ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  86,  primo
 comma,  del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in
 materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
 prevenzione,   cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati  di
 tossicodipendenza),promosso con l'ordinanza emessa il 17 maggio  1994
 dal  Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Noureddine
 Bachri, iscritta al n. 584 del registro ordinanze 1994  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1994.
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale di Roma,  giudice  di  rinvio  nel  procedimento
 penale  a carico di Noureddine Bachri, imputato del reato di cessione
 di sostanza stupefacente,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  - in riferimento agli artt. 3, 25, terzo comma, e 27,
 terzo comma, della Costituzione - nei confronti dell'art.  86,  primo
 comma, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.
 309,   nella   parte   in   cui   obbliga   il  giudice  a  emettere,
 contestualmente alla condanna, l'ordine di  espulsione  dallo  Stato,
 eseguibile  a  pena espiata, nei confronti dello straniero condannato
 per uno dei reati previsti dagli articoli 73, 74, 79 e 82, commi 2  e
 3, precludendogli, in forza dell'art. 164, secondo comma, n. 2, c.p.,
 la concessione della sospensione condizionale della pena inflitta.
    Il  giudice  rimettente  premette che il giudizio a quo segue alla
 pronunzia della Corte di cassazione che, annullando la sentenza dello
 stesso  Tribunale  limitatamente  alla  parte  in  cui  concedeva  il
 beneficio  della  sospensione  condizionale  della  pena all'imputato
 condannato a sei mesi di reclusione, per il reato previsto  dall'art.
 73  del d.P.R. n. 309 del 1990, ha fissato il "principio di diritto",
 secondo il quale l'impugnato art. 86, primo  comma,  va  interpretato
 nel senso che impone al giudice, senza alcuna valutazione in concreto
 della  sussistenza  della  pericolosita'  sociale,  di  espellere dal
 territorio  nazionale,  una  volta  espiata  la  pena,  lo  straniero
 condannato  per  alcuni dei reati previsti dal testo unico in materia
 di stupefacenti, precludendogli, in  ragione  dell'irrogazione  della
 misura  di sicurezza dell'espulsione e in forza del divieto dell'art.
 164, secondo comma, n. 2,  c.p.,  la  concessione  della  sospensione
 condizionale della pena inflitta.
   Lo  stesso  giudice  a  quo ricorda, sempre in via di premessa, che
 l'interpretazione appena menzionata appare del  tutto  isolata  nella
 giurisprudenza formatasi sull'art. 86 (nonche' sul previgente art. 81
 della  legge 22 dicembre 1975, n. 685, dall'analogo contenuto), anche
 con riferimento ad altre sentenze della Corte di cassazione,  con  le
 quali  l'istituto dell'espulsione in oggetto, essendo ricondotto alla
 disciplina  generale  delle  misure  di  sicurezza  e  presupponendo,
 quindi,  dopo  l'abrogazione dell'art. 204 c.p. da parte dell'art. 31
 della legge n.  663  del  1986,  la  valutazione  in  concreto  della
 pericolosita'  sociale  del  condannato,  viene  considerato come non
 preclusivo della concessione  della  sospensione  condizionale  della
 pena.
    Cio'  posto,  il  giudice  rimettente, ritenendosi vincolato, come
 giudice  di  rinvio,  dal  "principio  di  diritto"  enunciato  dalla
 pronunzia  di  annullamento della Corte di cassazione, afferma che la
 dovuta applicazione di tale principio gli impedirebbe di concedere la
 sospensione condizionale della pena,  nonostante  che  ricorrano  nel
 caso  le  condizioni oggettive e soggettive richieste dalla legge per
 tale beneficio, a meno che l'interpretazione sostenuta  dalla  stessa
 Corte  di  cassazione  non  si riveli contraria a Costituzione. E, in
 effetti, continua il giudice a quo, considerare che  l'espulsione  in
 oggetto  sia  una misura di sicurezza comportante eccezionalmente una
 presunzione legale di pericolosita' sociale e, quindi, un automatismo
 nell'applicazione che prescinde da ogni accertamento in  concreto  da
 parte del giudice della medesima pericolosita', e' un'interpretazione
 che  sembra contrastare con gli artt. 3, 25, terzo comma, e 27, terzo
 comma, della Costituzione.
