ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 245 e 250 del
 decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di  attuazione,  di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso
 con  ordinanza emessa il 26 gennaio 1994 dal Tribunale di Venezia nel
 procedimento penale a carico di Zuccaro Alessandro,  iscritta  al  n.
 363 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica, n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 23 novembre  1994  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
    Ritenuto  che con ordinanza pronunciata nel corso del procedimento
 per il riesame del mandato di cattura emesso dal  giudice  istruttore
 nei  confronti  di  Zuccaro  Alessandro,  il  Tribunale di Venezia ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 245  e
 250  del  decreto  legislativo  28  luglio  1989,  n.  271  (Norme di
 attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice  di  procedura
 penale),  nella parte in cui non prevedono l'applicabilita' dell'art.
 309  codice  procedura  penale,  il  quale,  nei   procedimenti   che
 proseguono con il rito disciplinato dal codice abrogato, consente (ai
 sensi  dell'art.  127  codice  procedura penale) di dare al difensore
 dell'imputato avviso sia della fissazione dell'udienza in  camera  di
 consiglio, sia del deposito degli atti in cancelleria;
      che  il procedimento in questione prosegue, invece, con le norme
 del codice abrogato, ai sensi dell'art. 242, comma 1, lett. c), delle
 disposizioni  transitorie  (norme   che   si   applicano   anche   ai
 procedimenti  incidentali  relativi  ai  provvedimenti sulla liberta'
 personale adottati in epoca  successiva  all'entrata  in  vigore  del
 nuovo codice);
      che  gli  artt. 245 e 250 delle disposizioni transitorie, di cui
 al decreto legislativo n. 271  del  1989,  non  comprendono  il  gia'
 citato  art. 309 tra le norme di immediata vigenza per i procedimenti
 che proseguono con il vecchio rito;
      che, secondo il giudice a quo, la disciplina applicabile al caso
 di specie,  costituita  dagli  artt.  263-  bis  e  263-  ter  codice
 procedura  penale  abrogato,  violerebbe  il  diritto alla difesa, in
 quanto prevede la partecipazione del difensore all'udienza e  non  il
 suo  accesso  agli atti processuali, la cui conoscibilita' e' vietata
 (onde la menomazione del diritto  di  difendersi  sia  attraverso  la
 confutazione  di cio' che da essi risulta, sia attraverso la prova di
 cio' che non vi risulta);
      che, inoltre, essa farebbe si' che due fatti identici,  commessi
 nello  stesso  periodo,  a seconda che siano regolati dalla vecchia o
 dalla  nuova  disciplina  dei  procedimenti  di  riesame,   sarebbero
 irragionevolmente   trattati   in   modo  difforme,  tanto  piu'  che
 l'inserimento di una misura cautelare  in  un  procedimento  regolato
 dalle  norme del vecchio rito potrebbe dipendere da dati occasionali,
 quali le ragioni di connessione e le proroghe  legislative,  l'ultima
 delle quali in scadenza il 31 dicembre 1994;
      che  altra ipotesi di illegittimita' costituzionale e' possibile
 cogliere anche con riferimento all'art. 76 della Costituzione;
      che nell'emanare  le  disposizioni  transitorie  il  legislatore
 delegato  ha  previsto  la  sopravvivenza  degli  articoli 263- bis e
 263-ter, i quali sarebbero incompatibili con i canoni regolatori  del
 nuovo  codice  contenuti,  nella materia de qua, nell'art. 309 codice
 procedura penale e riassumibili nel principio del contraddittorio, da
 farsi ugualmente valere nel procedimento di riesame;
      che, infine, il giudice a quo ha eccepito  l'incostituzionalita'
 delle norme impugnate con riferimento all'art. 13 della Costituzione,
 in  quanto  la  mancata  previsione,  in esse, della nuova disciplina
 processuale riguardante il regime delle impugnazioni aventi a oggetto
 i provvedimenti cautelari inciderebbe "sull'inalienabile diritto alla
 liberta' personale";
      che la questione  sarebbe  rilevante,  in  quanto  il  Tribunale
 dovrebbe,  allo  stato,  decidere  in camera di consiglio, senza dare
 avviso al difensore d'ufficio (nei  casi  in  cui  manchi  quello  di
 fiducia)  e senza che siano stati depositati gli atti in cancelleria,
 a disposizione della difesa, mentre l'accoglimento  permetterebbe  di
 fissare  la  nuova  udienza  camerale  per  l'esame  dei ricorsi, nel
 merito, con le forme dell'art. 309;
      che e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo per  l'inammissibilita'  e,  in  linea  subordinata,  per
 l'infondatezza della questione;
    Considerato  che  la  questione  sottoposta all'esame della Corte,
 essendo identica a quelle gia' decise con la sentenza n. 373 del 1994
 e con l'ordinanza n. 418 del  1994  e  priva  di  nuove  e  ulteriori
 argomentazioni   a  sostegno  del  suo  accoglimento,  va  dichiarata
 manifestamente inammissibile;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;