ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 201 del regio
 decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (testo unico delle disposizioni  di
 legge  sulle  acque e impianti elettrici), promossi con tre ordinanze
 emesse il 28 febbraio 1994, il 22 novembre 1993, il 13 dicembre  1993
 dal    tribunale    superiore    delle   acque   pubbliche   iscritte
 rispettivamente ai nn. 645, 646 e 704 del registro ordinanze del 1994
 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44  e  49,
 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  del  comune  di Fiumefreddo di
 Sicilia, del fallimento della SASI s.p.a. e del  comune  di  Palermo,
 nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Uditi gli avvocati Michele Conte  per  il  fallimento  della  SASI
 s.p.a., Maria Athena Lorizio per il comune di Fiumefreddo di Sicilia,
 Paolo  Antonelli  Camposarcuno  e  Giovanni compagno per il comune di
 Palermo, e l'avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    Con tre ordinanze del medesimo tenore, emesse il 22 novembre  1993
 (ma  pervenute  a  questa  Corte  il  10  ottobre  1994) nel corso di
 altrettanti giudizi di rinvio, il  Tribunale  superiore  delle  acque
 pubbliche  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale "del
 regime  di  impugnazione  delle  decisioni  dello  stesso   Tribunale
 superiore  in  sede  di  legittimita',  discendente dall'applicazione
 dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione
 all'art. 111, secondo e terzo comma della Costituzione, che ne fa  la
 Corte  di  cassazione",  per violazione degli artt. 3, 103, 111 e 113
 della Costituzione.
    Nelle ordinanze di rimessione, premesso in punto di fatto  che  la
 Corte  di  cassazione,  Sez.  unite civili, con sentenze nn. 8393 del
 1992, 1457 e 4993 del 1993 aveva cassato con rinvio le  sentenze  del
 Tribunale  superiore  nn. 40 e 86 del 1990 e 23 del 1991, si sostiene
 che l'indirizzo della Corte suprema - secondo  cui  le  sentenze  del
 giudice  delle acque in unico grado, e cioe' in sede di giurisdizione
 amministrativa,  sono  impugnabili,   oltre   che   per   motivi   di
 giurisdizione   come   previsto   dall'art.  201  citato,  anche  per
 violazione di legge analogamente alle pronunce  di  tutti  i  giudici
 ordinari  e  speciali  ai  sensi  dell'art. 111, secondo comma, della
 Costituzione - sarebbe avversato  da  gran  parte  della  dottrina  e
 formerebbe  oggetto  di  continuo dibattito, onde la necessita' di un
 "intervento risolutivo della Corte costituzionale".
   Il giudice a quo ricorda che, nonostante  che  la  norma  impugnata
 (analogamente  a  quanto  previsto  per le decisioni del Consiglio di
 Stato dall'art. 48 del testo unico 26 giugno 1924  n.  1054)  preveda
 che  le  decisioni  del  Tribunale  superiore  siano  impugnabili  in
 Cassazione "soltanto per incompetenza o eccesso di potere a'  termini
 dell'art.  3  della  legge  31 marzo 1877 n. 3761", ossia, secondo la
 formula usata poi nell'art. 362 c.p.c., per i soli  motivi  attinenti
 alla  giurisdizione, la Corte di cassazione, invece, ritiene che, una
 volta entrata in vigore la Costituzione, il secondo  comma  dell'art.
 111  per  la sua portata generale si applichi anche alle sentenze del
 Tribunale  superiore   delle   acque   in   sede   di   giurisdizione
 amministrativa,   mentre   il   terzo   comma  della  medesima  norma
 costituzionale rappresenti una deroga non estensibile a decisioni  di
 giudici diversi da quelli ivi indicati.
    Cio' premesso nelle ordinanze si sostiene che il sistema delineato
 dalla Corte di cassazione non sia conforme all'art. 111, terzo comma,
 della  Costituzione  e che l'eccezione ivi stabilita per le decisioni
 del Consiglio di Stato sia riferibile anche a  quelle  del  Tribunale
 superiore delle acque in sede di legittimita'.
