ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge 15 luglio
 1994, n. 444, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 16
 maggio  1994,  n.  293  (Disciplina  della   proroga   degli   organi
 amministrativi),   promosso   con  ricorso  della  Regione  Calabria,
 notificato  il  2  agosto  1994, depositato in cancelleria l'8 agosto
 1994 ed iscritto al n. 54 del registro ricorsi 1994;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  novembre  1994  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Udito l'avv. Federico Sorrentino per la Regione Calabria e  l'avv.
 dello  Stato  Franco  Favara  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - La regione Calabria ha impugnato la legge 15 luglio  1994  n.
 444, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 16 maggio
 1994,  n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi),
 invocando la violazione degli artt. 117, 118, 121, 122  e  123  della
 Costituzione.  Le  censure  investono  in particolare gli artt. 3; 4,
 comma 2; 6; e 9, comma 1, del decreto legge convertito nonche' l'art.
 1, comma 2, della legge di conversione.
    La ricorrente, dopo aver ricordato che il decreto legge n. 293  e'
 l'undicesimo  di  una serie di provvedimenti normativi urgenti che il
 Governo ha di volta  in  volta  reiterato  a  seguito  della  mancata
 conversione in legge dei precedenti (per la quasi totalita' impugnati
 dalla medesima regione), rileva che con legge regionale 5 agosto 1992
 n. 13 e' stata dettata la disciplina delle nomine di competenza della
 regione  negli  enti  regionali  o subregionali diretta ad evitare il
 fenomeno della prorogatio degli organi, in  particolare  disponendosi
 che  "tutte  le  nomine e le designazioni di competenza della regione
 cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si e'
 proceduto alla nomina o alla designazione" (art. 8, comma 1)  e  che,
 trascorsi  90 giorni dall'insediamento del nuovo consiglio regionale,
 le persone nominate o designate cessano dall'esercizio delle funzioni
 e,  se  il  consiglio  regionale  non  effettui  le  nuove  nomine  o
 designazioni,  a cio' provveda la giunta regionale in via d'urgenza e
 con  obbligo  di  ratifica  entro  30  giorni  da  parte  dell'organo
 consiliare (art. 8, comma 2).
    Detta   legge  regionale,  ad  avviso  della  ricorrente,  sarebbe
 rispettosa dell'art. 97 della Costituzione  per  i  profili  indicati
 nella  sentenza  di  questa Corte n. 208 del 1992, perche' esclude la
 proroga di fatto  a  tempo  indeterminato  e  provvede  a  interventi
 sostitutivi  e  di  urgenza  in  caso  di  inadempimento  dell'organo
 consiliare competente, in  cio'  anticipando  le  disposizioni  della
 legge  statale,  ora  impugnata,  che a sua volta si e' adeguata agli
 insegnamenti impartiti dalla Corte nella sentenza n. 208 cit..
    La regione osserva  che  l'art.  9,  comma  1,  del  decreto-legge
 impugnato  -  secondo  cui  "le  disposizioni ..(del decreto) operano
 direttamente nei riguardi delle regioni a statuto  ordinario  fino  a
 quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi
 generali  ivi  contenuti"  - se pure con una formulazione che attenua
 l'impatto sull'autonomia regionale rispetto alle precedenti versioni,
 ancor piu' lesive, dei provvedimenti d'urgenza reiterati dal  Governo
 nella  specifica  materia,  conferma  tuttavia  la  violazione  delle
 competenze regionali ove si interpreti la norma come abrogativa della
 legge regionale anticipatrice di quei principi e tale da  rendere  la
 nuova disciplina statale direttamente applicabile nella regione.
    Sarebbe  cosi'  illegittimo  l'art.  4, comma 2, del decreto legge
 che, attribuendo la competenza sulle designazioni  o  nomine  per  la
 ricostituzione  degli organi scaduti, in caso di inerzia degli organi
 collegiali,  ai  presidenti  di  detti  organi,  violerebbe  sia   le
 attribuzioni regionali in materia di ordinamento degli uffici ed enti
 dipendenti  dalle  regioni  (art.  117  della  Costituzione)  sia  la
 competenza  statutaria  (art.  123  della  Costituzione),  in  quanto
 inciderebbe  sulle  norme  che  regolano le attribuzioni degli organi
 collegiali,  creando  ex  novo  una  competenza  dei   presidenti   e
 sottraendo  ai  collegi  i  correlativi  poteri;  detta disposizione,
 inoltre, contrasterebbe con gli articoli 121 e 122 della Costituzione
 per le nomine  di  competenza  del  consiglio  regionale,  attesa  la
 configurazione  del  presidente  di detto organo, che non e' autonomo
 rispetto al consiglio stesso da cui e' eletto per dirigerne i  lavori
 (art. 122, terzo comma, della Costituzione), ne' ha rilevanza esterna
 propria, a differenza del consiglio, della giunta e del presidente di
 questa (art. 121, primo comma, della Costituzione).
