ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7-  bis  del
 decreto-legge  30  dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di
 asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari
 e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed  apolidi  gia'
 presenti  nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni,
 dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, promosso con ordinanza emessa il
 22 marzo 1994 dal Pretore di Trento nel procedimento penale a  carico
 di  Nevssi  Chokri  Ben  Mohammed,  iscritta  al  n. 340 del registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1994.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 25  gennaio  1995  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento penale a carico di un cittadino
 extracomunitario il pretore di Trento ha sollevato, con ordinanza del
 22 marzo 1994, questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 7-bis,   comma  1,  del  decreto-legge  30  dicembre  1989,  n.  416,
 convertito in legge 28 febbraio 1990,  n.  39,  in  riferimento  agli
 articoli 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione.
    2. - La norma - introdotta dall'art. 8 del decreto-legge 14 giugno
 1993,  n.  187,  convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto
 1993, n. 296 - e' impugnata nella parte in cui prevede quale condotta
 penalmente  sanzionabile   quella   dello   straniero,   colpito   da
 provvedimento di espulsione e privo di documento di viaggio, che " ..
 non  si adopera per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o
 consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente".
    3. - Osserva il rimettente che la  rilevanza  della  questione  e'
 data   dal   fatto  che  nel  processo  a  quo  e'  stato  contestato
 all'imputato, tra l'altro, proprio il fatto di non essersi  adoperato
 ai sensi e per i fini anzidetti.
    4.  -  Il  dubbio  di conformita' a Costituzione e' incentrato dal
 giudice a quo  sul  principio  di  determinatezza  della  fattispecie
 penale, sotteso all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    La  fattispecie, introdotta dal legislatore nel 1993 (unitamente a
 quella di distruzione del passaporto, estranea  alla  questione),  e'
 configurata   quale  reato  omissivo  proprio:  e'  identificata  una
 determinata situazione tipica  -  che  nella  specie  consiste  nella
 condizione  di straniero, colpito da un provvedimento di espulsione e
 privo di documento di viaggio necessario  per  l'espatrio  -  la  cui
 verificazione  fa  sorgere  il  dovere del destinatario di tenere una
 determinata condotta attiva, la  cui  omissione  integra  percio'  il
 reato.
    Ma  se  la  situazione  tipica accennata e' agevolmente ricavabile
 nella norma impugnata, e se altrettanto puo' dirsi per  il  fine  cui
 dovrebbe  mirare  la  condotta dell'agente (ottenere dalla competente
 autorita' il documento di  viaggio),  cio'  che  non  e'  agevolmente
 desumibile  dalla  norma e' il contenuto precettivo del dovere la cui
 inosservanza comporta l'illecito, ovverosia la condotta, definita con
 la sintetica locuzione dell'"adoperarsi".
    E' vero - aggiunge il giudice a  quo  -  che  nei  reati  omissivi
 propri  puo'  esservi  un  diverso  grado di precisione e puntualita'
 nella definizione normativa dell'azione  doverosa,  che  puo'  essere
 specifica  (come ad esempio nell'art. 361 cod. pen.) o generica (come
 nell'art. 593, secondo comma, cod. pen.), ma non puo' comunque essere
 superata una soglia oltre la quale il dato linguistico utilizzato dal
 legislatore si rivela privo di un "referente naturalistico  concreto"
 e   determina  l'impossibilita'  per  l'interprete  di  assegnare  un
 contenuto sufficientemente univoco al testo normativo.
    Questa  soglia  sarebbe  superata  nel  caso  in argomento, in cui
 l'utilizzo del verbo "adoperarsi"  renderebbe  oscura  e  incerta  la
 condotta  che  deve  essere  posta  in essere dal soggetto al fine di
 ottenere  il  documento  di  viaggio.  Sarebbe  infatti  rimessa   al
 sostanziale arbitrio dell'interprete la valutazione della idoneita' o
 meno   del  comportamento  umano  rispetto  al  fine  accennato:  non
 sussistendo criteri selettivi e parametri oggettivi di apprezzamento,
 risulterebbe imprecisabile e vaga la  valutazione  del  quando  possa
 dirsi concretizzato l'impegno fattivo richiesto al destinatario della
 norma,  esposto  in  tal modo a mutevoli giudizi ("secondo la casuale
 disposizione mentale del giudice"). Come esempio  limite  il  giudice
 rimettente osserva che potrebbe essere ritenuta sufficiente l'inerzia
 anche di un solo minuto per integrare il mancato "adoperarsi", e cio'
 persino  dopo  una  condanna riportata per il delitto in discorso, il
 quale  assumerebbe,  cosi'  inteso,  una  sorta   di   carattere   di
 "superpermanenza"  e  cioe' si tradurrebbe in una perpetua condizione
 di reita' dell'interessato.
