ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt.  6, commi, 5, 6 e 7, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463
 (Misure urgenti  in  materia  previdenziale  e  sanitaria  e  per  il
 contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per vari settori
 della  pubblica  amministrazione  e  proroga  di   taluni   termini),
 convertito  in  legge 11 novembre 1983, n. 638, e 11, comma 22, della
 legge 24 dicembre 1993, n.  537  (Interventi  correttivi  di  finanza
 pubblica),  promossi  con ordinanze emesse dal Pretore di Parma il 22
 gennaio 1994, il 20 gennaio 1994 (n.  3  ordinanze),  il  14  gennaio
 1994,  dalla  Corte  di cassazione il 18 gennaio 1994, dal Pretore di
 Parma   il   16   febbraio   1994   (n.   2   ordinanze),   iscritte,
 rispettivamente,  ai  nn.  77,  78,  79,  80,  81, 107, 116 e 117 del
 registro  ordinanze  del  1994  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 11 e 12 del 1994;
    Visti gli atti di costituzione  di  Boschi  Maria,  Corradi  Ines,
 Cavazzini  Maria, Concari Angela, Gazzillo Angela, Alebardi Valdemina
 e dell'I.N.P.S. nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avv.ti  Felice  Assennato  per Boschi Maria, Salvatore
 Cabibbo per Corradi Ines, Cavazzini Maria e  Concari  Angela,  Franco
 Agostini per Gazzillo Angela e Alebardi Valdemina, Carlo De Angelis e
 Andrea  Barbuto  per  l'I.N.P.S.  e  l'Avvocato Giuseppe Stipo per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Nel corso del procedimento sui ricorsi proposti contro  una
 sentenza  del  Tribunale  di  Trani,  che  ha  riconosciuto ad Angela
 Gazzillo, titolare di piu' pensioni  integrate  al  minimo  a  carico
 dell'I.N.P.S.,  il  diritto, dal 1› ottobre 1993, all'integrazione al
 trattamento minimo soltanto su  una  pensione,  conservando  tuttavia
 l'importo  dell'altra  a questa data fino al suo riassorbimento negli
 aumenti  derivanti  dalla  perequazione  automatica,  la   Corte   di
 cassazione,  con  ordinanza  del  18  gennaio  1994, ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, 101, 102  e  104  Cost.,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
 dell'art. 6, commi 5, 6 e 7, del d.-l. 12  settembre  1983,  n.  463,
 convertito  nella  legge  11  novembre  1983, n. 638, e dell'art. 11,
 comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
    Il giudice remittente rammenta  preliminarmente  che,  secondo  la
 giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, sostanzialmente
 condivisa dalla Corte costituzionale, l'art. 6, comma 7, del d.-l. n.
 463   del  1983,  nel  garantire  la  conservazione  del  trattamento
 pensionistico nell'importo spettante alla data del 30 settembre  1983
 (c.d. cristallizzazione), si riferisce sia all'ipotesi di titolarita'
 di  una  sola  pensione  non  piu'  integrabile  per  superamento del
 previsto limite di reddito, sia all'ipotesi di titolarita' di  due  o
 piu' pensioni, tutte integrate al minimo. Anche nella seconda ipotesi
 si  ritiene ricorra la ratio della norma, che e' quella di assicurare
 la  gradualita'  del  passaggio  dal  precedente   al   nuovo,   meno
 favorevole, trattamento pensionistico.
    In contrasto con questa giurisprudenza, l'art. 11, comma 22, della
 legge  n. 537 del 1993, collegata alla legge finanziaria per il 1994,
 con norma definita di interpretazione autentica e come tale munita di
 efficacia retroattiva, ha attribuito all'art. 6, commi 5, 6 e 7,  del
 d.-l.  del  1983  un significato restrittivo, escludente l'ipotesi di
 concorso  di  una  pluralita'  di  pensioni.  In  questa  ipotesi  il
 trattamento  minimo  e'  conservato su una sola pensione, individuata
 secondo i criteri di cui al comma  3,  "mentre  l'altra  o  le  altre
 pensioni  spettano nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione".
 Con cio' viene negato il diritto di conservare  la  seconda  pensione
 nell'importo  erogato al 30 settembre 1983, con conseguente riduzione
 immediata del trattamento complessivo rispetto a quello  spettante  a
 tale data.
