ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, primo comma,
 della  legge  4  maggio  1983,  n.  184  (Disciplina  dell'adozione e
 dell'affidamento dei minori),  promosso  con  ordinanza  emessa  l'11
 gennaio  1993  dal  Tribunale  per i minorenni di Genova sull'istanza
 proposta da Parodi Roberto ed altra, iscritta al n. 130 del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 9  febbraio  1994  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Chiamato  a  giudicare sull'ammissibilita' della domanda di
 adozione nazionale ed internazionale presentata  in  data  30  maggio
 1992  dai  coniugi Roberto Giovanni Parodi e Anna Laura Burattini, il
 Tribunale per i minorenni  di  Genova  ha  sollevato,  con  ordinanza
 emessa  l'11  gennaio  1993, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  6,  primo  comma,  della  legge  4  maggio  1983,  n.  184
 (Disciplina   dell'adozione   e   dell'affidamento  dei  minori),  in
 riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.
    In fatto, rileva il Tribunale che i coniugi istanti,  regolarmente
 coniugati  dal  giorno  26  marzo  1992,  non possono aver accolta la
 domanda de qua, richiedendo la disposizione impugnata  un  minimo  di
 tre anni di matrimonio.
    Il  giudice  a  quo  rileva  tuttavia che il Parodi e la Burattini
 deducono di essere conviventi dal 17 marzo 1982, come risultante  dai
 certificati   di   convivenza   e   di   residenza  storici  allegati
 all'istanza. Poiche' l'art. 6 della legge prevede come condizione per
 l'idoneita' degli adottanti la durata triennale  post-matrimoniale  e
 non  della  convivenza, il Tribunale solleva la suddetta questione di
 costituzionalita', nella parte in cui la disposizione impugnata  "non
 consente  di  dare  rilevanza,  nei  confronti  dei  coniugi uniti in
 matrimonio,  alla  durata  della  pregressa  stabile   e   prolungata
 convivenza more uxorio comprovata dalle acquisizioni documentali".
     A parere del giudice a quo, la norma si porrebbe in contrasto con
 l'art.  2 della Costituzione, in quanto detta disposizione non tutela
 sufficientemente la famiglia di fatto come formazione sociale, e  con
 l'art.  3  della  Costituzione,  in quanto verrebbero disciplinate in
 modo diverso le coppie che, accomunate dal fatto di essere  unite  in
 matrimonio,   dovrebbero  ricevere  analoga  forma  di  tutela  anche
 relativamente alla materia delle procedure adozionali. Rileva infatti
 il giudice a quo che, pur dovendosi  riconoscere  diversita'  tra  la
 famiglia  di  fatto e quella legittima, appare tuttavia irragionevole
 un trattamento differenziato tra  una  coppia  di  coniugi  unita  in
 matrimonio  da  due  mesi,  e  tuttavia  forte di una convivenza more
 uxorio protrattasi senza interruzione per dieci anni, ed  una  coppia
 di  coniugi  che  al  momento  della  presentazione  della domanda al
 Tribunale possano vantare esclusivamente il requisito  del  richiesto
 triennio matrimoniale.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo  per  l'infondatezza  della  questione  sotto  entrambi i
 profili prospettati dall'ordinanza di rimessione.
    In  relazione  al  presunto   contrasto   con   l'art.   2   della
 Costituzione,   osserva  la  difesa  erariale  che,  sebbene  sia  da
 riconoscere alla famiglia di fatto la dignita' di formazione sociale,
 e'  viceversa  da  escludersi  la  configurabilita'  di  un   diritto
 (inviolabile)  dei  richiedenti ad ottenere un provvedimento positivo
 di adozione, essendo  tale  istituto  finalizzato  principalmente  ad
 assicurare   la  piu'  conveniente  forma  di  assistenza  ai  minori
 abbandonati.  Quanto  alla  ritenuta  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione,  la  difesa  erariale rileva la non equiparabilita' tra
 famiglia  di  fatto e famiglia legittima, essendo indubitabile che la
 Costituzione,  pur  non  negando  qualche  considerazione  per  forme
 naturali  di rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del
 matrimonio, riconosce una dignita' superiore alla famiglia legittima.
