che si e' voluto
 espungere radicalmente dall'ordinamento proprio in relazione alla sua
 intrinseca irrazionalita' ed agli  effetti  sperequativi  che  andava
 determinando";
      che  il  giudice  a  quo  nella sua ordinanza di rinvio propone,
 senza   introdurre   nuove   argomentazioni,    la    questione    di
 costituzionalita'  dell'art.  2,  quarto  comma, del decreto-legge 11
 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto  1992,  n.  359,
 cosi'  come  interpretato  dall'art.  7, settimo comma della legge 14
 novembre 1992, n. 438, gia' ritenuta infondata da questa Corte;
      che,  pertanto,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 all'esame di questa Corte va dichiarata manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;