    A  sostegno  della  tesi, si osserva che il Tribunale superiore ha
 sostituito il Consiglio di Stato nella materia delle  acque,  ha  una
 giurisdizione  generale  di  legittimita' come il Consiglio di Stato,
 con gli stessi poteri e gli stessi limiti, in quanto puo' annullare o
 modificare gli atti amministrativi e non emanare invece decisioni  di
 condanna,  salvo  che  per  quanto  riguarda  le  spese  di giudizio.
 Conclusivamente, anche a seguito della sentenza n.  42  del  1991  di
 questa  Corte,  che  ha  eliminato  il  presupposto processuale della
 definitivita' dell'atto ricorribile, varrebbero per le  decisioni  di
 detto  Tribunale,  in  sede  di  legittimita',  gli  stessi  identici
 principi che regolano  lo  svolgimento  del  giudizio  amministrativo
 ordinario.
    Considerato  altresi'  che  in  passato le decisioni del Tribunale
 superiore e del Consiglio  di  Stato  erano  sottoposte  allo  stesso
 regime  di  impugnazione,  non  puo'  sostenersi  che la identita' di
 principi  e  regole  sia   stata   alterata   dall'art.   111   della
 Costituzione,   nel  senso  voluto  dalla  Cassazione,  perche'  cio'
 comporterebbe  che pronunce su ricorsi contro atti amministrativi per
 incompetenza, eccesso di potere e  violazione  di  legge  abbiano  un
 sistema  diverso  di  impugnazione:  ora  soggette a ricorso solo per
 motivi di giurisdizione, ora anche per violazione di legge.
    In  piu',  l'eccezione   dell'art.   111,   terzo   comma,   della
 Costituzione   riferita   alle   decisioni  del  Consiglio  di  Stato
 troverebbe sostegno nel sistema generale di giustizia amministrativa,
 e  non  in  un  particolare   riguardo   all'organo   giurisdizionale
 soggettivamente  considerato,  ed  in  tal  senso  essa  non puo' non
 riguardare anche le decisioni del Tribunale superiore.  Diversamente,
 la  mera  interpretazione letterale della norma porterebbe a ritenere
 la Cassazione investita della competenza "di merito"  sulla  verifica
 della legittimita' degli atti amministrativi, che e' propria, invece,
 del Consiglio di Stato. Si avrebbe cosi' un controllo di legittimita'
 su di un giudizio amministrativo, che e' esso stesso di legittimita',
 mentre  quel  controllo  sarebbe  possibile  solo  nei riguardi delle
 decisioni del giudice civile, in cui vi e' "una scissione tra fatto e
 diritto".
    Sempre ad avviso del giudice a quo, la tesi non comporta che  tale
 estensione  debba  essere  operata a favore di tutte le giurisdizioni
 amministrative speciali,  bensi'  solo  del  Tribunale  superiore  in
 quanto la sua posizione e' peculiare per avere esso sostituito, nella
 materia,  la  quinta  sezione  del  Consiglio  di Stato con la stessa
 funzione e gli stessi poteri, che fanno del Tribunale superiore,  non
 un  giudice  speciale,  ma  un  organo della magistratura "ordinaria"
 degli interessi legittimi.  Esso  infatti  assume  "due  composizioni
 specializzate",  in  ciascuna  delle  quali  assolve,  con gli stessi
 poteri del giudice omologo e con le procedure proprie  (in  un  caso,
 quale  sezione  della  Cassazione  e,  nell'altro,  quale sezione del
 Consiglio di Stato), al compito giurisdizionale "ordinario", sia  per
 la materia civile che per quella amministrativa.
    In conclusione, la configurazione del regime di impugnazione delle
 sentenze  del  Tribunale  superiore  in  sede  di legittimita', quale
 discende dall'interpretazione che la Cassazione fa dell'art. 201  del
 T.U.  n.  1775  del  1933, sembra in contrasto con lo stesso art. 111
 della Costituzione, nonche' sia  col  principio  di  uguaglianza,  in
 relazione  al  differente  sistema  di  impugnazione  previsto per le
 decisioni dell'omologo Consiglio di Stato, sia con gli artt. 102, 111
 e 113 della Costituzione, che hanno  conservato  il  sistema  binario
 della  giurisdizione, basato sulla distinzione tra diritti soggettivi
 e interessi legittimi e sui  limiti  della  potesta'  giurisdizionale
 attribuita  alla  Cassazione solo quale giudice di legittimita' e non
 anche di merito.