    Il legislatore non ha ricollegato la condotta doverosa a specifici
 adempimenti, e in tal modo ha posto il giudice nell'impossibilita' di
 individuare  nell'espressione  utilizzata  un   nucleo   stabile   di
 sufficiente  chiarezza  e  invariabilita';  una  lacuna,  questa, cui
 d'altra parte non si potrebbe porre rimedio con  l'utilizzo  in  sede
 applicativa  di  criteri  estranei  al  dettato della norma - come la
 "diligenza", la "buona fede"  o  "l'esigibilita'"  -  essendo  questa
 un'operazione creativa preclusa dall'ordinamento in materia penale.
    Dai  rilievi esposti, pertanto, il rimettente desume la violazione
 del principio di determinatezza della fattispecie penale, incluso nel
 generale principio di legalita' ex art. 25 Cost.,  anche  secondo  le
 indicazioni offerte dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo.
    5.  -  Alla  lesione  dell'accennato  principio  costituzionale si
 accompagnerebbe, quale  corollario,  quella  del  diritto  di  difesa
 garantito dall'art. 24 della Costituzione.
    La   vaghezza   della  norma  implicherebbe,  in  definitiva,  una
 presunzione di colpevolezza dell'imputato, in virtu' del  solo  fatto
 del  mancato  possesso  del  documento  di  viaggio e del decorso del
 tempo: sara' l'imputato  a  dover  provare  di  essersi  "adoperato",
 rinunciando  in  tal  modo al diritto di difendersi col silenzio e in
 ogni caso non avendo chiaro il tema esatto dei possibili argomenti  a
 discarico,  stante la simmetrica oscurita' dei contenuti positivi del
 precetto di azione.
    6. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
    Nel ricordare che la determinatezza del precetto  penale  risponde
 alla  duplice  esigenza  di  consentire  al  soggetto destinatario di
 distinguere tra cio' che e' lecito e  cio'  che  e'  illecito,  e  di
 consentire   all'interprete   la   formulazione  di  un  giudizio  di
 corrispondenza tra la fattispecie astratta e quella concreta che  sia
 sorretto  da  un  fondamento  controllabile, l'Avvocatura ritiene che
 entrambi i requisiti siano soddisfatti  nella  norma  in  esame,  che
 determina  con  sufficiente specificita' l'illecito, richiedendo allo
 straniero espulso di attivarsi, in  qualche  modo,  per  ottenere  il
 documento di viaggio.
    Le fattispecie concretamente rapportabili alla previsione astratta
 sono molteplici, ma questo e' un tratto comune a gran parte dei reati
 omissivi propri nonche' ai reati "a forma libera", la cui conformita'
 a   Costituzione   e'  stata  ripetutamente  affermata  dalla  Corte.
 L'attivita' doverosa non e' individuata nella fattispecie, ma cio' e'
 comune a svariate ipotesi di reato; la tassativita' del precetto  non
 coincide  infatti  -  ricorda  l'Avvocatura - con la "descrittivita'"
 della fattispecie, come puntualizzato nella sentenza n. 188 del  1975
 della Corte costituzionale.
   Quanto  all'asserita  violazione  dell'art.  24 della Costituzione,
 l'interveniente ritiene errata la premessa da cui muove il giudice  a
 quo  nel dedurre questo profilo, premessa consistente in un carattere
 di onnicomprensivita' e dilatazione della fattispecie oltre i  limiti
 ad essa propri.
    L'Avvocatura  dello  Stato conclude quindi per una declaratoria di
 inammissibilita' o di infondatezza della questione.
