ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale del  disposto  coordinato
 degli  artt.  61,  31 e 32 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela
 delle cose d'interesse artistico e storico), promosso  con  ordinanza
 emessa  l'11  novembre  1993  dalla  Corte  di cassazione sui ricorsi
 riuniti proposti da Giovanni Verusio, Silvestro Pierangeli  ed  Ernst
 Beyeler  contro  il  Ministero  per i beni culturali ed ambientali ed
 altri, iscritta al n. 400 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  28,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di  costituzione  di  Giovanni  Verusio,  Silvestro
 Pierangeli   ed  Ernst  Beyeler  nonche'  l'atto  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice  relatore
 Enzo Cheli;
    Uditi  gli  avvocati Giuseppe Guarino per Giovanni Verusio, Angelo
 Clarizia per Silvestro Pierangeli, Pietro Guerra e Beniamino Caravita
 di Toritto per Ernst Beyeler  e  l'Avvocato  dello  Stato  Piergiogio
 Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza
 dell'11 novembre 1993, emessa nel  corso  del  giudizio  sui  ricorsi
 riuniti  proposti  da Giovanni Verusio, Silvestro Pierangeli ed Ernst
 Beyeler contro il Ministero per i beni  culturali  ed  ambientali  ed
 altri,  ai  fini  dell'annullamento  della decisione del Consiglio di
 Stato n. 58 del 30 gennaio 1991, ha sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.   3   e   42  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale del disposto coordinato degli artt. 61, 31 e 32  della
 legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d'interesse artistico
 e  storico).  L'ordinanza di rimessione premette che i ricorrenti nel
 giudizio a quo impugnano la decisione con la quale  il  Consiglio  di
 Stato,  confermando  in  sede  di appello la precedente pronuncia del
 Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 224  del  26  gennaio
 1990,  ha respinto la domanda tendente ad ottenere l'annullamento del
 decreto del Ministro  per  i  beni  culturali  e  ambientali  del  24
 novembre  1988 n. 122749, con il quale e' stato esercitato il diritto
 di prelazione sul dipinto "Il giardiniere" di Vincent Van Gogh - bene
 vincolato ai sensi della legge n. 1089 del 1939 - per  il  prezzo  di
 lire 600.000.000, in relazione alla vendita del dipinto medesimo, per
 uguale  prezzo, intervenuta nel 1977 tra il Verusio e il Pierangeli e
 da essi comunicata allo stesso Ministero con atto del 28 luglio 1977.
    Il decreto ministeriale impugnato risulta motivato sui presupposti
 seguenti:
       a) che tanto la suddetta denuncia  di  vendita  del  28  luglio
 1977,  quanto  la successiva comunicazione unilaterale del Pierangeli
 del 2 dicembre 1983 di aver acquistato il dipinto non in  proprio  ma
 in nome e per conto del Beyeler, sono atti che, sia singolarmente che
 nel  loro complesso, non integrano una valida denuncia di alienazione
 di  bene  vincolato,  ai  sensi  dell'art. 30 della legge n. 1089 del
 1939, perche' non soddisfano i requisiti stabiliti dall'art.  57  del
 r.d. 30 gennaio 1913, n. 363, tutt'ora in vigore, per quanto concerne
 l'esatta     descrizione     delle    condizioni    dell'alienazione,
 l'individuazione dell'acquirente  e  la  sottoscrizione  delle  parti
 contraenti;
       b)  che,  conseguentemente,  come  gia' comunicato dallo stesso
 Ministero con atto del 1 luglio 1988, non disponendo il Beyeler di un
 titolo di proprieta' del dipinto legittimamente opponibile ai sensi e
 per gli effetti della  legge  n.  1089  del  1939,  non  puo'  essere
 riconosciuto  alcun  valore  alla  successiva  denuncia, del 3 maggio
 1988, di vendita del dipinto  stesso  dal  Beyeler  alla  Solomon  R.
 Guggenheim Corporation;
       c)  che, ai sensi dell'art. 61 della legge n. 1089 del 1939, in
 mancanza  di  una  regolare  denuncia   dell'alienazione   del   bene
 vincolato,  lo  Stato puo' esercitare il diritto di prelazione di cui
 agli artt. 31 e 32 della legge stessa anche oltre l'ordinario termine
 di due mesi dalla  presentazione  della  denuncia,  senza  limiti  di
 tempo.
