ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 1,
 dell'art. 4, comma 2, dell'art. 6, commi 1, 5, 6 e 7,  dell'art.  10,
 comma  1, e dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure
 di razionalizzazione della finanza pubblica),  promossi  con  ricorsi
 della Regione Emilia-Romagna, della Regione Siciliana e della Regione
 Lombardia,  notificati  il  27  e  il  30 gennaio 1995, depositati in
 cancelleria il 3 e il 7 febbraio 1995 ed iscritti rispettivamente  ai
 nn. 3, 4 e 5 del registro ricorsi 1995;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore
 Riccardo Chieppa;
    Uditi gli avvocati Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  Emilia-
 Romagna,  Giovanni  Pitruzzella  per  la  Regione Siciliana e Valerio
 Onida per la Regione Lombardia;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso ritualmente notificato il  28  gennaio  1995,  la
 Regione  Lombardia  ha  impugnato  gli  artt. 3, 4 e 6 della legge 23
 dicembre 1994, n. 724  recante  "Misure  di  razionalizzazione  della
 finanza  pubblica",  per  violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
 Costituzione.
    La ricorrente, dopo aver premesso che il quadro normativo  statale
 concernente la disciplina del servizio sanitario nazionale e' evoluto
 nel  senso  di un maggiore progressivo coinvolgimento delle regioni e
 dei bilanci regionali in ordine alle spese sanitarie, sottolinea  che
 la  legge  n.  724  del  1994  conterrebbe  disposizioni "del tutto e
 clamorosamente contrastanti" con la nuova logica normativa.  Infatti,
 da un lato verrebbe esteso a tutte le aziende sanitarie il vincolo al
 pareggio di bilancio  statuendo  che  "agli  eventuali  disavanzi  di
 gestione,  ferma  restando  la responsabilita' delle Unita' sanitarie
 locali, provvedono le regioni con risorse proprie e  con  conseguente
 esonero  di  interventi  finanziari  da  parte dello Stato" (art. 10,
 comma 1, primo  periodo,  dall'altro  si  imporrebbero  alle  regioni
 "vincoli  rigidi"  in  ordine ai propri comportamenti programmatori e
 gestionali e, pertanto, lesivi dell'autonomia regionale.  Il  ricorso
 prende  anzitutto  in considerazione l'art. 3 il quale stabilisce che
 le regioni provvedono,  entro  il  termine  perentorio  di  sei  mesi
 dall'entrata  in  vigore  della  legge,  alla  "disattivazione o alla
 riconversione" degli ospedali che non raggiungono, alla data  del  30
 giugno  1994,  la  dotazione  minima  di  120  posti letto. Vi e' una
 eccezione  e concerne gli ospedali specializzati e quelli per i quali
 la regione abbia gia' programmato  la  strutturazione  con  dotazione
 superiore  a  120  posti  letto.    Ad  avviso della ricorrente detto
 disposto  viola   le   competenze   legislative   ed   amministrative
 costituzionalmente  attribuite  alle  regioni  dagli  artt. 117 e 118
 della Costituzione, in quanto - lungi dal porre principi fondamentali
 - conterrebbe  una  regolamentazione  dettagliata  dell'oggetto,  del
 procedimento  e di tutte le conseguenze della disposta disattivazione
 o riconversione degli ospedali di cui si e' piu'  sopra  detto.    La
 lesione  delle  competenze  regionali  sarebbe,  altresi', confermata
 dall'ultima parte dell'art. 3, comma 1, il quale stabilendo  che  "in
 relazione a condizioni territoriali particolari, in specie delle aree
 montane  e  delle isole minori, nonche' alla densita' e distribuzione