                        Considerato in diritto
    1. - Oggetto dell'incidente di costituzionalita' e' l'art.  7-bis,
 comma 1, del decreto-legge n. 416 del 1989, convertito in legge n. 39
 del  1990  (introdotto dall'art. 8 del decreto-legge n. 187 del 1993,
 convertito in legge n. 296 del 1993),  il  quale  stabilisce  che  lo
 straniero che distrugge il passaporto o il documento equipollente per
 sottrarsi all'esecuzione del provvedimento di espulsione o che non si
 adopera   per  ottenere  dalla  competente  autorita'  diplomatica  o
 consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente  e'  punito
 con la reclusione da sei mesi a tre anni.
    Ad  avviso del giudice a quo tale disposizione, nella parte in cui
 sanziona penalmente lo straniero destinatario di un provvedimento  di
 espulsione   che  "non  si  adopera  per  ottenere  dalla  competente
 autorita' diplomatica  o  consolare  il  rilascio  del  documento  di
 viaggio  occorrente",  e'  in  contrasto  sia  con l'art. 25, secondo
 comma, della Costituzione, data l'indeterminatezza della  fattispecie
 espressa  nella  norma  incriminatrice,  sia  con  l'art. 24, secondo
 comma, della Costituzione, per lesione  del  diritto  di  difesa,  in
 quanto  "la  vaga  fattispecie  penale  in esame comporta .. una vera
 presunzione di colpevolezza dell'imputato tale da rovesciare  l'onere
 della prova".
    2. - La questione e' fondata.
    Come  osserva  il  giudice  a  quo,  l'espressione,  impiegata dal
 legislatore,  di  "non  adoperarsi  per  ottenere  il  rilascio   del
 documento  di viaggio", in mancanza di precisi parametri oggettivi di
 riferimento  diversi  da  mere  sinonimie  lessicali,  impedisce   di
 stabilire  con  precisione  quando  l'inerzia del soggetto che si sia
 intesa sanzionare raggiunga la soglia penalmente apprezzabile.
    Tale indeterminatezza da un lato pone il soggetto destinatario del
 precetto nell'impossibilita'  di  rendersi  conto  del  comportamento
 doveroso  cui  attenersi  per  evitare di soggiacere alle conseguenze
 della sua inosservanza (sent. n. 282 del 1990 e  n.  364  del  1988),
 tanto  piu' che il precetto e' rivolto esclusivamente a stranieri, e,
 d'altro canto, non consente all'interprete di esprimere  un  giudizio
 di  corrispondenza  sorretto  da  un  fondamento  controllabile nella
 operazione ermeneutica di  riconduzione  della  fattispecie  concreta
 alla previsione normativa (sent. n. 96 del 1981).
    Per  tali  ragioni  la  norma  impugnata  non  e'  rispettosa  del
 "principio di tassativita' della fattispecie contenuta nella  riserva
 assoluta  di  legge  in materia penale, consacrato nell'art. 25 della
 Costituzione"  (sent.  n.  96  del  1981  cit.),  rimanendo  la   sua
 applicazione affidata all'arbitrio dell'interprete.
    Non  risulta  difatti  in alcun modo possibile stabilire - data la
 generica   indicazione   della   fattispecie    incriminatrice    nel
 comportamento  dello  straniero  espulso  che  "non  si  adopera  per
 ottenere" - ne' il grado dell'inerzia punibile, ne' il tempo entro il
 quale la condotta doverosa ipotizzata dal  legislatore  debba  essere
 compiuta;  elementi,  questi, indispensabili per la realizzazione del
 reato  di  omissione,  che  neppure   possono   essere   desunti   da
 prescrizioni  eventualmente  (ma non obbligatoriamente) contenute nel
 provvedimento  di  espulsione,  il  quale,  nella  previsione   cosi'
 configurata,  costituisce  - come affermato anche in giurisprudenza -
 solo un presupposto esterno alla struttura del fatto tipico.
    Ne'  per  superare  l'indeterminatezza   della   previsione   puo'
 soccorrere  il riferimento all'uso del verbo "adoperarsi" fatto nella
 legislazione penale vigente, dato  che  esso,  nelle  sue  piu'  note
 esplicazioni,  non  risulta impiegato, come nella specie, in negativo
 ("non si adopera") per  individuare  fattispecie  di  reati  di  mera
 omissione.