    La  Corte  di  cassazione  espone  che  il Consiglio di Stato, nel
 respingere la domanda dei ricorrenti, dopo aver ribadito  la  vigenza
 del  r.d. 30 gennaio 1913 n. 363 anche dopo l'entrata in vigore della
 legge n. 1089 del 1939, ha ritenuto che, ai  sensi  dell'art.  61  di
 detta legge, in caso di mancata denuncia dell'alienazione (cosi' come
 nell'equiparata  ipotesi  di  denuncia priva dei requisiti essenziali
 previsti  dal  succitato  regio  decreto),  l'Amministrazione   possa
 esercitare  in  ogni  tempo la prelazione, per la quale il termine di
 prescrizione decorre solo dal momento di una  regolare  denuncia.  La
 stessa  Corte  ritiene  anche  corretta l'interpretazione assunta dal
 Consiglio di  Stato  in  relazione  sia  al  tenore  letterale  della
 disposizione del secondo comma dell'art. 61 della legge n. 1089 - per
 il  quale, in caso di omessa o infedele denuncia, "resta sempre salva
 la facolta' del Ministro di esercitare il  diritto  di  prelazione  a
 norma  degli artt. 31 e 32" - sia al fatto che la stessa disposizione
 non consente di individuare un momento iniziale per il decorso di  un
 termine.   Tuttavia, la Corte di cassazione dubita della legittimita'
 costituzionale della norma cosi' interpretata e solleva, pertanto, la
 presente  questione,  che  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata.     In  punto  di  rilevanza,  l'ordinanza  di  rimessione
 argomenta che  l'eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'  della
 normativa  che  consente  l'esercizio  della prelazione in ogni tempo
 farebbe venir meno il  potere  dell'Amministrazione  di  incidere  in
 qualsiasi momento sul diritto soggettivo del privato, degradandolo ad
 interesse  legittimo,  con  la  conseguenza, rilevante nel giudizio a
 quo, di ricondurre le controversie riguardanti  la  tardivita'  della
 prelazione  ex  art. 61 alla giurisdizione dell'autorita' giudiziaria
 ordinaria.  L'ordinanza precisa altresi' che il suddetto  effetto  si
 produrrebbe  sia  nell'ipotesi di totale espulsione del secondo comma
 dell'art. 61, sia nell'ipotesi di declaratoria di incostituzionalita'
 delle norme denunciate nella parte  in  cui  non  prevedono  che,  in
 presenza  di violazione dei divieti o inosservanza delle condizioni e
 modalita' di cui al primo comma dell'art. 61, il termine di due mesi,
 di  cui  all'art.  32,  primo  comma,  decorra  dalla  data  in   cui
 l'Amministrazione abbia acquisito la conoscenza certa di tutti i dati
 dei   quali  e'  obbligatoria  la  comunicazione.  Risulta,  infatti,
 accertato nel giudizio a quo che il diritto di prelazione di  cui  si
 controverte e' stato esercitato oltre due mesi dalla piena conoscenza
 da parte dell'Amministrazione competente di tutti gli elementi che la
 denuncia  di  vendita  avrebbe dovuto contenere.  La questione, nella
 stessa ordinanza, viene riconosciuta non manifestamente infondata, in
 relazione agli artt. 3 e 42  della  Costituzione,  sotto  un  duplice
 profilo.    Il  primo profilo e' quello della illimitata compressione
 del diritto reale dell'alienante che - secondo il  giudice  a  quo  -
 sarebbe  ingiustamente sottoposto ad un trattamento diverso da quello
 riservato  ad  ogni  altro   espropriato,   essendo   data   facolta'
 all'Amministrazione  di  porre  in  essere  l'atto  ablativo  in ogni
 momento, con correlativa incertezza, del pari illimitata  nel  tempo,
 circa l'effettivo assetto dei rapporti giuridici concernenti il bene.