    Sarebbe  altresi'  lesivo  delle competenze regionali l'art. 3 del
 decreto legge, che, sul regime di proroga degli organi amministrativi
 scaduti e degli atti da questi emanati, limita  la  competenza  degli
 organi prorogati e sanziona come nulli gli atti posti in essere fuori
 dei   limiti   ivi   previsti,  in  violazione  dell'art.  117  della
 Costituzione; la censura sarebbe da estendere al  successivo  art.  6
 che  prevede  la nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi
 decaduti.
    Analogamente,  sempre  ad   avviso   della   ricorrente,   sarebbe
 illegittimo  l'art.  1,  comma  2,  della  legge  di conversione, che
 convalida gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli  effetti
 prodottisi  e  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base  di tutti i
 decreti-legge decaduti, perche' verrebbero retroattivamente  regolati
 rapporti  che per quasi due anni sono stati oggetto di disciplina dei
 decreti-legge, in violazione delle competenze regionali in materia di
 organizzazione di uffici ed enti regionali, impedendosi altresi' agli
 organi collegiali destinatari della disciplina di revocare  gli  atti
 illegittimi  dei  loro  presidenti  e  di  provvedere diversamente in
 ordine agli organi scaduti.
    2. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  costituitosi  in
 giudizio  per  il  tramite  dell'Avvocatura  generale dello Stato, ha
 contestato il presupposto interpretativo a  fondamento  del  ricorso,
 secondo  cui  l'art.  9,  comma  1,  del decreto-legge determinerebbe
 l'immediata  abrogazione  della  preesistente  normativa   regionale,
 poiche'  alcuni  dei principi posti dalla legge n. 444 del 1994 e dal
 relativo  decreto-legge  risultano  gia'  recepiti   nell'ordinamento
 regionale,  e  specificamente quello della scadenza "a termine fisso"
 degli organi amministrativi (art. 2  del  decreto-legge  ed  art.  8,
 comma   1,   della   legge   regionale)  e  quello  della  necessaria
 individuazione del  soggetto  investito  del  potere  sostitutivo  di
 nomina,   per  il  caso  dell'inerzia  dell'organo  in  via  primaria
 competente (art. 4, comma 2, del decreto-legge e  art.  8,  comma  2,
 della  legge  regionale);  ond'e'  che, per tal parte, ogni motivo di
 doglianza sarebbe addirittura inammissibile.
    Per il resto,  e  cioe'  per  la  parte  in  cui  la  legislazione
 regionale  non  e' conforme ai nuovi principi fissati dal legislatore
 nazionale, la difesa dello Stato osserva che  la  ricorrente  non  ha
 ragione  di opporsi a che medio tempore, fino alla completa recezione
 di  quei  principi, le disposizioni della legge statale si applichino
 in funzione integratrice della autonomia regionale,  esercitata  solo
 in parte.
    3. - In prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato
 ha  presentato  una  memoria,  nella  quale  svolge  ulteriormente le
 proprie difese.
                        Considerato in diritto
    1. - Con ricorso in via principale la regione Calabria impugna  la
 legge  15  luglio  1994, n. 444, che ha convertito, con modifiche, il
 decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga  degli
 organi amministrativi), per asserita violazione degli artt. 117, 118,
 121, 122 e 123 della Costituzione.
