ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 4 e 5 del
 disegno di legge n. 650, approvato il  4  marzo  1994  dall'assemblea
 regionale  siciliana  (modifiche  ed  integrazioni della legislazione
 regionale in materia di lavori pubblici. Agevolazioni per il  settore
 della  pesca e disposizioni in materia finanziaria) e dell'art. 1 del
 disegno  di  legge  n.  684-370,  approvato   il   10   maggio   1994
 dall'Assemblea regionale siciliana (Integrazioni alle leggi regionali
 1  agosto  1974,  n.  31  e 27 dicembre 1978, n. 70 e interpretazione
 autentica dell'art. 9 della legge regionale 7  agosto  1990,  n.  25,
 concernenti  la  pesca),  promossi  con ricorsi del commissario dello
 Stato per la Regione  siciliana,  notificati  rispettivamente  il  12
 marzo e il 17 maggio 1994, depositati in cancelleria il 21 marzo e il
 23 maggio 1994 ed iscritti ai nn. 29 e 43 del registro ricorsi 1994;
    Visti gli atti di costituzione della Regione siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7  febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi l'Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli, per il ricorrente,
 e gli avv.ti Francesco Torre e  Francesco  Castaldi  per  la  Regione
 siciliana  in  relazione  al  ricorso  iscritto al n. 29 del registro
 ricorsi 1994, e gli avv.ti Giovanni Pitruzzella e Francesco  Castaldi
 per  la  Regione  siciliana in relazione al ricorso iscritto al n. 43
 del registro ricorsi 1994.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con il ricorso n. 29 del 1994 il commissario dello  Stato  ha
 impugnato  gli  artt.  4  e  5  della  delibera legislativa regionale
 approvata  dall'Assemblea  regionale  siciliana  il  4   marzo   1994
 (Modifiche ed integrazioni della legislazione regionale in materia di
 lavori   pubblici.   Agevolazioni   per  il  settore  della  pesca  e
 disposizioni in materia  finanziaria),  in  riferimento  all'art.  12
 dello  Statuto speciale per la Sicilia e agli artt. 3, 97 e 103 della
 Costituzione.
    Il commissario dello Stato rileva un  vizio  in  procedendo  nella
 approvazione  degli  artt.  4  e  5 della legge sopra citata, essendo
 mancato il parere della commissione competente, previsto dall'art. 12
 dello Statuto speciale per la Sicilia. L'esame del  vizio  denunciato
 non  sarebbe  precluso alla Corte dalla giurisprudenza che afferma la
 insindacabilita' degli  interna  corporis,  dato  che  la  norma  che
 prevede  l'esame  in  commissione  non ha carattere regolamentare, ma
 rango di norma costituzionale, per cui la sua violazione  assumerebbe
 rilevanza esterna.
    Il  commissario  dello  Stato denuncia, poi, l'art. 4 della stessa
 legge per violazione degli artt. 3,  97  e  103  della  Costituzione.
 L'incostituzionalita'  di  tale  disposizione  emergerebbe  alla luce
 della evoluzione delle leggi regionali siciliane in materia di  pesca
 e,  piu'  precisamente, in materia di "fermo biologico" delle imprese
 che esercitano attivita' di  pesca.  I  premi  di  fermo  temporaneo,
 disposti  a  favore  delle  imprese  che  svolgono attivita' di pesca
 nell'ambito  della  Regione  siciliana,  gia'  previsti  dalla  legge
 regionale   27   maggio  1987,  n.  26  (art.  14)  sono  attualmente
 disciplinati anche dalla legge regionale 7 agosto 1990, n.  25  (art.
 9).  Al  fine  di  favorire il ripopolamento ittico di alcune zone di
 mare, la legge regionale da ultimo citata prevede che siano ammesse a
 beneficiare delle  agevolazioni  collegate  al  fermo  temporaneo  di
 pesca,  di  cui  all'art. 14 della legge regionale n. 26 del 1987, le
 imprese che abbiano determinati  requisiti  e,  in  particolare,  che
 operino  in  alcune zone di mare individuate dall'Assessore regionale
 per la pesca, nell'ambito di alcune aree indicate dalla legge  (Golfo
 di  Catania,  Golfo  di  Patti,  Golfo di Castellammare). L'Assessore
 regionale, con i decreti 19 marzo 1992, n. 16, e 28 aprile  1992,  n.
 50,  ha  vietato  in  via  sperimentale  per  150  giorni  la pesca a
 strascico e a mezzi di reti volanti  pelagiche  nella  zona  di  mare
 compresa  tra Capo Zafferano e Capo Calava', ammettendo a beneficiare
 del  fermo  temporaneo  di  pesca  tutti  i  natanti   iscritti   nei
 compartimenti  di  tale  zona.  In  tal  modo  l'Assessore  ha esteso
 illegittimamente, secondo il  ricorrente,  l'ambito  di  applicazione
 della  legge n. 25 del 1990, sia dal punto di vista territoriale, sia
 dal  punto  di  vista  dei  soggetti  destinatari  delle  provvidenze
 economiche. In questo contesto si inserisce la norma impugnata che, a
 detta  del commissario dello Stato, si configurerebbe come una legge-
 provvedimento retroattiva, avente lo scopo di sanare l'illegittimita'
 dei decreti assessorili sopra menzionati.
