ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, in relazione all'art. 301 del testo unico della legge doganale, come sostituito dall'art. 11, diciannovesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Kasan Sad, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994; Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Ritenuto che il Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Kasan Sad, imputato del delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di fronte all'accordo delle parti nel senso dell'applicazione della pena nella misura di mesi sei di reclusione e L. 2.400.000 di multa, concessa l'attenuante prevista dal quinto comma dello stesso art. 73, le attenuanti generiche e la diminuente di cui all'art. 444 del codice di procedura penale, premesso che ricorrono le condizioni per l'applicazione della pena su richiesta, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la sentenza con la quale viene applicata la pena su richiesta comporta l'operativita' della confisca nei soli casi previsti dall'art. 240, secondo comma, del codice penale, nonche' dello stesso art. 240, secondo comma, del codice penale, in relazione all'art. 301 del testo unico della legge doganale - "come sostituito" dall'art. 11, diciannovesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 - "nella parte in cui non prevede l'obbligatorieta' della confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato"; che, piu' in particolare, il giudice a quo lamenta che, nel caso di specie, adottando la sentenza di applicazione della pena su richiesta "non puo' disporre la confisca della somma di denaro in sequestro - profitto dell'attivita' di spaccio, quantomeno per quanto concerne l'importo di L. 40.000 che lo stesso imputato ha ricevuto dalla cessione di droga - ricorrendo l'ipotesi di confisca facoltativa prevista dal comma 1 dell'art. 240 c.p."; che, sempre stando al rimettente, un simile regime, consentendo all'imputato di assicurarsi il profitto del reato, risulterebbe in contrasto: con l'art. 41, secondo comma, della Costituzione, perche' verrebbe a tutelarsi "un'iniziativa economica palesemente dannosa per la sicurezza e contrastante con l'utilita' sociale"; con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, vanificandosi il fine rieducativo della pena, in quanto "contraddetto e reso piu' difficile proprio dalla mancata adozione della misura di sicurezza"; con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del contrasto con il principio di ragionevolezza e in relazione al diverso trattamento riservato dal legislatore alle cose che costituiscono il profitto del reato di contrabbando relativamente alle quali l'art. 301 del testo unico della legge doganale ha espressamente previsto la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato anche nel caso di sentenza di "patteggiamento"; infine, con l'art. 76 della Costituzione, perche' l'art. 2, n. 45, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, non prevede espressamente l'inapplicabilita' delle misure di sicurezza facoltative, una mancata previsione ostativa della possibilita' per il legislatore delegato di non applicare le misure di sicurezza anche quando il giudice ritenga la pericolosita' sociale dell'imputato; che nel giudizio non si e' costituita la parte privata ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri; considerato che effettivamente a se'guito della sentenza che applica la pena su richiesta non e' consentito il sequestro della somma costituente il provento della cessione di sostanze stupefacenti, da considerare - secondo la pressoche' unanime giurisprudenza di legittimita' e la dottrina - non prezzo ma profitto del reato; che non si ravvisa alcun contrasto con l'art. 2, n. 45 della legge-delega e, quindi con l'art. 76 della Costituzione, nessun ostacolo all'applicabilita' della misura di sicurezza patrimoniale derivando dalla detta direttiva, che, anzi, nel prescrivere di disciplinare "gli altri effetti della pronuncia", ha lasciato al legislatore delegato un ampio margine di discrezionalita' al fine di incentivare il ricorso a questo rito di deflazione dei dibattimenti; e che, pertanto, con riferimento al detto parametro costituzionale, la questione va dichiarata manifestamente infondata; che, per il resto, il giudice a quo richiede a questa Corte una statuizione solo apparentemente di tipo demolitorio, ma in realta' diretta ad introdurre, in relazione al regime dell'applicazione della pena su richiesta, una misura di sicurezza, operazione inibita a questa Corte, spettando interventi additivi di tal genere al solo legislatore, che, nella sfera della sua discrezionalita', puo' operare scelte anche derogatorie rispetto a quelle previste in via generale in relazione alla sentenza di "patteggiamento", come e', appunto, avvenuto attraverso la "novellazione" dell'art. 301 del testo unico della legge doganale, peraltro, erroneamente richiamato dal giudice a quo, quale tertium comparationis; che la questione deve, dunque, essere dichiarata manifestamente inammissibile in relazione agli artt. 3, 27, secondo comma, e 41, secondo comma, della Costituzione. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.