 della popolazione, le regioni possono autorizzare il mantenimento  in
 attivita'   dei   suddetti  ospedali",  introdurrebbe  una  sorta  di
 "clausola di salvezza" che, in definitiva,  verrebbe  a  sancire  una
 competenza  regionale  del tutto eccezionale e derogatoria e, quindi,
 lesiva della potesta'  legislativa  e  programmatoria  della  regione
 stessa.        Estremamente    minuziosa    sarebbe,   altresi',   la
 regolamentazione del procedimento di disattivazione  o  riconversione
 degli  ospedali  di  cui all'art. 3 censurato. Al riguardo si prevede
 che con decreto del Ministro della sanita', da emanare  entro  trenta
 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, vengano precisati
 i  criteri  di  classificazione degli ospedali specializzati (esclusi
 dalla procedura di disattivazione o di  riconversione)  e  che  sulla
 base  di  tale  decreto  la regione pubblichi l'elenco degli ospedali
 cosi' "risparmiati". Viene, pure, disposto che,  in  mancanza  di  un
 pronto adempimento da parte della regione, il Consiglio dei ministri,
 su   proposta   del   Ministro   della  sanita',  eserciti  i  poteri
 sostitutivi.  Ad  avviso  della  regione,  detti  poteri  sostitutivi
 sarebbero   previsti   in   violazione   del   principio   di   leale
 collaborazione tra Stato e regioni,  nel  senso  che  essi  sarebbero
 esercitabili "immediatamente" - alla sola condizione dello scadere di
 un ulteriore termine di trenta giorni dall'emanazione del decreto del
 Ministro  della  sanita'  piu'  sopra  richiamato  - senza una previa
 diffida ad adempiere.  In questa prospettiva i poteri sostitutivi  di
 cui  all'art. 3, comma 1, sarebbero unicamente preordinati a scattare
 a fronte dell'inadempimento regionale in  ordine  alla  pubblicazione
 dell'elenco  degli  ospedali  specializzati  e  sarebbero, come tali,
 distinti dai poteri sostitutivi di cui  all'art.  3,  numero  2,  che
 sarebbero,  invece,  preordinati  a  rimediare  ad  una  "complessiva
 inerzia  regionale"  riguardo  alla  procedura  di  disattivazione  e
 riconversione  in esame e verrebbero esercitati da commissari ad acta
 appositamente nominati, "previo invito alle regioni  ad  adottare  le
 misure  adeguate".    Il  carattere minuzioso della disciplina di cui
 all'art. 3 sarebbe, altresi',  ribadito  nelle  previsioni  circa  il
 destino   del   personale  in  esubero  a  seguito  delle  effettuate
 disattivazioni o riconversioni, nonche'  nella  preordinazione  delle
 trasformazioni    di    destinazione   degli   ospedali   che   viene
 esplicitamente e primariamente indicata nell'attivazione di residenze
 sanitarie assistenziali per anziani non autosufficienti.  A  cio'  si
 aggiunge, secondo la ricorrente, che la procedura di disattivazione o
 riconversione   deve  essere  attivata  dalla  regione,  prescindendo
 completamente dai risultati di gestione dell'ospedale e quindi  anche
 nel  caso  in  cui  non  vi  siano  disavanzi,  con la conseguenza di
 vulnerare le potesta' programmatorie regionali.  Infine e dal momento
 che  i  suddetti  vincoli  di  disattivazione  o  riconversione   non
 verrebbero imposti a carico della ospedalita' privata, vi sarebbe una
 evidente   disparita'   di  trattamento  tra  strutture  pubbliche  e
 strutture private.  Il ricorso investe anche l'art. 4 della legge  n.