 Invero,  mentre tutte le leggi in tema di espropriazione per pubblica
 utilita' assegnano all'espropriante rigorosi termini decadenziali, la
 prelazione ex art. 61 non solo non sarebbe sottoposta a decadenza, ma
 non incontrerebbe neppure il limite della prescrizione.   Il  secondo
 profilo  di  illegittimita'  sarebbe  rilevabile  - sempre secondo la
 Corte remittente - nella mancata garanzia  per  l'espropriato  di  un
 adeguato indennizzo, in quanto la corresponsione di una somma pari al
 prezzo   contrattuale,   prevista   dalla   normativa  in  esame,  si
 conformerebbe alla sola ipotesi di prelazione  esercitata  nel  breve
 termine  di  due  mesi,  ma non anche a quella di una prelazione che,
 essendo esercitabile senza limiti di  decadenza,  intervenga  quando,
 per  effetto  del  decorso  di  un  lungo periodo di tempo, il prezzo
 contrattuale sia  divenuto  del  tutto  inadeguato.  Con  l'ulteriore
 conseguenza  -  sempre  secondo il giudice a quo - di una irrazionale
 differenziazione tra la  posizione  di  chi,  avendo  effettuato  una
 denuncia  irregolare,  si  vedrebbe  corrispondere,  come nel caso di
 specie, un indennizzo pari al prezzo denunciato, pur se divenuto  nel
 tempo  del  tutto inadeguato, e la posizione di chi, avendo del tutto
 omesso    la    denuncia     dell'alienazione,     percepirebbe     -
 nell'impossibilita'  per  l'Amministrazione  di  accertare  il prezzo
 contrattualmente stabilito -  un  indennizzo  calcolato  in  base  al
 valore  attuale  di  mercato,  ai  sensi del terzo comma dell'art. 31
 della legge n. 1089, estensivamente applicato.   La Corte  remittente
 ritiene,  infine,  che  ai  dedotti  profili  di  illegittimita'  non
 potrebbe  opporsi   un   supposto   carattere   sanzionatorio   della
 prelazione,  sia in quanto tale carattere non si concilierebbe con la
 discrezionalita' che e' riconosciuta  all'Amministrazione  in  ordine
 all'effettuazione  della  prelazione  stessa,  sia  in  quanto  detta
 prelazione puo' essere disposta  indipendentemente  dall'applicazione
 delle  sanzioni di cui all'art. 63 della legge n. 1089, sulla base di
 valutazioni afferenti al pubblico interesse e non  quale  conseguenza
 di una condanna penale.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri  sostenendo  l'inammissibilita'  o  comunque  l'infondatezza
 della prospettata questione.
    Secondo  l'interveniente,  la  questione  sarebbe inammissibile in
 quanto ne'  il  dispositivo  ne'  la  motivazione  dell'ordinanza  di
 rimessione  consentirebbero  una  precisa  ed  univoca individuazione
 della norma sospettata di illegittimita' costituzionale.  Inoltre, la
 questione risulterebbe posta in termini  alternativi  tra  la  totale
 caducazione   dell'art.   61,   secondo  comma,  e  la  sua  parziale
 illegittimita' nella parte in cui esso non prevede che la  prelazione
 su  atti  non  denunciati  debba essere comunque esercitata entro due
 mesi   dalla   ottenuta   conoscenza   dell'alienazione   da    parte
 dell'Amministrazione.    Risulterebbero  cosi' vulnerati - a giudizio
 dell'interveniente - sia il principio della certezza dell'oggetto del
 giudizio  di  costituzionalita',  sia  il  principio  che  vieta   di
 disarticolare l'effetto delle sentenze della Corte costituzionale dal
 loro  contenuto  dichiarativo.   Nel merito, la questione e' ritenuta
 infondata in considerazione della specificita' del regime che  regola
 il  diritto  di  proprieta'  sui  beni artistici notificati, ai sensi
 della legge n. 1089 del 1939, per il loro  interesse  particolarmente
 importante.    In  particolare,  la  prelazione storico-artistica non
 potrebbe  essere  direttamente  equiparata  ad  altri  vincoli   alla
 proprieta',  comportanti  effetti  espropriativi,  in settori diversi
 quali l'urbanistica o la tutela paesaggistica.  Nel  caso  in  esame,
 infatti,  la  soggezione  del proprietario al potere espropriativo si
 coniugherebbe con un obbligo  di  cooperazione  nei  confronti  della
 pubblica  amministrazione  posto  a  carico  del proprietario stesso,
 nella forma della denuncia dell'alienazione.  Pertanto, la permanenza
 della soggezione al potere di prelazione, in caso di inadempimento da
 parte   del   proprietario   all'obbligo   di    denuncia,    sarebbe
 ragionevolmente correlata alla permanenza di detto inadempimento, con
 la  conseguenza  che  solo  il  sopravvenire  del  dovuto adempimento
 potrebbe far cessare  l'illimitatezza  temporale  dell'esercizio  del
 potere di prelazione.
