ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza nel procedimento penale a carico di Varallo Antonio, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1994; Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri. Ritenuto in fatto 1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 304, primo comma, lett. a) e b) del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente l'adozione dell'ordinanza ivi prevista anche quando si procede con rito abbreviato". 2. - Il remittente premette che la disposizione impugnata prevede, nei casi di impossibilita' di procedere al giudizio per impedimento dei difensori, la sospensione del termine di custodia cautelare, ma solo - come puo' evincersi dalla lettera della norma - con riferimento all'impossibilita' di procedere al "dibattimento", nel giudizio ordinario, e non anche al giudizio abbreviato, come nel caso sottoposto al suo esame. 3. - La limitazione suddetta - a suo avviso - si risolve in una ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni assolutamente simili, non comprendendosi perche' l'imputato debba ottenere un trattamento differenziato, in materia di termini custodiali, a seconda che il procedimento sia sfociato nel dibattimento ovvero, come nel caso di specie, nel giudizio abbreviato, con la conseguenza che nel secondo caso, astenendosi i difensori dalle udienze, il termine di cui all'art. 303 del codice di procedura penale non puo' essere sospeso. Ne' la diversa disciplina potrebbe essere giustificata dalle caratteristiche del rito abbreviato quale giudizio allo stato degli atti, che in nessun modo incidono da un lato sull'esercizio del diritto alla difesa e sui diritti di liberta' del cittadino, e dall'altro sulle esigenze della giurisdizione, come appaiono bilanciati, gli uni e le altre, nell'art. 304 del codice di procedura penale; ma, al contrario, da questo punto di vista, il rito abbreviato non si discosterebbe dal dibattimento, rappresentando l'uno e l'altro possibili epiloghi decisori del procedimento con pari esigenze cautelari da un lato, ed identica necessita' di tutela dei diritti di liberta' del cittadino, dall'altro. 4. - Quanto infine all'impossibilita' di trattazione della causa per l'astensione da tutte le attivita' di udienza proclamata dagli avvocati e procuratori del foro locale, il giudice remittente precisa che detta situazione processuale e' assimilabile, in punto di fatto, a quella delineata dall'art. 304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale, riscontrandosi in entrambi i casi l'impossibilita' di procedere al giudizio per impedimento difensivo ovvero per mancata presentazione dei difensori, e cio' a seconda che si consideri l'astensione dalle udienze ascrivibile alla fattispecie di cui alla lettera a) o rispettivamente b), del citato articolo. Considerato in diritto 1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente l'adozione dell'ordinanza ivi prevista anche quando si procede con rito abbreviato". 2. - La disposizione impugnata prevede, nei casi di impossibilita' di procedere al giudizio per impedimento dei difensori, la sospensione dei termini di custodia cautelare soltanto - come puo' evincersi dalla lettera della norma - con riferimento all'impossibilita' di procedere al "dibattimento" nel giudizio ordinario, ma non anche al giudizio abbreviato. Cio' posto, il remittente rileva che detta limitazione si risolve in una ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni assolutamente simili, non sussistendo motivi perche' all'imputato debba applicarsi un differente trattamento, in materia di termini custodiali, a seconda che il procedimento sia sfociato nel dibattimento ovvero nel giudizio abbreviato, con la conseguenza che nel secondo caso, astenendosi i difensori dalle udienze, i termini di cui all'art. 303 del codice di procedura penale non possono essere sospesi. 3. - In sostanza, la questione sollevata mira ad introdurre una nuova ipotesi di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare estendendo anche al giudizio abbreviato la disciplina prevista dall'art. 304, primo comma, per il giudizio ordinario. In questi termini la questione e' inammissibile. Questa Corte ha piu' volte affermato (v., da ultimo, sent. n. 349 del 1993) che i diritti inviolabili dell'uomo, primo tra tutti quello alla liberta' personale, sono espressione di valori fondamentali; per tal motivo la loro limitazione (nei soli casi e modi previsti dalla Costituzione e dalla legge) ha carattere derogatorio ad una regola generale e presenta natura eccezionale: le norme suscettibili di incidere su tali diritti, pertanto, non possono essere applicate per analogia e vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo. Nel caso in esame tali principi portano immediatamente a ravvisare nel normale decorso dei termini di custodia cautelare la regola generale e, invece, nella sospensione dei termini stessi, una norma di carattere eccezionale, giacche' consente di prolungare la limitazione della liberta' personale che la custodia cautelare comporta. 4. - Proprio in relazione a siffatto carattere eccezionale, detta norma non puo' essere assunta come utile termine di raffronto ai fini del giudizio sulla corretta osservanza, da parte del legislatore, del principio di eguaglianza. E' infatti costante orientamento di questa Corte che, in presenza di norme generali e di norme derogatorie, in tanto puo' porsi una questione di legittimita' costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, in quanto si assuma che queste ultime, poste in relazione alle prime, siano in contrasto con tale principio; viceversa, quando si adotti come tertium comparationis la norma derogatrice, la funzione del giudizio di legittimita' costituzionale non puo' essere se non il ripristino della disciplina generale, ingiustificatamente derogata da quella particolare, non l'estensione ad altri casi di quest'ultima (cfr. ord. n. 666 del 1988, ord. n. 582 del 1988, sent. n. 383 del 1992).