Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato, contro il presidente della Giunta della regione Veneto, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale della delibera legislativa, riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 7 marzo 1995, concernente "Concorsi per assistenti di biblioteca negli enti locali, assunti ai sensi dell'art. 34, quinto comma, della legge regionale 5 settembre 1994, n. 50", in relazione agli artt. 117 e 128 della Costituzione ed ai principi fondamentali di cui al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29. 1. - Nell'ambito degli interventi urgenti a sostegno dell'occupazione, l'art. 4-bis del d.-l. 20 maggio 1993, n. 148, come convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, ha autorizzato (in deroga all'art. 31 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) le pubbliche amministrazioni, che si trovassero ad utilizzare personale con rapporti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, a bandire - sotto determinate condizioni - concorsi per la copertura dei corrispondenti posti nelle qualifiche funzionali richiedenti titolo di studio superiore a quello di scuola secondaria di primo grado. La norma (al quinto comma) ha, altresi', autorizzato le stesse pubbliche amministrazioni a prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato, in atto alla data di entrata in vigore del decreto, fino all'assunzione dei vincitori dei concorsi (per titoli o per esami, secondo le previsioni di cui ai precedenti commi 2 e 3), vietando infine (all'ottavo comma) nuovi reclutamenti nelle qualifiche interessate fino all'espletamento dei concorsi in questione. La misura cosi' adottata si rivolge, come gia' accennato, al personale precario reclutato (a sensi del citato art. 7 della legge n. 554/1988) per la realizzazione di specifici "progetti-obiettivo", alcuni dei quali interessanti settori puntualmente individuati (e tra questi, il settore della tutela dei beni culturali ed ambientali: sesto comma, art. 7 ult. cit.), e a quello parimenti assunto, a tempo determinato, dagli istituti previdenziali, dal Ministero di grazia e giustizia e da quello del lavoro in base alle norme richiamate, in modo specifico, dall'art. 4-bis in esame. 2. - Il 15 dicembre 1994 il consiglio regionale del Veneto ha approvato un disegno di legge, di un unico articolo, il quale dispone che "Il personale assunto presso gli enti locali con l'incarico di assistente di biblioteca ai sensi dell'art. 34, quinto comma, della legge regionale 5 settembre 1984, n. 50, e' equiparato a tutti gli effetti al personale assunto ai sensi dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 554". Come risulta dalla relazione illustrativa del citato disegno di legge, la regione si e' prefissa, attraverso la posta equiparazione, di rendere possibile l'attivazione delle procedure concorsuali autorizzate dal commentato ar. 4-bis della legge n. 236/1993 e, cosi', di consentire l'immissione in ruolo degli assistenti di biblioteca cui tale incarico, forfettariamente retribuito, fosse stato conferito - nei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti - a sensi della legge regionale n. 50/1984 (eppero' in deroga, appunto, all'ordinaria regola del reclutamento per pubblico concorso del personale tecnico delle biblioteche di enti locali). Il disegno di legge ha, pero', formato oggetto di rinvio da parte del Governo, essendosi rilevato (giusta provvedimento del 5 gennaio 1995) che la riferita norma, oltre ad interferire nella sfera di autonomia garantita ai comuni dall'art. 128 della Costituzione, operasse un'indebita estensione dell'art. 4-bis della legge n. 236/1993 a personale da questa non contemplato quale destinatario del relativo beneficio (limitato, invero, al solo personale precario individuato attraverso il richiamo all'art. 7 della legge n. 554/1988 ed alle altre disposizioni espressamente indicate). In data 13 marzo 1995 e', tuttavia giunta comunicazione dell'avvenuta riapprovazione (nella seduta consiliare del 7 marzo 1995) dell'identico testo "rinviato", che viene percio' impugnato per illegittimita' dal deducente Presidente del Consiglio dei Ministri, in conformita' della delibera in tal senso adottata a sensi dell'art. 31 della legge 16 marzo 1953, n. 87. 