    La  regione ricorrente, nell'impugnare in particolare gli artt. 3;
 4, comma 2; 6; 9, comma  1,  del  decreto-legge  convertito,  nonche'
 l'art.  1, comma 2, della legge di conversione, muove dal presupposto
 che  detta  normativa  vincoli  nel  dettaglio  anche  aspetti   gia'
 disciplinati  dalla  regione  stessa con la legge regionale n. 13 del
 1992,  dal  momento  che,  ai  sensi  dell'art.  9,  comma  1,  sopra
 richiamato,  le  disposizioni  del  decreto "operano direttamente nei
 riguardi delle regioni a statuto ordinario fino  a  quando  esse  non
 avranno  adeguato  i  rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi
 contenuti'; onde il contrasto con gli invocati parametri, per lesione
 delle competenze regionali.
    Si sostiene altresi', sempre sul presupposto  di  cui  sopra,  che
 l'art.  4, comma 2, del decreto-legge convertito - che trasferisce ai
 presidenti degli organi collegiali la competenza alla  ricostituzione
 degli  organi,  in  caso  di inerzia dei collegi protratta sino a tre
 giorni prima della scadenza della proroga - sia in contrasto con  gli
 artt.  117  e  123 della Costituzione, per lesione delle attribuzioni
 legislative e statutarie circa le funzioni degli  organi  collegiali,
 in  quanto creerebbe una nuova competenza dei presidenti in danno dei
 collegi; nonche' con gli articoli 121 e 122 della Costituzione, per i
 quali il presidente  del  consiglio  regionale  e'  organo  privo  di
 rilevanza esterna.
    Si  deduce,  altresi', la violazione della competenza regionale da
 parte dell'art. 3 del decreto-legge convertito, che regola il  regime
 di  proroga  degli  organi scaduti sancendo la nullita' degli atti da
 questi emanati al di fuori dei limiti indicati nelle  norme  statali,
 nonche'  dell'art.  6  del  decreto-legge che sancisce la nullita' di
 diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
    Si sostiene, infine, il contrasto con gli artt.  117,  118  e  123
 della Costituzione, per lesione delle competenze statutarie, legisla-
 tive  ed  amministrative  della  regione, dell'art. 1, comma 2, della
 legge di conversione, che convalida gli  atti  di  ricostituzione  di
 organi  scaduti  adottati in via sostitutiva dai presidenti di organi
 collegiali sulla base dei precedenti  decreti-legge  non  convertiti,
 sanando cosi' retroattivamente la disciplina provvisoria di quasi due
 anni.
    2.  -  La  questione  non  e'  fondata  in  riferimento  a tutti i
 parametri invocati e sotto tutti i profili dedotti.
    Va preliminarmente ricordato che il decreto-legge n. 293 del 1994,
 convertito con la legge n. 444 del 1994, e' l'undicesimo di una serie
 di decreti che hanno regolato, a seguito  della  sentenza  di  questa
 Corte  n.  208  del  1992,  il  regime  della  proroga  degli  organi
 amministrativi venuti a scadenza.
    Nel  respingere  la  questione  di  costituzionalita' di una legge
 regionale - sollevata sotto il profilo di un  suo  preteso  contrasto
 con  il  principio  di carattere generale della prorogatio vincolante
 per il legislatore regionale - la quale aveva previsto che i comitati
 di controllo decadano qualora non  siano  rinnovati  entro  un  certo
 periodo  dalla  scadenza,  la  ricordata  sentenza di questa Corte ha
 escluso che la prorogatio di fatto  degli  organi  amministrativi,  a
 tempo  indeterminato,  costituisca un principio di carattere generale
 dell'ordinamento cui  la  regione  sia  tenuta  ad  attenersi.  Detta
 sentenza   precisava  che,  in  armonia  con  i  principi  desumibili
 dall'art. 97 della Costituzione, ogni proroga dei poteri  di  organi,
 dopo la loro scadenza, puo' aversi soltanto se prevista espressamente
 dalla legge e nei limiti da questa indicati.
    Il  decreto-legge  n. 293 del 1994 - convertito nella legge n. 444
 del 1994 (ultimo di quelli che  sono  seguiti  dopo  la  sentenza  di
 questa  Corte)  -  impugnato  dalla regione Calabria, pone appunto la
 disciplina relativa, tenendo conto  dell'esigenza  della  continuita'
 della  funzione amministrativa che, in precedenza, la giurisprudenza,
 specie  amministrativa,  riteneva  soddisfatta  facendo  ricorso   al
 principio  della  prorogatio  di fatto degli organi scaduti fino alla
 loro rinnovazione.
