ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  114,  terzo
 comma,  del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
 il 28 giugno 1993 dal giudice per le indagini preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Siracusa  nel  procedimento penale a carico di Maiorca
 Carmelo ed altri, iscritta al n. 575 del registro  ordinanze  1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica, prima serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Siracusa   ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 114, terzo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,  in
 riferimento agli artt. 3, 21 e 76 della Costituzione.
    2.  -  Il giudice remittente riferisce che, nel caso sottoposto al
 suo  esame,  il  pubblico  ministero,  a  chiusura   delle   indagini
 preliminari,  ha  chiesto  l'archiviazione  del  procedimento  penale
 instaurato nei confronti  di  alcuni  indiziati  del  reato  previsto
 dall'art.  684 del codice penale (pubblicazione arbitraria di atti di
 un procedimento penale) in quanto  ritiene  che  gli  stessi  abbiano
 legittimamente esercitato il diritto-dovere di cronaca.
    Ma, ad avviso del G.I.P., poiche' l'avvenuta pubblicazione a mezzo
 stampa   di   alcuni   passi  di  registrazioni  telefoniche  integra
 un'ipotesi di "pubblicazione parziale" (vietata dall'art. 114,  terzo
 comma,  del codice di procedura penale, quando avvenga, come nel caso
 di specie, prima della sentenza di primo grado),  e'  preliminare  ad
 ogni statuizione di merito - ed assume per cio' stesso rilevanza - la
 verifica  della  legittimita'  costituzionale  della  norma,  essendo
 evidente l'inconfigurabilita' a  carico  degli  indiziati  del  reato
 previsto  dall'art.  684  del  codice  penale  qualora  il fatto loro
 ascritto non possa essere vietato dalla legge ordinaria.
    3. -  Ora,  prosegue  il  remittente,  a  fronte  del  divieto  di
 pubblicazione,  anche  parziale,  degli  atti  del  fascicolo  per il
 dibattimento (anteriormente alla sentenza di primo  grado),  l'ultimo
 comma  dello  stesso  art.  114  dispone che "e' sempre consentita la
 pubblicazione del contenuto di atti non coperti da segreto".
    Se quindi, espone il giudice a quo, la pubblicazione del contenuto
 degli atti del processo penale costituisce (con  il  solo  limite  di
 quelli   coperti   da   segreto)  un  fatto  non  soltanto  privo  di
 offensivita' ma, anzi, espressione di una funzione costituzionalmente
 garantita  dall'art.  21  della  Costituzione,  allora,   sussistendo
 fondamentali   connotati   di  parita',  eguale  dovrebbe  essere  il
 trattamento da riservare a quella pubblicazione  "parziale"  di  atti
 del  fascicolo per il dibattimento, la cui divulgazione a mezzo della
 stampa null'altro puo' aggiungere alla conoscenza derivabile  da  una
 esauriente notizia del loro contenuto.
    4. - La norma in esame, inoltre, risulterebbe anche non rispettosa
 della  legge  di  delega,  la  cui  direttiva n. 71, mentre impone il
 divieto di pubblicazione per gli atti coperti dal segreto e per altri
 atti  specificamente  indicati  (diversi  da  quelli   destinati   al
 fascicolo  per  il  dibattimento),  non  lo  prevede per gli atti del
 fascicolo per il dibattimentale.
    5. - Lo stesso criterio discretivo, infine, tra  l'illecito  e  il
 consentito,  in  quanto fondato sulla enunciazione di una distinzione
 concettuale ontologicamente incerta tra  "pubblicazione  parziale"  e
 "pubblicazione  del  contenuto"  di atti, non sembra al remittente un
 parametro ragionevole di distinzione; gli effetti della pubblicazione
 di una notizia, piu' che dal dato formale della divulgazione  di  una
 parte  dell'atto del processo che la documenta, possono scaturire - a
 suo avviso - dal suo intrinseco valore informativo e  da  circostanze
 specifiche.