    Quanto alla rilevanza, nelle ordinanze si ricorda  che  si  e'  in
 presenza  di un'ipotesi di verifica della legittimita' costituzionale
 di norme anteriori alla Costituzione, rispetto alle quali il  giudice
 delle  leggi  ha  rivendicato la propria competenza e che la denuncia
 concerne la norma nella sua concreta applicazione.
    2. - E' intervenuto in tutti e tre i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello
 Stato,  che  ha  eccepito  in  primo  luogo la inammissibilita' della
 questione per difetto  di  rilevanza,  dovendo  comunque  il  giudice
 rimettente   prestare   ossequio   alle   sentenze  di  rinvio  della
 Cassazione. Ne consegue che un'eventuale pronuncia  di  accoglimento,
 al  massimo,  potrebbe spiegare effetti per il futuro "imponendo alla
 Corte  di  cassazione  di  dichiarare  inammissibili  i  ricorsi  per
 violazione  di  legge  proposti  contro  le  sentenze  del  Tribunale
 superiore", ma non  potra'  avere  influenza  nei  giudizi  a  quibus
 giacche'  non  potra' ne' comportare l'annullamento delle sentenze di
 rinvio della Cassazione,  ne'  abilitare  il  Tribunale  superiore  a
 disapplicarle  o  riformarle,  dal  momento  che  questo e' obbligato
 dall'art.  384  c.p.c.  ad  uniformarsi  in  ogni  caso  ai  principi
 enunciati in dette sentenze.
    Nel  merito  la  questione  non sarebbe fondata per la chiarissima
 lettera dell'art. 111 Cost. e tutte le  ragioni  svolte  dal  giudice
 rimettente  a  sostegno  della  tesi  prospettata potrebbero, tutt'al
 piu',   suggerire   al   legislatore   costituzionale   di   valutare
 l'opportunita'  di  una  modifica della norma invocata, non potendosi
 viceversa  consentire  l'introduzione  in   via   interpretativa   di
 un'ulteriore  eccezione  al  principio  generale,  ivi  previsto,  di
 impugnabilita' in Cassazione delle sentenze di ogni giudice.
    3. - Si e' costituito in due giudizi il comune di  Fiumefreddo  di
 Sicilia  (reg.  ord.  n.  645  e 646 del 1994) per eccepire anch'esso
 l'inammissibilita'  della  questione,  per  difetto  dei  presupposti
 richiesti  dall'art.  23  della legge n. 87 del 1953 e per sostenere,
 nel merito, la infondatezza della questione.
    Si sono costituiti altresi' il fallimento  della  S.A.S.I.  s.p.a.
 (Societa'  anonima  siciliana per irrigazioni) e il comune di Palermo
 (reg. ord. n. 704 del 1994). Il  primo  ha  svolto  argomentazioni  a
 sostegno della fondatezza della questione, aggiungendo in particolare
 che,  poiche' l'art. 384 c.p.c. attribuisce alla Cassazione il potere
 di decidere la causa nel merito quando non siano necessari  ulteriori
 accertamenti di fatto, si determinerebbe l'inconveniente che solo per
 le  sentenze del Tribunale superiore in unico grado, le Sezioni unite
 della Cassazione avrebbero  giurisdizione  in  materia  di  interessi
 legittimi,  in  contrasto  con  il  sistema  della bipartizione della
 cognizione dei diritti e degli interessi legittimi, quale  si  desume
 dall'art. 103 Cost.
    Il  comune  di  Palermo ravvisa invece profili di inammissibilita'
 della   questione,   in    ragione    dell'intervenuto    "giudicato"
 rappresentato  dalla sentenza cassatoria che non consente di riaprire
 il dibattito sull'ammissibilita' dell'impugnazione, trovandosi ora il
 processo nella fase in cui il  giudice  trae  la  propria  competenza
 dalla stessa decisione di rinvio; nel merito, sostiene l'infondatezza
 della  questione  alla  luce  della  norma parametro invocata e delle
 differenze che si riscontrano nei processi, rispettivamente,  dinanzi
 al Consiglio di Stato e al Tribunale superiore.