    3.  -  Il  Verusio, parte nel giudizio a quo, si e' costituito nel
 presente  giudizio  per  chiedere  l'accoglimento  della   questione.
 L'interveniente   premette   di   non  condividere  l'interpretazione
 dell'art. 61, secondo  comma,  accolta  dalla  Corte  di  cassazione,
 secondo  la  quale,  a  fronte  di una mancata o incompleta denuncia,
 sarebbe riconosciuta allo Stato  una  facolta'  di  prelazione  senza
 limiti   di   tempo.  A  suo  giudizio,  la  normativa  in  questione
 implicherebbe comunque il rispetto del termine di due mesi dalla data
 di piena conoscenza della vendita non denunciata.  In ogni caso,  non
 potrebbe ritenersi legittimo un potere di espropriazione senza limiti
 di  tempo,  tanto  piu'  quando - come nel caso di specie - si sia in
 presenza non gia' di una omissione di  denuncia  bensi'  di  denuncia
 contenente  delle irregolarita'.   Risulterebbe, quindi, una ingiusta
 ed arbitraria disparita' di trattamento tra chi abbia  effettuato  la
 denuncia,  pur  contenente alcune irregolarita', e chi abbia, invece,
 del tutto omesso la denuncia stessa.  Quest'ultimo  percepirebbe  per
 effetto  della prelazione un prezzo pari al valore attuale di mercato
 del bene, mentre il primo  otterrebbe  solo  il  valore  riferito  al
 contratto  denunciato,  pur  a  distanza di molti anni, come nel caso
 oggetto del giudizio a quo.
    4. - Anche  il  Pierangeli,  parte  nel  giudizio  a  quo,  si  e'
 costituito   nel   giudizio   aderendo   alle   richieste   formulate
 nell'ordinanza di rimessione.
    5. - Infine, anche il Beyeler si e' costituito in giudizio, sempre
 per chiedere l'accoglimento della questione.
    L'interveniente sostiene che la  norma  dell'art.  61  avrebbe  un
 carattere sanzionatorio, ma che questo si esprimerebbe esclusivamente
 nella nullita' di diritto del negozio non denunciato, senza ulteriori
 e  diversi  gravami a carico dei soggetti contraenti. In particolare,
 la  prelazione  richiamata  da  detto  art.  61  non sarebbe istituto
 diverso da quello di cui agli artt. 31 e 32 della  legge  n.  1089  e
 dovrebbe,  pertanto, attuarsi con le ordinarie forme previste da tali
 norme.       Risulterebbe,   quindi,   del    tutto    ingiustificato
 l'assoggettamento    del    diritto    dell'alienante    al    potere
 dell'Amministrazione di esercitare in ogni tempo la  prelazione,  non
 potendosi  ritenere  conforme  ai  principi  dell'ordinamento  che la
 circolazione di  un  bene  possa  essere  sottoposta,  senza  vincoli
 temporali,  alla  possibile attivazione di un intervento ablatorio da
 parte dell'Amministrazione.    Il  principio  della  attivazione  del
 potere  dell'Amministrazione a decorrere dal momento della conoscenza
 dei presupposti del potere stesso sarebbe,  del  resto,  presente  in
 tutta la normativa in materia di espropriazione per pubblica utilita'
 oltre  che nella recente normativa comunitaria sulla restituzione dei
 beni illecitamente usciti dal territorio nazionale.   L'interveniente
 insiste,  infine,  sul  profilo della quantificazione dell'indennizzo
 che, secondo i principi costituzionali,  non  potrebbe  comunque  non
 essere determinata anche - pur se non esclusivamente - in riferimento
 al   valore  effettivo  del  bene  al  momento  dell'esercizio  della
 prelazione.
    6. - In prossimita' dell'udienza, sia il Presidente del  Consiglio
 dei  ministri  sia  le parti Verusio e Beyeler hanno presentato ampie
 memorie per sviluppare le tesi prospettate  nei  rispettivi  atti  di
 intervento e replicare alle deduzioni avversarie.
                        Considerato in diritto
    1.  - Con l'ordinanza in esame le sezioni unite civili della Corte
 di cassazione sollevano questione di legittimita' costituzionale, per
 violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione, nei  confronti  del
 disposto  coordinato  degli  artt.  61,  31 e 32 della legge 1 giugno
 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico).
