ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  comma  2-
 bis,  del  decreto-legge  21  marzo  1988,  n.  86  (Norme in materia
 previdenziale, di occupazione giovanile  e  di  mercato  del  lavoro,
 nonche'  per  il  potenziamento del sistema informatico del Ministero
 del   lavoro   e   della   previdenza   sociale),   convertito,   con
 modificazioni,  nella  legge  20  maggio  1988,  n. 160, promosso con
 ordinanza emessa il  1  luglio  1994  dal  Pretore  di  Grosseto  nel
 procedimento   civile  vertente  tra  Rospetti  Rigoletto  e  l'INPS,
 iscritta al n. 538 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'INPS   nonche'   l'atto   di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore
 Cesare Ruperto;
    Uditi  l'avv. Carlo De Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato
 Gaudenzio Pierantozzi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento  civile,  promosso  da  Rospetti
 Rigoletto,   pensionato   di   vecchiaia  INPS,  gestione  lavoratori
 dipendenti, dal 1  luglio  1987,  al  fine  di  ottenere  -  mediante
 l'invocata  applicazione  dell'art. 21, comma 6, della legge 11 marzo
 1988, n. 67, interpretato dall'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge
 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di  occupazione
 giovanile  e  di  mercato del lavoro, nonche' per il potenziamento di
 sistema informatico del  Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza
 sociale), convertito con modificazioni nella legge 20 maggio 1988, n.
 160  -  il  ricalcolo della pensione, a decorrere dal 1 gennaio 1988,
 con il conteggio delle quote di retribuzione  prima  escluse  perche'
 eccedenti  il  tetto,  il Pretore di Grosseto, in funzione di giudice
 del lavoro, ha sollevato  con  ordinanza  emessa  il  1  luglio  1994
 questione  di legittimita' costituzionale - in riferimento all'art. 3
 della Costituzione - del menzionato art. 3, comma 2-bis, nella  parte
 in  cui esclude i pensionati dell'assicurazione generale obbligatoria
 posti  in  quiescenza  anteriormente  al  1  gennaio  1988,  da   una
 riliquidazione   della   pensione   che   tenga  conto  di  quote  di
 retribuzione assoggettate  a  contribuzione,  prima  non  considerate
 perche'  eccedenti il tetto secondo il sistema di calcolo dell'art. 3
 della legge 29 maggio 1982, n. 297.
    Il giudice a quo - premesso che la norma interpretativa  impugnata
 non  si  e'  limitata  a prevedere quote di pensione, calcolate sulla
 retribuzione imponibile eccedente il limite massimo  di  retribuzione
 annua   pensionabile,  da  aggiungere  alla  pensione  calcolata  con
 riferimento alla retribuzione pensionabile, ma ha introdotto anche un
 diverso sistema di liquidazione della pensione base, che  ricomprende
 quote  di  retribuzione  prima  escluse  dal  calcolo  ai  sensi  del
 dodicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297  del  1982  -  rileva
 che,  mediante  il nuovo sistema, finiscono per essere considerate ad
 aliquota piena, ai fini della pensione base, quote di retribuzione in
 precedenza non calcolate, operandosi il taglio  dell'eccedenza  della
 retribuzione  massima  settimanale pensionabile, rivalutata, non piu'
 con  riferimento  a  ciascun  anno  solare,  bensi'  avuto   riguardo
 all'eccedenza tra la retribuzione media settimanale quinquennale e la
 retribuzione  massima  settimanale  pensionabile  in vigore nell'anno
 solare in cui decorre la pensione.
    Considerato, altresi', che l'INPS ha negato la retroattivita'  per
 i  pensionati  in  epoca  anteriore  al  1  gennaio 1987 (recte: al 1
 gennaio 1988) di tale sistema di calcolo, richiamandosi alla sentenza
 di questa Corte n. 72 del 1990, secondo la quale  esso  non  comporta
 alcuna  operazione  di  riliquidazione  complessiva  del trattamento,
 esaurendosi  in  una  mera  sommatoria  tra  la   quota   aggiuntiva,
 quantificata  secondo  la nuova disciplina, e la pensione determinata
 in base al limite massimo della retribuzione pensionabile, il Pretore
 remittente sostiene  che  siffatta  interpretazione  "costituzionale"
 della   normativa   denunciata   non   poteva   tener   conto   delle
 ingiustificate disuguaglianze  che  si  potevano  creare,  in  virtu'
 dell'interpretazione   data  dall'INPS,  proprio  in  danno  di  quei
 pensionati  piu'  poveri  che  negli  ultimi  cinque  anni   avessero
 percepito  retribuzioni  a  volte  inferiori  e  a volte superiori al
 tetto, perche' per costoro, ove collocati in  pensione  prima  del  1
 gennaio  1988,  non  sarebbero  mai  state  considerate  (come per il
 ricorrente nel giudizio a quo: da cui la rilevanza  della  questione)
 quote   di   retribuzioni   eccedenti  il  tetto  e  pur  soggette  a
 contribuzione, con violazione dell'art. 3 della  Costituzione  ed  in
 contrasto con lo stesso spirito dell'art. 21, comma 6, della legge n.