    In particolare, la norma impugnata  violerebbe  l'art.  103  della
 Costituzione,  perche'  interferirebbe  con la competenza della Corte
 dei  conti  a  giudicare   sulla   responsabilita'   erariale   degli
 amministratori  che  hanno adottato gli atti illegittimi. Inoltre, la
 medesima norma sarebbe arbitraria e irragionevole  sotto  il  profilo
 dell'inadeguatezza  del  mezzo rispetto al fine, e percio' viziata di
 eccesso di potere legislativo.
    2. - La Regione siciliana, costituitasi in giudizio, chiede che le
 questioni sollevate dal commissario dello  Stato  nei  confronti  dei
 ricordati artt. 4 e 5 siano dichiarate infondate.
    La  Regione  sostiene  che non vi e' stata violazione dell'art. 12
 dello Statuto siciliano, dato  che  le  norme  impugnate  sono  state
 introdotte  in  forma  di  emendamento, in conformita' alle procedure
 disciplinate dall'art. 111 del regolamento dell'Assemblea  regionale.
 L'art. 12 dello Statuto non si occupa, secondo la Regione, delle pro-
 cedure   di   emendamento   e,   quindi,  l'asserita  violazione  non
 sussisterebbe. In ogni caso,  la  Regione  osserva  che  la  delibera
 legislativa  in  questione  era  stata  esaminata  dalla  commissione
 competente e che, per quanto riguarda gli emendamenti  poi  confluiti
 negli  artt.  4  e  5, la commissione competente, interpellata, aveva
 ritenuto di non esprimere alcun parere.
    In ordine alla violazione dell'art.  103  della  Costituzione,  la
 Regione siciliana contesta che l'intento della disposizione impugnata
 sia  quello  di impedire che la Corte dei conti eserciti un'azione di
 responsabilita'  nei  confronti  degli  amministratori   responsabili
 dell'adozione  dei  decreti  assessorili  sopra ricordati e, a questo
 proposito, osserva che la stessa  Assemblea  regionale  siciliana  ha
 informato  spontaneamente  la  Corte  dei  conti della vicenda di cui
 trattasi, con una relazione datata 18 maggio 1993.
    In  relazione  alla  violazione  degli  artt.   3   e   97   della
 Costituzione,  la  Regione  richiama  la  giurisprudenza  della Corte
 costituzionale, secondo la quale non sono incostituzionali  le  leggi
 regionali  retroattive,  a  condizione  che  esse  non  pregiudichino
 l'intangibilita' delle preesistenti  norme  statali  e  dei  principi
 costituzionali,  compreso il principio di ragionevolezza. Inoltre, la
 ricorrente ricorda che, secondo un orientamento costante della  Corte
 costituzionale,   non   e'  fatto  divieto  al  legislatore,  nemmeno
 regionale, di emanare leggi a contenuto particolare e  concreto.  In-
 fine la Regione afferma che non puo' essere considerata irragionevole
 una  norma  che  esprime  una  scelta  discrezionale del legislatore,
 sostenuta da fini di interesse  generale  -  ripopolamento  ittico  e
 soddisfacimento  delle  necessita' economiche delle marinerie colpite
 dal divieto di pescare -, senza dare luogo ad  alcuna  disparita'  di
 trattamento tra imprese.
    3.  -  Con ricorso iscritto al n. 43 del registro ricorsi 1994, il
 commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato  l'art.
 1  della  delibera  legislativa  regionale  approvata  dall'Assemblea
 regionale siciliana  il  10  maggio  1994  (Integrazioni  alle  leggi
 regionali  1  agosto  1974,  n.  31,  e  27  dicembre  1978, n. 70, e
 interpretazione autentica dell'art. 9 della legge regionale 7  agosto
 1990, n. 25, concernenti la materia della pesca).
    Dopo   aver   riepilogato   l'evoluzione   delle  leggi  regionali
 concernenti il fermo biologico, nell'ambito delle quali si  inserisce
 anche  la  norma  impugnata  e  dopo  aver  precisato che l'Assessore
 regionale alla pesca  aveva  ricevuto  la  formale  contestazione  di
 responsabilita'  essendogli  stato notificato un atto di citazione in
 giudizio davanti  alla  Corte  dei  conti  in  relazione  ai  decreti
 assessorili del 1992, il commissario dello Stato censura il ricordato
 art.  1  poiche',  sotto  forma di interpretazione autentica, estende
 l'ambito di operativita' della legge regionale del 1990 con efficacia
 retroattiva.
    Il commissario dello Stato richiama  i  principi  enunciati  dalla
 Corte costituzionale, secondo i quali ha carattere di interpretazione
 autentica  quella  norma  che,  senza modificare il testo della norma
 interpretata,  ne  chiarisce  il  significato  e  la  portata  ovvero
 privilegia  una  delle  interpretazioni  possibili,  di  guisa che il
 contenuto precettivo risulti dalla coesistenza delle  due  norme.  La
 legge impugnata contrasterebbe con questi principi giurisprudenziali,
 perche'  la legge regionale n. 25 del 1990 non aveva dato occasione a
 divergenze interpretative. In particolare non erano sorti  dubbi  sul
 fatto  che  i  beneficiari  delle provvidenze economiche collegate al
 fermo  biologico  potevano  essere  solo  i  natanti  che   operavano
 effettivamente  negli  ambiti  territoriali  interessati  dal divieto
 temporaneo di pesca. Al contrario, la norma  impugnata  consente  che
 beneficino  dei  provvedimenti collegati al fermo biologico i natanti
 autorizzati ad esercitare l'attivita' di pesca in alcune  zone  della
 Sicilia,  a  prescindere  dal  fatto  che essi effettivamente operino
 nelle zone interessate dal divieto di pesca. Secondo  il  commissario
 dello  Stato,  risulta  evidente  che  il  legislatore  siciliano  ha
 palesemente  ed   arbitrariamente   distorto   la   funzione   tipica
 dell'interpretazione autentica, volendo conferire effetto retroattivo
 ad   una   innovazione   legislativa,   al   fine  di  sanare  alcuni
 provvedimenti amministrativi illegittimi e di far cadere le eventuali
 responsabilita' patrimoniali dei funzionari.
