ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  30,  primo
 comma,  lett. h), e dell'art. 13 della legge 11 febbraio 1992, n. 157
 (norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il
 prelievo  venatorio),  promosso  con  la ordinanza emessa il 18 marzo
 1994 dal giudice per le indagini preliminari  presso  la  pretura  di
 Bassano  del Grappa negli atti relativi ad esposto di Rigoni Rinaldo,
 iscritta al n. 285 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visti  gli  atti  di   intervento   dell'Unione   Italiana   delle
 Associazioni  Venatorie,  e della Federazione Italiana della caccia e
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli.
    Ritenuto  che  il  giudice  per  le indagini preliminari presso la
 pretura di Bassano del Grappa, dovendo decidere  sulla  richiesta  di
 archiviazione  del  pubblico  ministero  in  ordine  al  procedimento
 relativo  all'esposto  presentato   da   Rigoni   Rinaldo   -   quale
 rappresentante  del  gruppo  locale del W.W.F. - con ordinanza del 18
 marzo 1994 (R.O. n. 285 del 1994) ha sollevato, in  riferimento  agli
 artt.  25,  secondo  comma  e  3  della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 30, primo comma,  lett.  h),  e
 dell'art.  13,  della  legge  11  febbraio 1992, n. 157 (norme per la
 protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
 venatorio)  nella  parte in cui vietano e sanzionano penalmente l'uso
 dei cani nell'esercizio  della  caccia;  che  il  giudice  remittente
 premette   che   nell'esposto   veniva   denunciato   lo  svolgimento
 dell'attivita' di allenamento e di addestramento di cani  da  caccia,
 nonche'   il   successivo   impiego   nell'esercizio   dell'attivita'
 venatoria, ipotizzando l'illiceita'  di  tale  attivita'  secondo  la
 legge  n.  157 del 1992, mentre il pubblico ministero, non ravvisando
 ipotesi di reato nell'impiego di cani  nell'esercizio  venatorio,  ha
 chiesto l'archiviazione del procedimento;
      che,  ad avviso del giudice remittente, dalle disposizioni della
 legge n. 157 del 1992 non  sarebbe  possibile  desumere  la  liceita'
 dell'uso  dei  cani  per  l'esercizio venatorio, mentre tale uso, non
 essendo esplicitamente consentito, risulterebbe vietato  in  generale
 dall'art.  13  della stessa legge, cosi' rientrando nella fattispecie
 di cui all'art. 30, primo comma, lett. h),  che  punisce  l'esercizio
 della caccia con mezzi vietati;
      che,  secondo  il  giudice  a  quo,  la fattispecie penale cosi'
 individuata contrasterebbe con l'art. 25 Cost.,  non  assicurando  la
 certezza  della  legge,  e,  attraverso  di  essa, la possibilita' di
 conoscere cio' che e' e cio' che non e' penalmente  vietato,  nonche'
 con  l'art.  3  Cost.,  per  la disparita' di trattamento rispetto ad
 altre forme consentite  di  attivita'  venatoria,  e  in  particolare
 rispetto alla caccia esercitata con richiami vivi;
      che   nel  giudizio  davanti  alla  Corte  sono  intervenuti  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura   generale   dello  Stato,  l'Unione  italiana  delle
 associazioni venatorie e la Federazione italiana  della  caccia,  per
 chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata;
    Considerato    che    deve   essere   preliminarmente   dichiarata
 l'inammissibilita' dell'intervento in giudizio  dell'Unione  Italiana
 delle  Associazioni  Venatorie  e  della  Federazione  Italiana della
 Caccia, dal momento che tali enti associativi non  hanno  assunto  la
 qualita' di parte nel giudizio a quo;
      che   il   presupposto   interpretativo  sul  quale  il  giudice
 remittente  basa  la  questione  di  costituzionalita'  si   presenta
 palesemente  infondato  in quanto, sia dalle disposizioni della legge
 n. 157 del 1992 sia da quelle della  legge  regionale  del  Veneto  9
 dicembre 1993, n. 50, puo' chiaramente desumersi la liceita' dell'uso
 dei cani nell'esercizio venatorio;
      che, in particolare, con riferimento alla legge n. 157 del 1992,
 l'art.  10,  ottavo  comma,  prevede  che i piani faunistico-venatori
 individuino le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento  e
 le  gare  di  cani,  presupponendo  la preparazione del cane in vista
 della stagione venatoria; l'art. 21 lett. ff) vieta l'uso dei  segugi
 soltanto  per  la  caccia  al camoscio, confermando implicitamente la
 generale liceita' dell'impiego dei cani; l'art. 28, secondo comma, in
 caso di condotte penalmente rilevanti, esclude dalla possibilita'  di
 sequestro il cane al pari di altri mezzi consentiti, quali i richiami
 vivi autorizzati;
      che l'art. 13 della legge n. 157 del 1992 individua quali sono i
 mezzi  diretti  all'abbattimento  consentiti,  con la conseguenza che
 l'ambito del divieto per i mezzi non previsti, di  cui  al  comma  5,
 deve  essere  limitato ai mezzi diretti all'abbattimento e non esteso
 ai mezzi ausiliari all'esercizio della caccia;
      che, inoltre, l'art. 14, secondo comma,  della  legge  regionale
 del  Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (emanata in attuazione della legge
 quadro n. 157 del 1992) prevede espressamente che "il cacciatore puo'
 servirsi come ausili di cani ..";
      che, di conseguenza, non puo'  essere  ricompreso  tra  i  mezzi
 vietati per l'esercizio dell'attivita' venatoria l'utilizzo di cani;
      che,  pertanto,  la  questione  sollevata deve essere dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.