IL COLLEGIO DEI RAGIONIERI Nel procedimento disciplinare promosso a carico dell'iscritto rag. Giovanni Ragazzi nato a Livorno il 26 dicembre 1937 ed ivi domiciliato in via Ricasoli n. 49, incolpato come segue: " A) per essere stato dichiarato responsabile in sede penale di fatti costituenti violazioni finanziarie in materia di olii minerali e costituenti altresi' associazione per delinquere (art. 416 del cod. pen.), fatti per i quali ha riportato condanna definitiva alla pena di anni due di reclusione e L. 9.855.000 di multa con sentenza della Corte di appello di Bologna divenuta irrevocabile il 23 gennaio 1990. Fatti commessi in Bologna e altrove nell'anno 1976; B) per non aver informato il collegio professionale di appartenenza dell'esito del processo penale, nonostante fosse a conoscenza che il procedimento disciplinare a suo tempo iniziato era stato sospeso all'esito del giudizio penale. In Livorno, successivamente al 23 gennaio 1990". Il collegio, all'esito del procedimento, osserva quanto segue: con successivi provvedimenti adottati rispettivamente il 13 aprile 1979 e il 28 gennaio 1980 questo collegio, avendo appreso che a carico dell'iscritto rag. Giovanni Ragazzi era stata iniziata azione penale da parte della Magistratura di Bologna e di Brescia ed erano stati emessi a suo carico mandati di cattura, provvedeva a sospendere cautelarmente l'iscritto a tempo indeterminato. Per quanto appreso da questo collegio il rag. Ragazzi era inquisito per i reati di associazione per delinquere e contrabbando doganale nel settore petrolifero, in concorso con alcuni operatori del settore. Avendo successivamente appreso che il rag. Ragazzi era inquisito anche dall'autorita' giudiziaria di Livorno, in data 2 agosto 1982 veniva aperto nuovo procedimento e con delibera 28 settembre 1982, a conferma del precedente provvedimento del 16 settembre 1979 con la quale si era comminata la sospensione, comminava un nuovo periodo di sospensione di un anno, sospendendo altresi' il procedimento disciplinare all'esito dei giudizi penali. Il 12 marzo 1983 il rag. Ragazzi informava questo collegio che era stato prosciolto nei giudizi instaurati dinanzi all'autorita' giudiziaria di Brescia e di Livorno. Soltanto nel maggio 1993 questo collegio apprendeva, durante una verifica dell'albo dei periti presso il Tribunale di Livorno, che il rag. Ragazzi aveva riportato condanna definitiva alla pena di anni 2 di reclusione e di L. 9.855.000.000 di multa per violazione delle disposizioni sugli olii minerali e per associazione per delinquere: infatti con sentenza in data 23 gennaio 1990 veniva respinto ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna con la quale si era parzialmente riformata la sentenza 10 dicembre 1986 del Tribunale di Bologna. Appresa tale circostanza questo collegio nella seduta dell'8 settembre 1993 revocava la sospensione del procedimento disciplinare, convocava il rag. Ragazzi dinanzi a se' e provvedeva quindi a contestargli i capi di incolpazione di cui in epigrafe. Il rag. Ragazzi ha fatto pervenire in tempi successivi due memorie con le quali ha sostenuto che si e' maturata la prescrizione del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. 27 ottobre 1953 n. 1068, sostenendo altresi' che il comportamento contestato non costituisce responsabilita' di natura disciplinare per il contesto nel quale era avvenuto intorno all'anno 1975 e, in subordine, chiedendo che al piu' venisse inflitta la sanzione disciplinare della sospensione, dichiarando la stessa interamente scontata dall'uguale periodo di sospensione cautelare. Il rag. Ragazzi invocava anche l'applicazione del condono di cui alla legge 20 maggio 1986 n. 198. Questo collegio e' chiamato innanzitutto a risolvere un problema che ha carattere senz'altro preliminare rispetto ad ogni altro. Infatti l'art. 38 del d.P.R. n. 1068/1953 che disciplina la professione dei ragionieri e periti commerciali prevede che in caso di condanna dell'iscritto per delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore al minimo a due anni e nel massimo a cinque anni si impone di diritto la radiazione dall'albo. Nella fattispecie il rag. Ragazzi e' stato appunto ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 416 del cod. pen. punito con pena non inferiore nel massimo a cinque anni. E' noto a questo collegio, peraltro, che gia' da tempo l'automatismo tra alcune affermazioni di responsabilita' in sede penale e drastici provvedimenti di carattere disciplinare e' venuta meno nel nostro ordinamento, prima a seguito dell'intervento della Corte costituzionale e poi, nel settore del pubblico impiego, a seguito dell'entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990 n. 19 che all'art. 9, primo comma, ha affermato espressamente che "il pubblico dipendente non puo' essere destituito di diritto a seguito di condanna penale". Particolare rilievo ha poi la sentenza 4 aprile 1990 n. 158 della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953 n. 1067 (ordinamento della professione dottore commercialista) nella parte in cui prevede la destituzione di diritto del commercialista che abbia commesso uno dei reati in esso elencati, in luogo dell'apertura del procedimento disciplinare. Questo collegio si trova quindi nella singolare posizione di dover applicare una norma (l'art. 38 del d.P.R. n. 1068/1953) che e' identica nel suo tenore all'art. 38 d.P.R. n. 1067/1953 (che riguarda come visto i dottori commercialisti) che e' stata gia' "praticamente" dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. La norma che interessa questo collegio, peraltro, e' tuttora esistente nell'ordinamento e questo collegio non puo' disattenderla. Questo collegio non puo' neppure applicare si' grave sanzione all'iscritto, magari fidando in successive impugnazioni sinche' il presente procedimento disciplinare giunga dinanzi alla Corte di cassazione e tali giudici sollevino la eccezione di illegittimita' costituzionale. Questo collegio ritiene, allora, di poter rientrare tra quelle "autorita' giurisdizionali" legittimate a norma dell'art. 23 comma primo, della legge 11 marzo 1953 n. 87 a sollevare questioni di costituzionalita'. A questo collegio e' noto qual'e' l'orientamento in proposito della giurisprudenza, ma e' anche noto che la migliore dottrina e in molti casi la stessa Corte costituzionale ha ritenuto che un organo amministrativo - qual'e' sicuramente questo collegio - acquista i caratteri dell'autorita' giurisdizionale al limitato fine proprio di proporre l'eccezione di legittimita' costituzionale. Se cosi' non fosse si dovrebbe allora ritenere che incostituzionale e' l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 ove interpretato nel senso di costringere un organismo disciplinare quale il presente collegio ad applicare una norma illegittima costituzionalmente, addirittura identica nel tenore e nella sostanza ad altra norma gia' espressamente dichiarata illegittima.