    L'art. 61 della legge in questione dispone, al  primo  comma,  che
 "le  alienazioni,  le  convenzioni  e  gli  atti giuridici in genere,
 compiuti contro i divieti stabiliti  dalla  presente  legge  e  senza
 l'osservanza  delle  condizioni  e  modalita' da essa prescritte sono
 nulli di pieno diritto" e, al secondo comma, che "resta sempre  salva
 la  facolta'  del  Ministro  (per  i  beni culturali e ambientali) di
 esercitare il diritto di prelazione a norma degli artt. 31 e  32".  A
 loro  volta,  gli artt. 31 e 32 regolano le condizioni e le modalita'
 per  l'esercizio  del  diritto  di  prelazione,   che,   nell'ipotesi
 ordinaria    -    collegata   all'avvenuta   denuncia   al   Ministro
 dell'alienazione del bene da parte del  proprietario  -  deve  essere
 esercitata  nel  termine di due mesi dalla data della stessa denuncia
 (v. art. 32, primo comma, in relazione all'art. 30).  Ad avviso della
 Cassazione le norme impugnate risulterebbero lesive degli artt.  3  e
 42 della Costituzione sotto due profili e cioe': a) per l'"illimitata
 compressione  del  diritto  reale dell'alienante, ingiustificatamente
 sottoposto ad un trattamento diverso  da  quello  riservato  ad  ogni
 altro espropriato, essendo data facolta' all'amministrazione di porre
 in   essere   l'atto   ablativo  in  ogni  momento,  con  correlativa
 incertezza, del pari illimitata nel tempo, circa l'effettivo  assetto
 dei  rapporti  giuridici  concernenti  il  bene";  b) per la "mancata
 garanzia per l'espropriato di un adeguato indennizzo,  in  quanto  la
 corresponsione  di  somme pari al prezzo contrattuale ben si attaglia
 alla  sola  ipotesi  di  prelazione esercitata nel breve lasso di due
 mesi, ma non anche  a  quella  esercitabile  in  ogni  tempo".    Nel
 prospettare  la  questione,  l'ordinanza  muove da alcuni presupposti
 interpretativi,  condivisi  negli   orientamenti   prevalenti   della
 giurisprudenza  ordinaria  ed  amministrativa:  in particolare, dalla
 considerazione che l'art. 61, secondo comma, consente,  nei  casi  di
 omessa  o  irregolare  denuncia,  l'esercizio  della prelazione senza
 limiti temporali e che la stessa prelazione storico-artistica, per  i
 suoi  caratteri  differenziati dalla prelazione di diritto comune, va
 ricondotta nella  categoria  generale  degli  atti  espropriativi  (e
 questo  tanto  piu'  quando  la prelazione venga esercitata, come nel
 caso  del  secondo  comma  dell'art.  61,  in  relazione   a   negozi
 riconosciuti nulli).
    2.   -   Vanno   in   primo   luogo   esaminate  le  eccezioni  di
 inammissibilita'  prospettate  dalla  difesa  statale.    Ad   avviso
 dell'Avvocatura  dello  Stato, la questione sarebbe inammissibile per
 non avere esattamente individuato l'oggetto del  giudizio  (cioe'  la
 norma  impugnata), nonche' per il fatto di aver enunciato due diverse
 soluzioni di accoglimento indicate in via alternativa.
    Ne' l'una ne' l'altra di tali eccezioni possono essere accolte.
