ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 7,
 della legge 24  dicembre  1993,  n.  537  (Interventi  correttivi  di
 finanza  pubblica),  promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 1994
 dalla Corte  dei  conti,  IV  sezione  giurisdizionale,  sul  ricorso
 proposto  da  Scarpetta  Carmine  iscritta  al  n.  283  del registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto di costituzione di Scarpetta Carmine  nonche'  l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7  febbraio  1995  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
    Uditi  l'avvocato  Filippo  de  Jorio  per  Scarpetta  Carmine   e
 l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Corte  dei  conti, IV sezione giurisdizionale, adita da
 Scarpetta Carmine, capo di prima  classe  scelto  in  congedo  dal  1
 gennaio  1979,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 36 e 38
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  11,  comma  7,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537
 (Interventi  correttivi  di  finanza  pubblica),  ritenendo  che   il
 differimento ivi previsto degli aumenti del trattamento pensionistico
 fino al 1995 contrasti con il principio di eguaglianza, nonche' con i
 canoni  di  proporzionalita' ed adeguatezza di cui agli artt. 36 e 38
 della Costituzione.
    Il giudice rimettente osserva che l'adeguatezza e proporzionalita'
 richieste dall'art. 36 della Costituzione devono sussistere non  solo
 al  momento del collocamento a riposo, ma anche in prosieguo, a causa
 del mutato potere d'acquisto della moneta. E' vero che rientra  nella
 discrezionalita'  del  legislatore  la  determinazione dei criteri di
 adeguamento del trattamento pensionistico alla variazione  del  costo
 della  vita,  ma  nel  caso  in  esame  il  differimento dei benefici
 concessi dall'art. 3 del decreto-legge  22  dicembre  1990,  n.  409,
 convertito  con  modificazioni  nella  legge 27 febbraio 1991, n. 59,
 incide   sull'adeguatezza   e   proporzionalita'   dei    trattamenti
 pensionistici.  Ne'  vale  obiettare  che la norma denunciata dispone
 solo  un  differimento,  non  potendo  subire  sospensioni  di  sorta
 l'attuazione  dei  principi  di  eguaglianza  e di proporzionalita' e
 adeguatezza.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo nel senso della manifesta infondatezza  della  questione.
 Non  sarebbe  pertinente il richiamo al principio di eguaglianza, dal
 momento che non vengono indicate le categorie rispetto alle quali  si
 verificherebbe  una disparita' di trattamento in situazioni analoghe;
 mentre per quanto concerne gli artt. 36 e 38 della  Costituzione,  se
 e'  vero  che  il trattamento di quiescenza deve essere proporzionato
 alla qualita' e quantita' del lavoro prestato, resta  tuttavia  salva
 la discrezionalita' del legislatore nell'apportare correttivi, ove vi
 siano esigenze meritevoli di ponderazione, come quelle che discendono
 dall'equilibrio finanziario.
    3.  -  Si  e'  costituita  innanzi  alla  Corte  la parte privata,
 accogliendo gli  argomenti  svolti  nell'ordinanza  di  rimessione  e
 affermando  che  la  sentenza  n. 226 del 1993 si fonda proprio sulle
 misure - introdotte dal decreto-legge n.  409  del  1990,  convertito
 nella  legge n. 59 del 1991 - la cui efficacia e' sospesa dalla norma
 denunciata, in violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione e
 del principio di ragionevolezza.
    4.  -  Nell'imminenza  dell'udienza,  hanno   presentato   memoria
 l'Avvocatura  generale  e  la  difesa  della  parte privata, ciascuna
 ribadendo le proprie conclusioni.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte dei conti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimita'  dell'art.  11,
 comma  7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi
 di  finanza  pubblica),  che  differisce  al  1995  gli  aumenti  del
 trattamento  pensionistico  stabiliti  dal  decreto-legge 22 dicembre
 1990, n. 409, convertito, con modificazioni, nella legge 27  febbraio
 1991, n. 59.
    2. - La questione e' infondata.
    Se  l'adeguatezza  e  la  proporzionalita'  richieste dall'art. 36
 della  Costituzione  devono  sussistere  non  solo  al  momento   del
 collocamento  a  riposo, ma anche in prosieguo, in rapporto al mutato
 potere d'acquisto della moneta, va pure tenuto conto  che  esiste  il
 limite   delle   risorse  disponibili,  e  che  in  sede  di  manovra
 finanziaria di fine anno spetta al Governo e al Parlamento introdurre
 modifiche alla legislazione di  spesa,  ove  cio'  sia  necessario  a
 salvaguardare  l'equilibrio  del  bilancio dello Stato e a perseguire
 gli obiettivi della programmazione finanziaria.
    Spetta  al  legislatore,  nell'equilibrato  esercizio  della   sua
 discrezionalita' e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di
 politica  economica  (sentenze  nn.  477  e 226 del 1993), bilanciare
 tutti i fattori costituzionalmente rilevanti: nel caso in  esame,  il
 processo di perequazione delineato dal decreto-legge n. 409 del 1990,
 convertito  nella legge n. 59 del 1991, non viene infatti vanificato,
 come sembra temere il giudice rimettente, ma soltanto  differito  per
 un  periodo  ragionevolmente  contenuto;  rinvio  che,  certo, non e'
 dettato da motivi arbitrari, trovando fondamento nella piu' complessa
 manovra correttiva degli andamenti della finanza pubblica.
    In questa prospettiva, la norma denunciata non reca  lesione  agli
 artt.  36  e  38  della  Costituzione,  non  determina  disparita' di
 trattamento, ne' appare in se' irragionevole.