 67  del  1988,  di  consentire  dal  1  gennaio  1988  che  tutta  la
 retribuzione soggetta a contribuzione fosse valutata  ai  fini  della
 pensione, anche se ad aliquote diverse e decrescenti.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che  ha  concluso  chiedendo  che la questione sia dichiarata
 inammissibile o, in subordine, infondata.
    Rileva   la   difesa   erariale,   in   una   memoria   depositata
 nell'imminenza dell'udienza, che - alla luce della citata sentenza n.
 72  del  1990,  con la quale e' stata dichiarata non fondata identica
 questione,  attesa  la  legittimita'   della   scelta   discrezionale
 effettuata  dal  legislatore  nella  previsione  di  un differenziato
 meccanismo di calcolo di  quote  di  trattamento,  riferito  a  tempi
 diversi   -   la   norma  impugnata  sostanzialmente  predispone  una
 operazione  autonoma  ed   aggiuntiva   rispetto   a   quella   della
 liquidazione   della  pensione  gia'  effettuata  in  base  al  tetto
 pensionabile, la quale non comporta pertanto  una  riliquidazione  di
 questa,  risolvendosi  al  contrario  in  una  mera sommatoria di due
 entita' distinte calcolate secondo aliquote diverse. Ed aggiunge  che
 l'INPS   ha   esattamente  stabilito  che  la  valutazione,  ai  fini
 pensionistici, della retribuzione eccedente il tetto di cui  all'art.
 21  della legge n. 67 del 1988, doveva essere effettuata anche per le
 pensioni aventi decorrenza anteriore al 1  gennaio  1988,  precisando
 che  per  la  rideterminazione  della  retribuzione  pensionabile  da
 utilizzare per il ricalcolo delle relative prestazioni pensionistiche
 non si doveva procedere, nell'a'mbito dei singoli gruppi di settimane
 o di ciascun anno solare, al taglio delle retribuzioni al limite  del
 tetto; cio', analogamente a quanto previsto dalla norma impugnata per
 i  trattamenti  pensionistici aventi decorrenza dal 1 gennaio 1988 in
 poi.
   3. - Si e' costituito in giudizio l'INPS, concludendo anch'esso per
 una declaratoria di infondatezza della questione, gia' sottoposta  al
 vaglio  di costituzionalita', giusta la richiamata sentenza n. 72 del
 1990, ovvero  di  inammissibilita'  della  stessa,  rientrando  nella
 discrezionalita'   del  legislatore  fissare  il  termine  dal  quale
 attenuare i sacrifici derivanti dal sistema del tetto  pensionistico.
 Inoltre,  in  una  memoria  depositata  nell'imminenza  dell'udienza,
 l'INPS osserva che, qualora il giudice a quo avesse  ritenuto  errata
 l'applicazione   della   norma   impugnata   da  parte  dell'istituto
 costituito,  avrebbe   dovuto   semmai   disapplicare   il   relativo
 provvedimento e non gia' sollevare questione di legittimita'; laddove
 poi,  nel  merito,  la  censura  di  incostituzionalita'  cosi'  come
 prospettata risulterebbe infondata, stante il recupero operato  dalla
 norma  de qua, anche se con aliquote diverse e decrescenti, di quella
 parte di retribuzione imponibile precedentemente esclusa dal  computo
 del trattamento pensionistico.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Grosseto ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo
 1988, n. 86, convertito con modificazioni nella legge 20 maggio 1988,
 n. 160, nella parte in cui esclude  i  pensionati  dell'assicurazione
 generale  obbligatoria posti in quiescenza anteriormente al 1 gennaio
 1988, da una riliquidazione della pensione che tenga conto  di  quote
 di  retribuzione  assoggettate a contribuzione, prima non considerate
 perche' eccedenti il tetto in base al  sistema  di  calcolo  adottato
 dall'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297.
    Il  giudice  remittente  ritiene  anzitutto che la norma impugnata
 abbia introdotto un diverso sistema di determinazione  dell'ammontare
 della  pensione  base,  ricomprensivo  di quote di retribuzione prima
 escluse dal relativo calcolo ai sensi del dodicesimo comma  dell'art.
 3  della  legge  n.  297 del 1982. Rileva quindi che il diniego della
 retroattivita' della nuova disciplina, opposto dall'INPS nel giudizio
 a quo, comporterebbe  un'ingiustificata  disuguaglianza,  basata  sul
 mero  dato  temporale del collocamento a riposo, in danno di soggetti
 nei cui confronti non verrebbero considerate  quote  di  retribuzioni
 eccedenti  il  tetto  e  pur soggette a contribuzione, con violazione
 dell'art. 3 della Costituzione ed in contrasto con lo stesso  spirito
 dell'art.  21,  comma  6, della legge n. 67 del 1988 (di cui la norma
 censurata costituisce interpretazione autentica), di consentire dal 1
 gennaio 1988 che tutta la retribuzione soggetta a contribuzione fosse
 valutata ai fini della pensione,  anche  se  ad  aliquote  diverse  e
 decrescenti.