    L'incostituzionalita' della norma impugnata, inoltre, sarebbe resa
 evidente dal pregiudizio recato ai principi della imparzialita' e del
 buon  andamento  dell'amministrazione,  oltre  che  a  quello   della
 responsabilita'   dei   funzionari.   Infine,   si   osserva  che  la
 disposizione impugnata, estendendo i soggetti beneficiari  del  fermo
 temporaneo di pesca, avrebbe dovuto essere preventivamente sottoposta
 al  vaglio  della  commissione  CE,  come prescritto dall'art. 93 del
 Trattato istitutivo della Comunita' europea.
    4. - La Regione siciliana, costituitasi in  giudizio,  chiede  che
 sia  dichiarata  la manifesta infondatezza o l'inammissibilita' delle
 questioni proposte dal commissario dello Stato.
    Ad avviso della Regione, la legge  impugnata  sarebbe  intervenuta
 per  porre  fine  alle divergenze interpretative sorte circa la reale
 portata dell'art. 9, secondo comma, della legge regionale n.  25  del
 1990.   I   dubbi   interpretativi   riguardavano,   in  particolare,
 l'individuazione   dei   beneficiari   della   norma,   genericamente
 identificati  con  le  imprese "operanti" nei golfi di Castellammare,
 Catania  e Patti. Secondo la resistente, interpretando la legge n. 25
 del 1990 alla luce dell'art. 3  del  decreto  ministeriale  7  maggio
 1987,  n.  248  -  che attribuisce validita' alle autorizzazioni alla
 pesca, oltre  che  con  riferimento  al  compartimento  marittimo  di
 iscrizione,  riguardo  anche  a  quelli  limitrofi  -,  per  "imprese
 operanti"    dovrebbero    intendersi    i    natanti     autorizzati
 amministrativamente  all'esercizio  della  pesca  nelle zone indicate
 dalla legge. Tale e' l'interpretazione  accolta  nella  relazione  al
 disegno  di  legge  impugnato e nei decreti assessorili del 1992 piu'
 volte menzionati. Di diverso avviso,  invece,  e'  stata  la  Procura
 della Corte dei conti che ha ritenuto non condivisibile la menzionata
 interpretazione,  citando  in giudizio per danno erariale l'Assessore
 regionale ed il direttore regionale alla pesca.  La  norma  impugnata
 sarebbe  intervenuta per porre fine a tale divergenza interpretativa,
 accogliendo il punto di vista dell'amministrazione regionale.
    L'infondatezza della  prima  questione  proposta  dal  commissario
 dello  Stato  sarebbe  provata  dal fatto che sia la dottrina, sia la
 giurisprudenza costituzionale concordano nel  ritenere  che  sussiste
 una  "impossibilita'  logica  di distinguere tra leggi interpretative
 che interpretano e leggi interpretative che innovano" e che  in  ogni
 caso  l'illegittimita' costituzionale di una legge di interpretazione
 autentica non  puo'  farsi  discendere  dalla  sua  presunta  portata
 innovativa,  dato che, al di fuori dell'ipotesi contemplata dall'art.
 25, il principio della irretroattivita' delle  leggi  non  assurge  a
 precetto  costituzionale.  In questa prospettiva, secondo la Regione,
 la  Corte   costituzionale   ha   affermato   che   la   legittimita'
 costituzionale  di  un  intervento  legislativo  retroattivo  non  e'
 contestabile nemmeno quando la finalita' perseguita e'  stata  quella
 di rimuovere una interpretazione giurisprudenziale sgradita.
    Per le medesime considerazioni la Regione siciliana ritiene che la
 norma  impugnata  non  si  ponga  in  contrasto  con l'art. 103 della
 Costituzione.   Dopo   aver   osservato   che   il    parametro    di
 costituzionalita'  invocato  dal  commissario  dello Stato e' il solo
 art. 103 della Costituzione, e non gia'  gli  artt.  101  e  103  che
 garantiscono    l'autonomia    e    l'indipendenza   della   funzione
 giurisdizionale, la Regione rileva che la Corte costituzionale ha  in
 piu' di una occasione escluso che l'interpretazione autoritativamente
 imposta  dal  legislatore  violi  la  potestas iudicandi riservata al
 potere giudiziario, ferma l'intangibilita' delle situazioni  definite
 con  sentenza passata in giudicato. Infine, la Regione ricorda che la
 Corte  costituzionale  ha  considerato  legittime  anche   le   norme
 retroattive    dirette    a   sanare   provvedimenti   amministrativi
 originariamente invalidi, anche se esse incidono,  senza  violare  il
 giudicato, sulla attivita' giurisdizionale.
    Quanto alla violazione dell'art. 11 della Costituzione, la Regione
 ritiene  che  la  questione  sia  inammissibile,  perche', secondo la
 giurisprudenza costituzionale costantemente seguita a  partire  dalla
 sentenza n. 170 del 1984, i conflitti tra le norme interne e le norme
 comunitarie   non   rientrerebbero   nella   competenza  della  Corte
 costituzionale. In ogni caso  la  questione  sarebbe  infondata,  sia
 perche', nell'interpretazione data dalla Regione, la norma impugnata,
 non  avendo  esteso il novero dei beneficiari di cui all'art. 9 della
 legge n. 25 del 1990, non cadrebbe nell' ambito del  procedimento  di
 controllo  previsto  dall'art. 93 del Trattato CE; sia perche' l'art.