    La norma interpretativa e' ritenuta contrastante: a) col principio
 di  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  perche' ascrive all'art. 6 del
 d.-l. n.  463  del  1983  un  significato  che  non  poteva  essergli
 ragionevolmente   attribuito,  stante  la  contraria  interpretazione
 prevalsa nella giurisprudenza;  b)  con  l'art.  38,  secondo  comma,
 Cost.,  perche',  avendo  il  trattamento pensionistico minimo natura
 essenzialmente previdenziale, e non semplicemente assistenziale, esso
 concorre a determinare il rapporto di congruenza tra esigenze di vita
 e predisposizione di mezzi idonei a soddisfarle;  c)  con  gli  artt.
 101, 102 e 104 Cost. per la medesima ragione indicate sub a).
    1.2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale si e'
 costituita  l'assicurata,  chiedendo  che  la  norma  denunciata  sia
 dichiarata  costituzionalmente illegittima con argomentazioni adesive
 all'ordinanza di rimessione.
    1.3.  -  Si  e'  costituito  anche  l'I.N.P.S.  chiedendo  che  la
 questione sia dichiarata infondata.
    Secondo  l'Istituto, l'integrazione al minimo, non avendo a fronte
 alcuna contribuzione ed essendo posta a  carico  del  bilancio  dello
 Stato,  ha  natura puramente assistenziale, e quindi e' "condizionata
 dal momento storico e dai problemi del bilancio  statale".  La  norma
 impugnata  ha una funzione perequatrice che consiste nel riportare le
 pensioni plurime sotto il principio di  proporzione  del  trattamento
 dovuto   ai   contributi   versati,   almeno   per   le   prestazioni
 pensionistiche ulteriori rispetto a  quella  principale,  conservando
 una sola integrazione.
    Quanto  alla  pretesa  violazione  dell'art.  38 Cost., l'I.N.P.S.
 obietta che se fosse  vero  che  la  doppia  integrazione  al  minimo
 esprime  il  minimo  indispensabile per garantire al pensionato mezzi
 adeguati alle sue esigenze di vita,  si  dovrebbero  allora  ritenere
 inadeguati  tutti  i trattamenti pensionistici costituiti da una sola
 pensione di importo pari a quella individuata ai sensi  dell'art.  6,
 comma 3, del d.-l. n. 463 del 1983.
    1.4.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata manifestamente infondata.
    Ad avviso dell'interveniente, negare la  validita'  di  una  legge
 interpretativa  che  si discosta da un orientamento giurisprudenziale
 uniforme significa  censurare  il  merito  della  scelta  legislativa
 sostituendo  l'interprete  al  legislatore. Non e' percio' pertinente
 invocare ne' il principio di ragionevolezza,  ne'  l'art.  101  Cost.
 Nemmeno   puo'   ritenersi   violato   l'art.  38  Cost.,  in  quanto
 l'integrazione al minimo di uno dei trattamenti pensionistici  goduti
 dall'interessato   e'  sufficiente  per  adempiere  il  requisito  di
 adeguatezza dei mezzi alle esigenze di vita.
    2.1. - Analoga questione, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo
 comma, e 101 Cost., e' stata sollevata dal Pretore di Parma con sette
 ordinanze datate tra il 14 gennaio e il 16 febbraio 1994.
    La linea argomentativa e' analoga a  quella  dell'ordinanza  della
 Corte  di  cassazione,  dalla quale pero' si discosta sul punto della
 natura della norma impugnata. Mentre la Corte di  cassazione  ritiene
 "non  revocabile  in  dubbio  la  natura  di norma di interpretazione
 autentica" dell'art. 11, comma 22,  della  legge  n.  537  del  1993,
 invece per il pretore si tratta di norma "sostanzialmente innovativa"
 sotto  "una  falsa veste interpretativa", che le conferisce efficacia
 retroattiva  frustrando  le  aspettative  fondate  sulla   disciplina
 precedente.
    2.2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla Corte costituzionale si sono
 costituite, con atti difensivi separati, alcune delle ricorrenti,  le
 quali   condividono   le  argomentazioni  del  giudice  rimettente  e
 concludono per una  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 della norma impugnata.
