ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, terzo comma,
 della  legge  31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro mafia), nel
 testo modificato dall'art.  22,  primo  comma,  del  decreto-legge  8
 giugno  1992,  n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura
 penale e  provvedimenti  di  contrasto  alla  criminalita'  mafiosa),
 convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 7 agosto 1992, n. 356,
 promosso con ordinanza emessa  il  12  luglio  1994  dalla  Corte  di
 appello  di  Napoli  nel  procedimento  di  prevenzione  a  carico di
 D'Alessandro Michele, iscritta al n. 727 del registro ordinanze  1994
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  costituzione  di  D'Alessandro  Michele  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7  febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi  l'avv.  Federico  De  Vita  per  D'Alessandro   Michele   e
 l'avvocato  dello  Stato Nicola Bruni per il Presidente del Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un  procedimento  di  prevenzione  in  grado  di
 appello,   instaurato   su   ricorso   dell'interessato   avverso  un
 provvedimento di modifica del luogo di soggiorno obbligato,  adottato
 a  norma  dell'art.  2, secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n.
 575, come modificato dall'art. 22, primo comma, del  decreto-legge  8
 giugno  1992,  n.  306  convertito,  con modificazioni, dalla legge 7
 agosto  1992,  n.  356  -  in  relazione  a  precedente  decreto   di
 sottoposizione   del   medesimo   interessato   alla   misura   della
 sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno,
 misura questa in corso di  esecuzione  alla  data  dell'ordinanza  di
 rinvio - la Corte d'appello di Napoli sollevava, con ordinanza del 15
 giugno  1993, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  terzo  comma,
 della  citata legge n. 575 del 1965: detta norma stabiliva che "Sulla
 richiesta di cui al  secondo  comma,  (e  cioe'  sulla  richiesta  di
 modifica  del  luogo di soggiorno, da quello della residenza ad altro
 idoneo, in presenza di eccezionali esigenze di tutela sociale  ovvero
 di  tutela  dell'incolumita'  dell'interessato) e su quella di cui al
 secondo comma, dell'art. 7 della legge 27 dicembre 1956, n.  1423,  e
 successive  modificazioni,  il tribunale provvede entro dieci giorni,
 fermo restando quanto disposto dall'art. 6 della  predetta  legge  n.
 1423".
   2.  -  Nel  sollevare  la  questione,  la Corte d'appello di Napoli
 premetteva che il provvedimento sottoposto al suo controllo era stato
 adottato dal tribunale con procedura de plano in camera di consiglio,
 e che con l'appello proposto l'interessato  lamentava,  tra  l'altro,
 l'adozione  del  citato  provvedimento  senza contraddittorio e senza
 garanzie difensive.
    3. - Cio' premesso, il rimettente  si  soffermava  a  lungo  sulla
 ammissibilita'  dell'impugnazione  del provvedimento modificativo del
 luogo di soggiorno mediante appello -  anziche',  come  eccepito  dal
 pubblico   ministero,   mediante  ricorso  per  Cassazione  ai  sensi
 dell'art. 111 della Costituzione - e dunque sulla propria competenza.
    Argomentando  sia  in base al profilo della necessita' di adeguate
 valutazioni nell'ambito della rideterminazione del luogo di soggiorno
 alla stregua del criterio normativo della  presenza  di  "eccezionali
 esigenze"  di  tutela sociale o, per converso, di tutela individuale,
 sia in base al rilievo della  connotazione  maggiormente  afflittiva,
 per  il  prevenuto,  della  modifica  in  parola,  il  giudice  a quo
 perveniva, in  sintesi,  all'affermazione  della  appellabilita'  del
 provvedimento,   come  da  regola  generale  in  tema  di  misure  di
 prevenzione ex art. 4 della legge n. 1423 del 1956, la cui disciplina
 implica   il   doppio   grado    di    giurisdizione    di    merito.