 93 del Trattato CE non vieta qualsiasi aiuto statale alle imprese, ma
 solo  quelli  che favoriscono alcune imprese, pregiudicando la libera
 concorrenza.
    5.  -  In  prossimita'  dell'udienza  la  Regione   siciliana   ha
 presentato una memoria relativa al giudizio instaurato con il ricorso
 n.  43  del  1994,  con  la  quale  ribadisce  le posizioni sostenute
 nell'atto di costituzione e adduce alcune argomentazioni ulteriori.
    La  Regione  insiste  sulla  natura  interpretativa  della   legge
 impugnata,  data  l'ambiguita'  della legge regionale n. 25 del 1990.
 Infatti, l'interpretazione piu' rigorosa di tale legge,  seguita  dal
 commissario  dello  Stato,  avrebbe  reso impossibile la sua corretta
 applicazione, data la difficolta'  di  accertare  ove  effettivamente
 fosse  operante  ciascun  natante ammesso a beneficiare del premio di
 fermo biologico.
    Quanto alla censura relativa  alla  interferenza  del  legislatore
 nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale, la Regione afferma,
 anzitutto, la inammissibilita' della questione, data  dalla  evidente
 inidoneita'   dell'art.  103  della  Costituzione  a  fungere,  nella
 fattispecie in esame, da parametro costituzionale. In  ogni  caso  la
 questione   sarebbe   infondata,   dal   momento   che,   secondo  la
 giurisprudenza   costituzionale    piu'    recente,    non    sarebbe
 incostituzionale  nemmeno  la  legge  retroattiva che esplichi i suoi
 effetti anche nei confronti di  un  giudicato.  La  Regione,  infine,
 sostiene  di  avere  adempiuto agli obblighi imposti dall'art. 93 del
 Trattato CE. Infatti, l'aiuto alle imprese  di  pesca  sarebbe  stato
 notificato alla commissione sia in occasione della legge regionale n.
 25   del   1990,   sia   in   occasione   delle  modifiche  apportate
 dall'impugnato art. 4.
                        Considerato in diritto
    1. - Con due distinti ricorsi il commissario dello  Stato  per  la
 Regione   siciliana   solleva   varie   questioni   di   legittimita'
 costituzionale nei  confronti  degli  artt.  4  e  5  della  delibera
 legislativa regionale approvata dall'Assemblea regionale siciliana il
 4  marzo 1994 (modifiche ed integrazioni della legislazione regionale
 in materia di lavori pubblici.  Agevolazioni  per  il  settore  della
 pesca   e  disposizioni  in  materia  finanziaria)  e  nei  confronti
 dell'art. 1 della legge regionale approvata dall'Assemblea  regionale
 siciliana  il  10  maggio  1994  (Integrazioni alle leggi regionali 1
 agosto 1974, n. 31, e 27 dicembre  1978,  n.  70,  e  interpretazione
 autentica  dell'art.  9  della  legge regionale 7 agosto 1990, n. 25,
 concernenti la materia della pesca). Il  ricorrente  sospetta  che  i
 citati  artt.  4  e  5 siano contrastanti con l'art. 12 dello Statuto
 speciale per la Sicilia (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2)
 e con gli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione; mentre ritiene che il
 ricordato art. 1 possa violare gli  artt.  3,  11,  97  e  103  della
 Costituzione stessa.
    Poiche'  i  ricorsi prospettano questioni di costituzionalita' fra
 loro connesse, la loro trattazione puo' essere riunita.
    2.   -   Occorre   preventivamente   esaminare   l'eccezione    di
 inammissibilita'  prospettata dalla difesa della Regione siciliana in
 relazione alla questione concernente l'art. 1, per il profilo per  il
 quale   il   ricorrente  assume  la  violazione  dell'art.  11  della
 Costituzione. Piu' precisamente, poiche' il commissario  dello  Stato
 dubita   che   l'articolo   impugnato,  nell'estendere  l'ambito  dei
 beneficiari  di "aiuti alle imprese" senza avviare il procedimento di
 controllo davanti alla Commissione della comunita' europea, si  ponga
 in  contrasto  con  l'art.  93  del Trattato CE, la Regione siciliana
 eccepisce,  innanzitutto,  che,  sulla  base   della   giurisprudenza
 costituzionale decorrente dalla sentenza n. 170 del 1984, i conflitti
 tra norme interne e norme comunitarie fuoriescano dalle competenze di
 questa Corte, essendo materia riservata ai giudici comuni.
    L'eccezione va respinta.
    Nel  caso  deciso  con  la  recente sentenza n. 384 del 1994 - nel
 quale, come nell'ipotesi in esame, era stato prospettato il contrasto
 di una delibera legislativa regionale, non ancora promulgata, con una
 norma  comunitaria  direttamente  applicabile  -  questa   Corte   ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una legge della Regione
 Umbria  ritenuta  contrastante  con norme di regolamento comunitario.
 Diversamente da quanto  sembra  opinare  la  Regione  resistente,  la
 decisione  che  ha  stabilito  l'anzidetto  precedente  specifico non
 contraddice l'orientamento costantemente seguito da  questa  Corte  a
 partire dalla sentenza n. 170 del 1984, ma ne presuppone piuttosto la
 validita'.