    Nell'imminenza  dell'udienza  di  discussione uno dei difensori ha
 depositato un'ampia  memoria  integrativa  in  cui  si  sostiene,  in
 particolare,  che  l'art.  11,  comma 22, della legge n. 537 del 1993
 costituisce  una  norma  nuova,  introdotta  con  un'"operazione   di
 chirurgia  normativa,  sostitutiva  e  additiva,  di  tale  rilevanza
 tecnica  da  escludere  che  il  comma  22  possa   considerarsi   di
 interpretazione  autentica":  "si  tratta di una nuova disciplina che
 rientra nell'ipotesi di  autodefinizione  arbitraria  come  norma  di
 interpretazione autentica".
    Ad avviso della parte privata, la retroattivita' non solo viola il
 principio   di   ragionevolezza,   essendo  destinata  a  contrastare
 l'interpretazione dell'art. 6 del d.-l. n.  463  del  1983  da  tempo
 divenuta "diritto vivente", ma lede anche il principio di eguaglianza
 determinando una disparita' di trattamento tra i pensionati che hanno
 gia'  ottenuto il riconoscimento del diritto alla doppia integrazione
 al minimo con sentenza passata in giudicato e coloro per i  quali  il
 giudizio  e'  ancora  in  corso  o  che non hanno ancora sperimentato
 l'azione giudiziaria contro l'I.N.P.S.
    2.3. - Si e' pure  costituito  l'I.N.P.S.  ed  e'  intervenuto  il
 Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura
 dello Stato, con memorie e conclusioni  identiche  a  quelle  dedotte
 nell'altro  giudizio  di  costituzionalita'  promosso  dall'ordinanza
 della Corte di cassazione, salvo che per la questione  sollevata  con
 l'ordinanza  iscritta  nel  R.O.  n.  79/93,  della quale e' eccepita
 dall'I.N.P.S.  l'inammissibilita',  non  essendo  configurabile   una
 doppia  integrazione  al  minimo  quando  si tratti di una pensione a
 carico dello Stato e di una a carico dell'Istituto.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte di cassazione, con ordinanza  iscritta  in  R.O.  n.
 107/1994,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3, 38, secondo
 comma, 101, 102 e 104 Cost., questione di legittimita' costituzionale
 del "combinato disposto dell'art. 6, commi 5, 6 e  7,  del  d.-l.  12
 settembre  1983,  n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n.
 638, e dell'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537".
    Analoga questione di legittimita'  costituzionale  del  "combinato
 disposto  dell'art. 6, comma 7, del d.-l. n. 463 del 1983 e dell'art.
 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993"  e'  stata  sollevata,  in
 riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, e 101 Cost., dal Pretore
 di  Parma  con  sette  ordinanze  iscritte  in  R.O. nn. 77-81, 116 e
 117/1994.
    L'art. 11,  comma  22,  della  legge  n.  537  del  1993  dispone:
 "L'articolo  6,  commi 5, 6 e 7, del decreto-legge 12 settembre 1983,
 n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre  1983,
 n.  638,  si  interpreta  nel senso che nel caso di concorso di due o
 piu'  pensioni  integrate  al  trattamento  minimo,   liquidate   con
 decorrenza  anteriore  alla  data  di  entrata in vigore del predetto
 decreto-legge,  il  trattamento  minimo  spetta  su  una  sola  delle
 pensioni,  come  individuata  secondo  i  criteri previsti al comma 3
 dello  stesso  articolo,  mentre l'altra o le altre pensioni spettano
 nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione".   Nel  dispositivo
 dell'ordinanza   della   Corte  di  cassazione  l'allargamento  della
 questione al "combinato disposto" degli articoli e dei  commi  citati
 delle  due  leggi si spiega in ragione della premessa che attribuisce
 natura di legge interpretativa (destinata a  saldarsi  con  la  legge
 interpretata)  all'art.  11,  comma  22, della legge n. 537 del 1993,
 mentre la ripetizione del medesimo dispositivo  nelle  ordinanze  del
 Pretore  di  Parma  non  e' coerente con l'opposta premessa di questo
 giudice, secondo cui si tratta, invece,  di  una  norma  innnovativa,
 dotata  di  retroattivita'  con l'artificio dell'autodefinizione come
 legge di interpretazione autentica. In realta' l'alternativa  tra  le
 due   valutazioni   non   ha   qui   importanza.      L'incidente  di
 costituzionalita' investe il citato comma 22 non semplicemente  sotto
 il  profilo  dell'efficacia  retroattiva, ma per se stesso, in quanto
 regola una fattispecie non prevista originariamente dalla  legge  del
 1983  con  una norma contraria a quella elaborata nel frattempo dalla
 giurisprudenza. Percio' il punto da decidere e' se la norma contenuta
 nel comma 22 sia o no conforme ai principi costituzionali, mentre non
 rileva il punto se essa possa o no integrarsi con l'art. 6 del  d.-l.
 n. 463 del 1983 in un'unica struttura normativa.