    6.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.
    La difesa del Governo osserva che la direttiva n. 71  della  legge
 di  delega  non  esclude specificamente gli atti del fascicolo per il
 dibattimento ma semplicemente non li menziona; per cui, in base  alla
 costante  giurisprudenza della Corte, non puo' che concludersi che il
 legislatore delegato, pur tenuto conto del  necessario  rispetto  dei
 criteri   e   dei   principi   della   delega,  non  e'  sfornito  di
 discrezionalita' nel modo  di  esercizio  della  delegazione  e  che,
 quindi,   costituisce   legittimo  esercizio  di  tale  potere  anche
 l'estensione ad altri casi  della  disciplina  prevista  nella  legge
 delega  quando  sussista  l'eadem  ratio. Non vi sarebbe, poi, dubbio
 sulla esistenza della stessa ragione di legge che assiste  i  divieti
 temporanei  previsti  dalla  direttiva  n. 71, anche per gli atti del
 dibattimento prima della pronuncia del giudice  di  primo  grado:  le
 ragioni,     infatti,     non     sarebbero    solo    quelle    che,
 esemplificativamente, enuncia nella sua ordinanza il  remittente,  ma
 anche  altre  rivolte  ad  evitare  turbative alla fase decisoria del
 processo di primo grado.
    Ancor meno convincenti, ad avviso  dell'Avvocatura,  sarebbero  le
 ulteriori  censure  avanzate,  in riferimento agli artt. 3 e 21 della
 Costituzione, sotto il profilo  della  disparita'  di  trattamento  e
 della lesione della liberta' di stampa.
    Ben  nota  essendo  la  scelta legislativa del codice di procedura
 penale del 1988 in ordine alla distinzione tra contenuto dell'atto  e
 atto stesso, e la sensibile novita' apportata rispetto alla soluzione
 che  era  alla  base dell'art. 164 del codice di procedura penale del
 1930, ad avviso dell'Avvocatura il G.I.P.  di  Siracusa  censura  una
 soluzione  legislativa  in  termini che non appaiono ammissibili alla
 luce  degli  insegnamenti  della  Corte.  Si   dedurrebbe,   infatti,
 l'esistenza di una situazione di illegittimita' non dal confronto tra
 due  realta'  normativamente delineate, ma dalla comparazione tra una
 fattispecie che il legislatore ha considerato  (pubblicazione  di  un
 atto, riprodotto in tutto o in parte o richiamato testualmente) e una
 condotta (pubblicazione del contenuto dell'atto, lecita se effettuata
 nei termini evidenziati nell'ordinanza di rimessione) facendo leva su
 distorsioni  che derivano da aspetti patologici, che scaturiscono dal
 talento professionale di  certo  giornalismo  giudiziario  il  quale,
 attraverso   l'uso   sapiente  di  tecniche  narrative  e  di  idonei
 espedienti espositivi perviene talora a  risultati  al  limite  della
 liceita', per quanto attiene il divieto in esame.
    Il  constatato  rischio  di  una  diffusa  elusione del divieto di
 pubblicazione dell'atto attraverso una riproduzione attenta  del  suo
 contenuto  non sarebbe, in conclusione, ragione tale da rovesciare la
 validita' delle considerazioni espresse nella relazione  illustrativa
 al  progetto  preliminare del codice di procedura penale, quanto alla
 formazione del convincimento del giudice.
    Infine, l'Avvocatura sottolinea che la norma impugnata non  tutela
 solo  la genuinita' dell'opinione del giudicante ma, andando oltre le
 stesse iniziali intenzioni del legislatore, consente di prevenire che
 nel corso del giudizio la notizia processuale pubblicata acquisti  un
 anticipato ed inopportuno crisma di ufficialita'.
