ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 365, primo e
 secondo comma, del codice  penale  militare  di  pace,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  14  dicembre  1993  dal  Tribunale militare di
 Cagliari, nel  procedimento  penale  a  carico  di  Ciriaco  Pirrolu,
 iscritta  al  n.  115  del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  12,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1994;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 giugno 1994 il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  emessa  il  14  dicembre  1993  nel  corso  di  un
 procedimento  penale a carico di Ciriaco Pirrolu - il quale, detenuto
 per altra causa,  aveva  rinunciato  a  comparire  chiedendo  che  il
 dibattimento venisse celebrato in sua assenza - il Tribunale militare
 di  Cagliari  ha  sollevato,  su  eccezione  del  pubblico ministero,
 questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  365,  primo  e
 secondo comma, del codice penale militare di pace.
    La   norma   denunciata  prevede  che  l'imputato  deve  comparire
 personalmente all'udienza dei tribunali militari  e  in  nessun  caso
 puo'  chiedere  o  consentire  che  il  dibattimento  avvenga  in sua
 assenza.
    Il Tribunale prospetta il contrasto di questa disposizione con gli
 artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. Ritiene difatti  che
 il  principio  di  eguaglianza  sarebbe  violato  dalla diversita' di
 disciplina del processo penale militare rispetto al  processo  penale
 ordinario,  nel  quale  l'imputato,  anche  se impedito, che chiede o
 consente che il dibattimento avvenga in sua assenza o,  se  detenuto,
 rifiuta  di  assistervi  e'  rappresentato  dal  difensore  e  non si
 applicano   l'istituto   della   contumacia   o    le    disposizioni
 sull'impedimento  a  comparire  (art. 488, primo comma, del codice di
 procedura penale). Questa norma rispecchia sostanzialmente quella  in
 precedenza  dettata dal codice di procedura penale del 1930, rispetto
 alla quale l'art. 365 del codice penale militare si poneva gia'  come
 norma speciale e di deroga.
    Il  giudice  rimettente  ritiene  che la disciplina dettata per il
 rito nei  tribunali  militari  sia  ancora  in  vigore.  L'ambito  di
 applicazione  del nuovo codice di procedura penale, che si estende ai
 "procedimenti relativi a tutti i reati anche  se  previsti  da  leggi
 speciali"  (art.  207  delle norme di attuazione e di coordinamento),
 non comprenderebbe il processo penale militare di  pace  disciplinato
 dal  libro  III  del  relativo  codice. Essendo le norme del processo
 penale comune complementari rispetto a quelle del  processo  militare
 (artt.  15  del  codice  penale  e  261 del codice penale militare di
 pace), la disciplina del primo troverebbe applicazione, salvo  quando
 il   codice   militare  detti,  come  in  questo  caso,  disposizioni
 specifiche e di deroga.
    Il Tribunale militare di  Cagliari  ritiene  che  la  disposizione
 denunciata,  venendo  ad  incidere  sul  diritto  di  difesa,  sia in
 contrasto, oltre che con l'art.  3,  anche  con  l'art.  24,  secondo
 comma, della Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il Tribunale militare di Cagliari dubita della legittimita'
 costituzionale dell'art. 365,  primo  e  secondo  comma,  del  codice
 penale  militare  di  pace  (approvato  con regio decreto 20 febbraio
 1941, n. 303), che, nell'ambito della  disciplina  del  dibattimento,
 dispone  che  all'udienza  dei  tribunali  militari  l'imputato  deve
 comparire personalmente ed  in  nessun  caso  puo'  chiedere  che  il
 dibattimento avvenga in sua assenza.
    Il  giudice  rimettente ritiene - con adeguata motivazione e senza
 accogliere l'orientamento che vuole  anche  il  processo  dinanzi  ai
 tribunali militari interamente regolato dal nuovo codice di procedura
 penale   -  che  questa  disposizione  sia  tuttora  in  vigore.  Non
 troverebbe  quindi  applicazione  la   diversa   disciplina   dettata
 dall'art.  488  del  codice  di  procedura  penale,  che  prevede per
 l'imputato la facolta' di chiedere o consentire che  il  dibattimento
 avvenga in sua assenza ed ammette che questi, se detenuto, rifiuti di
 assistervi. Ma lo stesso giudice ritiene che la disciplina speciale e
 di deroga, disposta per il processo penale militare rispetto a quella
 comune,  sia  in  contrasto  con il principio di eguaglianza e con il
 diritto di difesa.
    2. - Il dovere di comparizione personale dell'imputato all'udienza
 dei  tribunali  militari,  con  la   correlativa   esclusione   della
 rappresentanza  e  della  dichiarazione  di  assenza, costituisce una
 espressa  deroga  al  diritto  processuale  comune,   avvertita   con
 chiarezza  nei  lavori  preparatori.  La  relazione della Commissione
 reale al progetto preliminare del codice  ne  indica  i  motivi:  "la
 giustizia  penale militare, come quella disciplinare, e' giustizia di
 capi; e pero', anche per ragioni di esemplarita', deve  svolgersi  in
 rapporto immediato diretto fra superiore ed inferiore".
