ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 12 della
 legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di
 sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali e sulla salvaguardia dei
 diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione  della
 Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), promossi con le
 seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 7 maggio 1994 dal Pretore di Pistoia nel
 procedimento civile vertente tra la Federazione nazionale  lavoratori
 dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L. e l'Azienda Municipalizzata del Gas di
 Pistoia,  iscritta al n. 402 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  28,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1994;
      2)  ordinanza emessa il 10 giugno 1994 dal Pretore di Milano nel
 procedimento civile vertente tra la Federazione nazionale  lavoratori
 dell'energia  F.N.L.E.-C.G.I.L.  e  l'Azienda  Energetica  Municipale
 iscritta al n. 508 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  38, prima serie speciale,
 dell'anno 1994.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  della  Federazione   nazionale
 lavoratori  dell'energia  F.N.L.E.-C.G.I.L. e dell'Azienda Energetica
 Municipale,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7  febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
    Uditi gli avvocati Luciano  Ventura  e  Giorgio  Bellotti  per  la
 Federazione   nazionale  lavoratori  dell'energia  F.N.L.E.-C.G.I.L.,
 Arturo Maresca per l'Azienda Energetica  Municipale  e  gli  Avvocati
 dello  Stato Sergio Laporta e Maurizio Fiorilli per il Presidente del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso  di  un  procedimento  di  opposizione  avverso  il
 decreto  con  cui  era  stata  respinta  la  richiesta  di dichiarare
 antisindacale il comportamento dell'Azienda  Municipale  del  Gas  di
 Pistoia,  la  quale  aveva  trattenuto (e poi versato all'I.N.P.S.) i
 contributi dei lavoratori in conseguenza  di  uno  sciopero  tenutosi
 senza  l'osservanza dell'obbligo di preavviso minimo di dieci giorni,
 il Pretore di Pistoia, con ordinanza emessa  il  7  maggio  1994,  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 24 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2,  della
 legge  12  giugno  1990,  n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di
 sciopero nei servizi pubblici essenziali  e  sulla  salvaguardia  dei
 diritti  della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della
 Commissione di garanzia dell'attuazione della  legge).  La  norma  e'
 censurata  nella  parte  in  cui  non  assicura  alle  organizzazioni
 sindacali un momento procedimentale e quindi la possibilita'  di  far
 valere  le  proprie  ragioni  prima  che  venga  irrogata la sanzione
 prevista nel citato articolo.
   Il giudice a quo rileva nel merito l'ininfluenza  dell'"innocuita'"
 dello  sciopero  ai  fini  dell'osservanza dell'obbligo di preavviso,
 gia' espressa dalla contrattazione nella specie  applicabile.  Quindi
 ricorda  che  la Corte costituzionale ha sancito l'autonomia di detto
 obbligo, ravvisabile anche in caso di sciopero economico-politico: il
 preavviso infatti non sarebbe ricollegabile  a  qualsivoglia  profilo
 teleologico-funzionalistico.
    Argomenta  quindi  il  giudice  remittente  nel  senso del rigetto
 dell'opposizione, con esclusione della denunciata antisindacalita'  e
 dell'accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dall'Azienda
 Municipalizzata   per   l'accertamento   della   legittimita'   della
 trattenuta.
    Ma  in  particolare  con  riguardo  a  tale domanda, il remittente
 individua  la  rilevanza  della   proposta   questione,   che   viene
 prospettata  secondo  due  profili,  concernenti, rispettivamente, il
 diritto  di  difesa  e  il  principio  di  parita'  nella  previsione
 dell'automaticita'  della  sanzione. Da un lato infatti la necessita'
 di un momento procedurale nella irrogazione della pena sarebbe  ormai
 un  principio  conclamato  di civilta' giuridica e, d'altro canto, il
 descritto   potere   datoriale   non   potrebbe   non   trovare    un
 contemperamento, rispetto alla posizione del sindacato, nel controllo
 che  il  procedimento  permette:  tanto  piu'  che  per  le  sanzioni
 individuali ex art. 7 della legge n. 300 del 1970  sono  puntualmente
 assicurate  la  contestazione  dell'addebito  e  la  motivazione  del
 provvedimento.  In  tale  diversita'  di  disciplina  sarebbe  quindi
 ravvisabile una disparita' di trattamento.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha chiesto la
 declaratoria d'inammissibilita' ovvero d'infondatezza, sostenendo che
 sarebbero inesatti sia la qualificazione dei  poteri  del  datore  di
 lavoro sia il richiamo all'art. 24.