    4.  -  In prossimita' dell'udienza hanno presentato memoria sia il
 comune di Palermo che il fallimento della S.A.S.I. s.p.a.,  il  primo
 rilevando  che il giudice del rinvio non puo' sollevare questioni che
 assumono il valore di reclamo avverso la  sentenza  di  annullamento,
 per  di  piu'  evocando  un  presunto "giudicato" rappresentato dalla
 precedente pronuncia del Tribunale superiore ormai inesistente, ed il
 secondo insistendo invece  per  la  rilevanza  della  questione,  pur
 promossa  dal giudice di rinvio che contesta proprio l'ammissibilita'
 del controllo da parte  della  Cassazione  sulle  sentenze  rese  dai
 giudici sottordinati.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Poiche'  le  ordinanze  di  rimessione  propongono tutte la
 medesima questione di legittimita' costituzionale, i relativi giudizi
 possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
    2. - Il Tribunale  superiore  delle  acque  pubbliche  dubita,  in
 riferimento  agli  art.  3,  103, 111 e 113 della Costituzione, della
 legittimita' costituzionale "del regime di impugnazione in cassazione
 delle decisioni"  del  tribunale  stesso  in  sede  di  legittimita',
 discendente   dall'applicazione   che   fa  la  Corte  di  cassazione
 "dell'art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933,  n.  1775  ((Testo
 unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici)),
 in   relazione   all'art.   111,   secondo   e   terzo  comma,  della
 Costituzione".
    Il   tribunale   rimettente   sostiene   che   debba   darsi   una
 interpretazione   logica  dell'art.  111  della  Costituzione  ed  in
 particolare del terzo comma, che per le  sentenze  del  Consiglio  di
 Stato  (e della Corte dei conti) ammette il ricorso in cassazione per
 i soli motivi inerenti alla giurisdizione e non anche per  violazione
 di  legge,  come previsto dal secondo comma dello stesso articolo per
 le  sentenze  dei  giudici  ordinari  e  speciali.   L'intepretazione
 anzidetta dovrebbe condurre ad estendere l'eccezione ivi prevista per
 il Consiglio di Stato al Tribunale superiore delle acque pubbliche in
 sede  di  legittimita',  essendo  anch'esso  giudice  degli interessi
 legittimi, con gli stessi poteri, le  stesse  funzioni  e  le  stesse
 norme  previste per il Consiglio stesso. Con il negarsi alle sentenze
 di detto tribunale  l'estensione  dell'eccezione  prevista  dall'art.
 111,  terzo  comma,  della  Costituzione,  che  limita ai soli motivi
 inerenti alla giurisdizione il sindacato della  Cassazione,  oltre  a
 violarsi  l'art.  111  risulterebbe  violato  anche  l'art. 3, per il
 differente sistema di impugnazione delle sentenze rese dal  Consiglio
 di Stato pur aventi il medesimo oggetto, nonche' gli artt. 103, 111 e
 113  della  Costituzione  che  fondano  la tutela giurisdizionale dei
 cittadini su di un sistema  binario,  basato  sulla  distinzione  tra
 diritti   soggettivi   e   interessi   legittimi,  riconoscendo  alla
 Cassazione,  in  tema  di  interessi  legittimi,  solo  funzioni   di
 legittimita' e non anche di merito.
    3. - La questione e' inammissibile.
    Come risulta dalle ordinanze di rimessione, il Tribunale superiore
 delle acque pubbliche ha sollevato la questione in sede di giudizi di
 rinvio  disposti  dalla  Corte  di  cassazione, che aveva cassato due
 sentenze del tribunale stesso per errata  applicazione  dell'art.  56
 del  t.u.  11  dicembre  1933, n. 1775, dettando l'interpretazione di
 questa norma da applicarsi nei giudizi di rinvio ai fini  della  loro
 definizione,   e  una  terza  sentenza  del  medesimo  tribunale  per
 violazione del principio secondo cui l'esame  delle  istanze  rivolte
 alla    pubblica    amministrazione,    dopo    l'annullamento    del
 silenzio-rifiuto  su  di  esse  formatosi,  va  condotto  secondo  la
 situazione   di  fatto  e  di  diritto  esistente  al  momento  della
 notificazione della pronuncia di illegittimita' del silenzio.