    Anche   quando,   come   in  recenti  pronunce,  ammette  il  rito
 contumaciale per il detenuto che dichiari espressamente di non  voler
 comparire,  la  giurisprudenza  afferma  sempre che non e' consentito
 all'imputato di chiedere che il  dibattimento  dinanzi  al  tribunale
 militare avvenga in sua assenza. Il dovere di comparizione personale,
 disposto  dall'art.  365  del  codice  penale  militare di pace, e la
 diversita' di disciplina rispetto a quella comune, permangono, ma  ne
 vengono  corrette  le  conseguenze processuali, applicandosi anche in
 questi casi l'istituto della contumacia o il rinvio del  dibattimento
 per legittimo impedimento dell'imputato.
    Alla  Corte si chiede ora di valutare se l'obbligo di comparizione
 personale, in se' considerato, sia in contrasto con gli artt. 3 e 24,
 secondo comma, della Costituzione.
    3. - La questione e' fondata.
    La protezione costituzionale del diritto inviolabile di difesa nel
 processo penale implica che la legge debba assicurare all'imputato la
 possibilita' di partecipare al dibattimento, per poter esperire anche
 in questa fase del processo le attivita' difensive che ritenga  utili
 ai  fini  del  giudizio  sulla  fondatezza  delle accuse che gli sono
 rivolte.
    La Corte ha gia' ritenuto che  "soltanto  la  volontaria  rinuncia
 dell'imputato a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di
 una  sua  libera  e incoercibile scelta difensiva, puo' giustificare,
 sul piano costituzionale, la limitazione del contraddittorio" che  si
 attua  con l'assenza dell'imputato dal dibattimento. La necessita' di
 garantire all'imputato la possibilita' di partecipare al dibattimento
 consente che si proceda senza di lui "solo se l'assenza sia, in  modo
 esplicito  od  implicito, frutto di una sua libera scelta, o comunque
 di un suo comportamento volontario" (sentenza n. 9 del 1982).
    La libera partecipazione personale al dibattimento, se costituisce
 una garanzia per l'imputato, che e'  soggetto  al  processo  ed  alla
 potesta'  punitiva che in esso si esprime ma non necessariamente deve
 collaborare al suo svolgimento, manifesta anche una scelta difensiva,
 che come tale va salvaguardata e non  puo'  essere  configurata  come
 obbligatoria  o  coercibile,  salvo che la presenza dell'imputato sia
 necessaria perche' il processo possa avere  corso  o  siano  compiuti
 specifici  atti  probatori  che coinvolgono la persona dell'imputato.
 Difatti la facolta' dell'imputato di non assistere  all'udienza  deve
 sempre  essere  conciliata con la fondamentale esigenza di giudicarlo
 egualmente (sentenza n. 11 del 1978).
    La trasformazione del diritto di essere presente  al  dibattimento
 in  obbligo  di  comparire  personalmente  all'udienza  dei tribunali
 militari, senza che  in  nessun  caso  l'imputato  possa  chiedere  o
 consentire  che  il dibattimento avvenga in sua assenza, non risponde
 alle particolari necessita'  del  giudizio.  Tale  obbligo  manifesta
 piuttosto  la  originaria  connotazione  di  quel  processo, volto ad
 esprimere la  "giustizia  dei  capi"  in  un  contesto  di  autonomia
 dell'ordinamento    militare   rispetto   all'ordinamento   statuale.
 Impostazione,    questa,    superata    dalla    Costituzione,    che
 "definitivamente  impedisce  che  la giurisdizione penale militare si
 consideri ancora come continuazione  della  'giustizia  disciplinare'
 dei  capi  militari  tesa  a  garantire  e  rafforzare  l'ordine e la
 gerarchia militare contro le violazioni 'piu'  gravi'"  (sentenza  n.
 278 del 1987).
    Esclusa   questa   prospettiva,   che  dava  anche  ragione  della
 diversita'  di  disciplina  rispetto  al  processo   penale   comune,
 l'obbligo  dell'imputato  di partecipare al dibattimento nel processo
 penale militare non puo'  essere  generale  ed  assoluto,  in  quanto
 ancorato  alla  "esemplarita'"  del  processo  stesso, ma deve essere
 collegato  esclusivamente  alla  necessita'  di   non   impedire   il
 compimento del processo e di non ostacolare fondamentali esigenze del
 giudizio, che possono derivare dal dover compiere atti per i quali la
 presenza   dell'imputato  sia  indispensabile.  L'obbligo  della  sua
 presenza non puo' che  essere  ristretto,  cosi'  come  nel  processo
 penale comune, nei limiti di questa irrinunciabile esigenza.
    La  previsione  dell'art.  365,  primo e secondo comma, del codice
 penale militare di pace, in quanto  generale  ed  assoluta,  si  pone
 dunque in contrasto con la libera esplicazione del diritto di difesa,
 che  comprende  anche  la  facolta'  di non comparire al dibattimento
 senza per questo impedirne la celebrazione.
    Alla  dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   della
 disposizione  denunciata  segue  che, in base all'art. 261 del codice
 penale militare  di  pace,  le  regole  del  processo  penale  comune
 relative  alla  partecipazione  dell'imputato al dibattimento trovano
 applicazione anche dinanzi ai tribunali militari.