    3.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa Corte si e' costituita la
 Federazione nazionale lavoratori  dell'energia  F.N.L.E.-C.G.I.L.  in
 persona  del segretario territoriale, esponendo che, in conformita' a
 quanto gia' previsto nei codici di autoregolamentazione, durante  gli
 scioperi  e'  mantenuta  l'erogazione dei servizi onde mai gli utenti
 del gas hanno  risentito  delle  astensioni.  Le  organizzazioni  dei
 lavoratori   dell'energia   avevano  aderito  allo  sciopero  del  22
 settembre 1992 contro il "decreto Amato", sciopero proclamato  il  18
 settembre  1992  dalle  Confederazioni  nazionali. Si trattava di una
 agitazione a carattere nazionale, ma articolata su base regionale,  e
 nella specie i tempi non consentivano l'effettuazione di un preavviso
 che  non  aveva peraltro nessuna funzione, non risentendo alcun danno
 gli utenti per essere assicurata la totale erogazione del servizio, e
 non essendoci luogo ad un tentativo di soluzione concordata di  alcun
 conflitto.  L'Azienda Municipalizzata aveva cio' nonostante applicato
 la sanzione:  tale  "cieco  automatismo,  senza  alcuna  garanzia  di
 contraddittorio",  concreterebbe  a  parere della parte la denunciata
 illegittimita' costituzionale.
    In una ulteriore memoria depositata  nell'imminenza  dell'udienza,
 la  Federazione  ha sottolineato come, nel caso in esame, la garanzia
 degli utenti discenda dalla decisione del sindacato di  assicurare  a
 priori  tutte  le  attivita'  di  erogazione del servizio, sicche' un
 preavviso sarebbe stato in re ipsa da escludere,  non  configurandosi
 la  possibilita'  di  una  trattativa.  Ha  inoltre  rilevato  che in
 un'intesa  su  base  locale  e'  prevista  una  procedura   al   fine
 dell'irrogazione  delle sanzioni, che ne rimette la valutazione ad un
 collegio  di  7  membri,  per  cui  tutto  il  settore   sarebbe   da
 considerarsi  fuori  dal campo di applicazione della legge n. 146 del
 1990. L'ordinanza di rimessione sarebbe carente  di  motivazione  sul
 punto,  non essendosi il giudice a quo neppure chiesto se nel sistema
 possono "trovare spazio" accordi,  qual  e'  quello  richiamato,  che
 hanno  devoluto  ad  un terzo soggetto "ogni questione attinente alla
 applicazione  dell'apparato   sanzionatorio";   tale   lacuna   nella
 ricostruzione  operata  dal  Pretore  di  Pistoia,  sarebbe  tale  da
 incidere sul giudizio di rilevanza.
    Nel  contestare  poi  le eccezioni dell'Avvocatura, la Federazione
 ricorda come il vulnus nella razionalita' complessiva del sistema sia
 stato ravvisato dal remittente  attraverso  il  richiamo  all'art.  3
 della   Costituzione,  indipendentemente,  quindi,  dalla  violazione
 dell'art. 24. Sulla fondatezza  di  tale  prospettazione,  la  difesa
 insiste  richiamando  le  osservazioni  gia'  svolte  e  conclude per
 l'auspicata  declaratoria,  salvo  che   venga   disattesa   l'intera
 ricostruzione   sistematica   del  giudice  a  quo  (nella  suggerita
 prospettiva di prevalenza della fonte negoziale).
    4. - Nel corso di  analogo  giudizio  di  opposizione  avverso  un
 decreto  emesso ex art. 28 che aveva escluso l'antisindacalita' delle
 trattenute operate dall'Azienda Energetica Municipale  di  Milano  in
 occasione   del  medesimo  sciopero  (tenutosi  in  Lombardia  il  23
 settembre 1992), il Pretore di quella citta', con ordinanza emessa il
 10 giugno 1994, ha sollevato, in relazione agli  artt.  3,  24  e  39
 della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
 artt. 4 e 12 della legge n. 146 del 1990.