    Sotto il primo profilo, l'interpretazione contenuta nel "principio
 di diritto" affermato dalla Corte di cassazione appare, innanzitutto,
 viziata da irragionevolezza, comportando una ingiustificata deroga al
 principio generale secondo il quale l'applicazione  delle  misure  di
 sicurezza  debba  avvenire  previa  la  valutazione in concreto della
 pericolosita' sociale del condannato; in  secondo  luogo,  la  stessa
 interpretazione  sembra  comportare  una  disparita'  di trattamento,
 poiche' non consentirebbe che, a situazioni del tutto simili sotto il
 profilo soggettivo  e  oggettivo  ai  fini  della  concessione  della
 sospensione condizionale della pena, possa corrispondere un'identita'
 di  valutazione  a  causa  della  preclusione  connessa  a un preteso
 ingiustificato  automatismo  nell'applicazione  di  una   misura   di
 sicurezza.
    La  stessa  interpretazione  sarebbe, poi, in contrasto con l'art.
 25,  terzo  comma,  della  Costituzione,  poiche'   postulerebbe   la
 sottoposizione a una misura di sicurezza in difetto di una previsione
 legislativa:  infatti,  a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31
 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, l'accertamento in concreto della
 pericolosita' sociale del condannato appare necessario tanto all'atto
 dell'applicazione della misura  di  sicurezza  personale,  quanto  al
 momento dell'esecuzione della stessa in caso di differimento.
    Infine,  l'impugnato art. 86, primo comma, come interpretato dalla
 Corte di cassazione  nella  pronunzia  di  annullamento  con  rinvio,
 violerebbe  l'art.  27, terzo comma, della Costituzione, per il fatto
 che la  misura  di  sicurezza  dell'espulsione,  ove  automaticamente
 applicata,   inibirebbe   allo   straniero   ogni   possibilita'   di
 reinserimento sociale, postulando che sempre e comunque lo  straniero
 continuera'  a  delinquere  a prescindere da qualsiasi valutazione da
 parte  del  giudice  della  effettiva   pericolosita'   sociale   del
 condannato.
    Ne',   conclude   il   giudice   a  quo,  varrebbe  obiettare  che
 l'espulsione rappresenti, nei riguardi dello straniero criminale, una
 ormai  prevalente  linea  politica  rimessa  alla   valutazione   del
 legislatore e avallata da recenti sentenze della Corte costituzionale
 sull'art.  7,  commi 12- bis e 12- ter, della legge 28 febbraio 1990,
 n. 39. In realta', l'espulsione dello straniero  regolata  da  queste
 ultime  disposizioni, prevista in alternativa alla custodia cautelare
 e all'esecuzione della pena, e'  del  tutto  diversa  da  quella  ora
 esaminata,  trattandosi  di  un  provvedimento  adottato  soltanto su
 richiesta dell'interessato o del suo difensore, e non gia' imposta.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Riguardo  alla pretesa violazione dell'art. 25, terzo comma, della
 Costituzione,  l'Avvocatura  dello  Stato  rileva  che   quest'ultimo
 articolo si limita a ribadire il principio di legalita' in materia di
 misure  di  sicurezza,  che  tuttavia  non esclude la possibilita' di
 tipizzare specifiche ipotesi di pericolosita' alle  quali  collegare,
 in  via  obbligatoria  e  automatica,  l'applicazione  di determinate
 misure indipendentemente da ogni altro accertamento o considerazione.
    In ordine alla asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione,
 l'Avvocatura ricorda che  la  Corte  costituzionale  ha  recentemente
 posto  in  rilievo,  in  materia di espulsione, la peculiarita' della
 posizione dello straniero  in  relazione  alla  tutela  di  interessi
 pubblici   inerenti   alla   sanita'   pubblica,   alla  politica  di
 immigrazione e, cio' che rileva nel caso di specie, alla sicurezza  e
 all'ordine  pubblico (nell'ipotesi: nel settore del traffico illecito
 di sostanze stupefacenti).