    In primo luogo va rilevato che dal contenuto dell'ordinanza  -  e,
 in particolare, dalla connessione tra il dispositivo e la motivazione
 della  stessa  -  l'individuazione  dell'oggetto  del giudizio emerge
 chiara senza dar luogo a dubbi.  Tale oggetto investe, nel suo nucleo
 centrale, la previsione  dell'esercizio  del  diritto  di  prelazione
 senza  limiti  temporali disciplinata nel secondo comma dell'art. 61,
 norma il cui contenuto risulta specificato e integrato  -  oltre  che
 attraverso  la connessione con il primo comma dello stesso articolo -
 dal richiamo espresso  agli  artt.  31  e  32.    Il  riferimento  al
 "disposto  coordinato"  degli artt. 61 e 32, espresso nel dispositivo
 dell'ordinanza,  anziche'  rendere  incerti,   serve,   pertanto,   a
 completare  e  meglio definire i termini della questione.  Ne' assume
 maggiore  valore   l'eccezione   relativa   al   presunto   carattere
 alternativo  della questione proposta.  Tale carattere viene riferito
 al fatto che nell'ordinanza risulta prospettata la possibilita' di un
 duplice esito del giudizio e cioe'  sia  la  caducazione  totale  del
 secondo  comma  dell'art.  61  sia  la dichiarazione d'illegittimita'
 delle norme denunciate nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  il
 termine  stabilito  dall'art.  32,  primo comma, debba decorrere, nel
 caso di prelazione esercitata ai sensi dell'art.  61, dalla  data  in
 cui  l'Amministrazione  abbia  acquisito la piena conoscenza dei dati
 dei quali e' obbligatoria la  denuncia.  Tale  prospettazione  viene,
 peraltro,   enunciata   soltanto   nella  motivazione  relativa  alla
 rilevanza della questione, al fine di argomentare  che  la  rilevanza
 stessa  -  collegata  ad  un  giudizio  sulla giurisdizione - sarebbe
 destinata a permanere anche nell'ipotesi di un accoglimento  parziale
 della  questione quale quella sopra richiamata. Si tratta, quindi, di
 una formulazione limitata ad un passaggio della motivazione, che  non
 viene  minimamente  a incidere sul carattere unitario della questione
 proposta, quale si  desume  dal  dispositivo  dell'ordinanza  il  cui
 petitum  risulta  incentrato sulla dichiarazione d'illegittimita' del
 "disposto coordinato" degli artt. 61, 31 e 32 della legge n. 1089 del
 1939.
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.  Per quanto concerne
 l'asserita  lesione  dell'art.  3  della  Costituzione,  l'ordinanza,
 muovendo  dal  riconoscimento   del   carattere   di   "provvedimento
 espropriativo"  della  prelazione  storico-artistica  - tanto piu' se
 esercitata, ai sensi dell'art. 61,  secondo  comma,  della  legge  n.
 1089,  nel  caso di nullita' del negozio di trasferimento del bene -,
 contesta la disparita' di trattamento che il soggetto colpito da tale
 misura viene a subire rispetto a tutti gli altri soggetti  sottoposti
 a  procedimenti  espropriativi.    Ad  avviso  del giudice a quo, chi
 subisce la prelazione in questione, oltre a percepire un  "indennizzo
 calcolato  in modo del tutto diverso da quanto previsto in materia di
 espropriazione  e   senza   possibilita'   di   revisione   in   sede
 amministrativa  o giudiziaria", e' sottoposto, in relazione ai limiti
 temporali, ad "un trattamento ingiustificatamente deteriore  rispetto
 a   colui   che   sia   assoggettabile   all'ordinario   procedimento
 espropriativo": e questo in relazione al fatto che "mentre  tutte  le
 leggi  in  tema  di  espropriazione  per  pubblica utilita' assegnano
 all'espropriante rigorosi termini decadenziali, la prelazione ex art.
 61 non solo non e' sottoposta a decadenza, ma non soggiace nemmeno al
 limite della prescrizione" (che potrebbe decorrere soltanto a seguito
 di regolare denuncia).   Un ulteriore profilo  di  disparita'  viene,
 poi,  denunciato  ponendo  a  confronto  la  situazione  di chi abbia
 effettuato una denuncia irregolare,  tenuto  a  percepire  il  prezzo
 denunciato  -  che, per il tempo decorso al momento della prelazione,
 potrebbe risultare del tutto inadeguato - con quella di chi,  invece,
 abbia  omesso  di  fare  la  denuncia,  che,  in assenza di un prezzo
 denunciato, potrebbe - ad avviso del giudice a  quo  -  percepire  un
 indennizzo  calcolato ai sensi dell'art. 31, terzo comma, della legge
 1089  (in  base  cioe'  al  valore  attuale  di  mercato):   con   un
 conseguente,  ingiustificato  trattamento piu' favorevole concesso al
 soggetto   responsabile   dell'inadempienza   piu'   grave.      Tali
 argomentazioni  non  possono  essere condivise, perche' trascurano di
 considerare il carattere del tutto  peculiare  del  regime  giuridico
 fissato per le cose di interesse storico e artistico dalla legge 1089
 del   1939   e,  nell'ambito  di  tale  regime,  dell'istituto  della
 prelazione storico-artistica: un regime che trova nell'art.  9  della
 Costituzione  il  suo  fondamento  e  che  si  giustifica  nella  sua
 specificita' in relazione al fine  di  salvaguardare  beni  cui  sono
 connessi   interessi   primari  per  la  vita  culturale  del  paese.