    Il verbo "adoperarsi" e' invece impiegato in positivo per indicare
 comportamenti  commissivi  -  relativamente  ai  quali puo' risultare
 apprezzabile di per se' anche una condotta minima  -  assoggettati  a
 sanzioni  penali (art. 1, comma 4, del decreto-legge 15 gennaio 1991,
 n. 8, convertito in legge 15 marzo  1991,  n.  82)  o  amministrative
 (art. 189, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) o
 per  indicare, sempre in positivo, comportamenti considerati cause di
 diminuzione di pena (art. 62, n. 6, cod. pen.; artt. 289- bis  e  630
 cod.  pen.;  artt.  73,  comma 7, e 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre
 1990, n. 309) o, con locuzioni analoghe,  cause  di  non  punibilita'
 (art. 398, secondo comma, n. 2, cod.pen.).
   3.  -  Come questa Corte ha affermato, la verifica del rispetto del
 principio di determinatezza del precetto penale impone che ad essa si
 proceda  non  gia'   isolando   un   singolo   elemento   descrittivo
 dell'illecito,  bensi' considerando questo nel raccordo con gli altri
 dati costitutivi della  fattispecie  ed  altresi'  nell'ambito  della
 disciplina  in  cui  si  inserisce  (sent. n. 247 del 1989). Non puo'
 infatti essere imposto al legislatore  il  medesimo  coefficiente  di
 specificazione  di  ogni  singolo elemento del reato, ne' puo' essere
 certamente escluso a priori il ricorso ad espressioni  indicative  di
 comuni  esperienze o a termini presi dal linguaggio comunemente usato
 (sentt. n. 31 del 1995, n. 122 del 1993, n. 475 del 1988, n.  79  del
 1982),  se  la  descrizione  complessiva  del fatto-reato consente al
 giudice una operazione  ermeneutica  non  esorbitante  dall'ordinario
 compito interpretativo a lui affidato (ex plurimis, sentt. n. 203 del
 1991,  n.  475  del 1988 cit., n. 49 del 1980, n. 188 del 1975, n. 20
 del 1974, n. 133 del 1973); il che consente, in via di principio,  il
 ricorso  a figure di reati cosiddetti a forma libera, o l'inserimento
 di elementi  normativi  o  di  clausole  generali  nelle  fattispecie
 penali.
    Ma   nella   previsione   in   esame   neppure  la  valorizzazione
 dell'elemento  finalistico  ("  ..  per  ottenere  il  rilascio   del
 documento") risulta idonea a delimitare e specificare in qualche modo
 la  condotta dell'"adoperarsi", giacche' la natura omissiva del reato
 non  consente  di  prestabilire  una relazione causale tra condotta e
 finalita': al di fuori e  prima  dell'ottenimento  del  documento  e'
 indeterminata  e potenzialmente illimitata la serie dei comportamenti
 che possano dirsi non orientati a quel fine.
    4. - Dalla indeterminatezza della  previsione  normativa  discende
 anche  la  denunciata violazione del diritto di difesa perche', da un
 lato, trattandosi di una condotta omissiva, il  soggetto  e'  esposto
 alla  possibilita'  della  contestazione (e dell'arresto, a norma del
 comma 2 dell'articolo 7- bis impugnato) per il solo fatto  di  essere
 destinatario  di  un  provvedimento  di  espulsione e, d'altra parte,
 viene addossato al soggetto stesso l'onere di fornire nel processo la
 prova di "essersi adoperato" per ottenere il  documento  di  viaggio,
 senza   neppure   essere   in   grado,   a   causa   della  censurata
 indeterminatezza della fattispecie, di stabilire quale sia  la  prova
 sufficiente a far ritenere soddisfatto il precetto.
    5.  -  Dal  contesto in cui la norma denunciata si colloca risulta
 evidente che il precetto del  legislatore,  la  cui  inosservanza  e'
 penalmente   sanzionata,   ha   lo  scopo  di  rendere  effettivo  il
 provvedimento di espulsione, perche' dalla conoscenza della autorita'
 diplomatica o consolare cui lo straniero si sia rivolto per  ottenere
 il  documento di viaggio, l'autorita' italiana di polizia e' posta in
 grado di stabilire il paese verso il quale istradarlo.  Ma  lo  scopo
 che  il  legislatore intende perseguire non esime dalla necessita' di
 una precisa descrizione della  condotta  omissiva  punibile  per  far
 ritenere  soddisfatti  i  parametri  costituzionali suddetti, nei cui
 confronti la norma denunciata e' invece in palese contrasto.