    In proposito si deve ricordare che questa Corte ritiene  possibile
 sollevare  in  sede  di  giudizio di rinvio questioni di legittimita'
 costituzionale di norme di cui il giudice di merito, a seguito  della
 cassazione con rinvio di una sua sentenza, debba fare applicazione ai
 fini  della  definizione della controversia, ivi comprese, ovviamente
 quelle  oggetto  della  interpretazione  operata   dalla   Corte   di
 cassazione  nella  sua  funzione  di  nomofilachia  (v., ex plurimis,
 sentenze nn. 58 del 1995, 257 del 1994, 130 del 1993 e 30 del 1990).
    Ma occorre, altresi', ricordare che per costante giurisprudenza di
 questa Corte (sentenze nn. 456 e 25 del 1989, 21 del 1982, 237 e  218
 del  1976,  116  del  1975,  136  del  1972,  132, 50 e 51 del 1970 e
 ordinanze nn. 410 e 44 del 1994, 758 del 1988 e  332  del  1987)  non
 puo'  chiedersi  al  giudice  delle  leggi una sorta di "revisione in
 grado ulteriore" delle interpretazioni e quindi delle decisioni della
 Corte di cassazione, e che, per potersi ravvisare il requisito  della
 rilevanza  in  concreto  della  questione  proposta,  e' in ogni caso
 necessario che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a  quo
 e  non  invece,  come nella specie, in una fase processuale anteriore
 (quella, appunto, del giudizio per cassazione ai sensi dell'art. 111,
 secondo comma, della Costituzione) gia' conclusasi (ord. n.  332  del
 1987 e sent. n. 116 del 1974).
    D'altra  parte  questa  Corte ha gia' osservato, in relazione alla
 posizione  di  vertice  che  la  Cassazione  assume  nell'ordinamento
 giudiziario,  che  il principio generale della inoppugnabilita' delle
 sentenze di detto organo - principio  espresso  nello  art.  552  del
 precedente  codice  di  procedura  penale;  non riprodotto in termini
 espliciti, ma desumibile dagli artt. 568,624, 628  e  648  del  nuovo
 codice  di  procedura  penale;  ed  inoltre,  per  quanto concerne il
 processo civile, ricavabile dagli artt.  360  e  393  del  codice  di
 procedura  civile,  salvo  il  rimedio  della  revocazione  ai  sensi
 dell'art. 395, n. 4, per effetto delle sentenze di questa  Corte  nn.
 17  del  1986  e  36 del 1991 - "non soffre deroga per quanto attiene
 alle sentenze di annullamento con rinvio" (v. sent. n.  21  del  1982
 cit.).  Cio'  perche'  "la pronuncia della Cassazione di annullamento
 con rinvio costituisce un atto di valore definitivo ed  opera  quindi
 sanatoria  di  tutte  le  nullita' anche assolute verificatesi fino a
 quel momento. La improponibilita' di siffatte nullita'  nel  giudizio
 di  rinvio e' conseguenza necessaria e coerente con la delimitazione,
 operata  dalla  Cassazione  stessa,  dell'ambito  entro   il   quale,
 soltanto,  il  giudizio  deve  proseguire.  La  scelta legislativa di
 rendere  improponibili  in  un  determinato  grado  del  procedimento
 eccezioni  di nullita', che si assumono verificate in fasi precedenti
 ed esaurite, non puo' dirsi irrazionale,  ma  appare,  al  contrario,
 ispirata dall'intento di evitare la perpetuazione dei giudizi al fine
 di   garantire   la   definizione   del  procedimento  stesso,  cosi'
 realizzando un interesse fondamentale dell'ordinamento".
    Orbene,   nel   caso   di   specie,   la   norma   sospettata   di
 incostituzionalita', riguardando i limiti del potere della Cassazione
 in  sede  di  sindacato  delle sentenze del Tribunale superiore delle
 acque pubbliche, era applicabile non in sede di giudizio  di  rinvio,
 bensi' in una fase processuale precedente, ormai esaurita, e, quindi,
 l'eventuale  decisione in senso positivo non avrebbe alcuna rilevanza
 nei giudizi a quibus (sul punto, v. ord. n. 332 del 1987).