 L'esigenza di conservare e di garantire la fruizione da  parte  della
 collettivita' delle cose di interesse storico e artistico - che siano
 state sottoposte a notifica ai sensi dell'art. 3 della legge n.  1089
 - giustifica, di conseguenza, per tali beni l'adozione di particolari
 misure  di  tutela che si realizzano attraverso poteri della pubblica
 amministrazione e vincoli per i privati differenziati  dai  poteri  e
 dai vincoli operanti per altre categorie di beni, sia pure gravati da
 limiti  connessi al perseguimento di interessi pubblici. Questo porta
 ad escludere la comparabilita' delle procedure ablative  connesse  al
 settore  della  tutela artistica e storica con le ordinarie procedure
 espropriative previste per beni di diversa natura.    Cio'  vale,  in
 particolare,   per   la   prelazione   storico-artistica,   che,  pur
 manifestando - quanto meno nel caso  contemplato  dal  secondo  comma
 dell'art.  61 - una sostanza ablativa, e' istituto ben distinto dagli
 ordinari  provvedimenti   di   natura   espropriativa.   Basti   solo
 considerare  che,  a  differenza  di  quanto  accade  nelle ordinarie
 procedure  espropriative,  la  prelazione  viene  a collegarsi ad una
 iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) che non e' attivata dalla
 parte pubblica, bensi' dalla parte  privata,  titolare  del  bene:  e
 questo  nonostante  che  la  stessa prelazione, ove sia esercitata in
 conseguenza della violazione di un preciso obbligo imposto al privato
 (denuncia del trasferimento), venga chiaramente a  configurarsi  come
 istituto   in   cui   prevale,  sul  profilo  negoziale,  il  profilo
 autoritativo.  Non sussiste, dunque, alcun elemento che  consenta  di
 comparare,  sotto  il  profilo  della  violazione  del  principio  di
 eguaglianza, le modalita' della prelazione storico-artistica - e,  in
 particolare,  le  modalita'  temporali del suo esercizio - con quelle
 proprie degli ordinari istituti espropriativi.   Ne' puo'  valere  il
 richiamo,  operato  nella  ordinanza  sempre  sotto  il profilo della
 violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  alla  disparita'   di
 trattamento   tra  i  soggetti  che  hanno  effettuato  una  denuncia
 irregolare e quelli che  non  hanno  fatto  alcuna  denuncia.    Tale
 disparita' non sussiste, perche' la corretta lettura della disciplina
 posta  in tema di prelazione (e, in particolare, nell'art.  31, primo
 comma) induce a ritenere che anche per questa  seconda  categoria  di
 soggetti  il  prezzo  da  erogare  non  possa essere altro che quello
 pattuito all'atto del trasferimento e non  quello  corrispondente  al
 valore  venale  del  bene  all'atto  della prelazione.   Il prezzo in
 questione,  ove  non  conosciuto,   andra',   pertanto,   individuato
 attraverso  l'adozione  di  idonei mezzi di prova, riferiti al valore
 del bene in relazione alle condizioni esistenti nel mercato  all'atto
 del trasferimento.
    4.  -  Infondata  si  presenta  anche  la  censura  formulata  con
 riferimento   all'art.   42   della   Costituzione.   Tale   censura,
 nell'ordinanza   di   rimessione,   viene  prospettata  in  relazione
 all'assenza  di  un  "adeguato  indennizzo  per  l'espropriato",  dal
 momento  che  l'esercizio della prelazione senza limiti temporali non
 potrebbe non condurre alla conseguenza di alterare  il  rapporto  tra
 prezzo  erogato (riferito alla data dell'alienazione non denunciata o
 irregolarmente denunciata) e valore di  mercato  del  bene  (riferito
 alla  data  dell'esercizio della prelazione).  Ora, non si puo' certo
 dubitare del fatto che l'esercizio della  prelazione  a  distanza  di
 molto  tempo dalla alienazione possa determinare - in conseguenza sia
 della svalutazione monetaria che della  rivalutazione  del  bene  sul
 mercato  -  uno  scarto anche elevato tra prezzo corrisposto e valore
 reale del bene "espropriato" con conseguente danno economico  per  il
 venditore  sottoposto  a  prelazione tardiva (e questa e', del resto,
 l'ipotesi che, in concreto, ricorre nella  fattispecie  che  ha  dato
 luogo  al  giudizio  a  quo):  ma  da tale premessa non si puo' anche
 trarre la conseguenza che l'ordinanza di rimessione intende affermare
 in  ordine  alla  illegittimita'  costituzionale   della   prelazione
 storico-artistica di cui al secondo comma dell'art. 61 della legge n.