    Nella  sentenza  da ultimo ricordata questa Corte ha affermato che
 le  norme  comunitarie  produttive  di   effetti   diretti,   poiche'
 provengono  da  un  "ordinamento  distinto,  ma coordinato" e poiche'
 debbono avere piena efficacia obbligatoria e uniforme applicazione in
 tutti  gli   Stati   membri,   entrano   e   permangono   in   vigore
 nell'ordinamento  italiano  senza  che la loro efficacia possa essere
 intaccata  dalle  leggi  nazionali,  sia  anteriori  che  successive.
 Infatti,  come  e'  chiaramente  precisato  nella  medesima sentenza,
 l'effetto connesso con la  vigenza  nell'ordinamento  italiano  delle
 norme   comunitarie  e'  quello,  non  gia'  di  caducare,  abrogare,
 modificare o invalidare le disposizioni legislative interne con  esse
 incompatibili,  bensi' di impedire che queste disposizioni vengano in
 rilievo per la definizione  della  controversia  innanzi  al  giudice
 nazionale.
    Detto  in  altri  termini,  entro  un  contesto nel quale le fonti
 normative della Comunita' Europea e quelle dei singoli Stati non sono
 ancora integrate in un solo sistema, la  "non  applicabilita'"  della
 norma  interna  a  favore  di  quella  comunitaria,  che contiene "la
 disciplina della specie", comporta che  l'eventuale  contrasto  della
 disposizione  interna  rispetto  a  un precetto comunitario non possa
 autorizzare, nell'ambito di una controversia  di  fronte  al  giudice
 nazionale, a validamente sollevare una questione di costituzionalita'
 per  l'eventuale  violazione dell'art. 11 della Costituzione da parte
 della norma interna, poiche' si tratterebbe di  una  questione  priva
 del  dovuto  requisito  della  rilevanza. Di qui deriva l'inevitabile
 dichiarazione  di  inammissibilita'   di   ogni   questione,   basata
 sull'ipotizzato  contrasto  tra  norma  interna  e norma comunitaria,
 quando questa sia sollevata da un giudice nazionale nel corso  di  un
 giudizio.
    Diverso  e' il caso in cui il medesimo contrasto tra norma interna
 e norma comunitaria  si  manifesti  nell'ambito  di  un  giudizio  di
 legittimita'  costituzionale instaurato in via principale, tanto piu'
 dopo che questa Corte  (v.  sentenza  n.  389  del  1989),  quasi  in
 concomitanza con la Corte di giustizia europea (v. sentenza 22 giugno
 1989, in causa n. 103/1988), ha riconosciuto che vincolati a non dare
 applicazione  alle  norme interne confliggenti con quelle comunitarie
 sono anche gli organi della pubblica  amministrazione,  vale  a  dire
 soggetti sforniti del potere di dichiarazione del diritto. Proprio in
 quella  decisione,  subito  dopo  l'anzidetto  riconoscimento, questa
 Corte ha precisato che la  "non  applicazione"  della  norma  interna
 confliggente con quella comunitaria non fa venir meno "l'esigenza che
 gli  Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni
 del proprio  diritto  interno  al  fine  di  depurarlo  da  eventuali
 incompatibilita'  o  disarmonie con le prevalenti norme comunitarie",
 esigenza che "se, sul piano  dell'ordinamento  nazionale,  (  ..)  si
 collega   al   principio   della  certezza  del  diritto,  sul  piano
 comunitario, invece, rappresenta una  garanzia  cosi'  essenziale  al
 principio della prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da
 costituire  l'oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri" (v.
 sentenza n. 389 del 1989, punto 4 in diritto).
    Con  la  sentenza  n.  384  del  1994  la  Corte   costituzionale,
 nell'ambito  di  un  giudizio  di  costituzionalita' sollevato in via
 principale avverso  una  legge  regionale,  ha  per  la  prima  volta
 affermato che l'esigenza di depurare l'ordinamento nazionale da norme
 incompatibili  con  quelle  comunitarie,  essendo  ancorata al valore
 costituzionale comportante  la  chiarezza  normativa  e  la  certezza
 nell'applicazione  del  diritto  da  parte di tutti i sottoposti alla
 legge,  puo'  essere  soddisfatta   anche   con   una   dichiarazione
 d'illegittimita'  costituzionale.  Ed, invero, poiche' nei giudizi di
 costituzionalita' in via principale l'oggetto  del  giudizio  stesso,
 non  e'  una  norma  in  quanto  applicabile, ma una norma di per se'
 lesiva delle competenze  costituzionalmente  garantite  alle  regioni
 (nel  caso di impugnazione di leggi statali da parte delle regioni) o
 ex se violatrice di norme costituzionali (nel caso di impugnazione di
 leggi regionali da parte dello Stato) - tanto  che  in  tali  giudizi
 possono  essere  contestate  anche  disposizioni  di legge non ancora
 efficaci o ad efficacia differita (v. sentenze nn. 224 del 1990,  242
 del  1989,  39 del 1971, 37 del 1966, 75 del 1957) - non si rinviene,
 come  invece  nei  giudizi  in  via   incidentale,   alcun   ostacolo
 processuale  in grado di precludere alla Corte la piena salvaguardia,
 con proprie decisioni, del valore  costituzionale  della  certezza  e
 della  chiarezza  normativa  di  fronte a ipotesi di contrasto di una
 norma interna con  una  comunitaria.  Ne'  e'  senza  significato  la
 considerazione  che,  dati  i ricordati caratteri del giudizio in via
 principale, la "non applicabilita'" della norma interna  confliggente
 con quella comunitaria rappresenterebbe, nei casi in cui il contrasto
 normativo  si  palesasse  nell'ambito  di quel giudizio, una garanzia
 inadeguata rispetto al soddisfacimento del dovere, fondato  sull'art.