    Il fatto che sia il datore di  lavoro,  secondo  l'interpretazione
 corrente,   titolare  del  potere  sanzionatorio  sembra  al  Pretore
 incompatibile con l'art. 3 della Costituzione allorche'  destinataria
 di  una  sanzione sia un'organizzazione sindacale, che non dispone di
 alcuna garanzia procedimentale, diversamente da quanto assicurato  al
 singolo lavoratore dall'art. 7 della Costituzione.
    Ulteriore profilo d'incostituzionalita' sarebbe poi ravvisabile in
 riferimento  agli  artt.  24,  secondo  comma e 39 della Costituzione
 ("per  i  possibili  effetti  ..   sulla   liberta'   di   azione   e
 organizzazione sindacale"), e non solo nell'art. 4 ma anche nell'art.
 12  della  citata  legge  n.  146 del 1990 la' dove non prevede che i
 pareri e la decisione della Commissione siano presi con  la  garanzia
 del contraddittorio.
    Nel  richiamare  la  sentenza  n.  204  del 1982 di questa Corte a
 proposito della necessita' del  procedimento  allorche'  la  sanzione
 venga  irrogata  da  una  parte, il giudice a quo sottolinea come nel
 rapporto tra datore di lavoro ed organizzazione sindacale, il  primo,
 cumulando  poteri  privati  con  poteri  pubblici di salvaguardia dei
 diritti degli utenti, potrebbe anche, in  nome  di  un'"ultrarigorosa
 tutela"  di questi ultimi, essere indotto a "far pesare l'investitura
 pubblica a proprio vantaggio nel conflitto" con il sindacato.
    5. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso  dall'Avvocatura  dello  Stato,  svolgendo
 osservazioni identiche a quelle riportate sub 2 e riservandosi  anche
 in questo caso di depositare ulteriore memoria.
    6.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte si sono costituite
 entrambe le parti private.
    La Federazione nazionale dei lavoratori  dell'energia  ha  chiesto
 che,   ove   non   sia   possibile  pervenire  ad  un'interpretazione
 adeguatrice, la norma sia dichiarata illegittima, poiche' la  "regola
 del contraddittorio e' patrimonio indiscutibile della nostra civilta'
 giuridica".
    L'Azienda  Municipalizzata  ha  concluso  per  l'irrilevanza e per
 l'infondatezza  della  questione.  Sotto  il   primo   aspetto   essa
 sottolinea,  come  le  valutazioni della Commissione di garanzia, non
 siano  vincolanti  per  il  giudice  e  possano  da   questi   essere
 disapplicate. In secondo luogo osserva che i parametri costituzionali
 evocati   non   implicano   affatto   che   in   ogni   provvedimento
 amministrativo  debba  necessariamente instaurarsi un contraddittorio
 con  le  parti  interessate  all'emissione  del  provvedimento;  tale
 esigenza  deve  invece  essere  soddisfatta  in sede giurisdizionale,
 com'e' appunto avvenuto.   Nell'imminenza  dell'udienza  entrambe  le
 parti hanno depositato memorie ulteriori.
    La  Federazione,  dato  atto della maggior ampiezza tematica della
 prospettazione  del  Pretore  di  Milano,  che   investe   anche   il
 procedimento  dinanzi alla Commissione, rileva come della valutazione
 negativa effettuata da  quest'ultima  circa  il  comportamento  delle
 organizzazioni  sindacali,  le stesse siano rimaste "all'oscuro". Con
 riferimento   all'obiezione   dell'Azienda   Municipale   circa    la
 possibilita'  del giudice di disattendere comunque le decisioni della
 Commissione, la difesa osserva che in ogni caso le valutazioni  della
 Commissione  inciderebbero  "in  modo  immediato  sui diritti e sulla
 posizione del sindacato".
    L'Azienda Municipale, ribadendo che oggetto del giudizio a quo non
 e'  un   provvedimento   adottato   dalla   Commissione   bensi'   la
 qualificazione  del  comportamento  tenuto dall'azienda in termini di
 antisindacalita'  o  meno,  ha  insistito  sul  carattere   meramente
 valutativo  dell'attivita'  della  Commissione.   Circa la violazione
 dell'art.  24,  la  difesa  dell'azienda  assume  l'inconferenza  del
 richiamo  alla sentenza n. 204 del 1982, avente ad oggetto il diverso
 tema dell'estensione al licenziamento delle  garanzie  procedimentali
 previste per le altre sanzioni a carico dei lavoratori.