 Un'appellabilita',  peraltro,  limitata  all'  an  della  statuizione
 modificativa del luogo di  soggiorno  obbligato,  e  non  anche  alla
 scelta della concreta localita', demandata dalla legge (" ..localita'
 specificamente   indicata   dal  questore  ..")  alla  determinazione
 dell'autorita' di polizia, sulla base del  generico  e  insindacabile
 criterio delle " ..idonee caratteristiche territoriali e di sicurezza
 ..".
    4.  -  Osservava  quindi  il  giudice  a  quo  che  l'adozione del
 provvedimento con la procedura c.d. de plano da parte del  tribunale,
 solo  sulla base dell'impulso concorde del questore e del procuratore
 nazionale antimafia, senza avvisi all'interessato o ai suoi difensori
 ne' intervento del pubblico ministero, risultava conforme al disposto
 del terzo comma,  dell'art.  2  della  legge  n.  575  del  1965;  ma
 l'estrema  brevita'  del  termine  (dieci  giorni)  accordato  per la
 decisione, e l'omesso richiamo all'art. 4, quinto comma, della  legge
 n.  1423  del  1956 (ovverosia alla norma che prevede il ricorso alle
 forme del contraddittorio previste per l'applicazione delle misure di
 sicurezza nel codice di rito penale)  escludevano,  ad  avviso  della
 Corte   rimettente,   l'applicabilita'  delle  ordinarie  regole  del
 contraddittorio,   in   considerazione   della    particolarita'    e
 dell'urgenza  di  questa  categoria  di  provvedimenti e dei relativi
 procedimenti.
    5. - D'altra parte, il rimettente non riteneva  di  pervenire,  in
 questa  prospettiva, ad una interpretazione diversa della norma, tale
 da implicare  la  necessita'  del  contraddittorio,  perche':  a)  il
 silenzio  serbato sul punto dal legislatore era indicativo, posto che
 ad altri fini la legge n. 1423 del  1956  era  richiamata  nel  corpo
 della  stessa  norma impugnata; b) il termine di dieci giorni rendeva
 in concreto inattuabile il contraddittorio, specie  con  riguardo  al
 prevenuto;  c)  il  termine  stesso era comunque incompatibile con la
 disciplina  codicistica  in  materia  di  misure  di  sicurezza  (che
 rappresenta il modulo processuale in materia, in virtu' del rinvio ai
 sensi dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956), dato che l'art. 666,
 terzo  comma,  del vigente codice di procedura penale stabilisce, tra
 l'altro, che l'avviso della data fissata per l'udienza in  camera  di
 consiglio  debba  essere  notificato alla parte e al difensore almeno
 dieci giorni prima della stessa.
    Ne' potevano incidere sulla soluzione del problema le  statuizioni
 della     Corte     costituzionale     in     ordine    alla    piena
 giurisdizionalizzazione  del  procedimento  di  prevenzione,  con  la
 correlativa applicazione dei principi del contraddittorio, poiche' le
 sentenze della Corte - di cui il giudice a quo ricordava la n. 53 del
 1968  e  la  n.  76  del 1970 - non si rivolgono al futuro, assumendo
 portata   caducatoria   solo   delle   norme   anteriori   dichiarate
 illegittime.
    6. - Tutto cio' premesso, la Corte d'appello di Napoli sottoponeva
 a scrutinio di costituzionalita' il citato art. 2, terzo comma, della
 legge  n.  575  del  1965,  come  sopra  interpretato, deducendone il
 contrasto: a) con l'art. 24, secondo comma, della  Costituzione,  per
 lesione del diritto di difesa, avendo il legislatore modellato questo
 specifico  procedimento  senza  partecipazione  dell'interessato, ne'
 intervento  del  difensore,  cosi'  sottraendo  un  intero  grado  di
 giudizio  all'interessato stesso; b) con l'art. 3 della Costituzione,
 giacche' il censurato procedimento  senza  contraddittorio  risultava
 applicabile  solo  nell'ipotesi  in  cui la richiesta di modifica del
 luogo di soggiorno venisse avanzata successivamente alla applicazione
 della  misura  di   prevenzione   personale,   laddove,   quando   le
 "eccezionali  esigenze"  cui  aveva  riguardo la norma fossero emerse
 contestualmente   alla   originaria   proposta   che   da'    l'avvio
 all'ordinario   procedimento   per  l'applicazione  della  misura  di
 prevenzione della sorveglianza speciale, risultava, per cio'  stesso,
 applicabile  il  comune  rito di cui alla legge n. 1423 del 1956, con
 tutte le conseguenti garanzie di contraddittorio e difesa.