    In merito infine al rilievo mosso  dal  giudice  a  quo  circa  la
 razionalita' della disposizione impugnata, osserva l'Avvocatura dello
 Stato  che  il  requisito  della durata almeno triennale del rapporto
 matrimoniale non e' richiesto solo come garanzia  di  stabilita',  ma
 anche  "come  garanzia  che  il  comune  progetto  di  disponibilita'
 all'adozione nasca anche in relazione all'esperienza maturata per  un
 dato  tempo  in  ordine  al  fatto  primario della filiazione secondo
 natura in costanza di matrimonio".
    E' per questo che l'istituto e' stato modellato dal legislatore in
 forma quanto piu' possibile vicina alla  struttura  di  una  famiglia
 regolare,  sulla  base  del  principio  della imitatio naturae: ed il
 termine di tre anni rappresenta pertanto il periodo minimo durante il
 quale il progetto di famiglia formulato in comune  dai  coniugi  puo'
 maturare  anche  a  seguito  dell'esperienza avuta ed ai propositi di
 vivere stabilmente insieme in un nucleo vincolato dal diritto.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Genova  dubita  della
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 6, primo comma, della legge 4
 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento  dei
 minori)  nella  parte  in  cui  dispone che ai fini dell'idoneita' ad
 adottare gli aspiranti siano uniti in matrimonio da almeno tre  anni.
 A parere del giudice a quo, si ravviserebbe un contrasto con l'art. 2
 della Costituzione, per violazione della tutela che deve riconoscersi
 alla  famiglia  di fatto come formazione sociale, e con l'art. 3, per
 disparita' di trattamento e irragionevolezza, posto che la tenuta  di
 coppia  dei  coniugi  da  poco  tempo sposati, ma conviventi da dieci
 anni,  appare  superiore  a  quella  offerta  da  coniugi  uniti   in
 matrimonio da un triennio.
    2.  -  Va  premesso  che la Convenzione in materia di adozione dei
 minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 (alla  quale  l'Italia
 ha  dato  esecuzione con legge 22 maggio 1974, n. 357) stabilisce che
 quando sia una coppia a far domanda di adozione, essa  sia  unita  in
 matrimonio  (art.  6), e che compito delle autorita' competenti e' di
 provvedere "a che l'adozione procuri al minore un ambiente  familiare
 stabile ed armonioso" (art. 8).
    La  norma  della  legge  italiana  n.  184 del 1983 recepisce tale
 indicazione, ed e' coerente col  principio,  riconosciuto  da  questa
 Corte  (sentenze  n. 89/1993; n. 310/1989; n. 404/1988; nn. 198 e 237
 del  1986;  n.  11/1981;  n.   45/1980),   secondo   cui   l'istituto
 dell'adozione  e'  finalizzato  alla tutela prevalente dell'interesse
 del minore. Tale principio comporta, fra l'altro, che, ai fini  della
 complessa  opera  di  selezione  dei  soggetti  idonei  a svolgere il
 delicatissimo  compito  di   educare   ed   accogliere   un   bambino
 abbandonato,  costituisce  criterio fondamentale quello che la doppia
 figura genitoriale sia unita dal "vincolo  giuridico  che  garantisce
 stabilita',  certezza,  reciprocita'  e corrispettivita' di diritti e
 doveri del nucleo in cui il minore sara' accolto"  (sentenza  n.  310
 del 1989).
    Il  giudice  a  quo  non  pone  in discussione sul punto la scelta
 adottata  dal  legislatore  italiano,  che,  al  pari   di   numerosi
 legislatori europei, intende il matrimonio, a tal fine, non solo come
 "atto  costitutivo"  ma  anche come "rapporto giuridico", vale a dire
 come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale,  in
 cui  sia  perdurante  la  volonta'  di  vivere  insieme  in un nucleo
 caratterizzato da diritti e doveri.  Ne'  l'ordinanza  di  rimessione
 lamenta  che  il  criterio  dei  tre  anni  successivi  alle nozze si
 configuri come requisito  minimo  presuntivo  a  dimostrazione  della
 stabilita'  del  rapporto matrimoniale, giustificato dall'esigenza di
 rafforzare il delicato  compito  del  Tribunale  nella  scelta  delle
 coppie  piu'  idonee  all'adozione,  con  la  precisazione  legale di
 criteri il piu' possibile obiettivi ed uniformi.