    7.   -  Anche  l'Avvocatura  dello  Stato  ha  depositato  memoria
 ulteriore, relativa ad entrambe le ordinanze.
    Preliminarmente l'Avvocatura rileva come al datore di  lavoro  sia
 affidato  il  compito di accertare il realizzarsi o meno di una delle
 fattispecie previste dalla legge, in presenza  di  un  coinvolgimento
 del  tutto  eventuale  e  di un'iniziativa soltanto facoltativa della
 Commissione di garanzia.  Nel merito l'Avvocatura ribadisce come  non
 sia  sostenibile  la  violazione  dell'art.  24 della Costituzione ed
 esclude che contromisure  di  natura  patrimoniale  possano  influire
 sulla   liberta'  di  organizzazione  garantita  dall'art.  39  della
 Costituzione. Quanto infine all'asserita violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, rileva che "i  soggetti  in  conflitto  sono  di  norma
 associazioni  datoriali  ed associazioni di lavoratori", che l'art. 7
 della legge n. 300 del  1970  non  e'  suscettibile  di  applicazione
 analogica,  che  non  puo'  parlarsi  di potere privato del datore di
 lavoro, il quale svolgerebbe un compito  prevalentemente  esattoriale
 per conto dell'I.N.P.S.
    L'Avvocatura   conclude  osservando  che  comunque,  a  fronte  di
 un'incompletezza  della  normativa,  sussiste  una  molteplicita'  di
 soluzioni  adottabili  anche  in  sede  di contrattazione collettiva,
 sicche', a tutto concedere, la conclusione del giudizio non  potrebbe
 che essere in termini di inammissibilita'.
                        Considerato in diritto
    1.   -   Il   Pretore   di   Pistoia   dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge 12 giugno  1990,  n.
 146,  poiche'  la  norma, nel prevedere a carico delle organizzazioni
 sindacali la perdita temporanea dei contributi  sindacali  trattenuti
 sulla  retribuzione  dei  lavoratori  ai  sensi dell'art. 26, secondo
 comma, della legge 20 maggio 1970,  n.  300,  ed  il  versamento  del
 relativo  importo  all'I.N.P.S.  da parte del datore di lavoro, senza
 introdurre  alcuna fase procedimentale di contestazione dell'addebito
 ovvero  alcun  momento  di  contraddittorio,  violerebbe  l'art.   24
 (precetto  da cui sarebbe derivabile una generale portata applicativa
 del principio  del  giusto  procedimento),  nonche'  l'art.  3  della
 Costituzione  per  la  disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi
 delle sanzioni comminate al singolo lavoratore, che  si  giova  delle
 garanzie  di cui all'art. 7 della stessa legge 300 del 1970. Analoghe
 censure sono rivolte all'intera norma  dal  Pretore  di  Milano,  che
 invoca   altresi'   il   parametro   costituito  dall'art.  39  della
 Costituzione  per  il  possibile  pregiudizio   che   tale   congegno
 sanzionatorio sarebbe idoneo a produrre sulla liberta' di azione e di
 organizzazione del sindacato.
    Il  Pretore  di Milano dubita altresi', in riferimento alle citate
 norme della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art.
 12 della stessa legge n. 146 del 1990, poiche' anche detta norma  non
 prevede  che  analoga  garanzia  procedimentale assista i pareri e le
 decisioni della Commissione di garanzia.
    2. - Le questioni, per la sostanziale identita' e  per  l'analogia
 dei profili, possono essere trattate e decise congiuntamente.
    3. - Entrambi i giudizi a quibus traggono origine dalla violazione
 dell'obbligo di preavviso minimo richiesto dall'art. 2 della legge n.
 146  del  1990.  Poiche'  il diritto di sciopero era stato esercitato
 senza il preavviso di dieci giorni, le aziende municipali  erogatrici
 dei servizi sospesero il pagamento alle organizzazioni dei lavoratori
 dei  contributi  sindacali ritenuti ai sensi dell'art. 26 della legge
 n.  300  del  1970,  versandoli  successivamente   all'I.N.P.S.,   in
 conformita'  a  quanto  previsto nell'art. 4, comma 2, della legge n.