    7. - Nel  giudizio  cosi'  instaurato  (r.o.  n.  610  del  1993),
 spiegava   intervento  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che
 rilevava la sopravvenienza di nuova normativa (art. 1, secondo comma,
 della  legge  n. 256 del 1993, abrogativa dei commi 2 e 3 dell'art. 2
 impugnato), e concludeva per il riesame della rilevanza da parte  del
 giudice rimettente.
   8.  -  Con  ordinanza  n.  130  del 1994, questa Corte disponeva la
 restituzione degli atti al giudice a quo per  un  nuovo  esame  della
 rilevanza  della  questione  alla  luce  del  mutato quadro normativo
 costituito dalla legge 24 luglio 1993, n. 256; una nuova  disciplina,
 questa,   avente   l'obiettivo   di   ricondurre   in   via  generale
 l'applicazione del soggiorno obbligato al luogo di residenza o dimora
 abituale  del  prevenuto,  con  l'espressa  abrogazione  della  norma
 impugnata  nonche'  del secondo comma, dell'art. 2 della legge n. 575
 del 1965 (e cioe' delle norme regolatrici sia del  provvedimento  che
 del  procedimento  in  discorso),  e  che  stabiliva altresi', per le
 situazioni di applicazione della misura dell'obbligo di soggiorno  in
 luogo  diverso  da  quello  di  residenza  o dimora abituale, in atto
 all'entrata in vigore della legge stessa, la modificazione ex lege di
 detta individuazione.
    9. - Con ordinanza del 12 luglio 1994 (r.o. n. 727 del  1994),  la
 Corte  d'appello  di  Napoli  ha rimesso nuovamente a questa Corte il
 giudizio  sulla  legittimita'   costituzionale   della   norma   gia'
 impugnata,  secondo  gli  stessi  profili  e in relazione ai medesimi
 parametri  dedotti  nella  prima  ordinanza  di  rimessione,  cui  la
 successiva fa sostanzialmente rinvio.
    10.  - Nel riproporre la questione, la Corte d'appello osserva che
 il mutamento del quadro normativo ad essa riferito  non  ne  comporta
 l'irrilevanza.  La  Corte  rimettente  sottolinea  in particolare che
 l'interessato, nel proporre il gravame avverso  il  provvedimento  in
 tema  di  luogo  di  soggiorno,  non  si  era limitato a censurare il
 contenuto  dispositivo  del  provvedimento  e   cioe'   la   concreta
 fissazione  del  luogo  di  soggiorno  in ambito diverso da quello di
 residenza, ma aveva altresi' e preliminarmente dedotto il  vizio  del
 procedimento,   per   omessa   instaurazione   del   contraddittorio;
 dall'eventuale   accoglimento   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  sarebbe  dunque  derivata  -  e  deriverebbe   -   la
 dichiarazione  di  nullita'  assoluta ed insanabile del provvedimento
 (artt. 178 e 179 c.p.p.) e del procedimento ad esso finalizzato.
    Non puo' dunque ritenersi - nonostante la modifica  legislativa  -
 che  sussista  un  interesse esclusivamente "morale" dell'appellante,
 tanto piu' in quanto nel frattempo (e precisamente  dopo  l'ordinanza
 di  restituzione  degli  atti  da  parte  della Corte costituzionale)
 l'interessato ha riportato condanna, per il reato  di  inottemperanza
 al  provvedimento  preventivo  appellato,  alla  pena  di  tre anni e
 quattro mesi di reclusione.
