ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6   della
 Convenzione  Europea  in materia di adozione dei minori del 24 aprile
 1967 e ratificata con legge 22 maggio  1974,  n.  357,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  9  luglio 1993 dalla Corte d'appello di Roma -
 sezione minorenni sul ricorso proposto da Di Lazzaro Dalila, iscritta
 al n. 732 del registro ordinanze 1993  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  51, prima serie speciale, dell'anno
 1993;
    Visti l'atto di costituzione di Di Lazzaro Dalila  nonche'  l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avvocati Donella Resta e Maretta Scoca  per  Di  Lazzaro
 Dalila  e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di  un  giudizio  di  reclamo  promosso  contro  un
 decreto  del  Tribunale  dei  minorenni  di  Roma  che  ha dichiarato
 inammissibile la domanda di adozione di un minore presentata  da  una
 persona  singola  in  base  all'art.  6  della convenzione europea in
 materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967
 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357,  la  Corte
 d'appello  di  Roma  (sezione  minorenni), con ordinanza del 9 luglio
 1993, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,  29  e  30  Cost.,
 questione   di   legittimita'   costituzionale   della  citata  norma
 internazionale pattizia, "nella parte in cui  permette  senza  limiti
 l'adozione di un minore di eta' da parte di un solo adottante".
    Ad  avviso  del  giudice  remittente:  a) l'art. 6, comma 1, della
 convenzione vincola le legislazioni degli Stati aderenti ad ammettere
 in generale l'adozione di minori anche da parte di  persone  singole;
 b)  il  contenuto  della  norma  pattizia  e'  tale  che,  in  virtu'
 dell'ordine di esecuzione, essa ha acquistato  forza  autoapplicativa
 nell'ordinamento  interno  nell'ambito  del  sistema  di adozione dei
 minori in stato  di  abbandono  regolato  dalla  legge  italiana;  c)
 l'ordine   di  esecuzione  "conferisce  natura  speciale  alle  norme
 pattizie e le rende immodificabili da leggi successive", onde  l'art.
 6,  comma  1,  della  convenzione  di  Strasburgo  non puo' ritenersi
 abrogato in parte qua dalla legge 4 maggio 1983, n. 184,  che,  salvo
 casi  particolari,  non  consente  l'adozione  di minori se non a due
 persone unite in matrimonio.
    Cio'  premesso,  l'ordinanza  ritiene   la   norma   in   discorso
 contrastante:  con  la  nozione  di famiglia, quale societa' naturale
 fondata sul matrimonio, consacrata nell'art. 29 Cost.; con l'art.  30
 Cost.,  che  tutela  l'interesse  del  minore  ad  essere allevato ed
 educato  da entrambi i genitori; conseguentemente anche col principio
 di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto  contraddice  la
 finalita'   dell'adozione   dei   minori  di  procurare  all'adottato
 l'inserimento in un ambiente familiare idoneo.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita la parte privata concludendo per la manifesta infondatezza
 della questione.
    L'istante  condivide  l'opinione  che  l'art.  6,  comma  1, della
 convenzione non conceda spazi di discrezionalita'  alle  legislazioni
 nazionali  e  percio' sia immediatamente applicabile nell'ordinamento
 interno: l'adozione di minori deve essere ammessa  sia  da  parte  di
 coppie  sposate,  sia  da  parte di persone singole, restando esclusa
 soltanto  la  legittimazione  di  coppie  non  unite  in  matrimonio.
 Contesta, pero', la pretesa contrarieta' della norma a principi della
 nostra  Costituzione.  Il criterio dell'imitatio naturae, che informa
 l'istituto dell'adozione legittimante, non ha un valore assoluto  ne'
 in  relazione  all'art.  29  Cost.,  come  si argomenta dall'art. 25,
 quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983,  che  prevede  la
 possibilita'  di  disporre  l'adozione anche se durante l'affidamento
 preadottivo  uno  dei  coniugi  muore  o  diventa   incapace   oppure
 interviene separazione, ne' in relazione all'art. 30, il quale tutela
 l'interesse  del  minore  ad  essere allevato ed educato in seno alla
 propria  famiglia,  ma,  ove  cio'  non  sia  possibile,  non   esige
 incondizionatamente  l'affidamento a un'altra famiglia come strumento
 di assolvimento dei compiti dei genitori. Non e' escluso che, secondo
 le circostanze del caso, l'interesse a uno sviluppo  armonioso  della
 personalita'  del minore possa essere soddisfatto anche affidandolo a
 una persona singola.  Per  le  medesime  ragioni  cadrebbe  anche  la
 censura di violazione del principio di razionalita'.
