ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 20 della legge 7
 gennaio  1929,  n.  4  (Norme  generali  per  la  repressione   delle
 violazioni delle leggi finanziarie), promossi con ordinanze emesse il
 29  marzo e il 14 aprile 1994 dal Pretore di Catania nel procedimento
 penale a carico di Mouduch Mohamed e di D'Amico  Luigi,  iscritta  ai
 nn. 347 e 352 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  25  e  26,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di due  procedimenti  penali  a  carico  di  Mohamed
 Mouduch e D'Amico Luigi, imputati del delitto previsto e punito dagli
 artt.  25, 282, 301 e 304 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 per avere
 commesso il reato di contrabbando di  tabacchi  lavorati  esteri,  il
 Pretore  di  Catania  con  due  ordinanze  di  identico  contenuto ha
 sollevato,  in  riferimento  all'art.  25,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 20
 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per  la  repressione
 delle violazioni delle leggi finanziarie), nella parte in cui prevede
 che  le  disposizioni  penali delle leggi finanziarie si applicano ai
 fatti connessi durante la  loro  vigenza  ancorche'  le  disposizioni
 medesime  siano state successivamente abrogate o modificate. In punto
 di rilevanza il giudice a quo osserva che agli imputati e' addebitato
 il fatto di avere commesso il reato di contrabbando di Kg 1,14 e  1,6
 di   tabacchi   lavorati   esteri;   per   tale   condotta  ai  sensi
 dell'impugnato art. 20 della legge n. 4 del 1929 dovrebbe  applicarsi
 la  multa  prevista  dall'art.  282 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43
 nonostante che tale norma sia stata modificata, in  epoca  successiva
 al  momento del commesso reato, dalla legge 28 dicembre 1993, n. 562,
 che non prevede piu' come reato le violazioni  finanziarie  punite  -
 come  quelle  di specie - con la sola multa, e dalla legge 18 gennaio
 1994,  n.  50,  in  base  alla  quale  costituisce  reato   solo   il
 contrabbando di tabacchi lavorati esteri in quantita' superiore ai 15
 Kg.  Nel  merito, l'Autorita' rimettente premette che il principio di
 legalita' espresso nell'art. 25, secondo comma,  della  Costituzione,
 ai sensi del quale "nessuno puo' essere punito se non in forza di una
 legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso", deve esser
 interpretato  nel  senso  di ricomprendervi anche il principio di non
 ultrattivita'; in altre parole, se nessuno puo' essere punito se  non
 in forza di una legge, allo stesso modo, nessuno potra' essere punito
 se  la  legge  non e' piu' in vigore, indipendentemente dal fatto che
 essa sia stata abrogata o non sia mai esistita.
    Il principio della non ultrattivita' dovrebbe  pertanto  ritenersi
 intrinseco  al  principio  di  legalita',  e di conseguenza l'art. 20
 della legge n. 4 del 1929, con il prevedere che le disposizioni delle
 leggi penali finanziarie si applicano ai fatti  commessi  durante  la
 loro  vigenza ancorche' le disposizioni medesime siano state abrogate
 o modificate, si porrebbe in contrasto con l'art. 25, secondo  comma,
 della Costituzione cosi' come interpretato.
    2.  -  Nel giudizio avanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 Generale  dello Stato concludendo per la manifesta infondatezza della
 questione.
    Ha osservato la difesa erariale  che  l'art.  25,  secondo  comma,
 della  Costituzione  pone  soltanto  il  divieto  della  legge penale
 retroattiva ma non prescrive affatto, conformemente  all'insegnamento
 dato   dalla   Corte   costituzionale   in   numerose   pronunce,  la
 retroattivita' delle leggi sopravvenute piu' favorevoli al reo.
                        Considerato in diritto
   1. - Il giudice a  quo  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la
 repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), nella parte in
 cui prevede che le disposizioni delle  leggi  penali  finanziarie  si
 applicano  ai  fatti  commessi  durante  la loro vigenza ancorche' le
 disposizioni medesime siano state, successivamente alla  consumazione
 del reato, abrogate o modificate.
    A  parere  del  rimettente tale previsione (pur ritenuta da questa
 Corte costituzionalmente legittima con riguardo all'art. 3 sarebbe in
 contrasto con  l'art.  25,  secondo  comma,  della  Costituzione  dal
 momento  che nel principio di legalita' deve ritenersi compreso anche
 quello della non ultrattivita' della legge; e cio' in quanto, poiche'
 ai sensi della norma costituzionale richiamata "nessuno  puo'  essere
 punito  se  non  in  forza di una legge", allo stesso modo non potra'
 farsi luogo all'irrogazione della pena se la legge  non  e'  piu'  in
 vigore,  indipendentemente  dal  fatto  che  essa  sia stata abrogata
 ovvero non sia mai esistita.
    2. - La questione non e' fondata.
    L'impugnato art. 20 della legge n. 4 del 1929 sancisce in tema  di
 successione  di  leggi  penali  tributarie  il  principio  della c.d.
 ultrattivita', ai sensi del quale  si  applica  sempre  la  legge  in
 vigore  al momento del fatto, anche se essa sia stata successivamente
 abrogata o modificata.
    Tale   principio   rappresenta   una   deroga   a   quello   della
 retroattivita' della legge piu' favorevole al reo  stabilito  per  le
 leggi penali comuni dall'art. 2, terzo comma, del codice penale.
    Tuttavia,   affinche'   possa  ritenersi  vulnerato  il  parametro
 costituzionale invocato, e' necessario dimostrare che la regola della
 retroattivita' della legge penale favorevole  sia  stata  elevata  al
 rango di principio costituzionale.
    Dalla  lettura  dell'art.  25,  secondo comma, della Costituzione,
 emerge, al contrario, che solo il  principio  della  irretroattivita'
 della    legge    penale   incriminatrice   ha   acquistato   valenza
 costituzionale ma non quello della retroattivita'  della  legge  piu'
 favorevole  al  reo.  Da cio' consegue che, come deve essere ritenuto
 conforme al richiamato disposto  costituzionale  il  principio  della
 retroattivita'   della  disposizione  piu'  favorevole,  alla  stessa
 conclusione dovra' pervenirsi in ordine alla  legge  che  preveda  la
 irretroattivita' delle norme favorevoli.
    In  altri  termini,  in  tema di successione nel tempo della legge
 penale, il legislatore ordinario e' vincolato solo al principio della
 irretroattivita' della legge incriminatrice. Con particolare riguardo
 alla ultrattivita' delle disposizioni penali delle leggi  finanziarie
 relative  ai  tributi  dello  Stato,  sancita dall'impugnato art. 20,
 questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che essa  non  contrasta
 con  il  principio  costituzionale  dell'art.  3,  e tanto meno, deve
 essere  ora  ribadito,  con   l'art.   25,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  poiche'  tale  norma  impone  solo  il  divieto  della
 retroattivita' di nuove norme incriminatrici (fra le molte,  sentenza
 n. 6 del 1978, ordinanze nn. 158 e 134 del 1977 e sentenza n. 164 del
 1974).
    Ne',  infine,  puo'  essere condivisa l'affermazione del giudice a
 quo secondo cui, di fronte al principio di legalita', e' indifferente
 che la legge non sia mai esistita o sia  stata  invece  abrogata,  in
 quanto l'abrogazione presuppone l'esistenza e vigenza di una legge ed
 opera inoltre con effetto ex nunc e non ex tunc.