3. - Come si desume dalle premesse di fatto sub 2) - e segnatamente dal riferito brano della relazione illustrativa del disegno di legge regionale (riprodotto, del resto, a sostegno della proposta di riapprovazione della norma - la regione concorda sulla non applicabilita' delle disposizioni dell'art. 4-bis legge n. 236/1993 ai dipendenti comunali assunti, a termine, con l'incarico di assistente di biblioteca presso gli enti locali; ritiene, tuttavia, che sia in suo potere, attraverso l'interposizione di una norma di equiparazione di detto personale a quello considerato dalla legge statale, di risolvere una situazione di precarieta' che - come si sottolinea ancora nella relazione - non favorisce una serena prestazione lavorativa degli interessati (assistenti di biblioteca). Va osservato, in contrario: a) che non e' nei poteri della regione cui e' finanche preclusa la "novazione" di una fonte statale (attraverso la mera riproduzione di questa in una legge regionale), di incidere o, comunque, di interferire sull'efficacia di una norma dello Stato, riducendone o - come nella specie - ampliandone la sfera d'operativita'; b) che le attribuzioni ex art. 117 della Costituzione in materia di "musei e biblioteche di enti locali" non comportano l'estensione della competenza regionale dal piano dell'organizzazione di dette strutture (attinente alla conservazione, funzionamento, uso ed incremento dei beni e delle attivita' con gli stessi realizzate: v. sentenza n. 921/1988) a quello, affatto diverso, del rapporto di lavoro col personale impiegato, dai comuni, per il funzionamento delle strutture medesime. 3.1. - Deve in particolare notarsi che, come gia' accennato in esordio, l'art. 4-bis della legge n. 236/1993 e' norma eccezionale, introdotta in deroga ai principi stabiliti dalla riforma del pubblico impiego, per la cui realizzazione l'art. 31 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ha - strumentalmente - vietato nuove assunzioni presso le amministrazioni pubbliche (con disposizione recentemente ripresa dall'art. 22, sesto e settimo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724). Ne segue che, quando pure avesse avuto il potere di farlo (e, se si fosse trattato di provvedere nei confronti del personale precario impiegato dalla stessa regione o da enti da questa dipendenti), il legislatore veneto non avrebbe potuto - in contrasto con l'art. 117 della Costituzione e coi principi fondamentali della normativa statale sulla riforma del pubblico impiego - "aggirare" il gia' ricordato divieto di nuove assunzioni di personale consentendo l'immissione in ruolo (con procedure concorsuali sostanzialmente di favore) di dipendenti a tempo determinato non compresi tra quelli cui ha tassativo riguardo l'art. 4-bis cit. (e da questo individuati con puntuale richiamo a ben precise disposizioni, tra le quali l'art. 7 legge 29 dicembre 1988, n. 554, in tema di reclutamento di lavoratori da assumere, a tempo determinato, per la realizzazione di specifici progetti-obbiettivo). Salvo, quindi, quanto si dira' avanti (in relazione all'art. 128) deve riconoscersi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione la norma qui impugnata, giacche' questa mira ad estendere l'eccezionale disposizione statale (autorizzatoria dell'assunzione in ruolo) ad una categoria di personale, "incaricato" delle funzioni di assistente di biblioteca nei comuni con meno di 10.000 abitanti, che in nessun modo puo' essere parificata, o soltanto assimilata, a quella dei precari assunti per la realizzazione di progetti-obiettivo a sensi dell'art. 7 della legge n. 554/1988. Non solo, infatti, quella categoria e' considerata da una norma regionale (l'art. 34, quinto comma, della l.r. 5 settembre 1984, n. 50) addirittura anteriore a quella statale in rilievo cosi' da precludere, per cio' solo, ogni serio tentativo di ricercare una sostanziale corrispondenza tra "incaricati assistenti di