 5  del  Trattato  di  Roma e sull'art. 11 della Costituzione, di dare
 pieno e corretto adempimento agli obblighi comunitari.
    3.  -  Sebbene  ammissibile,  la  questione  indicata  nel   punto
 precedente e' chiaramente non fondata.
    La  censura  sollevata  dal commissario dello Stato per la pretesa
 violazione degli obblighi derivanti dall'art. 93 del Trattato CE, con
 conseguente lesione dell'art.  11  della  Costituzione,  ignora  che,
 secondo  la  giurisprudenza  della Corte di giustizia europea (v., ad
 esempio, sentenza 9 ottobre 1984, in cause nn. 91 e  127  del  1983),
 una  volta  che  la  Regione  abbia comunicato alla Commissione della
 comunita' europea la  disciplina  da  essa  stabilita  in  una  certa
 materia  comportante  aiuti  alle  imprese,  i  successivi interventi
 legislativi modificativi della  predetta  disciplina  possono  essere
 resi   noti   alla  Commissione  stessa  anche  attraverso  procedure
 informali. E, stando agli atti prodotti nel presente  giudizio,  cio'
 e'  quel  che  e'  precisamente  avvenuto  nel caso dei provvedimenti
 adottati dalla Regione siciliana in relazione  al  contestato  "fermo
 biologico".
    4.  -  Non  fondata e' la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 4 e 5 della legge regionale approvata il 4 marzo 1994 per
 violazione  dell'art.  12  dello  Statuto  speciale  per  la  Regione
 siciliana,  sollevata  sul presupposto che la Commissione assembleare
 non abbia avuto modo di esprimere il proprio  parere  sulle  predette
 disposizioni.
    Premesso  che  la  questione  e'  sicuramente  ammissibile, per il
 semplice fatto che la Corte e' chiamata a decidere  sulla  violazione
 di  una  norma  contenuta nello Statuto speciale comportante un vizio
 procedurale nella formazione di disposizioni di legge  regionale  (v.
 in  senso  conforme,  ad  esempio, sentenze nn. 134 del 1969 e 57 del
 1957),  la  non   fondatezza   della   stessa   deriva   dall'erronea
 interpretazione  che  il  ricorrente conferisce al menzionato art. 12
 dello Statuto. Quest'ultimo, infatti,  prescrive  che  l'elaborazione
 dei  progetti  di  legge debba avvenire nell'ambito delle Commissioni
 assembleari, mentre la richiesta  alle  stesse  di  un  parere  sugli
 emendamenti  presentati  in  Assemblea - richiesta, peraltro, occorsa
 nella specie - non ha un fondamento nel ricordato art. 12, ma  lo  ha
 in  distinte  norme  del Regolamento interno dell'Assemblea regionale
 siciliana. Ne' spetta  a  questa  Corte  valutare  l'incongruenza  di
 richiedere  il parere della Commissione competente su emendamenti dal
 contenuto assolutamente eterogeneo rispetto a quello del progetto  di
 legge   in   discussione,   riposando   nei   poteri  del  presidente
 dell'Assemblea  regionale  la  garanzia   che   non   siano   ammessi
 emendamenti  ritenuti  eterogenei  rispetto  al progetto di legge cui
 quelli si riferiscono.
    5.  -  Venendo  all'esame  dei  vizi  sostanziali  denunziati  dal
 commissario  dello  Stato,  al fine di procedere ad una loro corretta
 valutazione  occorre  illustrare  in  via  di  premessa  la   vicenda
 normativa nella quale gli atti impugnati si inseriscono.
    Dopo  che  la  legge regionale 27 maggio 1987, n. 26, all'art. 14,
 aveva  previsto  la  disciplina   generale   del   fermo   temporaneo
 dell'attivita'  di  pesca  "al  fine  di favorire l'adattamento delle
 possibilita' di pesca alla capacita' della flotta" e aveva dettato le
 condizioni per concedere "premi di fermo temporaneo" alle  imprese  o
 alle  persone  che  interrompono l'attivita' di pesca, l'art. 9 della
 legge regionale 7 agosto 1990, n. 25, ha nuovamente fatto ricorso  al
 medesimo  fermo temporaneo dell'attivita' di pesca al diverso fine di
 favorire il ripopolamento ittico di alcune zone  di  mare  ricomprese
 nel   territorio  della  Regione  siciliana.  Piu'  precisamente,  la
 disposizione da ultimo citata prevede il fermo temporaneo  di  pesca,
 con  le connesse agevolazioni stabilite dal ricordato art. 14, per le
 imprese  che,  avendo  sede  legale  nel  territorio  della  Regione,
 svolgano  attivita'  di  pesca  a  strascico,  o  con sistemi ad esso
 assimilabili,  servendosi  di   natanti   iscritti   in   determinati
 compartimenti   marittimi   regionali   (Catania,  Palermo,  Messina,
 Trapani, Augusta), in alcune zone di mare da delimitare, con  decreto
 dell'Assessore   regionale   per   la   cooperazione,  il  commercio,
 l'artigianato e la pesca, nell'ambito di alcune aree  indicate  dalla
 stessa disposizione di legge (golfo di Catania, golfo di Patti, golfo
 di Castellammare).
