ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 5
 gennaio 1950, n.  180  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
 concernenti  il  sequestro,  il  pignoramento  e  la  cessione  degli
 stipendi,  salari  e  pensioni   dei   dipendenti   dalle   Pubbliche
 Amministrazioni),promosso  con  ordinanza emessa il 9 luglio 1993 dal
 Pretore dell'Aquila nel procedimento di esecuzione promosso dal Banco
 di Napoli, filiale dell'Aquila, nei  confronti  di  Cesaro  Ivana  ed
 altra,  iscritta  al  n. 773 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 marzo 1994 il Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Pretore dell'Aquila,  in  un  procedimento  di  esecuzione
 promosso  dal  Banco di Napoli, filiale dell'Aquila, nei confronti di
 Cesaro Ivana ed altra, ha sollevato, per violazione  degli  artt.  3,
 primo  comma,  24, secondo comma, 25, primo comma, e 97, primo comma,
 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 3 del  d.P.R.
 5 gennaio 1950, n. 180.
    In base a tale disposizione, i sequestri e i pignoramenti a carico
 dei  dipendenti dello Stato si eseguono presso l'Ispettorato generale
 per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero del tesoro: in
 tal modo, si accentra in  capo  al  Pretore  di  Roma  la  competenza
 giurisdizionale  per  qualsiasi causa sorta nel territorio nazionale,
 con  aggravio  dei  costi  per  l'Amministrazione,  terzo  pignorato,
 costretta  a  continui contatti con le amministrazioni periferiche, e
 con lesione del principio di buon andamento di cui all'art. 97  della
 Costituzione, che vale anche per l'amministrazione della giustizia.
    A  seguito  di tale accentramento, sarebbe vulnerato il diritto di
 difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, poiche'
 risulta obiettivamente limitata la possibilita' di resistere da parte
 di chi debba  recarsi  dal  luogo  di  residenza  alla  capitale  per
 comparire  all'udienza  per  la  dichiarazione del terzo, affrontando
 maggiori spese nell'eventuale giudizio di opposizione. Sarebbe  leso,
 inoltre,   il  principio  di  uguaglianza,  essendovi  ingiustificata
 disparita' di trattamento tra i dipendenti dello Stato e  gli  altri,
 nei  confronti dei quali l'esecuzione viene promossa nel luogo ove e'
 prestata l'attivita' lavorativa, ovvero nel luogo di  "residenza  del
 terzo",  ex  art.  26  del  codice  di  procedura civile. Vi sarebbe,
 infine, lesione del principio del giudice naturale precostituito  per
 legge (art. 25, primo comma, della Costituzione).
    2.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    La disposizione denunziata non avrebbe a oggetto la competenza per
 territorio   del   pretore,   in  quanto  la  localizzazione  a  Roma
 dell'esecuzione presso il terzo di sequestri e pignoramenti a  carico
 dei  dipendenti  statali  deriva dalla circostanza che ha sede a Roma
 l'organo dello Stato legittimato. Si  tratta,  dunque,  di  norma  di
 organizzazione   che  e'  espressione  di  scelte  discrezionali  del
 legislatore, coerenti con  il  principio  dell'unitaria  personalita'
 dello  Stato  e con il disposto dell'art. 543, cpv., n. 4, del codice
 di procedura civile, che attribuisce la  competenza  al  pretore  del
 luogo di residenza del terzo (in questo caso, un organo del Ministero
 del tesoro).
    La  giurisprudenza  costituzionale  -  ricorda  l'Avvocatura  - ha
 considerato legittime le norme che derogano all'ordinaria  competenza
 per  territorio quando vi sia un apprezzabile interesse, e infatti la
 concentrazione in esame risponde non solo ad esigenze  amministrative
 di   gestione   unitaria,  ma  anche  agli  interessi  dei  creditori
 esecutanti, i  quali  hanno  un  sicuro  centro  di  riferimento  per
 l'instaurazione  delle  procedure  e sono altresi' posti al riparo da
 disguidi in caso di trasferimento degli impiegati.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore dell'Aquila dubita, in riferimento agli  artt.  3,
 24,  25  e  97 della Costituzione, della legittimita' dell'art. 3 del
 d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione  del  testo  unico  delle
 leggi  concernenti  il sequestro, il pignoramento e la cessione degli
 stipendi,  salari  e  pensioni   dei   dipendenti   dalle   Pubbliche
 Amministrazioni)   laddove,   dichiarando   che   i   sequestri  e  i
 pignoramenti a carico  dei  dipendenti  statali  si  eseguono  presso
 l'Ispettorato  generale  per il credito ai dipendenti dello Stato del
 Ministero del tesoro, radica la competenza giurisdizionale in capo al
 Pretore di Roma.
