ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 30 e 31 della
 legge  11  febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna
 selvatica omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il 5 novembre 1993 dalla Corte d'Appello di Milano
 nel procedimento penale a carico di Dolci Michele ed altro,  iscritta
 al  n.  401  del  registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 28 prima serie speciale dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri e della Federazione Italiana della Caccia;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 14 dicembre 1994 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto che con ordinanza del 5 novembre 1993 la Corte di Appello
 di  Milano,  nel  corso  del  giudizio  instaurato  con  ricorso  del
 Procuratore  della  Repubblica  di  Milano  avverso  la  sentenza  di
 assoluzione degli imputati Dolci Michele e altro emessa  dal  Pretore
 di  Sondrio  -  sezione  distaccata  di  Morbegno,  ha  sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 9 e 42 Cost., la questione di  legittimita'
 costituzionalite degli artt. 30 e 31 della legge 11 febbraio 1992, n.
 157,  nella  parte in cui hanno escluso la configurabilita' del reato
 di furto nell'ipotesi di violazione del divieto di caccia su  terreno
 innevato (R.O. n. 401 del 1994);
      che  il  giudice a quo ha premesso che i due imputati sono stati
 assolti nel giudizio di primo grado  dal  reato  di  cui  agli  artt.
 624-625  n.  7,  cod. pen. e che dopo la proposizione dell'appello e'
 intervenuta una nuova disciplina  in  materia  di  caccia,  contenuta
 nella  legge  n.  157  del  1992,  e  pertanto devono riesaminarsi le
 argomentazioni espresse nella sentenza di  assoluzione,  dal  momento
 che  durante  la  vigenza  della  precedente  normativa sulla caccia,
 prevista dalla legge 27 dicembre 1977, n. 968, si era  affermata  una
 interpretazione  giurisprudenziale, richiamata dal pubblico ministero
 appellante,  secondo  la  quale  la  caccia  di  frodo  integrava  la
 fattispecie  del  reato di furto, mentre l'art. 31 della legge n. 157
 ha depenalizzato il delitto di furto venatorio,  prevedendo  soltanto
 sanzioni  amministrative  per  una serie di fatti tra i quali rientra
 univocamente quello contestato agli imputati nel giudizio a quo;
      che secondo il giudice remittente il nuovo regime  sanzionatorio
 pone  in essere una rilevante diminuzione della tutela dell'ambiente,
 in violazione degli artt. 9 e 42 Cost., e  causa  una  disparita'  di
 trattamento   tra   coloro   che  si  impossessano  del  bene  mobile
 indisponibile costituito dalla selvaggina, per  i  quali  viene  meno
 l'imputazione  per il reato di furto, e coloro che si impossessano di
 ogni altro bene mobile indisponibile dello Stato, per  i  quali  tale
 reato resta configurabile;
      che,  infine,  il  giudice  a  quo  sostiene  che  la  questione
 sollevata "non tende alla introduzione di una  nuova  fattispecie  di
 illecito   penale   ..   ma   richiede   soltanto   la  pronuncia  di
 illegittimita' di una riduzione o eliminazione di  tutela  penale  ..
 con  il conseguente ripristino della situazione normativa precedente,
 modificata in maniera costituzionalmente illegittima dalla  legge  n.
 157/1992";
      che nel giudizio davanti alla Corte hanno spiegato intervento il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, e la Federazione Italiana della
 Caccia, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile  e
 comunque infondata;
    Considerato    che    deve   essere   preliminarmente   dichiarata
 l'inammissibilita'  dell'intervento  in  giudizio  della  Federazione
 Italiana  della  Caccia, dal momento che tale ente associativo non ha
 assunto la qualita' di parte nel giudizio a quo;
      che  il  giudice  remittente,  pur  sollecitando  una  pronuncia
 formalmente  demolitiva,  mira  comunque ad ottenere una decisione di
 illegittimita' costituzionale  delle  norme  impugnate  in  grado  di
 determinare  il  "ripristino"  della situazione normativa precedente,
 che consentiva, in fattispecie quali quelle contestate agli  imputati
 nel  giudizio  a  quo, l'applicabilita' delle sanzioni previste dagli
 artt.  624,  625  e  626  cod.  pen.,  in  fattispecie  quali  quelle
 contestate agli imputati nel giudizio a quo;
      che  la  Corte  nell'ordinanza n. 146 del 1993 - con la quale e'
 stata decisa analoga questione concernente le  medesime  disposizioni
 impugnate  nel  presente giudizio - ha gia' affermato che, secondo la
 propria costante giurisprudenza, "al giudice  costituzionale  non  e'
 dato  di  pronunciare  una  decisione  dalla  quale possa derivare la
 creazione - esclusivamente riservata al legislatore -  di  una  nuova
 fattispecie  penale:  e  cio'  in  forza  del  principio di legalita'
 sancito dall'art. 25, comma 2, Cost.";
      che, inoltre, come ribadito anche nell'ordinanza n. 215 del 1994
 - con la quale e' stata dichiarata manifestamente  inammissibile  una
 analoga  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 30 della
 legge  n.  157  del  1992  -  "la  caccia  rappresenta   un   settore
 dell'ordinamento  regolato  organicamente da una disciplina speciale,
 nel cui ambito l'identificazione delle fattispecie da sanzionare, del
 tipo di sanzioni da applicare  e  della  graduazione  delle  sanzioni
 stesse spetta alla discrezionalita' del legislatore";
      che,   pertanto,   la  questione  va  dichiarata  manifestamente
 inammissibile;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;