    2.  -  I  giudizi  introdotti  dalle  otto  ordinanze  vertono  su
 questioni analoghe e quindi se ne dispone la riunione affinche' siano
 decisi con unica sentenza.
    3. - In conformita' dell'eccezione formulata  dall'I.N.P.S.,  deve
 essere  dichiarata  inammissibile la questione sollevata nel giudizio
 che ha dato luogo all'ordinanza del Pretore di Parma iscritta in R.O.
 n. 79/1994. La norma impugnata regola il caso di concorso  di  due  o
 piu'  pensioni  tutte  integrate al trattamento minimo con decorrenza
 anteriore all'entrata in vigore del d.-l. n.  463  del  1983,  mentre
 nella  specie  la  ricorrente  e'  titolare di una pensione diretta a
 carico dello  Stato,  al  cui  ordinamento  pensionistico  e'  ignoto
 l'istituto   dell'integrazione  al  minimo,  e  di  una  pensione  di
 riversibilita' a carico dell'I.N.P.S.
    4. - La questione e' parzialmente fondata.
    In risposta alla sollecitazione rivolta al legislatore  da  questa
 Corte  nella sentenza n. 102 del 1982, e' intervenuto il d.-l. n. 463
 del 1983 dettando una  disciplina  generale  dell'integrazione  delle
 pensioni   al   trattamento  minimo,  fondata  su  due  principi:  a)
 esclusione del diritto all'integrazione nel caso di  superamento,  da
 parte  del titolare, di certi limiti di reddito indicati nell'art. 6,
 comma 1; b) nel caso di concorso di due o piu' pensioni,  sempre  che
 non  risultino  superati i predetti limiti di reddito, integrabilita'
 di una sola pensione individuata secondo i criteri indicati dal comma
 3. Il comma 7, infine, dispone che l'importo della pensione non  piu'
 integrabile,   erogato   alla   data  della  cessazione  del  diritto
 all'integrazione  (30  settembre  1983),   viene   conservato   (c.d.
 cristallizzazione)   fino   ad   assorbimento   negli  aumenti  della
 pensione-base determinata ai  sensi  del  comma  6  (c.d.  importo  a
 calcolo),  derivanti  dalla  disciplina della perequazione automatica
 richiamata nel comma 5.   In quanto rinvia al  comma  precedente,  la
 disposizione  del  comma  7  e' stata interpretata da una parte della
 giurisprudenza  di  merito  (in  adesione  alla   posizione   assunta
 dall'I.N.P.S.)   come   riferibile   esclusivamente   all'ipotesi  di
 cessazione  del  diritto  all'integrazione  di  una sola pensione per
 effetto  del  superamento  dei  limiti  di  reddito.  Secondo  questa
 interpretazione,  nell'ipotesi  di  concorso  di due o piu' pensioni,
 tutte integrate o integrabili al minimo in  conseguenza  di  numerose
 sentenze  di questa Corte (e in particolare della sentenza n. 314 del
 1985), la cessazione del diritto  all'integrazione  per  effetto  del
 superamento del limite di reddito o la restrizione di esso a una sola
 pensione   per  effetto  del  divieto  di  integrazione  plurima  non
 comportano la cristallizzazione delle  pensioni  ulteriori  a  quella
 principale,  individuata  a norma dell'art.  6, comma 3, del d.-l. n.
 463 e,  rispettivamente,  cristallizzata  ai  sensi  del  comma  7  o
 ammessa,  essa  sola, all'integrazione ai sensi dello stesso comma 3.