 724  del  1994,  sottolineando  che  esso dispone, al comma 1, che la
 revisione delle dotazioni organiche e i  processi  di  mobilita'  del
 personale  devono essere finalizzati all'obiettivo del pieno utilizzo
 delle strutture pubbliche, secondo le indicazioni del Piano sanitario
 nazionale  per  il  triennio  1994-96.  Sempre  secondo  la   Regione
 Lombardia,  il  comma 2 dello stesso articolo 4 prevederebbe "in modo
 del tutto incongruo" - rispetto agli obiettivi elencati nel comma 1 -
 l'applicazione del divieto  di  assunzione  contenuto  nell'art.  22,
 comma 6, della stessa legge n. 724 del 1994 per il primo semestre del
 1995;  quanto  al secondo semestre, per la copertura dei posti che si
 rendono vacanti per cessazione dal servizio  verificatasi  a  partire
 dal   1   gennaio  1995,  viene  stabilito  che  le  regioni  possono
 autorizzare, entro stretti limiti, nuove assunzioni.  Detto  disposto
 sarebbe  lesivo della potesta' programmatoria della regione e sarebbe
 altresi', incoerente in quanto, e da un lato, postula, al comma 1, il
 potenziamento dei servizi assicurando in  particolare  l'apertura  al
 pubblico  degli stessi "per un congruo orario settimanale" e, dunque,
 forse per un orario prolungato rispetto a quanto avviene attualmente,
 e, dall'altro, oppone le forti limitazioni ed i rigidi vincoli di cui
 al comma 2 dello stesso art.  4.  Lesivo dell'autonomia  finanziaria,
 di   spesa  e  di  bilancio,  nonche'  dell'autonomia  programmatoria
 regionale sarebbe, altresi', l'art. 6, comma 1, della  legge  n.  724
 del  1994.  Detta  norma, infatti, stabilendo per ciascuna regione un
 "tetto" massimo alla spesa di beni e servizi  (la  spesa  non  potra'
 superare,  per  l'anno 1995, l'importo registrato nell'esercizio 1993
 ridotto del 18 per cento; per l'anno 1996 lo  stesso  importo  dovra'
 essere  ridotto  del 16 per cento; per l'anno 1997 la riduzione sara'
 pari al 14 per cento) imporrebbe forti vincoli alla crescita  di  una
 determinata  categoria  di spese, prescindendo del tutto dalle scelte
 programmatorie e di bilancio che dovrebbero essere  effettuate  dalla
 regione.    Inoltre, il tetto, cosi' imposto, alle spese sanitarie di
 beni e servizi farebbe riferimento a "parametri del tutto  teorici  e
 astratti"  ed, in quanto tali, lesivi dell'autonomia regionale, anche
 alla luce di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n.  307
 del  1983.  Per  di  piu',  la circostanza che la identificazione dei
 suddetti parametri sia svincolata dai concreti bilanci delle regioni,
 porterebbe a  predisporre  parametri  di  contenimento  della  spesa,
 uguali per tutte le regioni: il che sarebbe fonte di gravi disparita'
 tra  regione  e  regione  e tra aziende sanitarie nel senso che detto
 disposto penalizzerebbe le regioni e le aziende  sanitarie  che  gia'
 negli  esercizi  precedenti  (e fino a tutto il 1993) abbiano operato
 una riduzione dei costi relativi  a  quella  singola  voce  di  spesa
 (ovvero  acquisto  di beni e servizi per la sanita') e finirebbe "del
 tutto incongruamente" con l'avvantaggiare  quelle  regioni  e  quelle
 aziende  sanitarie che non avessero effettuato le dette riduzioni.  A
 cio' si aggiunge che sulla voce di spesa  in  questione  graverebbero
 costi  che la regione non sarebbe in grado di controllare (luce, gas,
 telefono). Oltre ad essere lesiva  della  autonomia  finanziaria,  la
 disposizione  in  esame  sarebbe  pure  intimamente contraddittoria e
 dotata di effetti perversi laddove  venisse  applicata.  Infatti,  il
 vincolo  alle  spese  per l'acquisto di beni e servizi contrasterebbe
 con il sistema di pagamento delle prestazioni sulla base  di  tariffe
 predeterminate dalla regione: un aumento delle scelte degli utenti in
 favore  delle  strutture  sanitarie pubbliche potrebbe tradursi in un
 corrispondente aumento delle spese per beni e servizi, allo scopo  di
 accrescere  la  qualita' e la quantita' delle prestazioni erogate con
 vantaggio complessivo  per  l'andamento  della  spesa  sanitaria.  Da
 ultimo,  il  tetto  di  spesa  di cui all'art. 6, comma 1, sarebbe in
 "stridente contrasto" con il disposto dell'art. 10, comma 1, il quale
 stabilisce che agli eventuali  disavanzi  di  gestione  delle  Unita'
 sanitarie  locali,  provvedono  le  regioni  con risorse proprie, con
 conseguente esonero di interventi finanziari da  parte  dello  Stato.