                        Considerato in diritto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Siracusa  solleva,  in  riferimento  agli  artt.  3,  21  e  76 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 114,
 terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui vieta
 la pubblicazione - anche parziale - degli atti del fascicolo  per  il
 dibattimento fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
    2.  -  Il  remittente,  dopo  aver premesso che a fronte del detto
 divieto l'ultimo comma del medesimo art. 114 dispone che  "e'  sempre
 consentita  la  pubblicazione  del  contenuto  di atti non coperti da
 segreto", ritiene che il  citato  terzo  comma,  oltre  a  porre  una
 irragionevole    ed    ontologicamente    incerta   distinzione   tra
 "pubblicazione di atti" (vietata) e "pubblicazione del  contenuto  di
 atti" (lecita), realizzi una ingiustificata disparita' di trattamento
 tra  due  situazioni sostanzialmente assimilabili, violi il principio
 della liberta' di stampa sancito dall'art. 21 della Costituzione,  e,
 infine,  si  ponga  in  contrasto  con la direttiva n. 71 dell'art. 2
 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81, la  quale  non  prevede
 alcun  divieto  di  pubblicazione  degli  atti  del  fascicolo per il
 dibattimento.
    3. - Sotto quest'ultimo ed  assorbente  profilo  la  questione  e'
 fondata.
    Nel   dare  riconoscimento  alle  esigenze  di  trasparenza  e  di
 controllo sociale sullo  svolgimento  della  vicenda  processuale,  e
 quindi   nel   contemperare   interessi  di  giustizia  ed  interessi
 dell'informazione  -  entrambi  costituzionalmente  rilevanti  -   il
 legislatore delegante ha operato una scelta ben precisa.
    I  primi due periodi della direttiva n. 71 delineano un sistema in
 cui "su tutti gli atti  compiuti  dalla  polizia  giudiziaria  e  dal
 pubblico ministero" e' posto sia l'obbligo del segreto che il divieto
 di  pubblicazione  fino  a  quando  i  medesimi  "non  possono essere
 conosciuti dall'imputato" (recte: indagato).
    Da questa chiara enunciazione puo' evincersi che, nell'intento del
 legislatore delegante, i limiti alla  divulgabilita'  degli  atti  di
 indagine  preliminare  si  collegano inequivocabilmente alle esigenze
 investigative,  operando  al  fine  di  scongiurare  ogni   possibile
 pregiudizio  alle indagini a causa di una anticipata conoscenza delle
 stesse da parte della persona indagata.
    Dal terzo periodo della citata direttiva puo' trarsi  la  conferma
 di  tale obiettivo nelle intenzioni del legislatore delegante; viene,
 infatti, riconosciuto al pubblico  ministero  l'ulteriore  potere  di
 vietare  "la  pubblicazione di atti non piu' coperti dal segreto ..",
 ma detto potere e' vincolato al  "tempo  strettamente  necessario  ad
 evitare pregiudizio per lo svolgimento delle stesse (indagini)").
    4.  - Cio' posto, e' evidente che tali divieti di divulgazione, in
 quanto funzionalmente riferiti alle indagini preliminari, non possono
 che essere  rivolti  agli  atti  nella  disponibilita'  del  pubblico
 ministero  per  l'ovvio  motivo  che  non  esiste un fascicolo per il
 dibattimento fintantoche' non si  sara'  deciso  se  il  dibattimento
 dovra'  o  meno  essere  celebrato.  Non  solo: in nessun punto della
 direttiva n. 71 e' contemplato un divieto di pubblicazione di  quanto
 contenuto  nel  fascicolo  per  il dibattimento; anzi, proprio ove la
 direttiva considera esplicitamente il meccanismo del doppio fascicolo
 (parte quarta), e' previsto un divieto di pubblicazione  per  i  soli
 "atti  depositati  a norma del numero 58", cioe' per quelli contenuti
 nel fascicolo del pubblico ministero.
    5.  - Gli stessi compilatori del codice riconoscono il riferimento
 esclusivo della  delega  al  fascicolo  del  pubblico  ministero  (v.