    Con  due decreti, datati rispettivamente 19 marzo 1992 e 28 aprile
 1992,  l'anzidetto   Assessore   regionale   ha   vietato,   in   via
 sperimentale,  la  pesca  a  strascico  e  a  mezzo  di  reti volanti
 pelagiche per 150 giorni continuativi in relazione a una zona di mare
 piu' ampia di quella indicata dalla precedente legge, segnatamente la
 zona compresa tra  Capo  Zafferano  e  Capo  Calava',  accordando  ai
 natanti   iscritti   nei  compartimenti  marittimi  ricompresi  nella
 delimitazione operata con i decreti la facolta' di beneficiare  delle
 provvidenze  economiche  collegate  al  fermo  temporaneo  di  pesca,
 previste dalla legge regionale n. 26 del 1987.
    Secondo il commissario dello Stato,  le  disposizioni  legislative
 impugnate  sono  sopravvenute  a  tali decreti - che, ad avviso dello
 stesso ricorrente, avevano  illegittimamente  esteso,  sia  nel  loro
 riferimento  territoriale,  sia in relazione ai soggetti beneficiari,
 l'ambito di applicazione del fermo biologico di pesca previsto  dalla
 legge  regionale  n. 25 del 1990 - al solo fine di dare una copertura
 legislativa a posteriori  alle  ricordate  decisioni  dell'Assessore.
 Piu'   precisamente,  mentre  l'art.  1  della  delibera  legislativa
 approvata il 10 maggio 1994, introducendo una  disposizione  ritenuta
 dal  ricorrente falsamente interpretativa dell'art. 9, comma 2, della
 legge regionale n. 25 del 1990, ha con effetto  retroattivo  ampliato
 l'area  delle imprese originariamente beneficiarie delle agevolazioni
 previste, l'art. 4 della delibera legislativa approvata  il  4  marzo
 1994  ha  esteso,  a  sanatoria,  per  l'anno  1992 i benefici di cui
 all'art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990  alle  imprese  e  ai
 componenti  gli  equipaggi  interessati  al fermo temporaneo di pesca
 stabilito dai ricordati decreti assessorili.
    6. - Sotto il primo profilo, vanno dichiarati non fondati i  dubbi
 di legittimita' costituzionale che il commissario dello Stato solleva
 nei  confronti  dell'art.  1  della  legge  regionale approvata il 10
 maggio  1994,  per  essere  quest'ultimo  espressione   di   un   uso
 irragionevole  e  arbitrario  del potere di interpretazione autentica
 esercitato dal legislatore regionale  siciliano,  in  violazione  dei
 principi  di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), dei principi
 del buon andamento e di imparzialita' della pubblica  amministrazione
 (art.  97  della  Costituzione),  nonche'  del potere attribuito alla
 Corte dei conti di promuovere azioni  di  responsabilita'  per  danno
 erariale al riparo da indebite interferenze di altri poteri (art. 103
 della Costituzione).
    Premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale
 (v.,  ad  esempio,  sentenze  nn. 397 del 1994, 455 del 1992, 233 del
 1988), nessun rilievo puo' essere accordato  alla  autoqualificazione
 della   legge   al  fine  di  considerare  quest'ultima  un  atto  di
 interpretazione autentica, questa Corte  ha  costantemente  affermato
 che   tale   qualificazione   deve   riconoscersi   a   quelle  norme
 obiettivamente dirette a chiarire  il  senso  di  norme  preesistenti
 ovvero   a   escludere  o  a  enucleare  uno  dei  sensi  fra  quelli
 ragionevolmente ascrivibili alla norma interpretata,  allo  scopo  di
 imporre  l'applicazione della variante di senso prescelta da parte di
 coloro che dovranno dare esecuzione alla norma interpretata. Da  cio'
 consegue,  come  e' stato ripetutamente sottolineato da questa Corte,
 che la natura di legge interpretativa "va desunta da un rapporto  fra
 norme - e non fra disposizioni - tale che il sopravvenire della norma
 interpretante  non  fa  venir  meno la norma interpretata, ma l'una e
 l'altra si saldano fra loro  dando  luogo  a  un  precetto  normativo
 unitario"  (v.,  ad esempio, sentenze nn. 397 del 1994, 424 del 1993,
 455 del 1992, 155 del 1990, 233 del 1988; nonche' ordinanze  nn.  480
 del 1992 e 205 del 1991).