 Ora, secondo la ricorrente, la circostanza che sul bilancio regionale
 gravi  l'eventuale  disavanzo  di  gestione  delle  Unita' sanitarie,
 dovrebbe correlativamente consentire a ciascuna regione,  nell'ambito
 del  proprio  bilancio, di destinare liberamente somme ai capitoli di
 spesa coerenti allo scopo del risanamento, senza i vincoli ed i tetti
 di cui all'art. 6, comma 1.  La ricorrente Regione Lombardia  censura
 l'art. 6, comma 6, della legge n. 724 del 1994 il quale allargherebbe
 a  dismisura il panorama degli enti erogatori ammessi a far parte del
 servizio sanitario nazionale ed in ordine ai  quali  si  esercita  la
 facolta'    di    scelta   del   cittadino.   Infatti,   il   diritto
 all'accreditamento presso il  servizio  sanitario  nazionale  sarebbe
 esteso  nei  confronti  delle  strutture  aventi  i  requisiti di cui
 all'art.  8,  comma  4,  del  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  502  e
 opererebbe, comunque, per il biennio 1995-96 a favore delle strutture
 erogatrici  convenzionate esistenti. Ne conseguirebbe una "fortissima
 espansione" dei soggetti erogatori di prestazioni sanitarie, poste  a
 carico  della  regione, che rischierebbe di dilatare la spesa che pur
 si vorrebbe contenere. Infatti, l'art. 6, comma 7, sopprime  l'inciso
 "sulla  base  di  criteri  di  integrazione con il servizio pubblico"
 contenuto nell'art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 502 del  1992,  con  la
 conseguenza  che  verrebbe  meno  il meccanismo per il quale l'utente
 poteva rivolgersi alle strutture  sanitarie  convenzionate  solo  per
 quelle prestazioni per le quali le strutture pubbliche non fossero in
 grado  di  soddisfare, entro un termine ragionevole, la sua richiesta
 di accesso alle prestazioni.  Ad avviso della ricorrente l'abolizione
 del suddetto criterio di integrazione - pur  essendo  preordinato  ad
 accentuare  il  regime  di  competizione  tra  le strutture sanitarie
 pubbliche e private - provocherebbe, in realta', risultati del  tutto
 opposti  a  quelli  perseguiti  ovvero  al  contenimento  della spesa
 sanitaria  in  quanto,  in  detta  situazione,  la  spesa   sanitaria
 complessiva  della  regione  aumenterebbe  a  tutto  vantaggio  delle
 strutture private "accreditate".   Da  ultimo  la  Regione  Lombardia
 rileva  che i tetti di spesa ed i vincoli surrichiamati porrebbero le
 regioni nelle condizioni peggiori per affrontare la competizione  fra
 strutture  private e pubbliche in quanto essi graverebbero sulle sole
 strutture pubbliche, viziando in  partenza  la  pari  condizione  dei
 competitori  ovvero  degli  enti  erogatori  pubblici  o  privati. Ne
 deriverebbe la lesione dell'autonomia regionale (artt. 117, 118 e 119
 della Costituzione).
    2.  - La stessa legge n. 724 del 1994, ed in particolare l'art. 6,
 commi 1, 5 e 6, e l'art. 10, comma 1, con ricorso  notificato  il  27
 gennaio  1995,  viene impugnata dalla Regione Siciliana (ricorso n. 4
 del 1995) per contrasto con gli artt. 3, 32 e 97 della  Costituzione,
 nonche' con gli artt. 17 e 19 dello statuto di autonomia.
    La  ricorrente  -  premesso  che,  sulla  base  delle disposizioni
 censurate, la  regione  diventerebbe  il  soggetto  responsabile  dei
 disavanzi  di  gestione  di  un  servizio  sanitario  frutto  di  una
 decisione legislativa dello  Stato  -  denuncia  il  contrasto  delle
 stesse   con   la   potesta'  legislativa,  nonche'  con  l'autonomia
 finanziaria garantitale dallo statuto di autonomia (artt. 17 e 19).