 1089 del 1939 per inadeguatezza dell'indennizzo.
    In  proposito  due  sono  i profili che vanno rilevati.   Il primo
 attiene, ancora una  volta,  alla  peculiarita'  dell'istituto  della
 prelazione  storico-artistica che - pur manifestando, nell'ipotesi di
 cui al secondo comma dell'art. 61, una  sostanza  ablativa  -  viene,
 come   sopra  si  accennava,  a  differenziarsi  sensibilmente  dagli
 istituti connessi agli ordinari  procedimenti  espropriativi.  Questo
 punto  induce,  in  primo  luogo,  a  sottolineare  la difficolta' di
 operare una piena assimilazione - quale quella operata nell'ordinanza
 di rinvio - tra prezzo della prelazione e indennita' di esproprio. Si
 aggiunga  che  il  prezzo  della  prelazione  -  quand'anche  potesse
 ritenersi  assimilabile  alla  indennita'  di  esproprio,  in  quanto
 riferito ad un atto dichiarato "nullo di pieno diritto" - risulta pur
 sempre  collegato  ad  un  elemento  negoziale  rimesso  alla  libera
 contrattazione delle parti, elemento che, almeno nella normalita' dei
 casi  (riferibili  all'esercizio  della  prelazione  entro  un   arco
 temporale  contenuto),  non  puo'  assumere  le  connotazioni  di  un
 compenso, oltre che ridotto rispetto al valore reale  del  bene,  del
 tutto   irrisorio   e  simbolico  e,  pertanto,  lesivo  dei  criteri
 desumibili in tema di indennizzo dall'art. 42 della Costituzione.  Il
 secondo  profilo  attiene  alla  stessa   natura   della   prelazione
 storico-artistica  prevista  dal  secondo  comma dell'art. 61, che la
 legge n. 1089 del 1939 viene a inquadrare nel Capo III, dedicato alle
 sanzioni. In proposito, il punto decisivo che va rilevato e'  che  il
 danno  economico  che  i  contraenti  vengono a subire in conseguenza
 dell'esercizio    ritardato     della     prelazione     da     parte
 dell'Amministrazione   non   e'  altro  che  la  conseguenza  diretta
 dell'inadempimento realizzato dagli stessi contraenti a seguito della
 mancata  presentazione  di  una  denuncia   regolare:   inadempimento
 suscettibile  di  dar luogo ad una situazione di illiceita', che puo'
 essere, peraltro, rimossa  in  ogni  momento  da  parte  del  privato
 mediante  la  presentazione  tardiva della stessa denuncia.  I rischi
 che in conseguenza dell'omessa o dell'irregolare denuncia (equiparate
 negli effetti ai sensi dell'art. 57 del r.d. 30 gennaio 1913, n. 363,
 richiamato dall'art. 73 della legge n. 1089) possono determinarsi  ai
 fini  della  conservazione del bene al patrimonio culturale nazionale
 vengono, d'altra parte, a giustificare il  particolare  rigore  della
 disciplina  in  esame: rigore che conduce a sanzionare l'inadempienza
 del privato non solo sul piano delle norme penali (art. 63), ma anche
 su quello delle norme di natura civilistica, attraverso la previsione
 della nullita' (necessaria)  dell'atto  di  alienazione  compiuto  in
 violazione  delle  prescrizioni  in  tema di denunzia (art. 61, primo
 comma) e della prelazione (eventuale) del bene pur in presenza di  un
 negozio nullo. Ne' - a differenza di quanto si afferma nell'ordinanza
 di  rimessione  -  il  carattere sanzionatorio di quest'ultima misura
 puo' ritenersi in contrasto con il suo esercizio  discrezionale,  dal
 momento  che  la misura stessa viene a operare su di un piano che non
 puo' essere equiparato a quello proprio delle sanzioni penali e delle
 sanzioni amministrative.