    La pendenza del giudizio penale determina - prosegue il giudice  a
 quo  -  la  concretezza  dell'interesse del prevenuto ad ottenere una
 declaratoria  di  invalidita'  del  provvedimento  di  modifica   del
 soggiorno  obbligato,  e dunque rafforza la rilevanza della questione
 sollevata, "non esclusa dall'analoga rilevanza in sede penale",  sede
 in  cui,  ad  avviso del rimettente, il giudice penale avrebbe dovuto
 sospendere il processo in  attesa  della  definizione  di  quello  di
 prevenzione, ritenuto pregiudiziale rispetto a quello penale.
    11.  -  E' intervenuto nel giudizio cosi' riproposto il Presidente
 del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato, che nell'atto di intervento ha fatto richiamo
 all'atto  depositato  nel  precedente  giudizio,  deducendo  pertanto
 l'incidenza dello ius superveniens gia' sopra richiamato.
    Si  e' altresi' costituita la parte privata del giudizio a quo, il
 cui patrocinio ha presentato deduzioni a  sostegno  dell'accoglimento
 della questione, in base ai principi di piena giurisdizionalizzazione
 del  processo  di  prevenzione  e di diritto al pieno esercizio della
 difesa e al contraddittorio  nell'ambito  di  detto  processo,  quali
 affermati dalla giurisprudenza costituzionale nella materia; principi
 che   risultano  violati  dalla  norma  impugnata,  che  consente  un
 aggravamento della posizione dell'interessato senza che gli sia  data
 notizia dell'iniziativa e senza metterlo in condizione di difendersi,
 personalmente ovvero con l'assistenza tecnica del difensore.
    12.   -   Alla   pubblica   udienza,   l'Avvocatura   erariale  ha
 ulteriormente insistito per una declaratoria di inammissibilita'  per
 irrilevanza   della   questione;   mentre  la  parte  privata  ne  ha
 sollecitato l'accoglimento.
                        Considerato in diritto
   1. - E' stata sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2,  terzo  comma,  della  legge  31  maggio  1965,  n. 575
 (Disposizioni contro la mafia), nel testo  modificato  dall'art.  22,
 primo comma, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
 modificazioni,  dalla  legge  7  agosto  1992,  n. 356. Ad avviso del
 giudice a quo la norma impugnata, in quanto si limita a stabilire che
 sulla  richiesta  di  modifica  del  luogo  di  soggiorno   obbligato
 formulata  ai  sensi  del  secondo comma, dello stesso art. 2, da una
 delle autorita' e in presenza dei presupposti ivi indicati  (e  cioe'
 dal   procuratore   nazionale  antimafia,  o  dal  procuratore  della
 Repubblica, o dal questore, quando ricorrono "eccezionali esigenze di
 tutela  sociale  o   di   tutela   dell'incolumita'   della   persona
 interessata"),  il  tribunale  adito  debba  provvedere  "entro dieci
 giorni", senza disporre alcunche' in  merito  al  procedimento  e  in
 particolare  alle  garanzie  difensive  da  osservare, si porrebbe in
 contrasto:  a)  con  l'art.  24,  secondo  comma, della Costituzione,
 perche', consentendo l'adozione di un provvedimento avente  connotati
 di   maggiore  afflittivita'  con  procedura  c.d.  de  plano,  senza
 partecipazione dell'interessato o di un suo difensore, risulta lesiva
 del diritto inviolabile alla difesa,  e  sottrae  all'interessato  un
 grado  del  giudizio;  b)  con  l'art.  3 della Costituzione, perche'
 l'accennata procedura risulta applicabile solo nel  caso  in  cui  la
 richiesta   di  variazione  del  luogo  di  soggiorno  obbligato  sia
 formulata in corso di esecuzione  della  misura  di  prevenzione  cui
 accede, determinandosi un'ingiustificata disparita' di trattamento di
 tale  situazione  nel  raffronto con l'ipotesi in cui la richiesta di
 "eccezionale" individuazione del luogo di soggiorno -  in  deroga  al
 criterio  ordinario  della residenza o dimora abituale del proposto -
 sia   contestuale   all'avvio   dell'ordinario    procedimento    per
 l'applicazione  della  sorveglianza  speciale  di pubblica sicurezza,
 poiche' in  quest'ultimo  caso  risultano  applicabili  le  ordinarie
 regole del contraddittorio, secondo la disciplina della legge n. 1423
 del 1956.