    In  un'ampia  memoria  depositata  nell'imminenza  dell'udienza di
 discussione la parte privata ha svolto ulteriori  considerazioni  sui
 punti del vincolo degli Stati aderenti ad adottare tutte le soluzioni
 consentite   dall'art.   6   della   convenzione   e   del  carattere
 autoapplicativo della norma pattizia. Si osserva in  particolare  che
 l'Italia  al  momento  del  deposito  della ratifica non ha formulato
 nessuna riserva per quanto concerne l'art. 6.
    3. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata inammissibile.
    Secondo l'interveniente la norma impugnata non e' autoapplicativa:
 essa  delimita  l'ambito  delle  scelte  legislative  in  ordine alla
 legittimazione attiva all'adozione  di  minori  senza  vincolare  gli
 Stati  aderenti  alla  convenzione  ad  ammettere  tutte le soluzioni
 consentite. Percio' l'art. 6 della legge n.  184  del  1983,  che  ha
 adattato  la  convenzione di Strasburgo al nostro ordinamento, non ha
 violato l'art. 6 nell'ammettere soltanto la prima delle due  alterna-
 tive ivi consentite, salve le eccezioni degli artt. 25 e 44.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La Corte d'appello di Roma - sezione minorenni ha sollevato
 questione  di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   6   della
 convenzione  europea  in  materia  di  adozioni  di minori, firmata a
 Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia  con  legge  22
 maggio  1974,  n.  357,  "nella  parte  in  cui permette senza limiti
 l'adozione di un minore da un solo adottante". Piu' esattamente, deve
 intendersi  impugnata in parte qua la disposizione della citata legge
 di ratifica  che  ha  conferito  efficacia  nell'ordinamento  interno
 all'art.  6 della Convenzione (cfr. sentenze nn. 20 del 1966, 132 del
 1985, 128 del 1987).
    Ad avviso  del  giudice  rimettente  "la  menzionata  disposizione
 dell'art.  6  della  convenzione  di  Strasburgo  non  puo' ritenersi
 abrogata dalla successiva legge 4 maggio 1983, n. 184", che limita  a
 casi  particolari  la possibilita' di adozione del minore da parte di
 una singola persona, "ne' possono essere consentiti dubbi  sulla  sua
 applicazione   immediata,  atteso  che  il  legislatore  italiano  ha
 completamente regolato il complesso sistema di adozione dei minori in
 stato di abbandono".
    Cio' premesso, la norma denunciata, in quanto "esclude ogni limite
 a che l'adozione avvenga anche da parte di un singolo adottante",  e'
 ritenuta  contrastante  con gli artt. 3, 29 e 30 Cost., a stregua dei
 quali  l'adozione  legittimante,  giusta  il  criterio  dell'imitatio
 naturae,  deve  essere  "ispirata all'intento di dare una famiglia al
 minore che ne e' privo, garantendogli tranquillita', benessere e sana
 educazione". Questo criterio esige che, di regola, "ad  adottare  sia
 una  coppia  di  coniugi  avente una comunanza continuativa di vita e
 adeguate capacita' educative".
    2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' della
 questione per irrilevanza, "non  essendo  la  disposizione  pattizia,
 alla  quale  e'  riferita, di immediata applicazione e non impegnando
 comunque il legislatore  nazionale  a  scelte  in  contrasto  con  le
 richiamate  norme  costituzionali,  ma  offrendo  la  possibilita' di
 scegliere,  tra  quelle  consentite,  la  soluzione  ad   esse   piu'
 rispondente".
    L'eccezione  non  puo' essere accolta. Ai fini dell'ammissibilita'
 della questione l'ordinanza di rimessione ha  adeguatamente  motivato
 sul  punto  della  rilevanza  muovendo  da  premesse ermeneutiche non
 manifestamente implausibili (cfr., da ultimo, sentenze nn. 134 e  173
 del 1994; 103, 238, 323, 345 del 1993; 436 del 1992).
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    E' certo che l'art. 6 della convenzione non e' stato abrogato, ne'
 in tutto ne' in parte, dalla legge n. 184 del 1983, ma e' altrettanto
 certo  che la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici
 italiani competenti il potere di concedere  l'adozione  di  minori  a
 persone  singole fuori dai limiti entro cui tale potere e' attribuito
 dalla legge nazionale, e nemmeno puo' essere interpretata  nel  senso
 di  vincolare  il  legislatore  italiano  ad  ammettere  senza limiti
 l'adozione del singolo.
    Destinatari immediati della norma contenuta  nell'art.  6  sono  i
 legislatori   nazionali:   "la   legislazione   non  puo'  permettere
 l'adozione di un  minore  che  da  parte  di  due  persone  unite  in
 matrimonio, sia simultaneamente sia successivamente, o da parte di un
 solo  adottante".  Agli  Stati  firmatari  e' impartito il divieto di
 permettere l'adozione di minori da parte  di  coppie  non  sposate  e
 insieme  attribuita  la  facolta' di permettere l'adozione di minori,
 oltre che da coppie sposate, anche da persone  singole,  coniugate  o
 no.