    Infine, relativamente al  prospettato  contrasto  con  l'art.  27,
 terzo  comma,  della  Costituzione,  la  difesa  erariale osserva che
 quest'ultima norma, riguardando le modalita'  esecutive  della  pena,
 non  esclude  che  al  fatto oggettivo dell'accertata responsabilita'
 penale possano collegarsi ulteriori conseguenze in ordine  alla  vita
 di relazione e alla sfera di capacita' dell'interessato.
    3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  l'Avvocatura  dello Stato ha
 depositato un'ulteriore memoria  eccependo  l'inammissibilita'  della
 questione.  Quest'ultima, infatti, risolvendosi in una prospettazione
 di dubbi interpretativi o, ad essere piu' precisi, nella formulazione
 dell'auspicio che la Corte operi una scelta fra due diversi  modi  di
 interpretare  la  norma  impugnata,  sembra  prospettare un conflitto
 giurisprudenziale, non certo  un  vizio  di  costituzionalita'  della
 norma  impugnata, e percio', secondo la giurisprudenza costituzionale
 (v. ordd. nn. 848 del 1988, 77 del 1990 e 269 del 1991, nonche' sent.
 n.  26  del   1990),   dovrebbe   esser   dichiarata,   innanzitutto,
 inammissibile.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale di Roma, giudice di rinvio in un procedimento
 penale a carico di uno straniero extracomunitario imputato del  reato
 di  cessione  di  sostanza  stupefacente,  ha  sollevato questione di
 legittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 3, 25, terzo
 comma,  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione  -  nei  confronti
 dell'art.   86,   primo  comma,  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
 di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione,
 cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella
 parte  in  cui  obbliga  il  giudice a emettere, contestualmente alla
 condanna, l'ordine di  espulsione  dallo  Stato,  eseguibile  a  pena
 espiata,  nei  confronti dello straniero condannato per uno dei reati
 previsti dagli artt. 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3, precludendogli, in
 forza dell'art. 164, secondo comma, n. 2, c.p., la concessione  della
 sospensione condizionale della pena inflitta.
    L'Avvocatura     dello     Stato     eccepisce     preliminarmente
 l'inammissibilita' della questione,  adducendo  che  quest'ultima  si
 risolva  nella prospettazione di un dubbio interpretativo e comporti,
 quindi,  la  richiesta  a  questa  Corte  di  dirimere  un  conflitto
 giurisprudenziale  scegliendo  tra due diversi modi d'interpretare la
 norma impugnata.
    2. - L'eccezione  d'inammissibilita'  va  respinta,  poiche',  sin
 dalla  sentenza  n.  30  del  1990,  e'  stato  ritenuto "consolidato
 indirizzo di questa Corte" quello secondo  il  quale  il  giudice  di
 rinvio  puo'  sollevare,  come  avviene  nel caso di specie, dubbi di
 costituzionalita' concernenti l'interpretazione normativa  risultante
 dal  "principio  di  diritto"  enunciato  dalla  Corte di cassazione:
 dovendo, infatti, la norma, nel significato attribuitole dalla  Corte
 di cassazione, ricevere ancora applicazione nella fase di rinvio, "il
 precludere   che   su   di  essa  vengano  prospettate  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  comporterebbe  un'indubbia   violazione
 delle disposizioni regolanti la materia (art. 1, legge costituzionale
 9  febbraio  1948, n. 1, e art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87)"
 (v. sent. n. 30 del 1990, nonche' sentt. nn. 257 del  1994,  130  del
 1993, 2 e 345 del 1987, 21 del 1982, 11 del 1981, 138 del 1977).