    L'art. 9 del decreto-legge  impugnato  contiene  una  clausola  di
 chiusura  che  dichiara  operanti  le disposizioni del decreto stesso
 direttamente nelle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non
 avranno adeguato i rispettivi ordinamenti "ai principi generali"  ivi
 contenuti;  una  autoqualificazione, questa che, come si ripetera' in
 prosieguo, non muta la sostanza ai fini dei limiti posti  alle  leggi
 regionali dall' art. 117, primo comma, della Costituzione.
    Orbene,  tra  questi  principi,  quelli che vengono in evidenza in
 relazione al thema decidendum oggetto dell'impugnativa proposta dalla
 regione Calabria sono: a) la cessazione delle funzioni  degli  organi
 alla  scadenza  del  loro  termine  di durata; b) l'indicazione di un
 ragionevole periodo di  proroga,  per  consentirne  la  rinnovazione,
 durante  il  quale  l'organo  scaduto  puo'  compiere  solo  atti  di
 ordinaria amministrazione, e la previsione di un regime sanzionatorio
 invalidante gli atti esorbitanti da tale limite; c)  l'obbligo  della
 ricostituzione dell'organo entro una data anteriore alla scadenza del
 periodo  di  proroga e, qualora a tale incombente debba provvedere un
 organo  collegiale  che  rimanga  inadempiente,  l'attribuzione   del
 relativo  potere  sostitutivo  ad  un  organo  monocratico  che  deve
 comunque effettuare la ricostituzione prima  della  cessazione  della
 proroga;  d) la definitiva decadenza degli organi scaduti dal momento
 di questa cessazione e l'assoggettamento ad un  regime  sanzionatorio
 di tutti gli atti emanati successivamente.
    3.  -  Alla  luce  di  quanto precede non ha fondamento il rilievo
 della regione  ricorrente  che,  sia  pur  in  modo  incerto,  sembra
 sostenere  l'invasione  delle proprie competenze perche' l'art. 9 del
 decreto-legge  convertito,  contenente  la   clausola   di   chiusura
 illustrata nel punto precedente, avrebbe illegittimamente abrogato la
 disciplina  regionale  gia'  emanata  in tema di proroga degli organi
 scaduti: una disciplina, che di per se' si  sarebbe  gia'  uniformata
 all'art.  97  della  Costituzione,  secondo  le indicazioni contenute
 nella sentenza n. 208 del 1992 cit.
    Al  riguardo  devesi  ricordare  l'effetto  abrogativo, desumibile
 dall'art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, ad opera delle leggi
 dello Stato contenenti i principi fondamentali in ordine  a  determi-
 nate  materie,  delle  leggi  regionali che non risultino conformi ai
 suddetti principi (sent. n. 498 del 1993).  E'  percio'  ininfluente,
 nella  specie, che la regione Calabria abbia gia' emanato una propria
 "disciplina delle nomine di competenza della regione", ben  potendosi
 dalla  legge  dello Stato, che ha in via generale disciplinato il re-
 gime della proroga  degli  organi  amministrativi  scaduti,  desumere
 principi  fondamentali  con  effetti abrogativi di quelle norme della
 legge regionale che risultino in contrasto con essi.
    Ne' la regione ricorrente  puo'  dolersi  che  l'attribuzione  del
 potere  sostitutivo  al  presidente  degli  organi  collegiali  - che
 avrebbero dovuto provvedere alla rinnovazione di organi scaduti e che
 non vi abbiano  adempiuto  -  produrrebbe  effetti  sconvolgenti  nel
 proprio  ordinamento  quando  l'organo  collegiale  sia  il consiglio
 regionale, perche', come si sostiene, si verrebbe in questo  modo  ad
 attribuire  al  suo presidente "una posizione per cosi' dire autonoma
 dal  consiglio  stesso",  mentre  quella  figura,  a  differenza  del
 consiglio,  della  giunta  e  del  suo  presidente  non "possiede una
 propria ed autonoma rilevanza esterna".