    2.  -  Deve  essere  disattesa l'eccezione di inammissibilita' per
 difetto  di  rilevanza  della  questione,  sollevata  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato sia sotto il profilo della incidenza dello ius
 superveniens, costituito dalla legge 24 luglio 1993, n. 256,  che  ha
 abrogato  la  norma  impugnata  ed  eliminato ogni deroga al criterio
 della residenza o dimora abituale nella determinazione del  luogo  di
 soggiorno   obbligato,  sia  sotto  il  profilo  -  sviluppato  nella
 discussione  in  pubblica  udienza  -  della   proponibilita'   della
 questione medesima solo da parte del giudice penale; assunto, questo,
 formulato  in  relazione al reato di allontanamento abusivo dal luogo
 di soggiorno obbligato per il quale l'interessato del giudizio a  quo
 ha riportato condanna, come riferito nell'ordinanza di rinvio.
    La  Corte d'appello rimettente ha riproposto la questione, dopo la
 restituzione degli atti disposta da questa Corte  (ord.  n.  130  del
 1994)  con  riguardo  a precedente identica questione sollevata dallo
 stesso giudice, ritenendo di dover fare  tuttora  applicazione  della
 norma  processuale  impugnata,  nonostante  la  sua abrogazione, onde
 poter deliberare sull'appello proposto, ed ha altresi' specificamente
 argomentato in ordine alla persistenza di un interesse non  solamente
 "morale"  del  prevenuto  alla  pronuncia  medesima,  sul piano della
 declaratoria giudiziale di  radicale  invalidita'  del  provvedimento
 adottato dal tribunale.
    Tali  argomentazioni sono sorrette da motivazioni non implausibili
 e risultano percio' sufficienti a dare  ingresso  alla  questione  di
 legittimita' costituzionale, non offrendo ragioni di evidente censura
 dell'iter  logico  sviluppato  dal giudice a quo, secondo l'indirizzo
 ripetutamente  espresso  da  questa  Corte  in  tema   di   controllo
 sull'ammissibilita'  dell'incidente  di costituzionalita' (da ultimo,
 ex plurimis, sentt. nn. 173 e 149 del 1994; 416 e 345 del 1993).
    3. - I dubbi  di  costituzionalita'  sono  formulati  dal  giudice
 rimettente  sul presupposto che la disposizione denunciata escluda il
 ricorso  al  contraddittorio,  e  preveda   dunque   l'adozione   del
 provvedimento  del tribunale con procedura camerale (de plano), sulla
 base della sola richiesta di una delle autorita' a cio'  legittimate,
 senza  avviso all'interessato ne' al difensore di questi. L'enunciata
 interpretazione fa leva in primo luogo sulla esiguita' del termine di
 dieci  giorni  previsto  per  la  decisione,  non  compatibile con la
 disciplina in tema di applicazione di misure  di  sicurezza,  che  in
 materia  costituisce  il paradigma processuale (art. 4, ultimo comma,
 della legge n. 1423 del 1956); essa si basa, altresi', sul  dato  del
 mancato  richiamo  della disciplina-base nel contesto della norma che
 pure, ad altri fini, menziona la  citata  legge  n.  1423  del  1956;
 infine, l'interpretazione della Corte rimettente valorizza le ragioni
 della disciplina, introdotta dal legislatore in vista di obiettivi di
 salvaguardia  di  "eccezionali  esigenze" di prevenzione sociale o di
 tutela individuale e pertanto indifferente,  in  questa  prospettiva,
 alle  esigenze  di garanzia del diritto di difesa del sottoposto alla
 misura.
    4. - La questione non e' fondata, nei sensi di seguito esposti.
    Come si e' rilevato, il giudice rimettente nel porre la  questione
 muove da un'interpretazione della disposizione denunciata che conduce
 all'affermazione   della  sua  illegittimita'  costituzionale,  senza
 avvertire che la disposizione stessa offre  la  possibilita'  di  una
 interpretazione  adeguatrice, idonea a renderla aderente ai parametri
 costituzionali altrimenti vulnerati.