    Ed invero, nel respingere analoghe eccezioni dell'Avvocatura dello
 Stato,  questa  Corte  ha  chiarito,  anche di recente, che, ai sensi
 delle ora citate disposizioni regolanti l'accesso delle questioni nel
 processo costituzionale, per aversi  una  questione  di  legittimita'
 costituzionale validamente posta, e' sufficiente che il giudice a quo
 riconduca   alla  disposizione  contestata  una  interpretazione  non
 implausibile della quale egli, a una valutazione compiuta in una fase
 meramente iniziale del processo, ritenga di dover  fare  applicazione
 nel giudizio principale e sulla quale egli nutra dubbi non arbitrari,
 o  non pretestuosi, di conformita' a determinate norme costituzionali
 (v., ad esempio, sentt. nn. 31 del 1995, 463 del 1994, 51  del  1992,
 64   del   1991,   41   del   1990).   La   stessa  Corte  ha,  anzi,
 significativamente precisato che la questione di costituzionalita' e'
 validamente  posta  anche  quando  il  giudice  a   quo,   affermando
 motivatamente   di   dubitare   dell'orientamento   giurisprudenziale
 prevalente o dominante, ritiene di dover  applicare  la  disposizione
 contestata  in un diverso o opposto significato normativo, sempreche'
 l'interpretazione offerta non risulti del tutto implausibile, e cioe'
 palesemente arbitraria (v. sentt. nn. 463 del 1994,  103,  112,  163,
 344 del 1993, 436 del 1992).
    Sicche'  puo'  aversi questione d'interpretazione, anziche' una di
 costituzionalita', soltanto nei casi in cui il giudice rimettente non
 individua   profili   di   contrasto   con   determinati    parametri
 costituzionali  o,  anche se formalmente li indica, in realta' chiede
 alla Corte  di  avallare  determinate  ipotesi  interpretative  senza
 sostanzialmente  prospettare,  riguardo alle interpretazioni assunte,
 dubbi di legittimita' costituzionale (v., per  quest'ultima  ipotesi,
 ord.  n.  274  del  1991).  Ma  questo  non e' il caso dell'ordinanza
 introduttiva del presente giudizio, nella quale  il  giudice  a  quo,
 dopo  aver illustrato il "principio di diritto" enunciato dalla Corte
 di  cassazione,   concernente   l'automatica   sottoposizione   dello
 straniero  alla  misura  di  sicurezza  dell'espulsione,  e dopo aver
 affermato di  doverne  fare  applicazione  nel  giudizio  principale,
 manifesta  il  dubbio  che quel principio sia contrario a determinate
 norme  della  Costituzione,   che   comporterebbero   la   necessaria
 valutazione  da parte del giudice della sussistenza in concreto della
 pericolosita' sociale del condannato.
    Ne' contro tale  conclusione  possono  desumersi  argomenti  dalle
 decisioni  di  questa  Corte citate dall'Avvocatura dello Stato nella
 propria memoria  di  udienza.  Le  sentenze  ricordate  dalla  difesa
 erariale,  infatti,  riguardano il diverso profilo d'inammissibilita'
 relativo a questioni proposte in modo "perplesso" o  "alternativo"  o
 "ancipite"  o  "ipotetico",  nel  senso  che in quei casi i giudici a
 quibus   prospettavano   piu'   possibilita'   interpretative   della
 disposizione  contestata  senza  scegliere e, quindi, indicare quella
 che essi ritenevano  di  dover  applicare  nel  giudizio  principale.
 Questo  orientamento,  indubbiamente consolidato nella giurisprudenza
 di questa Corte (v., ad esempio, sentt. nn.  117  del  1994,  51  del
 1992,  473, 472 e 456 del 1989, ordd. nn. 325 e 227 del 1994, 207 del
 1993, 548 del 1988), e' diverso da quello prospettato dall'Avvocatura
 dello  Stato,  poiche' incide, innanzitutto, sulla problematica della
 rilevanza della  questione,  cioe'  dell'applicabilita'  delle  norme
 impugnate  nel  giudizio  principale,  piuttosto  che su quella della
 prospettazione, o meno, della violazione di parametri costituzionali,
 cioe' della valida proposizione  della  questione  nei  suoi  termini
 essenziali, prescritti dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953.