    In proposito va ricordato quanto gia'  rilevato  e  cioe'  sia  il
 carattere  sussidiario  -  espressamente dichiarato nella clausola di
 chiusura contenuta nell'art. 9 del decreto-legge -  della  disciplina
 puntuale  contenuta  nella  normativa impugnata, sia l'obbligo per le
 regioni di uniformarsi, secondo quanto previsto dall'art. 117,  primo
 comma,  della  Costituzione,  ai  "principi  fondamentali" desumibili
 dalla legge dello Stato. Ne' puo' dirsi  influente,  diversamente  da
 quanto  osservato  dalla  ricorrente,  che l'art. 9 del decreto-legge
 impugnato si esprima al riguardo in termini di  "principi  generali",
 dato  che  in  ogni  caso  cio' che rileva non sono le qualificazioni
 formali del legislatore, ma l'obbiettivo valore - ai fini  di  quanto
 previsto dall'art. 117, primo comma della Costituzione - di "principi
 fondamentali", di quelli desumibili dalla legge dello Stato.
    Orbene,  da  quanto  si  e' avuto modo di illustrare in precedenza
 (punto  2),  dalla  disposizione  che,  in   caso   di   inadempienza
 dell'organo  collegiale  che  debba  in  via primaria provvedere alle
 nomine  di  titolari  degli  organi  scaduti,  attribuisce   al   suo
 presidente   il   potere   sostitutivo,   si   ricava  il  "principio
 fondamentale"  dello  spostamento  della  competenza  da  un   organo
 collegiale  ad uno monocratico. Cio' nella considerazione, ricavabile
 dalla comune esperienza, che,  mentre  quello  collegiale  possa  non
 riuscire  a  riunirsi  o  non pervenire ad un accordo sulla nomina da
 effettuare, senza che per questo possano neppure individuarsi precise
 responsabilita' derivanti dall'omissione, queste evenienze  non  sono
 ravvisabili  nell'organo  monocratico,  che, una volta investito, non
 potrebbe sottrarsi se non andando incontro a precise responsabilita',
 ictu  oculi  rilevabili.  Un  principio,  quello  della  sostituzione
 dell'organo monocratico all'organo collegiale inadempiente, che aveva
 un significativo precedente nell'art. 36, comma quinto, della legge 8
 giugno 1990, n. 142, con riferimento al sindaco e al presidente della
 provincia  nei riguardi dei rispettivi organi consiliari, prima della
 modifica  introdotta  dalla  legge  25  marzo  1993  n.  81,  che  ha
 attribuito  le  nomine e le designazioni direttamente al sindaco e al
 presidente della provincia "sulla base degli indirizzi stabiliti  dal
 (rispettivo) consiglio".
    La  legge  della  regione  Calabria n. 13 del 1992, invocata dalla
 regione stessa per lamentare l'invasivita' operata da quella statale,
 non appare rispettosa di quel principio fondamentale, perche'  l'art.
 8,  comma  2,  di  essa  stabilisce che, qualora la competenza per la
 rinnovazione  dei  titolari  di  altri  organi  spetti  al  consiglio
 regionale  e  questo  rimanga inadempiente per un certo periodo, alla
 nomina debba provvedere in via sostitutiva la giunta  regionale,  con
 l'obbligo  -  in  virtu'  del  richiamo  contenuto nella stessa norma
 all'art. 28 dello Statuto - di sottoporre  la  propria  deliberazione
 alla  ratifica  del  consiglio  regionale,  pena  la  sua  decadenza.
 Trattasi percio' sempre di organi collegiali, per i quali  potrebbero
 incontrarsi  le  stesse  difficolta'  non  ovviabili,  per le ragioni
 anzidette, se non facendo ricorso ad un organo monocratico.
    L'abrogazione di detta norma  regionale  in  virtu'  dell'art.  10
 della  legge n. 62 del 1953 e la provvisoria applicazione della norma
 statale,  per  effetto  della  quale   il   potere   sostitutivo   si
 trasferisce,  anche nel caso di inadempienza del consiglio regionale,
 al  suo  presidente,  non  puo'  percio'  ritenersi  invasiva   delle
 attribuzioni   regionali,  dato  che  la  regione  potra'  nuovamente
 intervenire con  una  propria  legge  disciplinante  diversamente  il
 potere  sostitutivo, attribuendolo all'organo cui, in base al proprio
 Statuto, ritenga di assegnarlo, purche' venga rispettato il principio
 fondamentale del suo carattere monocratico.