 146 del 1990. Quest'ultima norma  dispone  che  nei  confronti  delle
 organizzazioni  dei  lavoratori che proclamano uno sciopero o ad esso
 aderiscono in violazione delle disposizioni di cui all'art.  2,  sono
 sospesi  per  la  durata  dell'azione  stessa e, in ogni caso, per un
 periodo non inferiore ad un mese, i benefici di  ordine  patrimoniale
 derivanti  dagli artt. 23 e 26, secondo comma, della legge n. 300 del
 1970.
    I giudici remittenti danno atto che la concreta applicazione della
 misura, pur in assenza di una previsione espressa, compete al  datore
 di  lavoro,  ma  individuano  nella  carenza  di un qualsiasi momento
 procedimentale e nel confronto con le garanzie che assistono invece i
 singoli  lavoratori,  i  descritti  vulnera  ai  succitati   precetti
 costituzionali.
    4.  -  La  prima  delle questioni sottoposte all'esame della Corte
 concerne la norma di cui all'art. 4, correttamente censurata dal Pre-
 tore di Milano nell'insieme delle sue previsioni, con una piu'  ampia
 prospettazione  includente  dunque anche quella, limitata al comma 2,
 offerta dal Pretore di Pistoia.
    Cosi' posta, la questione e' fondata.
    4.1. - L'esercizio del diritto di sciopero nel settore dei servizi
 pubblici essenziali e' assoggetato, dalla legge n. 146 del  1990,  ad
 una  disciplina  di marcata connotazione procedimentale che, muovendo
 dalla   fissazione   dei   requisiti   minimi    delle    prestazioni
 indispensabili   e   determinando   poi   la   sequela   degli   atti
 strumentalmente necessari  per  pervenire  alla  fase  di  astensione
 dall'attivita'  lavorativa, giunge alla configurazione di un apparato
 sanzionatorio articolato in  una  serie  di  misure:  amministrative,
 disciplinari e afflittive in senso lato.
    Su  quest'ultimo  versante si collocano le norme di previsione dei
 provvedimenti a carico del singolo lavoratore (art.  4,  comma  1)  e
 delle  associazioni  sindacali (comma 2 e comma 3), che non osservano
 detta disciplina. Ma - a prescindere da questa  comune  collocazione,
 di  per  se'  non significativa che di una connotazione genericamente
 sanzionatoria delle misure contemplate - mentre quelle concernenti il
 lavoratore trovano il loro specifico presupposto  nell'esistenza  del
 rapporto  di  lavoro  e  si correlano dunque all'esercizio del potere
 disciplinare attribuito dall'art. 2106 c.c. al datore di lavoro,  con
 la  conseguente  applicabilita'  delle garanzie procedimentali di cui
 all'art. 7 della legge n. 300 del 1970,  invece  la  circostanza  che
 l'apparato  sanzionatorio  riguardante  i  sindacati  risulti, per la
 posizione dei soggetti destinatari, svincolato da uguale presupposto,
 determina una relazione di eterogeneita' delle due situazioni di  cui
 trattasi. Il che - se rende improponibile il confronto fra misure re-
 pressive   utilizzabili   nei  confronti  del  sindacato  e  sanzioni
 disciplinari applicabili al lavoratore, venendo,  per  le  prime,  in
 rilievo   un'esigenza   di  salvaguardia  della  liberta'  sindacale,
 garantita dall'art. 39  della  Costituzione  per  fini  di  interesse
 generale  che  trascendono  il  singolo  rapporto  di  lavoro nel cui
 a'mbito  si  colloca  una  specifica  regolamentazione   del   potere
 disciplinare   -   per   converso  svela  l'irragionevolezza  di  una
 diversita' di disciplina concernente le  due  sanzioni  previste  dai
 commi  2 e 3 dell'art. 4, che viceversa sono omogenee e possono anche
 cumularsi tra loro.
   Cosicche' la violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  se  va
 certamente esclusa ove si prenda come tertium comparationis il citato
 art.  7  della legge n. 300 del 1970, appare invece evidente sotto il
 profilo dell'irragionevolezza interna alla  disciplina  dell'articolo
 impugnato.   Questo   infatti   prevede,  con  riguardo  a  identiche
 violazioni  del  precedente  art.  2,  due  distinti   effetti:   uno
 patrimoniale,   consistente   appunto   nella  perdita  dei  benefici
 derivanti dagli artt. 23 e 26 della legge n. 300  del  1970,  l'altro
 incidente  sulla  condizione  del  sindacato  con la esclusione dalle
 trattative.