    3. - La questione e' fondata.
    Il  giudice  rimettente contesta la legittimita' costituzionale di
 un "principio di diritto" enunciato dalla Corte di cassazione in  una
 sentenza  di  annullamento,  con  rinvio, di una precedente decisione
 dello  stesso  Tribunale  di  Roma,  con  la  quale  a  un  cittadino
 marocchino,  condannato  per  cessione  di sostanza stupefacente, era
 stata concessa la sospensione condizionale della pena.  Ponendosi  in
 una  posizione  contraria  rispetto  ad  altre decisioni della stessa
 Corte di cassazione, per le  quali  l'applicazione  della  misura  di
 sicurezza  dell'espulsione  prevista  dall'art.  86, primo comma, del
 d.P.R. n. 309  del  1990  comporta  l'accertamento  giudiziale  della
 pericolosita' sociale del condannato, la sentenza di annullamento con
 rinvio enuncia il "principio di diritto" secondo il quale la predetta
 misura  di  sicurezza  dell'espulsione,  eseguibile  a  pena espiata,
 dev'essere ordinata con la  sentenza  di  condanna  come  conseguenza
 automatica  della  commissione  del  reato  di  cui all'art. 73 dello
 stesso testo unico, con l'effetto di costituire  giuridico  ostacolo,
 per  l'art.  164,  secondo  comma, n. 2, c.p., alla concessione della
 sospensione condizionale della pena. Cosi'  interpretato,  il  citato
 art.  86,  primo  comma,  si  pone  in  contrasto  con l'art. 3 della
 Costituzione.
    Configurata  quale  misura  di  sicurezza  -  come  ritengono   la
 giurisprudenza  di merito e la stessa Corte di cassazione anche nella
 sopra menzionata sentenza di annullamento con rinvio  -  l'espulsione
 del  condannato  straniero  prevista  dall'art.  86, primo comma, del
 d.P.R. n. 309 del 1990  va  inquadrata  nell'ambito  dell'ordinamento
 penale,  nel  quale, in seguito all'adozione dell'art. 31 della legge
 10 ottobre 1986, n. 663 (che ha abrogato l'art. 204  c.p.),  vige  il
 principio  che "tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate,
 previo accertamento che colui il  quale  ha  commesso  il  fatto,  e'
 persona  socialmente  pericolosa". Rispetto a tale principio generale
 dell'ordinamento penale, un'ipotesi  di  presunzione  ex  lege  della
 qualita'  di  persona  socialmente  pericolosa,  come  e' configurata
 dall'interpretazione  contestata  dal  giudice  a   quo,   dev'essere
 sottoposta,  sotto  il  profilo  dell'accertamento della legittimita'
 costituzionale,  al  vaglio  di  un  rigoroso   scrutinio.   Infatti,
 qualunque sia la natura che ontologicamente si intende assegnare alle
 misure  di  sicurezza,  e'  indubitabile  che  le misure di sicurezza
 personali comportano comunque la privazione o  la  limitazione  della
 liberta'  personale e, quindi, incidono in ogni caso su un valore che
 l'art. 13  della  Costituzione  riconosce  come  diritto  inviolabile
 dell'uomo, sia esso cittadino o straniero (v., da ultimo, sent. n. 62
 del  1994).  Ed  e'  giurisprudenza  di  questa  Corte che, di fronte
 all'incisione   di   beni   di   tal   pregio,   il   controllo    di
 costituzionalita'  delle  norme  di legge contestate deve avvenire in
 modo da garantire che il sacrificio della liberta'  sia  giustificato
 dall'effettiva  realizzazione  di  altri  valori costituzionali o non
 vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti  dalla  protezione
 di  altri  valori  costituzionali  (v., ad esempio, sentt. nn. 63 del
 1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991).
