ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 34, secondo
 comma,  del  regio  decreto  legislativo  31  maggio  1946,  n.   511
 (Guarentige  della Magistratura), promosso con ordinanza emessa il 24
 settembre 1993 dal Consiglio Superiore della Magistratura  -  Sezione
 disciplinare  nel  procedimento  disciplinare  relativo  a Conigliaro
 Giovanni, iscritta al n. 781 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 aprile 1994 il Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento in cui  l'incolpato,  affermando
 di  non  aver  reperito  un  magistrato disposto ad assisterlo, aveva
 chiesto alla  Sezione  disciplinare  del  Consiglio  Superiore  della
 Magistratura  di  sollevare  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31  maggio
 1946, n. 511 (Guarentigie della Magistratura), nella parte in cui non
 consente  la  nomina  di  un  avvocato  quale  difensore,  la Sezione
 medesima, con ordinanza  emessa  il  24  settembre  1993,  dopo  aver
 respinto  tale  prospettazione,  ha  viceversa sollevato questione di
 legittimita'  costituzionale  della  norma  citata,  in   riferimento
 all'art. 24 della Costituzione, sotto due diversi e distinti profili.
    Premette  la  Sezione  disciplinare  che il diritto di difesa puo'
 essere  articolato  in  forme  e  modalita'  diverse  e  non  implica
 necessariamente  l'apporto  tecnico di un avvocato. Tuttavia la norma
 non si sottrarrebbe al dubbio di  legittimita'  nella  parte  in  cui
 rimette  alla scelta discrezionale dell'incolpato se avvalersi o meno
 di un difensore. La stessa facoltativita' della difesa  in  sostanza,
 soprattutto  quando  sia  lecito  dubitare della piena consapevolezza
 dell'incolpato, comporterebbe il denunciato vulnus.
    Alla luce poi dell'interpretazione della norma  impugnata  che  la
 stessa   Sezione   remittente   afferma   di  seguire  costantemente,
 escludendo che essa consenta di procedere alla nomina di un difensore
 d'ufficio - ancorche' magistrato - nei casi in cui  l'incolpato  "non
 intenda  o  non  possa"  nominare  un  collega,  si  profilerebbe  un
 ulteriore aspetto d'illegittimita', concretantesi in tale preclusione
 alla nomina d'ufficio.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha rilevato
 come la difesa tecnica da parte di un collega -  anche  alla  stregua
 delle  affermazioni  della  Suprema  Corte  - non violi il diritto di
 difesa nel procedimento disciplinare nei  confronti  del  magistrato.
 Altrettanto   potrebbe  sostenersi  per  l'autodifesa  allorche'  non
 intervenga la  nomina  di  un  altro  magistrato:  tale  possibilita'
 risulterebbe   coerente   "con  il  principio  di  autogoverno  e  di
 autodichia della magistratura e con le peculiarita' del  procedimento
 disciplinare",    anche    per    la    particolare    qualificazione
 dell'incolpato. Comunque la presenza  di  un  difensore  non  sarebbe
 sempre  ed  in assoluto costituzionalmente richiesta, dovendosi avere
 riguardo alla funzione oggettiva cui la difesa e' preordinata  e  non
 alla scelta soggettiva dell'interessato.
    L'Avvocatura  ha  altresi' proposto un'interpretazione adeguatrice
 della norma, nel senso che essa, per non restare "priva di  contenuto
 o  quanto  meno claudicante", dovrebbe comportare il potere, da parte
 della Sezione, di nominare un difensore d'ufficio.
                        Considerato in diritto
    1.  -  L'art.  34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31
 maggio 1946, n. 511, e'  sospettato  d'illegittimita'  costituzionale
 dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura
 sotto  due profili: la' dove prevede la possibilita' per l'incolpato,
 di farsi assistere da altro magistrato come una facolta' e  non  gia'
 come  un  obbligo ed in secondo luogo nella parte in cui non consente
 la nomina di un magistrato-difensore  di  ufficio  nei  casi  in  cui
 l'incolpato "non intenda o non possa nominare un difensore".
    Specifica  il  giudice  a  quo che nella specie "l'incolpato si e'
 presentato al dibattimento privo  di  difensore,  nonostante  la  sua
 volonta'  di  avvalersi  della  difesa  di  un  altro magistrato, non
 avendo,  a  suo  dire,  potuto  reperire  un  collega   disposto   ad
 assisterlo".  "Per costante interpretazione", conclude la remittente,
 si esclude che l'impugnato art. 34 consenta la nomina di  ufficio  di
 un magistrato difensore.
    2.  -  Tale  premessa  di fatto palesa l'irrilevanza del primo dei
 dedotti profili d'illegittimita' costituzionale, non venendo  qui  in
 evidenza  l'aspetto  dell'obbligatorieta'  della  difesa,  posto  che
 l'incolpato ha gia' espresso la propria intenzione di valersi  di  un
 difensore, si' che il momento della discrezionalita' della scelta tra
 assistenza  ed  autodifesa  risulta ormai superato nella dinamica del
 procedimento.