 Relazione  al  progetto  preliminare), ma osservano che soltanto alla
 fine delle indagini preliminari si ha la formazione del fascicolo del
 pubblico ministero, e che pertanto  "non  e'  facile,  ne'  opportuno
 operare  distinzioni rispetto al divieto di pubblicazione nell'ambito
 degli atti delle indagini preliminari".
    L'argomento ha scarso rilievo non solo perche' - come si e'  visto
 - la delega distingue, imponendo il divieto di pubblicazione soltanto
 sugli atti del fascicolo del pubblico ministero, ma, perche', in ogni
 caso,  puo'  valere  solamente  riguardo  alla  fase  delle  indagini
 preliminari, non certo per il dibattimento,  fase  durante  la  quale
 sono  ormai  esaurite  quelle  esigenze  di tutela delle indagini che
 giustificavano il divieto stesso.
    E infatti il protrarre il divieto di pubblicazione  del  fascicolo
 del pubblico ministero anche oltre il termine delle indagini, durante
 il dibattimento, ha, nei principi fondamentali dettati dalla legge di
 delega,  ben altro fondamento, in quanto e' funzionale ad evitare una
 distorsione delle regole dibattimentali, ove il giudice  formasse  il
 suo  convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti,
 ma  che,  in  mancanza  del  suddetto  divieto,  potrebbe   conoscere
 completamente   per   via   extraprocessuale   attraverso   i   mezzi
 d'informazione.
    6.  -  Ma  se  questa  e'  la  ratio  del  divieto  relativo  alla
 divulgabilita'  degli  atti  contenuti  nel  fascicolo  del  pubblico
 ministero, pur dopo che ne  e'  cessato  l'obbligo  del  segreto,  ne
 consegue  la  sua  totale  inapplicabilita'  a  quanto  contenuto nel
 fascicolo per il dibattimento, per definizione concernente  gli  atti
 che il giudice deve - invece - conoscere.
    Non si puo', evidentemente, sostenere che la pubblicabilita' di un
 atto viene esclusa per evitare che, attraverso mezzi di informazione,
 giunga  a conoscenza del giudice nel cui fascicolo processuale l'atto
 e' inserito.
    Come in dottrina e' stato  osservato,  se  si  considera  che  nel
 fascicolo  per  il dibattimento sono inseriti anche gli atti di prova
 non rinviabili, ed assunti nella fase predibattimentale ex  art.  467
 del  codice  di procedura penale, si arriva all'assurdo di un divieto
 di pubblicazione diretto ad evitare che il giudice  conosca  atti  da
 lui stesso compiuti.
    7.  -  In  conclusione:  in  raffronto  a quanto contemplato nella
 direttiva n. 71 della legge di delega,  il  legislatore  delegato  ha
 certamente  introdotto  al  terzo  comma  dell'art.  114 un ulteriore
 divieto (riferito al  fascicolo  per  il  dibattimento),  rispetto  a
 quello  relativo  al fascicolo del pubblico ministero. L'analiticita'
 con cui il delegante  ha  inteso  precisare  i  casi  di  divieto  di
 pubblicazione  degli  atti  - evidentemente indicativa del rifiuto di
 introdurne ulteriori, in rispetto del principio sancito dall'art.  21
 della   Costituzione  -  impedisce  che  in  sede  di  attuazione  il
 legislatore delegato possa pervenire a tale risultato, tanto piu' ove
 si consideri che le motivazioni addotte per  giustificarlo  (corretta
 formazione del convincimento del giudice) non possono ragionevolmente
 riferirsi alla pubblicazione di quanto contenuto nel fascicolo per il
 dibattimento,  concernente,  per definizione, gli atti che il giudice
 deve conoscere.
    Va  pertanto  dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 114, terzo comma, del codice di procedura penale nella parte  in  cui
 non  consente  la  pubblicazione  degli  atti  del  fascicolo  per il
 dibattimento anteriormente alla pronuncia  della  sentenza  di  primo
 grado.