    L'interpretazione  letterale,  che  ravvisa  nell'art.  6  un solo
 principio vincolante per gli  Stati  aderenti,  cioe'  l'interdizione
 dell'adozione  da  parte  di coppie non sposate, risponde al criterio
 ermeneutico desumibile dal rapport explicatif del Consiglio  d'Europa
 (promotore  della  Convenzione), il quale chiarisce che non si tratta
 di una convenzione di diritto uniforme, bensi'  di  "una  convenzione
 contenente  un  minimo  di  principi  essenziali  cui  ciascuna Parte
 contraente dara' effetto" (punto 4), e trova esplicita  conferma  nel
 commento  all'art.  6,  dove  si precisa che il paragrafo 1 non rende
 obbligatoria l'introduzione dell'adozione da  parte  di  una  persona
 sola (punto 23).
    4.  -  In quanto attribuisce al legislatore nazionale una semplice
 facolta', la norma in esame non e', per definizione, autoapplicativa,
 ossia direttamente applicabile nei rapporti intersoggettivi  privati,
 occorrendo  a  tale effetto l'interposizione di una legge interna che
 determini i presupposti di ammissione e gli effetti dell'adozione  da
 parte  di  una  persona  singola. La tesi sostenuta nell'ordinanza di
 rimessione, secondo cui l'art. 6 della convenzione  potrebbe  trovare
 in parte qua applicazione immediata attraverso gli organi e le proce-
 dure  previsti  dalla legge n. 184 del 1983, e' legata alla premessa,
 sopra confutata, che interpreta l'art. 6 come norma che sul punto  in
 discorso impone agli Stati un obbligo anziche' una mera facolta'.
    Di  tale  facolta'  la  legge  n. 184 del 1983 si e' avvalsa entro
 limiti  ristretti,  ammettendo  l'adozione   soltanto   in   speciali
 circostanze  (art. 25, quarto e quinto comma) o "in casi particolari"
 (art. 44), e in questi ultimi senza gli effetti dell'adozione  piena.
 La  norma  convenzionale rimane in vigore come norma che autorizza il
 legislatore, se  lo  riterra'  opportuno,  ad  ampliare  l'ambito  di
 ammissibilita'  dell'adozione  di  un  minore  da  parte  di  un solo
 adottante, qualificandola in ogni caso con gli effetti  dell'adozione
 legittimante.  In  questo  senso  e' orientato il progetto di riforma
 redatto nel 1992 dalla Commissione ministeriale per  la  modifica  ed
 integrazione  della  legge  4  maggio  1983,  n.  184,  istituita dal
 Ministro di grazia e giustizia.
    5.  -  I  principi  costituzionali  richiamati  nell'ordinanza  di
 rimessione   non   vincolano   l'adozione   dei  minori  al  criterio
 dell'imitatio naturae in guisa da non consentire l'adozione da  parte
 di  un  singolo  se  non nei casi eccezionali in cui e' oggi prevista
 dalla legge n. 184  del  1983.  Essi  esprimono  una  indicazione  di
 preferenza  per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, essendo
 prioritaria "l'esigenza, da un lato, di inserire  il  minore  in  una
 famiglia  che dia sufficienti garanzie di stabilita', e dall'altro di
 assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di
 entrambe le figure dei genitori" (sent. n. 198 del  1986).  A  questa
 indicazione  e'  conforme  la  convenzione  di  Strasburgo: l'art. 6,
 spiega  la  citata  relazione  esplicativa  (punto   23),   "prevede,
 nell'ordine  delle  preferenze generalmente ammesse, prima l'adozione
 da parte di una coppia,  poi  l'adozione  da  parte  di  una  persona
 singola",  e  il  successivo  art. 8, par. 2, dispone che l'autorita'
 competente degli Stati "annettera' una particolare importanza a cio',
 che l'adozione procuri al minore un foyer stable et harmonieux" (cfr.
 sentenza n. 11 del 1981).
    Fermo questo criterio di preferenza (ribadito nel preambolo  della
 Convenzione   di  New  York  del  1989  sui  diritti  del  fanciullo,
 ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176),  gli  artt.
 3,  29  e  30 Cost. non si oppongono a un'innovazione legislativa che
 riconosca  in  misura piu' ampia la possibilita' che, nel concorso di
 speciali circostanze, tipizzate dalla legge stessa  o  rimesse  volta
 per  volta al prudente apprezzamento del giudice, l'adozione da parte
 di una persona singola sia giudicata la soluzione  in  concreto  piu'
 conveniente all'interesse del minore.