    Le  disposizioni  impugnate  sarebbero,   altresi',   lesive   del
 principio  di  uguaglianza (art. 3 della Costituzione), e del diritto
 alla salute (art. 32 della  Costituzione)  in  quanto  lo  Stato  non
 interverrebbe  piu'  a  garantire  la  uguaglianza delle prestazioni,
 sicche' il diritto alla prestazione  sanitaria  potrebbe  atteggiarsi
 diversamente  da  regione  a  regione.  Infine,  le  norme  censurate
 violerebbero l'art. 97 della Costituzione in quanto spezzerebbero  il
 "principio  del  parallelismo  fra responsabilita' di disciplina e di
 controllo e responsabilita' finanziaria", principio  affermato  nella
 sentenza  n. 355 del 1993 di questa Corte.  Il ricorso investe l'art.
 6, commi 1 e 6, con considerazioni analoghe a  quelle  riportate  nel
 ricorso  della  Regione  Lombardia. In riferimento agli artt. 6 e 10,
 comma 1, il ricorso viene proposto sotto  il  profilo  che  imponendo
 alla  regione  di  provvedere  ai  disavanzi  di  gestione  anche  in
 relazione a scelte legislative dello Stato,  violerebbero  l'art.  19
 dello  statuto  della  Regione Siciliana, operando un condizionamento
 della finanza regionale. Al riguardo viene, altresi',  richiamata  la
 sentenza  n.  355  del  1993  di  questa  Corte,  con  la quale si e'
 affermata la irragionevolezza della previsione, concernente l'esonero
 totale e immediato dello Stato dal ripiano degli eventuali  disavanzi
 di   gestione   delle   Unita'   sanitarie  locali  e  delle  aziende
 ospedaliere, senza una disciplina  che  renda  graduale  -  sotto  il
 profilo del bilancio regionale - il passaggio verso il nuovo sistema.
    3.  -  La legge del 23 dicembre 1994, n. 724, viene, altresi', con
 ricorso notificato  il  27  gennaio  1995,  impugnata  dalla  Regione
 Emilia-Romagna   (Ricorso   n.   3   del   1995)   la  quale  censura
 specificamente l'art. 4, comma 2, l'art. 6, commi 1 e 6 e l'art.  39,
 perche' ritenuti in contrasto con gli artt. 117, 118, 119, 97, 3 e 32
 della  Costituzione.  Anche sull' art. 6, commi 1 e 6, vengono svolte
 censure analoghe a quelle formulate dalla Regione Lombardia  e  dalla
 Regione  Siciliana.  In particolare, sull'art. 6, comma 6, il ricorso
 rileva che l'abolizione del criterio di integrazione con il  servizio
 pubblico  che  ha,  sino  ad oggi, disciplinato la collaborazione tra
 strutture pubbliche e private, e la sua sostituzione con la  facolta'
 di  libera  scelta  da parte dell'assistito comporterebbe in sostanza
 una duplicazione dei costi delle prestazioni sanitarie, e quindi  uno
 spreco  consistente  nella  mancata  prioritaria  utilizzazione delle
 strutture pubbliche e nel pagamento, accanto al costo della struttura
 pubblica, di quella privata; il tutto  paradossalmente  in  contrasto
 con   la  ratio  ispiratrice  della  normativa  in  esame,  volta  al
 contenimento delle suddette spese. Senza contare  che  -  osserva  la
 ricorrente  -  lo  Stato si era ben guardato dal garantire in termini
 assoluti  tale  liberta'  di   scelta   dell'assistito   quando   era
 direttamente  impegnato sui costi del sistema sanitario. Un'ulteriore
 arbitrarieta'  viene  ravvisata nell'automatico accreditamento per il
 biennio 1995- 1996 delle  strutture  gia'  convenzionate  o  eroganti
 prestazioni  in  regime  di  assistenza  indiretta,  in  quanto  esso
 opererebbe solo nei confronti di una parte delle  strutture  private,
 creando  una  forma di ingiustificato privilegio per queste ultime ed
 una ingiusta penalizzazione per strutture  di  grandi  qualita',  che
 avevano  potuto  finora  mantenersi anche in assenza del collegamento
 con il servizio pubblico. Conseguirebbe la lesione degli artt. 3, 32,
 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
    4. - Infine la Regione  Emilia-Romagna  censura  l'art.  39  della
 legge  n. 724 del 1994, in quanto ritenuto in contrasto con gli artt.