 L'altra o le altre pensioni devono essere  ricondotte  all'importo  a
 calcolo.    La  giurisprudenza  unanime  della  Corte  di cassazione,
 seguita dalla maggioranza dei giudici di merito, ha  invece  ritenuto
 applicabile  il  comma  7  anche  all'ipotesi di cumulo di due o piu'
 pensioni con conseguente cristallizzazione di tutte nell'un caso,  di
 quelle    non    piu'   integrabili   nell'altro.   Un   orientamento
 "sostanzialmente" analogo  e'  stato  espresso  dalla  giurisprudenza
 costituzionale,  ma  modulato  su una linea ermeneutica diversa e con
 riferimento solo al  secondo  dei  casi  in  cui  questa  ipotesi  si
 suddistingue.  Mentre la Corte di cassazione afferma l'applicabilita'
 diretta, sul riflesso che la lettera del comma 7 "non  distingue  tra
 le  due  ipotesi",  la  sentenza  n.  418  del  1991  di questa Corte
 riconosce che "non si puo' rintracciare nelle disposizioni  letterali
 dell'art.  6  della  legge n.   638 del 1983 la fattispecie, a quella
 data vietata, del cumulo di due pensioni integrate  al  minimo  e  di
 conseguenza  nel  comma settimo l'ipotesi di cristallizzazione di una
 di esse". L'applicabilita' del comma 7 viene cosi' ammessa in via  di
 analogia, fondata su un giudizio di ricorrenza di una ratio decidendi
 "non  dissimile", riferito al caso di titolarita' di due pensioni per
 una delle quali  cessa  il  diritto  all'integrazione  in  forza  del
 principio di unicita' dell'integrazione.
    5.  -  Sebbene  enunciata con una formula unitaria, la fattispecie
 dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993  e'  articolabile
 in   funzione   di   entrambi  i  casi:  a)  cessazione  del  diritto
 all'integrazione per effetto del superamento dei  limiti  di  reddito
 fissati  dall'art.  6,  comma  1,  del  d.-l.  n.  463  del  1983; b)
 cessazione del diritto all'integrazione per effetto del principio  di
 unicita' dell'integrazione sancito dal medesimo art. 6, comma 3.
    Riferita al caso sub a), la frase "il trattamento minimo spetta su
 una  sola delle pensioni, come individuata secondo i criteri previsti
 al comma  3  dell'art.  6  del  d.-l.  n.  463  del  1983"  significa
 mantenimento   solo   su   questa  pensione  del  trattamento  minimo
 "cristallizzato"  nell'importo  spettante  al  30   settembre   1983;
 riferita   al   caso   sub  b)  significa  mantenimento  del  diritto
 all'integrazione al trattamento minimo solo per questa pensione.
    Cio' premesso, ai fini della decisione della  questione  in  esame
 occorre  definire  la  natura  dell'integrazione al minimo. I giudici
 rimettenti  disattendono  giustamente  la  tesi  -  sostenuta   nella
 relazione  al  disegno  di legge n. 1508 (Senato della Repubblica, XI
 leg., p. 1508), nonostante l'argomento contrario desumibile dall'art.
 37, comma 3, lett. b),  della  legge  9  marzo  1989,  n.  88  -  che
 attribuisce  natura  assistenziale  a  questo  istituto.  Esso  ha la
 funzione  di  integrare  la  pensione  quando  dal calcolo in base ai
 contributi accreditati al lavoratore risulti un importo  inferiore  a
 un  minimo  ritenuto  necessario, in mancanza di altri redditi di una
 certa consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati  alle  esigenze  di
 vita,  giusta  il  precetto  dell'art.  38, secondo comma, Cost. Tale
 funzione qualifica l'integrazione al trattamento minimo come istituto
 previdenziale fondato sul principio di solidarieta'.
    Il d.-l. n. 463 del 1983, finalizzato a un'azione di  contenimento
 del  deficit pubblico, ha segnato due limiti all'intervento di questo
 principio: un limite esterno, ostativo  dell'integrazione  quando  il
 titolare  disponga di altri redditi superiori a un certo ammontare, e
 un limite  interno,  che  nel  concorso  di  piu'  pensioni  consente
 l'integrazione   una   sola  volta  fino  a  concorrenza  col  limite
 reddituale. Retrospettivamente, secondo una "lettura  storica"  della
 legge  del  1983,  il  limite  interno  ha  assunto il significato di
 esclusione, con effetto dal 1›  ottobre  1983,  del  cumulo  di  piu'
 pensioni  integrate al minimo, ammesso dalla giurisprudenza di questa
 Corte in favore dei titolari di una  pluralita'  di  pensioni  aventi
 decorrenza anteriore al 30 settembre 1983.
