ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), come modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256, e degli artt. 3, terzo comma, e 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), promosso con ordinanza emessa il 17 maggio 1994 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento di prevenzione a carico di Zagaria Vincenzo, iscritta al n. 362 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello. Ritenuto che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, adi'to su richiesta di modifica del luogo di soggiorno obbligato formulata da persona gia' sottoposta con precedente decreto del medesimo giudice alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, ha sollevato, con ordinanza del 17 maggio 1994, questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 - come modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256 - e degli artt. 3, terzo comma e 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento agli articoli 1, primo comma, 4, 24, 27, secondo comma e 111 della Costituzione; che il giudice rimettente muove dal rilievo per cui, dopo le modifiche apportate dalla richiamata legge n. 256 del 1993, la disciplina della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza consente di disporre ed applicare l'obbligo di soggiorno - nei casi in cui le altre misure non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica - esclusivamente nel comune di residenza o dimora abituale, e non anche in altra localita'; che secondo il rimettente l'impossibilita' di rideterminare il luogo di applicazione dell'obbligo di soggiorno in comune diverso da quello previsto dalla denunciata normativa, anche quando la relativa richiesta sia formulata dal prevenuto - come nel caso - in base all'esigenza di svolgere altrove una attivita' lavorativa, si porrebbe in contrasto: a) con l'articolo 1, primo comma, della Costituzione, per ingiustificata violazione del principio lavoristico che e' fondamento primario della Repubblica; b) con l'art. 4 della Costituzione, per violazione del principio di promozione del diritto al lavoro; c) con gli articoli 24 e 111 della Costituzione, essendo precluso il diritto ad una risposta giurisdizionale, adeguatamente motivata, sulla richiesta (formulata del resto in ossequio alla prescrizione di "darsi alla ricerca di un lavoro" prevista dall'art. 5 della legge n. 1423 del 1956) dell'interessato; d) con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, risultandone negato il diritto al lavoro a persona non gia' condannata - e dunque riconosciuta "colpevole" - ma solo ritenuta socialmente pericolosa; che, conclude il rimettente, per ovviare agli esposti profili di illegittimita' costituzionale, dovrebbe essere consentito al giudice di individuare il luogo di soggiorno obbligato in un comune anche diverso da quello della residenza del proposto, sia pure esercitando la scelta secondo criteri di estrema prudenza, derogando alla regola generale in presenza di casi eccezionali, quale sarebbe da ritenere quello in esame; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere - attraverso richiamo ad altro atto di intervento, riferito a diverso problema - che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata. Considerato che il giudizio, nel corso del quale e' stata sollevata la questione, si configura quale procedimento di modifica di precedente provvedimento applicativo della misura di prevenzione, a norma dell'art. 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come e' reso manifesto dal fatto che il giudice rimettente e' lo stesso organo giudiziario che in detta norma e' individuato come competente al riguardo, e cioe' e' l'organo che ha emanato il provvedimento, nonche', ulteriormente, dal fatto che la denuncia di illegittimita' costituzionale investe anche la norma in argomento; che il procedimento di modifica - o revoca - della misura gia' disposta e in corso di applicazione, instaurato in base all'art. 7 citato, e', secondo costante giurisprudenza, di natura esecutiva e presuppone necessariamente la definitivita' del provvedimento che ne e' oggetto e dunque l'esaurimento o il mancato esperimento dei mezzi di impugnazione; che, come risulta espressamente dall'ordinanza di rinvio, il provvedimento applicativo della misura di prevenzione e' stato appellato dalla persona ad essa sottoposta, per cui, alla stregua del principio sopra ricordato, il tribunale rimettente risulta essere un organo evidentemente privo di poteri decisori, e la questione sollevata deve percio' essere dichiarata manifestamente inammissibile, in conformita' al consolidato orientamento di questa Corte (ordd. n. 120 del 1993, n. 59 del 1990, n. 157 del 1989, n. 234 del 1987), anche in quanto la questione stessa attiene al momento esecutivo e dunque a fase non ancora attuale del procedimento (da ultimo, sent. n. 242 del 1994); Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;