 3, 97 e 117 della Costituzione.
    Ad avviso della  ricorrente  la  norma  censurata,  prorogando  ed
 estendendo  i  termini del condono edilizio, realizzerebbe un sistema
 ingiusto  e  discriminatorio  proprio  nei  confronti  dei  cittadini
 rispettosi  delle  leggi  che - da un lato - si vedrebbero privati di
 quei beni, che anch'essi avrebbero potuto e voluto costruire  (e  che
 non  hanno  costruito  non  potendo ottenere o non avendo ottenuto il
 permesso); dall'altro sarebbero costretti ormai, in via permanente, a
 subire il degrado urbanistico prodotto dalla illegalita' edilizia per
 il futuro.  Ingiusto e discriminatorio sarebbe,  altresi',  il  nuovo
 condono per il futuro, attesoche' esso tenderebbe a fuoriuscire dalla
 eccezionalita' e singolarita' che caratterizza il condono della legge
 n.  47  del  1985  ed  a  farsi sistema. Un sistema che precluderebbe
 l'applicazione  anche  in  futuro  delle  sanzioni   previste   dalla
 legislazione  urbanistica  e che, scardinando con la sua reiterazione
 il sistema della legalita', violerebbe il  principio  di  uguaglianza
 dei   cittadini  producendo,  nel  contempo,  le  condizioni  per  un
 ulteriore degrado  ambientale  e  amministrativo.    Viene,  inoltre,
 rilevato che la ratio ispiratrice delle leggi di condono altro non e'
 che  la  necessita'  di  incrementare  il gettito delle finanze dello
 Stato, in perdurante deficit, attraverso lo "scambio" della  clemenza
 contro il danaro.  La ricorrente si duole, altresi', del fatto che, a
 differenza  di  altri  condoni,  quello  edilizio  operi  su  beni  e
 interessi   indisponibili   e   costituzionalmente   tutelati   della
 comunita',  i  quali  non possono essere "scambiati" con denaro senza
 ferire  e  sconvolgere  l'assetto   dei   valori   costituzionalmente
 garantiti.  In  proposito  si richiama la sentenza n. 369 del 1988 di
 questa  Corte,  con  la  quale  si  afferma  che  il   condono   puo'
 giustificarsi  in  circostanze  eccezionali,  quando  il  legislatore
 intenda imprimere  un  nuovo  orientamento  alla  disciplina  di  una
 materia  e sia percio' quasi "necessitato, nel cancellare il passato,
 ad incidere sulle sanzioni penali poste  a  rafforzamento  di  quelle
 extra-penali".
    Nulla  di  tutto  questo  sarebbe riscontrabile nel nuovo condono.
 Infatti se il condono della legge n. 47 del 1985  pote'  considerarsi
 legittimo  solo  in  quanto  "eccezionale"  e  "singolare",  cio' non
 potrebbe certo valere per il nuovo condono che contraddirebbe,  senza
 mutare  sul  piano  generale,  i  principi e i valori della normativa
 urbanistica, convertendosi in norma di  ingiustificato  privilegio  e
 insieme  strumento di produzione di risorse statali sostitutive della
 imposizione fiscale, tale essendo secondo la ricorrente, il principio
 informatore stesso del condono edilizio.
    Ne deriverebbe la lesione dei principi costituzionali surricordati
 (artt.  3,  97  e  117  della  Costituzione)  nonche'  la lesione dei
 principi fondamentali dello Stato di diritto.