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, la disposizione  denunziata  non
 ha   a   oggetto   la   competenza   territoriale   del  pretore:  la
 localizzazione a Roma dell'esecuzione di sequestri e  pignoramenti  a
 carico  dei dipendenti statali deriva dalla circostanza che ha sede a
 Roma  l'organo  legittimato;  si  tratterebbe,   quindi,   di   norma
 organizzativa  coerente  con  il principio dell'unitaria personalita'
 dello Stato.
    Ma  e' proprio dall'art. 3 in esame (parzialmente modificato prima
 dal d.P.R. 5 luglio 1960, n. 891, e poi dall'art. 27 della  legge  12
 agosto  1962,  n.  1289,  che  ha devoluto le attribuzioni del citato
 Ispettorato ad altro  ufficio  del  ministero,  e  precisamente  alla
 direzione  generale degli affari generali e del personale) che deriva
 l'accentramento, in capo al Pretore di  Roma,  della  competenza  per
 qualsiasi  causa  sorta  nel  territorio  nazionale;  e cio' non come
 conseguenza  accidentale,  ma  come  effetto  immediato  della  norma
 denunziata,   che   va   percio'   sottoposta   allo   scrutinio   di
 costituzionalita' alla luce dei parametri invocati.
    2. - Va esaminata per prima la  censura  che  muove  dall'art.  24
 della Costituzione.
    Questa   Corte   ha   gia'   affermato  che  eventuali  discipline
 differenziate sulla competenza giudiziaria territoriale devono essere
 sorrette da un apprezzabile interesse pubblico.  In  ogni  caso,  non
 dovra'   compromettersi  il  diritto  di  difesa,  che  e'  principio
 fondamentale dell'ordinamento costituzionale (su quest'ultimo  punto,
 v.  la sent. n. 18 del 1982; e poi, sull'ammissibilita' di deroghe ai
 criteri generali in tema di competenza, le sentt. nn. 369  del  1993,
 189 del 1992, 477 del 1991, 117 del 1990, 4 del 1969).
    Non  appare  risolutiva  l'evocazione  dell'unitaria  personalita'
 dello Stato: il carattere pluralistico  assunto  dall'amministrazione
 pubblica  ha infatti portato da tempo alla revisione della concezione
 tradizionale. La pubblica amministrazione non e' piu' da  considerare
 un  blocco  unitario,  ne'  sotto  il  profilo strutturale, ne' sotto
 quello funzionale, giacche' si articola in  un  complesso  di  centri
 operativi  (come  sottolineato  anche  dalla giurisprudenza di questa
 Corte: fra le varie, in tema, v. la sent. n.  878  del  1988).  E  un
 segno  di  siffatto  mutamento  si  rinviene gia' nell'art. 69, primo
 comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, in base al  quale
 le  cessioni, le delegazioni, i pignoramenti e i sequestri relativi a
 somme    dovute    dallo    Stato    debbono    essere     notificate
 all'Amministrazione  centrale  ovvero all'ente, ufficio o funzionario
 cui spetta ordinare il pagamento. Si' che senza  voler  ripercorrere,
 qui,  l'evoluzione  delle  norme  di  organizzazione in tale settore,
 vanno ricordati i compiti devoluti, in  particolare,  alle  direzioni
 provinciali  del tesoro a seguito della meccanizzazione del pagamento
 degli stipendi e degli altri assegni fissi spettanti  agli  impiegati
 delle  amministrazioni  periferiche  dello  Stato (v. specialmente il
 d.P.R. 26 maggio 1956, n. 653).
    3. - Non vi e' dunque un  interesse  costituzionalmente  rilevante
 che  giustifichi  la  norma  denunziata,  nella  parte in cui prevede
 l'esecuzione dei sequestri e dei  pignoramenti  in  esame  presso  un
 organo   dell'amministrazione  centrale  del  Ministero  del  tesoro,
 anziche' presso l'organo dell'amministrazione che,  in  concreto,  e'
 titolare del potere di disporre la spesa: soluzione, questa, coerente
 con  i  precetti  costituzionali  e  rispettosa  delle  esigenze  che
 attengono all'esecuzione e delle ragioni dei creditori.
    Sono assorbiti gli altri profili di illegittimita'  costituzionale
 dedotti nell'ordinanza di rimessione.