    2. - La questione non e' fondata.
    Gia'  investita  del  vaglio  di  costituzionalita' della norma in
 esame (e, insieme, della norma interpretata, nel  cui  solo  a'mbito,
 peraltro,  si  rinviene  la  determinazione del contestato momento di
 decorrenza), questa Corte con la sentenza n. 72 del 1990  ha  fornito
 un'interpretazione  adeguatrice del combinato disposto delle predette
 disposizioni, fondata sia  sulla  struttura  letterale  e  logica  di
 queste sia sulla ratio legis desumibile dai lavori preparatori.
    In  particolare,  essa  ha  osservato che una corretta esegesi non
 puo' non prendere  le  mosse  dalla  constatazione  che  il  concreto
 funzionamento  del  sistema  del  tetto pensionistico aveva nel tempo
 comportato sacrifici che il  legislatore  ha  inteso  attenuare,  con
 conseguente  impossibilita'  di  ritenere,  nel silenzio della legge,
 l'esclusione dal beneficio apportato dalla nuova  disciplina  proprio
 di  coloro  che quei sacrifici avevano sopportato. E da tale premessa
 e' pervenuta ad affermare che l'operazione introdotta  dall'art.  21,
 comma 6, della legge n. 67 del 1988, come interpretato dalla norma de
 qua,  assume  natura  autonoma  ed aggiuntiva rispetto a quella della
 liquidazione  della  pensione  gia'  effettuata  in  base  al   tetto
 pensionistico,  e  percio'  non  comporta alcuna riliquidazione ma si
 risolve in una mera sommatoria di  due  entita'  distinte,  calcolate
 secondo  aliquote  diverse.  Operazione,  quest'ultima,  che ben puo'
 essere eseguita anche nei confronti di chi la liquidazione abbia gia'
 ottenuto. Difatti l'inciso "a decorrere dal 1 gennaio 1988"  (di  cui
 alla  disposizione interpretata) segna solo il momento, a partire dal
 quale va effettuato il computo della retribuzione eccedente il  tetto
 pensionistico  e va corrisposta la quota aggiuntiva di pensione cosi'
 determinata.
    3. - Oppone il giudice a quo che l'esposta  interpretazione  della
 Corte "non poteva tener conto delle ingiustificate diseguaglianze che
 si potevano creare, in virtu' dell'interpretazione data dall'INPS del
 comma 2-bis dell'art. 3 della legge 160 del 1988, proprio in danno di
 quei  pensionati  piu'  poveri, che negli ultimi cinque anni avessero
 percepito retribuzioni a volte  inferiori  e  a  volte  superiori  al
 tetto,  perche'  per  costoro,  ove collocati in pensione prima del 1
 gennaio  1988,  non  sarebbero  mai  state   considerate   quote   di
 retribuzioni eccedenti il tetto e pur soggette a contribuzione".
    Ma  appare  evidente  che  l'eventuale  diversa  applicazione data
 dall'INPS alla norma censurata  non  vincola  il  giudice  nella  sua
 istituzionale  funzione  interpretativa  della legge, la quale - come
 sopra detto - e' ben suscettibile di un'interpretazione  adeguatrice,
 che  la  renda  immune  dalla sospettata violazione dell'art. 3 della
 Costituzione   (unico    parametro    invocato    dal    remittente).
 Interpretazione,   del   resto,   ormai  generalmente  accolta  dalla
 giurisprudenza ordinaria, sia di legittimita' sia di merito.
   Poiche' non  da  altro  potrebbe  trarre  fondamento  il  lamentato
 vulnus, se non dalla dedotta impossibilita' di addivenire ad una vera
 e   propria   riliquidazione   della   pensione  con  un  sostanziale
 superamento dei limiti imposti dal sistema  del  tetto  pensionistico
 (ritenuto,  peraltro,  anch'esso conforme a Costituzione: v. sentenza
 n. 173 del 1986 ed ordinanza n.  143  del  1987),  basta  qui  dunque
 ribadire  quanto  gia'  affermato con la sentenza n. 72 del 1990, non
 senza  comunque  osservare  che  l'assunto  del  giudice  a  quo   e'
 chiaramente  inaccettabile  anche  perche'  ignora  il  dato testuale
 dell'art. 21, comma 6 (ultimo periodo), della legge n. 67  del  1988,
 secondo cui il meccanismo predisposto si esaurisce nell'erogazione di
 una  semplice  "quota"  aggiuntiva  di  pensione, da sommare a quella
 "determinata in base al  limite  massimo"  della  retribuzione  annua
 pensionabile,  con  conseguente esclusione di qualsiasi operazione di
 complessivo ricalcolo del trattamento.