biblioteca" (in base alla norma regionale cit.) e "dipendenti assunti a tempo determinato" per compiti precisi e definiti in particolari progetti; ma e', poi, risolutivo per escludere una eadem ratio (che, comunque, di per se' non legittimerebbe - come pure accennato - un'interferenza del legislatore regionale sull'efficacia e sull'ambito di applicazione di una norma statale, oltre tutto eccezionale) il rilievo che l'assunzione di "incaricati" assistenti di biblioteca e' chiaramente prevista - dalla legge regionale del 1984 - come soluzione congrua e definitiva (in deroga a quella comportante, di norma, l'assunzione di personale "a titolo stabile": arg. ex artt. 33 e 34, primo comma della l.r. ult. cit.) delle ordinarie esigenze di funzionamento delle biblioteche di piccoli centri (destinate ad operare con ridotto orario di apertura al pubblico: art. 28, terzo comma, della l.r.), e non gia' per il contingente soddisfacimento di particoli - ed eccezionali - necessita' di uffici pubblici (com'e' nel caso dell'art. 7 della legge n. 554/1988 ed in quelli previsti dalle altre disposizioni richiamate nell'art. 4-bis della legge n. 236/1993). Cosi' dimostra (ad abundantiam, del resto) l'assenza d'ogni ragionevole e fondato motivo dell'equiparazione istituita dalla norma impugnata, e' pure dimostrata la violazione dell'art. 117 della Costituzione e delle norme statali (anche eccezionali, come l'art. 4- bis piu' volte citato) costituenti principi fondamentali in materia di razionalizzazione ed organizzazione amministrativa e del pubblico impiego (artt. 2 della legge n. 421/1992, 30, 31 e 32 del d.lgs. n. 29/1993). 3.2. - Autonomo motivo di censura puo', del resto, formularsi con riguardo all'art. 128 della Costituzione. La materia dei "musei e biblioteche degli enti locali" non si estende a comprendere il rapporto di lavoro del personale impiegato in tali strutture, che e' rapporto intercorrente con gli enti locali eppero' (estraneo alle attribuzioni regionali e) ricompreso nella sfera di autonomia dei comuni (da esercitarsi nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica). Fermo, invero, che gli enti locali non sono assimilabili agli enti amministrativi dipendenti dalle regioni (di cui all'art. 117 della Costituzione), deve osservarsi che le funzioni regionali relative a "musei e biblioteche di enti locali" sono, essenzialmente, funzioni di programmazione e coordinamento e non toccano - se non per gli aspetti organizzatori generali dei relativi servizi sociali - la gestione delle strutture (intese quali complesso di beni e persone). In tal senso, del resto, depongono (quanto alle biblioteche) gli artt. 24 e 25 della stessa legge regionale n. 50/1984, dianzi richiamata, che riconoscono agli enti locali la competenza - tra le altre - a determinare "l'ordinamento intero delle loro biblioteche" e "le funzioni del personale", richiedendo - bensi' - che la relativa regolametazione si uniformi ai criteri generali d'indirizzo stabiliti dalle norme regionali, ma solo agli effetti dell'ammissione ai benefici da queste previsti. Fuori dell'ambito propriamente attinente ai criteri generali di organizzazione e funzionamento delle strutture in parola (e nel quale puo' ricomprendersi la predeterminazione, pur essa di carattere generale, dei requisiti del personale da utilizzare nel servizio) si colloca, dunque, la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti alla biblioteche comunali, da ritenere oggetto del potere regolamentare degli enti locali (a sua volta espressione dell'autonomia garantita dall'art. 128 della Costituzione). E sara' pure, allora, che sono state le stesse amministrazioni comunali interessate a richiedere pressantemente (come si legge nella relazione illustrativa della delibera legislativa impugnata) una "via d'uscita", che consentisse la sistemazione definitiva d'un "numero limitatissimo di dipendenti di enti locali": sta per certo, pero', che la norma regionale che la quale si e' inteso allestire simile via d'uscita si dimostra invasiva della sfera della autonomia garantita, ai comuni, dall'art. 128 della Costituzione.