    La relativa questione deve quindi essere dichiarata inammissibile.
    3.1. - Il secondo profilo va altresi' scrutinato con riguardo alla
 sola ipotesi rilevante, quella dell'incolpato che non possa  nominare
 un  magistrato  difensore  e  non  gia'  che  non intenda farlo. Tale
 seconda eventualita' riconduce infatti  alla  prospettazione  sub  2,
 cioe'  ad  un problema di alternativa tra l'assistenza obbligatoria e
 l'assistenza facoltativa, che esula dal procedimento a quo.
    Cosi' circoscritta  nella  sua  rilevanza  e  precisata  nei  suoi
 termini, la questione e' fondata.
    3.2.  - Questa Corte ha costantemente ritenuto che il procedimento
 disciplinare  nei  confronti  dei  magistrati  e'  strutturalmente  e
 funzionalmente  diverso  da  quello  previsto per gli impiegati dello
 Stato.  Nel  suo  carattere  giurisdizionale  ed  in  una  serie   di
 peculiarita',  l'intera  vicenda  disciplinare  riflette  il proprium
 dell'Ordine  giudiziario  e  le  implicazioni   che   essa   comporta
 nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali (sentenza n. 289/1992).
    A tale specificita' si ricollega la particolare previsione dettata
 dalla  norma  impugnata,  che  limita  all'a'mbito  dei  magistrati i
 soggetti legittimati a difendere l'incolpato e rimette a quest'ultimo
 l'opzione tra autodifesa ed assistenza del collega.
    Piu' in generale, questa Corte ha chiarito, quanto a modalita'  di
 esercizio del diritto di difesa, che esso puo' essere dal legislatore
 "diversamente  regolato e adattato alle speciali esigenze dei singoli
 procedimenti, purche'  non  ne  siano  pregiudicati  lo  scopo  e  le
 funzioni"   (sentenze  nn.  159/1972,  119/1974,  62/1975).  Scopo  e
 funzioni che si concretizzano, in primo luogo, nella garanzia  di  un
 effettivo    contraddittorio    e    di    un'assistenza    di   tipo
 tecnico-professionale. Al riguardo la Corte ha  sottolineato  che  il
 diritto di difesa puo' dirsi assicurato, come regola, nella misura in
 cui   si  dia  all'interessato  la  possibilita'  di  partecipare  ad
 un'effettiva   dialettica   processuale,   non   realizzabile   senza
 l'intervento del difensore (sentenza n. 190/1970).
    Ora, nel caso in esame, e' vero che  il  legislatore  ha  ritenuto
 l'assistenza  in  parola  surrogabile  con  il  bagaglio  culturale e
 l'esperienza  professionale  di  cui  il  magistrato  e'  normalmente
 portatore,  cosi'  giustificando  la  previsione dell'autodifesa e la
 limitazione dell'assistenza ai soli colleghi. Ma e'  altresi'  chiaro
 che,  nel momento in cui la scelta dell'incolpato si sia compiuta nel
 senso  di  valersi  dell'opera  di  un  collega,   la   garanzia   di
 effettivita'  del  diritto  di  quella  difesa  che l'interessato non
 ritiene di potersi assicurare da solo, postula la necessita' che tale
 assistenza venga comunque resa possibile.
    Gli stessi argomenti che sono  alla  base  della  possibilita'  di
 difendersi    solo    personalmente,    accreditando    all'incolpato
 preparazione tecnica e discernimento sufficienti a decidere se  farsi
 assistere o meno da un collega, militano a favore della necessita' di
 una nomina d'ufficio ove tale opera difensiva non si concretizzi.
    In  altri  e  conclusivi  termini,  il precetto di cui all'art. 24
 della Costituzione non consente che ragioni di carattere oggettivo  -
 ostative  all'individuazione  e  nomina  di  un  collega  difensore -
 vengano a comprimere in danno dell'incolpato quella  possibilita'  di
 consapevole  ed  attiva  partecipazione  al  procedimento,  in cui si
 sostanzia l'effettivita' della difesa.
    Il dato  testuale  dell'art.  34  non  permette  l'interpretazione
 adeguatrice suggerita dall'Autorita' intervenuta, si' che la norma va
 dichiarata  illegittima nella parte in cui non prevede esplicitamente
 la  possibilita',  per  la  Sezione  disciplinare,  di  nominare   un
 magistrato  difensore  d'ufficio  all'incolpato  che  abbia scelto di
 farsi assistere da un collega: analogamente, del resto, a  quanto  e'
 legislativamente   previsto   per   altre   ipotesi  di  procedimenti
 disciplinari (cfr. ad es. gli artt. 17, comma 4,  delle  disposizioni
 d'attuazione  C.P.P. e 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978,
 n. 382 "Norme di principio sulla disciplina militare").