    5. - Si e'  costituito  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello  Stato,  chiedendo  che  i  ricorsi  siano  dichiarati
 inammissibili  o comunque infondati.  In ordine alla inammissibilita'
 l'Avvocatura generale dello Stato rileva che le censure svolte  dalle
 ricorrenti  non  avrebbero  alcuna attinenza a lesioni della sfera di
 attribuzioni   regionali,   sicche'   mancherebbe   il    presupposto
 legittimante  il  ricorso  in  via  principale delle regioni, secondo
 quanto statuito dalla sentenza n. 302 del 1988 di questa Corte.    In
 secondo  luogo  le  regioni  difetterebbero di interesse ad impugnare
 leggi statali che incidono su  materie  rientranti  nella  competenza
 regionale, ma sulle quali esse non abbiano ancora legiferato.
    Sul  merito  l'Avvocatura  osserva  preliminarmente  che  tutte le
 disposizioni censurate sono preordinate a ridurre la  spesa  pubblica
 ovvero  ad  assicurare il successo della manovra di risanamento della
 finanza pubblica  per  il  triennio  1995-1997  attraverso  l'urgente
 contenimento  del  "perdurante"  ed  anzi  "notevolmente accresciuto"
 disavanzo della spesa pubblica. L'Avvocatura - richiama i  precedenti
 di  questa  Corte  posti  dalle sentenze n. 391 del 1990 e n. 356 del
 1992 e afferma che si tratterebbe di "misure necessitate"  anche  per
 corrispondere alle richieste delle autorita' comunitarie.
    Cio'  detto  in  via  generale,  l'Avvocatura  esamina  le censure
 concernenti le singole disposizioni.
    In particolare - in ordine all'art. 3, commi 1, 2 e 3, in  materia
 di  disattivazione  e riconversione di ospedali - la parte resistente
 osserva che la norma censurata e'  preordinata  a  razionalizzare  il
 modello  organizzativo  delle  strutture ospedaliere con carattere di
 generalita' su tutto il territorio nazionale al fine di evitare  "gli
 sprechi  di risorse" nonche' "ingiustificate sacche di privilegio lo-
 cale"  del  tutto  incompatibili  con  l'interesse   nazionale   che,
 nell'attuale  difficile  situazione  della finanza pubblica, non puo'
 che  concretarsi   nella   ottimale   utilizzazione   delle   risorse
 disponibili.  D'altro  canto,  secondo  l'Avvocatura,  il ruolo delle
 regioni verrebbe comunque salvaguardato  nella  normativa  in  esame,
 posto  che in relazione a condizioni territoriali particolari nonche'
 alla densita' e alla distribuzione della  popolazione,  verrebbe  pur
 sempre  attribuito  alle  regioni  un potere di apprezzamento che, se
 positivo, consentirebbe il mantenimento in attivita'  delle  predette
 strutture,  salvaguardando,  altresi',  il  diritto  alla salute come
 interesse fondamentale della collettivita'.  Quanto ai commi  2  e  3
 del  medesimo  art.  3, l'Avvocatura rileva che si tratta di norme di
 dettaglio,  peraltro,  consequenziali  agli  obblighi  stabiliti  dal
 precedente  comma  ed  insieme  preordinate  al  perseguimento  - nel
 rispetto del principio di leale collaborazione  fra  lo  Stato  e  le
 regioni  -  degli obiettivi posti dalla legge.  In ordine all'art. 4,
 concernente le limitazioni all'assunzione di personale, si rileva che
 la norma censurata risponde al principio  di  omogeneizzazione  delle
 limitazioni  del  personale nel settore pubblico, facendo cosi' parte
 integrante della manovra economico-finanziaria,  nel  rispetto  degli
 indirizzi  dichiarati  nel  Documento  di  programmazione  economico-
 finanziaria per l'anno 1995. Si sottolinea, altresi', che le esigenze
 di contenimento della spesa pubblica non  consentono  deroghe,  tanto
 meno nel settore della sanita', nel quale l'incidenza della spesa per
 il  personale  avrebbe assunto, nell'ambito del disavanzo complessivo
 delle Unita' sanitarie locali, livelli "considerevoli".
    L'Avvocatura  sottolinea,  altresi',  che  le  regioni   avrebbero
 disatteso le indicazioni contenute nella legge n. 412 del 1991 (artt.
