ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 666, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1993 dal Pretore di Potenza nel procedimento esecutivo nei confronti di Caraffa Vito iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto che con ordinanza dell'11 dicembre 1993 il Pretore di Potenza, quale giudice dell'esecuzione, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 666, comma secondo, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 101, secondo comma, della Costituzione; che nel sollevare la questione il giudice rimettente espone, in punto di fatto, che, successivamente alla proposizione di una richiesta di restituzione di cauzione (in precedenza imposta, ex art. 85 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, quale condizione per la restituzione di un bene gia' sottoposto a sequestro preventivo nel corso del procedimento penale), avanzata dall'interessato dopo la formazione del giudicato, ma respinta dal medesimo giudice rimettente sull'assunto che tale provvedimento avrebbe dovuto essere adottato dal pubblico ministero quale organo dell'esecuzione, era stata rivolta, sempre al rimettente, nuova identica istanza di svincolo della cauzione da parte del pubblico ministero, cui medio tempore l'interessato si era rivolto in base alla accennata precedente statuizione; che, in tale situazione, sussisterebbero, secondo l'ordinanza di rinvio, gli estremi della situazione di mera riproposizione di una precedente richiesta gia' respinta, tale da legittimare una declaratoria di inammissibilita' dell'ulteriore richiesta, a norma dell'art. 666, comma secondo, del codice di procedura penale; che tuttavia, ad avviso del giudice a quo, quest'ultima norma precluderebbe, per il suo tenore letterale, l'adozione di una simile declaratoria, in particolare in ragione dei riferimenti ivi contenuti alla necessita' di previa audizione del pubblico ministero e della difficolta' di configurare l'audizione dell'interessato in siffatta ipotesi; che, muovendo da questa premessa interpretativa, il giudice a quo ravvisa nella norma impugnata un profilo di violazione dell'art. 3 della Costituzione (programmaticamente sviluppato come principio di parita' delle parti nell'art. 2, punto 3) della legge-delega n. 81 del 1987), per ingiustificata diversificazione del trattamento accordato alla parte privata rispetto al pubblico ministero; che ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale e' dedotto con riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in base al rilievo per cui il giudice investito della richiesta del pubblico ministero si troverebbe obbligato a instaurare in ogni caso un procedimento camerale, con sottrazione del potere di delibazione anticipata dei presupposti di ammissibilita' della richiesta, potere viceversa accordato nell'ipotesi reciproca di richiesta ripetuta dalla parte privata; che e' intervenuto in giudizio il presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, rilevando una inadeguata esposizione della vicenda processuale di cognizione ai fini del controllo sulla rilevanza, e sottolineando comunque la possibilita' di una diversa lettura della norma impugnata, ha concluso per una declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza della questione; Considerato che l'eccezione, sollevata dall'interveniente, di inammissibilita' per difetto di esposizione dei fatti processuali da parte del giudice a quo - ai fini della verifica sulla rilevanza del quesito - non puo' essere accolta, in quanto le indicazioni contenute al riguardo nell'ordinanza di rinvio presuppongono logicamente che non vi sia stata alcuna statuizione in ordine alla sorte della cauzione nell'ambito del processo di cognizione; che, nel sollevare la questione, il giudice a quo - che ritiene di dover applicare la disposizione generale in tema di procedimento di esecuzione ex art. 666 del codice di procedura penale, in luogo di ricorrere a diverse previsioni specificamente concernenti la restituzione di cose sequestrate, secondo una scelta allo stesso affidata e non censurabile in sede di controllo di costituzionalita' - muove da una interpretazione palesemente erronea della norma richiamata, in quanto il comma 2 impugnato assoggetta alla medesima disciplina la richiesta in executivis, da qualunque parte essa provenga; che pertanto la questione, sollevata in base al detto presupposto, deve essere dichiarata, per tale profilo, manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.