    Contro  tale  definizione non puo' validamente opporsi, come fa la
 difesa della Regione siciliana, che non sia possibile distinguere tra
 "legge interpretativa" e "legge innovativa",  poiche',  se  non  v'e'
 dubbio  alcuno  che  anche  il  primo  tipo  di  legge  sia diretto a
 introdurre   un   novum   nell'ordinamento   giuridico,    quantomeno
 consistente   nella   prescrizione   di   dover   seguire  una  certa
 interpretazione e non altra, non si puo' del pari dubitare,  come  si
 e'  gia'  sottolineato, che carattere tipico ed esclusivo delle leggi
 interpretative e' che il significato normativo  enucleato  e  imposto
 con  le  stesse  leggi debba essere ricompreso fra le possibilita' di
 senso  ragionevolmente  ascrivibili  al  testo   della   disposizione
 interpretata  (v., ad esempio, sentenze nn. 88 del 1995; 424 e 39 del
 1993;  455,  454  e  440  del  1992;  380  e  155  del  1990).  Sotto
 quest'ultimo  profilo,  occorre  sottolineare  che,  nella specie, la
 norma interpretata, vale a dire l'art. 9 della legge regionale n.  25
 del  1990,  facendo  riferimento  alle  imprese "operanti" nelle aree
 delimitate dai decreti  dell'Assessore,  usa  un'espressione  che  in
 origine avrebbe potuto esser interpretata tanto nel senso di denotare
 le  imprese che effettivamente esercitano la pesca nelle zone colpite
 dal fermo, quanto nel senso di indicare le imprese i cui natanti sono
 autorizzati a esercitare la pesca  nelle  stesse  zone.  L'intervento
 interpretativo   del   legislatore   regionale,   che  circoscrive  a
 quest'ultimo  significato  il  senso   da   attribuire   alla   norma
 interpretata,  non  puo'  esser  qualificato altro che come "legge di
 interpretazione     autentica",     ragionevolmente      giustificata
 dall'esigenza  di ovviare a serie difficolta' di accertamento, ove si
 fosse  seguita  interpretativamente  l'altra  via,   e   di   evitare
 consequenzialmente  possibili  disparita'  di  trattamento in sede di
 applicazione.
    Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare (v., ad esempio,
 sentenze nn. 15 del 1995, 402 e 39 del 1993,  6  del  1988,  167  del
 1986),    il   corretto   esercizio   del   potere   legislativo   di
 interpretazione autentica,  indipendentemente  dalle  intenzioni  del
 legislatore  di  incidere  sulla  soluzione  dei  casi sub iudice (v.
 sentenza n. 397 del 1994; ordinanza n. 480 del 1992), non lede di per
 se' la sfera riservata al potere giudiziario, sempreche',  di  norma,
 siano  salvaguardati  gli  effetti  derivanti  da sentenze passate in
 giudicato, dal momento che  l'attribuzione  legislativa  di  un  dato
 significato  a  una  determinata  disposizione  di legge non comporta
 alcuna illegittima interferenza sulla potestas iudicandi,  muovendosi
 sul  diverso piano delle fonti normative in ordine alla definizione e
 alla delimitazione della  fattispecie  normativa  oggetto  di  quella
 potestas  (v.,  ad  esempio,  sentenze nn. 397 del 1994, 402 e 39 del
 1993, 155 del 1990, 754, 91 e 6 del 1988).
    7.  -  Merita,  invece,  accoglimento  la  censura prospettata dal
 commissario  dello  Stato  nei  confronti  dell'art.  4  della  legge
 regionale  approvata  il  4  marzo  1994,  il  quale stabilisce che i
 benefici di cui all'art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990  sono
 estesi,  esclusivamente  per  l'anno 1992, alle imprese di pesca e ai
 componenti gli equipaggi interessati al divieto di pesca a  strascico
 e  di  pesca  a  mezzo di reti volanti pelagiche di cui ai decreti 19
 marzo  1992  e  28  aprile  1992  dell'Assessore  regionale  per   la
 cooperazione, il commercio, l'artigianato e la pesca.
    La  disposizione  appena  citata  e'  indubbiamente  una  norma di
 sanatoria dei decreti assessorili  sopra  indicati,  i  quali,  nella
 parte  in  cui  individuano  la  zona  di  mare  ricompresa  tra Capo
 Zafferano e Capo Calava' come ambito territoriale di applicazione del
 "fermo  biologico",  risultano  sicuramente  difformi  rispetto  alle
 previsioni  contenute  nell'art.  9  della  legge regionale n. 25 del
 1990, nel senso che estendono i benefici ivi stabiliti a soggetti non
 contemplati nella disposizione di legge posta a fondamento del potere
 di delimitazione riconosciuto all'Assessore.
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  le  leggi  di
 sanatoria  non  sono costituzionalmente precluse in via di principio,
 ma, trattandosi di ipotesi eccezionali, la loro giustificazione  deve
 essere  sottoposta  a uno scrutinio di costituzionalita' estremamente
 rigoroso: l'intervento legislativo in sanatoria, infatti, puo' essere
 ragionevolmente giustificato soltanto dallo stretto collegamento  con
 le  specifiche  peculiarita'  del  caso, "tali da escludere che possa
 risultare arbitraria la  sostituzione  della  disciplina  generale  -
 originariamente  applicabile - con quella eccezionale successivamente
 emanata" (v. sentenza n. 100 del 1987, nonche' sentenze nn.  402  del
 1993,   474  del  1988).  Piu'  in  particolare,  siffatto  scrutinio
 dev'essere svolto tanto sotto il profilo del rispetto  del  principio
 costituzionale  di  parita'  di  trattamento, quanto sotto il profilo
 della   salvaguardia   da   indebite   interferenze   nei   confronti
 dell'esercizio della funzione giurisdizionale (v. sentenza n. 346 del
 1991).
    Sotto  entrambi  i  profili  la disposizione di legge impugnata si
 rivela   manchevole.   Infatti,   l'estensione   della    disciplina,
 originariamente  ristretta  dalla  legge  regionale  n. 25 del 1990 a
 determinati  soggetti,  non  e'  sostenuta  da  interessi   pubblici,
 legislativamente  rilevanti,  di  preminente  importanza generale, ma
 risulta semplicemente vo'lta a fornire la copertura legale successiva
 a decisioni assessorili risultanti difformi dalla  previa  disciplina
 legislativa  e,  come  tale, si mostra unicamente diretta a esonerare
 l'Assessore da eventuali responsabilita' di ordine giuridico.