   4. - La questione non e' fondata anche per  i  profili  concernenti
 gli   artt.  3  e  6  del  decreto-legge  convertito  che  comminano,
 rispettivamente, la nullita' degli  atti  esorbitanti  dall'ordinaria
 amministrazione,  emanati  dagli organi collegiali scaduti durante il
 periodo di proroga ex lege, e la  nullita'  di  tutti  gli  atti,  di
 qualunque natura, emanati dopo la cessazione del periodo di proroga.
    Come  si  e'  avuto  modo  di  illustrare  (punto  2), costituisce
 certamente un principio fondamentale  della  legge  impugnata  quello
 dell'assoggettamento,  ad  un regime sanzionatorio invalidante, degli
 atti emanati dagli organi scaduti, sia pure in  forma  piu'  limitata
 per  quelli  emanati  durante  il  periodo  di  proroga  previsto per
 procedersi alla rinnovazione degli organi  stessi.  L'assoggettamento
 degli  atti a detto regime sanzionatorio serve a rendere effettiva la
 rigorosa disciplina  della  proroga  in  parola  e  ad  evitare  ogni
 elusione,  possibile  ove  si lasciassero indenni da ogni conseguenza
 sul piano giuridico gli atti emanati da organi ormai privi ex lege di
 ogni competenza. Una evenienza, questa, in contrasto  con  l'art.  97
 della  Costituzione,  come  conseguenza  di  quanto  affermato  nella
 ricordata sentenza n. 208 del 1992, secondo cui: "se e' previsto  per
 legge  che  gli  organi amministrativi abbiano una certa durata e che
 quindi la  loro  competenza  sia  temporaneamente  circoscritta,  una
 eventuale  prorogatio  sine die .. violerebbe il principio di riserva
 di legge in materia di organi amministrativi". Se rimanessero  validi
 o  sanabili gli atti emanati dagli organi scaduti, detta affermazione
 sarebbe  vanificata  perche'  cio'  varrebbe  ad  attribuire  in  via
 indiretta  ad  organi,  che la legge non riconosce piu' come titolari
 della funzione  amministrativa,  una  legittimazione  priva  di  ogni
 fondamento legislativo.
    E'  percio'  da  escludersi la lamentata invasivita' di competenze
 regionali da parte degli artt. 3 e 6  del  decreto  legge  impugnato,
 nella parte in cui sanciscono le enunciate nullita', da valere per il
 legislatore regionale come principio fondamentale.
    5. - Non fondata e' infine la questione riferita all'art. 1, comma
 2,   della   legge  di  conversione,  che  convalida  gli  atti  e  i
 provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti
 giuridici sorti sulla base di tutti i decreti-legge succedutisi nella
 disciplina e decaduti per mancata conversione.
    La tesi della incostituzionalita' della convalida,  in  tal  senso
 operata  da  parte  della  legge  di  conversione  del  decreto-legge
 impugnato,  sostenuta  nel  rilievo  che  in  tal  modo   vengono   a
 disciplinarsi    retroattivamente    rapporti   assoggettabili   alla
 legislazione regionale,  sembra  non  tener  conto  del  terzo  comma
 dell'art.  77  della  Costituzione che, prevede appunto che le Camere
 possano regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base  dei
 decreti  non  convertiti. Una previsione questa, che, diversamente da
 quanto  sostiene  la  ricorrente,  per  sua   essenza   riguarda   la
 possibilita'   di   regolare  retroattivamente,  come  nella  specie,
 rapporti  sorti  in  virtu'  di  decreti-legge  decaduti;  non  senza
 comunque  considerare  che,  anche  se  non volesse farsi riferimento
 all'espressa previsione costituzionale anzidetta, la regolamentazione
 retroattiva  di  rapporti  giuridici  incontrerebbe,   per   costante
 giurisprudenza  di  questa  Corte, (sentt. n. 389 e 205 del 1991, 155
 del 1990, 190 del 1988) un limite solo in materia penale. E' peraltro
 evidente  che,  avendo  le  leggi  dello  Stato,  nelle  materie   di
 competenza   delle   regioni,   carattere   cedevole   rispetto  alla
 legislazione regionale,  anche  preesistente,  regolante  gli  stessi
 rapporti  -  purche'  rispettosa  di principi fondamentali desumibili
 dalle prime - nella specie la salvezza  degli  effetti  prodotti  dai
 decreti-legge decaduti non riguarderebbe i rapporti che, nel rispetto
 di quei principi, risultassero gia' regolati dalla legge regionale.