    3. - Il giudice  a  quo  pone  invece  una  diversa  questione  di
 legittimita'   costituzionale,   legata   alla  prospettazione  sulla
 fungibilita' al triennio post-matrimoniale di un uguale  o  superiore
 periodo - anteriore al matrimonio - di convivenza more uxorio: dubita
 infatti  il  giudice rimettente che l'esclusione di tale fungibilita'
 ponga la disposizione  in  contrasto  con  gli  artt.  2  e  3  della
 Costituzione.
    In   relazione   al  primo  parametro  invocato  la  questione  e'
 infondata.
    Non si puo' invero  ravvisare  la  violazione  dell'art.  2  della
 Costituzione,  atteso  che,  da un lato, l'aspirazione dei singoli ad
 adottare non puo' ricomprendersi tra i diritti inviolabili dell'uomo,
 e, dall'altro, che anche  qualificando  la  famiglia  di  fatto  come
 formazione  sociale,  non  per questo deriverebbe che alla stessa sia
 riconosciuto il diritto all'adozione, come previsto per  la  famiglia
 fondata  sul matrimonio (art. 29 della Costituzione: cfr. sentenza n.
 310/1989, n. 404/1988, n. 237/1986).
    La questione e' invece inammissibile  in  ordine  alla  denunziata
 violazione  dell'art.  3 della Costituzione. Al riguardo il giudice a
 quo rileva che, se "lo scopo della norma  e'  quello  di  poter  fare
 affidamento  su  potenziali  genitori  forti di un rapporto di coppia
 gia' sperimentato come stabile", la tenuta della  coppia  sposata  da
 poco tempo, ma garantita da un lungo periodo precedente di convivenza
 potrebbe  risultare  "superiore  a quella offerta da coniugi uniti in
 matrimonio da piu' di tre, cinque o sette anni". Di qui la  doglianza
 di discriminazione irragionevole.
    4. - In proposito questa Corte non puo' ignorare, per un verso, il
 sempre  maggiore  rilievo che, nel mutamento del costume sociale, sta
 acquistando  la  convivenza  more  uxorio,  alla  quale  sono   state
 collegate  alcune conseguenze giuridiche (cfr. sentenza n. 404/1988).
 Ne'  puo'  per  altro  verso  negarsi   validita'   alla   suggestiva
 considerazione  che,  proprio ai fini della tutela dell'interesse del
 minore, la solidita' di una  vita  matrimoniale  potrebbe  risultare,
 oltre  che  da  una  convivenza  successiva  alle nozze protratta per
 alcuni anni, anche da un piu' lungo periodo,  anteriore  alle  nozze,
 caratterizzato  da  una  stabile  e  completa  comunione  materiale e
 spirituale di vita della coppia stessa, che assuma poi col matrimonio
 forza vincolante.
    Pertanto, fermo restando questo primo e indeclinabile  presupposto
 matrimoniale  (con  i  diritti e doveri che ne conseguono), la scelta
 potrebbe, eventualmente, cadere anche su coniugi sposati da  meno  di
 tre  anni,  ma  con una consistente convivenza more uxorio precedente
 alle nozze.
    Tuttavia,  affinche'  l'esercizio  di  questo potere di scelta sia
 garantito da una certa  uniformita'  di  ponderato  comportamento  su
 tutto  il  territorio  nazionale,  tale  da  evitare,  nella delicata
 materia de qua, possibili disparita' di trattamento tra  adottandi  o
 tra   coniugi,   occorrerebbe   definire  alcuni  criteri  oggettivi,
 svolgenti  l'analoga  funzione  sopra  ricordata  del   triennio   di
 convivenza matrimoniale, in ordine - ad esempio - alla durata ed alle
 caratteristiche del rapporto, soprattutto affinche' la convivenza non
 sia  meramente  occasionale,  ma  prodromica  alla  creazione  di  un
 "ambiente familiare stabile e  armonioso"  (cfr.  anche  sentenza  n.
 184/1994).
    Ma  cio'  appartiene  alla  competenza del legislatore, cui spetta
 operare  scelte  cosi'  complesse  attraverso   una   interpretazione
 combinata  di  diversi  elementi e valori di una societa' in continua
 evoluzione.