    Dall'interpretazione data dalla Corte di cassazione  all'impugnato
 art. 86, primo comma, con il "principio di diritto" contestato deriva
 che   quest'ultimo   impone   al  giudice  l'applicazione  automatica
 dell'ordine di espulsione nei confronti  dello  straniero  condannato
 per  alcuno  dei  reati indicati dalla stessa disposizione censurata,
 senza consentire ad esso l'accertamento della sussistenza in concreto
 delle  condizioni  per  un  giudizio  di  pericolosita'  sociale  del
 condannato. In conseguenza di cio', al giudice di merito e' preclusa,
 ai  sensi  dell'art.  164,  secondo comma, n. 2, c.p., la concessione
 della sospensione condizionale della pena inflitta, pur nelle ipotesi
 nelle  quali  sussistano,  come  nel  caso   dedotto   nel   giudizio
 principale,  i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge
 per l'erogazione di tal beneficio.
    Di fronte all'esistenza in concreto di tali requisiti, la predetta
 preclusione    evidenzia    che    l'art.    86,     primo     comma,
 nell'interpretazione  contestata dal giudice a quo, non contiene, per
 chi abbia commesso i reati ivi indicati,  altro  presupposto  legale,
 per  la  determinazione  presuntiva  della  pericolosita' sociale del
 soggetto, che il fatto della condizione di straniero del  condannato.
 Messa a confronto con le altre ipotesi di applicabilita' della misura
 di sicurezza dell'espulsione, previste dagli artt. 235 e 312 c.p., le
 quali,  pur  essendo subordinate al presupposto di condotte obiettive
 altrettanto gravi rispetto a quelle considerate  nell'impugnato  art.
 86,  primo  comma,  comportano  pur  sempre,  in ossequio alla regola
 generale stabilita dal ricordato art. 31 della legge n. 663 del 1986,
 la valutazione da parte del giudice  della  sussistenza  in  concreto
 della  pericolosita'  sociale  dello  straniero condannato, l'ipotesi
 contestata configura un'irragionevole disparita'  di  trattamento.  E
 l'irragionevolezza   risulta  evidente  se  si  considera  anche  che
 l'applicazione della misura di sicurezza della  espulsione  senza  la
 valutazione   del   giudice  alla  stregua  degli  indici  menzionati
 dall'art. 133 c.p. (cui fa  rinvio  l'art.  203,  cpv.,  c.p.)  e  la
 conseguente   preclusione   della   concessione   della   sospensione
 condizionale della  pena  frappongono  ingiustificati  ostacoli,  non
 soltanto  alla  liberta'  personale,  ma  anche  alle possibilita' di
 sviluppo della personalita' del condannato  in  vista  dell'eventuale
 superamento   della   sua   condizione   come   soggetto  socialmente
 pericoloso.
    Ne' tale conclusione puo'  essere  efficacemente  contrastata  dal
 richiamo,  operato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  alle  sentenze di
 questa Corte nn. 62 e 283 del  1994,  relative  all'espulsione  dello
 straniero prevista dall'art. 7, commi 12- bis e 12- ter, del decreto-
 legge  30  dicembre  1989,  n. 416, nel testo introdotto dall'art. 8,
 primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n.  187.    In  quelle
 decisioni,  infatti, e' stato precisato che l'espulsione ivi prevista
 e' un istituto diverso da  quello  ora  considerato,  trattandosi  di
 un'ipotesi  di  sospensione della esecuzione della custodia cautelare
 in carcere, ovvero dell'espiazione  della  pena,  condizionata  dalla
 richiesta  dell'interessato (o del suo difensore), richiesta che - si
 precisa nella sentenza n. 62 del 1994 - "rappresenta, come si  deduce
 anche   dai   lavori   preparatori,   un   requisito  diretto,  nella
 fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero  ai  valori
 costituzionali  cui  il  legislatore deve riferirsi nel prevedere una
 misura pur sempre incidente sulla liberta'  personale,  cioe'  su  un
 diritto inviolabile dell'uomo".