    Il  fatto  causativo,  sebbene  unico,  viene  assoggettato   alla
 valutazione della Commissione di garanzia con riguardo a uno soltanto
 di   essi.   Solo   per  l'esclusione  dalle  trattative  e'  infatti
 esplicitamente  richiesta  l'"indicazione"   della   Commissione   di
 garanzia,   la   quale   esercita   in  tale  ipotesi  la  competenza
 attribuitale dall'art. 13, lett. c), secondo il quale, appunto,  alla
 valutazione del comportamento dei soggetti che proclamano lo sciopero
 o che vi aderiscono segue la segnalazione "ai fini previsti dal comma
 3  dell'art.  4".  E  dunque il potere di valutazione dei fatti ed il
 giudizio circa la violazione  dei  precetti  della  legge  appartiene
 (solo)  in questo caso alla Commissione, escludendosi la possibilita'
 per il datore di lavoro di  procedere  ex  se  all'irrogazione  della
 sanzione.
    Ma  non  e'  dato  rinvenire  giustificazioni  onde escludere tale
 intervento  anche  nel  caso  in   esame,   concernente   le   misure
 patrimoniali. Queste hanno conseguenze afflittive non necessariamente
 meno  gravi per il sindacato, stante la loro idoneita' a penalizzarne
 la funzione nonche' la riconoscibilita' come interlocutore nel quadro
 delle  relazioni  industriali;  e  quindi non possono ragionevolmente
 prescindere da quel presupposto procedimentale,  che,  rispetto  alla
 garanzia  di  liberta'  sindacale  posta  dal gia' richiamato art. 39
 della  Costituzione,  si   configura   come   un   requisito   minimo
 indispensabile    per    l'insorgenza   del   potere   sanzionatorio,
 ricollegando questo ad una imparziale valutazione  delle  circostanze
 rilevanti  ed  in  tal guisa sottraendolo, nel momento genetico, alla
 unilaterale determinazione di un soggetto, quale il datore di lavoro,
 portatore di interessi potenzialmente contrapposti.
    Che sussista un'esigenza  di  funzionalita'  applicativa  di  tali
 misure  per  investire  del  relativo potere il datore di lavoro, non
 v'e' dubbio. Ma trattasi d'un potere  strumentale  alla  salvaguardia
 delle  finalita'  limitative  dello  sciopero  (quindi collegato alla
 tutela  d'un  interesse   pubblico),   implicante   valutazioni   che
 certamente escludono l'esistenza d'un mero automatismo cui agganciare
 una doverosa condotta del datore di lavoro. Basti pensare al giudizio
 sulla   ricorrenza   o   meno  dello  sciopero  proclamato  a  difesa
 dell'ordine  costituzionale   (che,   in   caso   positivo,   esclude
 l'illegittimita')    o    alla    concreta    identificazione   delle
 organizzazioni che "aderiscono" allo sciopero  (dato  non  sempre  di
 agevole   percettibilita'),   per  comprendere  come  tale  attivita'
 valutativa esista e non possa in nessun caso essere lasciata al  mero
 giudizio   del   datore   di   lavoro,   la   cui   discrezionalita',
 nell'applicare le sanzioni al sindacato, deve percio' essere limitata
 dall'intervento della  Commissione  pure  con  riguardo  alle  misure
 patrimoniali.
    Anche  in  tale ipotesi, dunque, la segnalazione della Commissione
 si impone come necessario presupposto dell'azione  sanzionatoria.  Il
 potere  sanzionatorio  e'  infatti  funzionale  a garantire i servizi
 minimi essenziali: in esso non e' ravvisabile un qualsivoglia profilo
 di autotutela, ed e'  percio'  necessario  che  la  sua  esplicazione
 avvenga  esclusivamente  in riferimento alle rationes legis, a tutela
 cioe' degl'interessi degli  utenti,  proprio  per  l'estraneita',  al
 contenuto  della  normativa,  dei rapporti tra diritto di sciopero ed
 interessi dell'impresa (v. sentenza n. 317 del 1992). La verifica dei
 presupposti per l'applicabilita' della sanzione deve  restare  quindi
 sempre  affidata a quel soggetto super partes ad alta competenza, che
 il legislatore ha configurato nella Commissione di garanzia.