    Nella specie, quest'ultima interpretazione  e'  stata  di  recente
 fatta  propria  dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass.
 sez. V, 25 ottobre 1993, n. 3311), successiva alla prima ordinanza di
 rinvio e della quale il giudice  a  quo  non  tiene  conto  ancorche'
 anteriore  alla  seconda  ordinanza  di  rinvio  che ha dato luogo al
 presente giudizio.
   Muovendo dalla oramai acquisita configurazione giurisdizionale  del
 procedimento   di   prevenzione,  che  impone  in  via  di  principio
 l'osservanza delle regole coessenziali al giudizio in senso  proprio,
 anche  in  difetto  di un esplicito richiamo normativo all'interno di
 ogni singolo intervento legislativo nel settore (come e' reso palese,
 ad esempio, dalla sicura osservanza delle regole del  contraddittorio
 in  sede  di procedimento di revoca o modifica della misura ex art. 7
 della legge n. 1423  del  1956,  pur  nel  silenzio  di  quest'ultima
 norma),  detto indirizzo giurisprudenziale rende priva di consistenza
 l'argomentazione del rimettente, che si incentra sul dato del mancato
 richiamo  della  disciplina  comune  nel  corpo  della   disposizione
 impugnata;  la  quale  ultima,  anzi, accomuna, significativamente, i
 provvedimenti di modifica adottati sulla richiesta di cui al  secondo
 comma,  dello  stesso  art.  2  e su "quella di cui al secondo comma,
 dell'art. 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423", per  entrambe  le
 ipotesi statuendo lo stesso termine finale di decisione: se le regole
 del  contraddittorio  valgono  nel  secondo caso, a maggior ragione -
 attesa  l'incidenza  della  misura  sulla  liberta'  individuale  del
 destinatario - debbono valere nel primo.
    La  soluzione  cosi'  ipotizzata  dalla  richiamata giurisprudenza
 della  Cassazione   mira   proprio   ad   escludere   l'irragionevole
 diversificazione  di  disciplina  tra  la situazione di una richiesta
 contestuale alla  proposta  di  impulso  dell'intero  procedimento  e
 quella  -  verificatasi  nel  giudizio  a  quo  -  di  una  richiesta
 successiva,  formulata  in  corso  di  applicazione  di  misura  gia'
 irrogata;  una conseguenza, come si vede, non inevitabile e semmai da
 risolversi ermeneuticamente in  un  ulteriore  argomento  a  sostegno
 dell'interpretazione adeguatrice.
    Non  e' infine di ostacolo al collocamento della norma nel sistema
 ordinario del processo di prevenzione, il fatto che il breve  termine
 di  dieci giorni per la decisione sia incompatibile con la disciplina
 cui occorre fare riferimento, e  segnatamente  con  il  rispetto  del
 termine  dilatorio  di "almeno dieci giorni" stabilito dall'art. 666,
 terzo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,  per  la  notifica
 all'interessato e per la comunicazione al suo difensore dell'invito a
 comparire dinanzi al collegio in camera di consiglio.
    Anche qui tale indubbia disarmonia puo' risolversi, secondo quanto
 afferma  la  piu'  volte  richiamata  giurisprudenza, nel senso della
 cedevolezza  del  rispetto  del  termine  stabilito  ai  fini   della
 decisione,  termine  del  resto  insuscettibile  di essere rispettato
 anche nell'ipotesi, assunta a tertium comparationis, della  richiesta
 coeva  all'avvio  del  procedimento  e  comunque  avente carattere di
 termine ordinatorio, al pari degli altri previsti nell'art.  4  della
 legge n. 1423 del 1956.
    5. - L'interpretazione sopra delineata risulta, nel suo complesso,
 idonea   ad   evitare   il   lamentato   contrasto   con  i  principi
 costituzionali invocati, per cui e' muovendo da essa che,  nei  sensi
 esposti, la questione sollevata deve essere dichiarata non fondata.