    6.  -  Ora  l'art.  38  Cost.  non  esclude  la possibilita' di un
 intervento  legislativo  che,  per  una  inderogabile   esigenza   di
 contenimento  della  spesa pubblica, riduca "in maniera definitiva un
 trattamento pensionistico in precedenza spettante" (cfr. sentenza  n.
 822  del  1988). L'attuazione del precetto costituzionale richiede un
 bilanciamento, modificabile nel tempo a  seconda  delle  circostanze,
 tra  i  valori  personali  inerenti  alla  tutela  previdenziale e "i
 principi  connessi  alla  concreta  e  attuale  disponibilita'  delle
 risorse  finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi
 impegni di spesa" (sentenza n. 119 del 1991). Ma quando  l'intervento
 legislativo  incide  sul  trattamento  di  soggetti  i quali, sebbene
 titolari di  due  o  piu'  pensioni,  hanno  un  reddito  complessivo
 inferiore  al limite fissato dal d.-l. n. 463 del 1983, cosi' che per
 essi la modifica legislativa comporta una compressione delle esigenze
 di  vita  cui  era   precedentemente   commisurata   la   prestazione
 previdenziale,  il  principio  di  solidarieta'  (sotteso all'art. 38
 Cost.) coordinato col principio  di  razionalita'-  equita'  (art.  3
 Cost.),  impone  una disciplina transitoria che assicuri un passaggio
 graduale al trattamento meno favorevole.
    Alla stregua di tali considerazioni  la  norma  denunziata  appare
 lesiva  degli  artt.  3  e  38,  secondo comma, Cost., nel caso sopra
 distinto sub b). Quando il  pensionato,  pur  con  l'apporto  di  una
 seconda  pensione, risulta in possesso di un reddito complessivamente
 inferiore al limite legale, la regola della  cristallizzazione  della
 seconda  pensione,  non piu' integrabile, si impone a maggior ragione
 rispetto all'ipotesi, prevista dall'art. 6, comma 7, del d.-l. n. 463
 del 1983, di titolarita' di una sola pensione non piu' integrabile  a
 causa del superamento del limite reddituale.
    7. - Nel caso sopra indicato sub a) la diminuzione del trattamento
 pensionistico    e'    giustificata    -   e   compensata   ai   fini
 dell'apprestamento  di  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita   -
 dall'incremento  dei  redditi  del pensionato oltre il limite fissato
 dalla legge all'operativita'  del  principio  di  solidarieta'  nella
 forma dell'integrazione al trattamento minimo. Percio' l'applicazione
 del    criterio    di   gradualita'   mediante   la   tecnica   della
 cristallizzazione  e'  qui rimessa ad una discrezionalita' piu' ampia
 del legislatore, salvo il principio di razionalita'.  La  limitazione
 della   cristallizzazione   alla   pensione  principale,  individuata
 dall'art. 6, comma 3, del d.-l.  n.  463  del  1983,  risponde  a  un
 ragionevole  bilanciamento  degli  interessi  in  gioco, tenuto conto
 dell'urgenza  dell'interesse  pubblico  alla  riduzione  della  spesa
 pensionistica.   Nemmeno possono ritenersi violati gli artt. 101, 102
 e 104 Cost.  per ragioni analoghe a  quelle  ripetutamente  enunciate
 dalla  giurisprudenza  di questa Corte. La legge impugnata non mira a
 influire su concrete fattispecie sub iudice, bensi' a  stabilire  una
 regola  generale  di  giudizio,  di  cui  si  constata,  sotto questo
 aspetto, la non contrarieta' a parametri costituzionali  sostanziali;
 la  retroattivita'  di  cui  e'  dotata  non  pregiudica  la potestas
 iudicandi, bensi' modifica il modello di  decisione  cui  l'esercizio
 della   potesta'   deve   attenersi  in  ordine  a  rapporti  insorti
 anteriormente al 30 settembre 1983 e non ancora  definiti  (cfr.,  da
 ultimo, sentenza n. 402 del 1993).