    4.2. - Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  del
 citato  art.  4,  comma  2,  nella  parte  in  cui non prevede che la
 sospensione dei benefici patrimoniali ivi indicati venga disposta  su
 indicazione della Commissione di garanzia, secondo lo schema adottato
 nel successivo comma.
    In    via   conseguenziale   deve   altresi'   essere   dichiarata
 l'illegittimita' costituzionale del successivo art. 13, lett. c),  in
 quanto non prevede che l'attivita' della Commissione stessa si svolga
 anche ai fini previsti dall'art. 4, comma 2.
    5. - Non fondata per l'inesattezza del presupposto da cui muove il
 giudice  a  quo e' invece la seconda questione, concernente l'art. 12
 della legge n. 146 del 1990.
    Nel descrivere la composizione nonche' gli aspetti organizzativi e
 funzionali della  Commissione  di  garanzia,  la  norma  non  esclude
 affatto   la   necessita'  di  vincoli  procedurali  che  scandiscano
 l'attivita' della stessa.  Anzi,  sotto  un  primo  e  piu'  generale
 profilo di efficienza e buon andamento, e' chiaro come l'acquisizione
 di dati, le audizioni e le informazioni di cui al comma 4 della norma
 impugnata, con l'espresso riferimento alle pubbliche amministrazioni,
 alle  organizzazioni sindacali e alle imprese, sia strumentale ad una
 esigenza di funzionalita', quindi ad un corretto esercizio delle  di-
 verse attribuzioni dell'Autorita' in argomento.
    Proprio  avuto  riguardo  specifico alla previsione di cui al gia'
 richiamato art. 13, lett. c), deve negarsi  che  dall'art.  12  possa
 evincersi quella totale mancanza di garanzie procedimentali censurata
 dal  Pretore  di  Milano,  giacche'  una diversa lettura della norma,
 quand'anche  non  smentita  da  disposizioni  regolamentari  interne,
 colliderebbe certamente con il dettato costituzionale.
    La   partecipazione   dei   destinatari  delle  misure  afflittive
 all'attivita'  valutativa  della   Commissione   (oltre   ad   essere
 tecnicamente  richiesta,  in  quanto le organizzazioni sindacali sono
 potenzialmente in grado di fornire informazioni e notizie) e' imposta
 da un'ovvia esigenza  di  bilanciamento  del  potere  del  datore  di
 lavoro.  L'attivita' della Commissione non puo' sottrarsi al generale
 canone audiatur et altera pars: se e' vero  infatti  che  il  "giusto
 procedimento" in quanto tale non puo' dirsi un principio assistito in
 assoluto da garanzia costituzionale (v., ad es., ordinanza n. 503 del
 1987),  e'  certo  ch'esso  costituisce  sempre almeno un criterio di
 orientamento, come per il legislatore cosi' per  l'interprete.  Nella
 specie  il  coinvolgimento  dei soggetti interessati ed il momento di
 partecipazione che ne deriva, si pongono come fase  indefettibile  di
 un  procedimento  che puo' concludersi abilitando il datore di lavoro
 ad applicare una  misura  afflittiva.  La  necessita'  di  comunicare
 l'avvio  di una fase conoscitiva (del resto riconducibile all'art. 7,
 comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che ha carattere generale
 ed  e'  quindi  integrativa  anche  di  procedimenti   amministrativi
 disciplinati  da disposizioni anteriori: v. sentenza n. 311 del 1994)
 e la conseguente  possibilita'  per  gli  interessati  di  presentare
 memorie e documenti, appartengono quindi ad un momento procedimentale
 che  risponde - prima ancora che ad un'esigenza di imparzialita' e di
 buon andamento (cfr. sentenza n. 197 del 1994) -  alla  stessa  ratio
 legis,  in  quanto  idoneo  a scongiurare un possibile conflitto e ad
 appagare quella finalita' propria della legge n. 146  del  1990,  che
 affida  alla  responsabilita'  delle  parti  sociali,  in un definito
 quadro procedurale, la  tutela  delle  situazioni  costituzionalmente
 garantite,  in  ragione  delle  quali  soltanto  puo' essere limitato
 l'esercizio del diritto di sciopero.