 4  e  2)  volte  a  fornire  - nel rispetto del potere programmatorio
 regionale - utili strumenti per ristrutturare la rete  ospedaliera  e
 attivare  le conseguenti necessarie procedure di mobilita'. Sicche' i
 vincoli   alla   assunzione   di   personale,   da   un   lato,   non
 interferirebbero con processi di ristrutturazione gia' attivati, come
 lamentato  da  alcune  regioni,  dall'altro,  e quanto agli obiettivi
 posti dall'art. 4,  comma  1,  e  concernenti  il  potenziamento  del
 servizio  pubblico,  si potrebbe, comunque, far leva sul concomitante
 blocco dei pensionamenti anticipati fino al 30 giugno  1995,  secondo
 quanto stabilito dall'art. 13 della medesima legge n. 724 del 1994.
    Per quel che concerne l'art. 6, comma 1, che pone tetti massimi di
 spesa  regionale,  rapportati  all'anno  1993,  l'Avvocatura  rileva,
 ancora una volta, che si tratta di limiti inscrivibili nella  manovra
 di  risanamento della finanza pubblica che hanno interessato tutte le
 amministrazioni dello Stato ai sensi dell'art. 46 della legge n.  724
 del 1994.
    Ne'  la  scelta  dell'anno 1993, come anno di riferimento, sarebbe
 irrazionale in quanto rapportata alle disponibilita' per  detto  anno
 di  dati certi e monitorati, anche a seguito di verifica effettuata a
 livello centrale in contraddittorio con le regioni.
    A cio' si aggiunge che le spese, per beni e servizi  sanitari  nel
 1993,  avrebbero  superato  "notevolmente"  il  limite dell'andamento
 generale dei prezzi.
    Sul comma 5 dell'art. 6, censurato dalla sola Regione Siciliana si
 rileva che le misure in esso previste sono rivolte  a  razionalizzare
 la  recente  disciplina  di  principio  senza  stravolgere  le  linee
 ispiratrici  della  riforma  sanitaria.    Per  quanto   concerne   i
 successivi commi 6 e 7, ritiene l'Avvocatura generale dello Stato che
 altrettanto  infondate  siano  le censure delle ricorrenti, posto che
 per il biennio 1995-96 l'accreditamento opererebbe  "unicamente"  nei
 confronti  dei  soggetti gia' convenzionati con il servizio sanitario
 nazionale che accettino il sistema  della  remunerazione  sulla  base
 delle  tariffe  determinate  dalla regione.   Il che escluderebbe gli
 sprechi o comunque le dilatazioni della  spesa  sanitaria  denunciate
 dalle  ricorrenti  ed  insieme  sarebbe  inteso  a  realizzare, senza
 violare l'autonomia regionale ed il diritto alla  salute,  una  "sana
 competitivita'" tra il sistema privato e quello pubblico.  Del resto,
 l'aggravio  di  spesa  denunciato  dalle ricorrenti sarebbe del tutto
 ipotetico e, pertanto, inconsistente.  Sul comma 10  censurato  dalla
 Regione  Siciliana,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  rileva che
 l'esonero dell'intervento finanziario  dello  Stato  in  ordine  agli
 eventuali  disavanzi  di gestione concerne i "disavanzi che dovessero
 prodursi nonostante le regole poste dalla nuova riforma  sanitaria  e
 dalle  specifiche  norme  limitatrici della spesa", introdotte con la
 legge n. 724 del 1994, sicche' singolare ed ingiustificata sarebbe la
 pretesa di "una piena irresponsabilita' regionale  sotto  il  profilo
 finanziario,  nel governo della spesa pubblica".  Per quanto concerne
 l'art. 39 della legge n. 724 del 1994, impugnato dalla  sola  Regione
 Emilia-  Romagna,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato rileva che la
 normativa  censurata  avente  "carattere  di  estrema  specialita' ed
 eccezionalita'"  porrebbe  un  "rimedio  definitivo"   a   situazioni
 derivanti,  in  via generale, dalla mancata attuazione da parte delle
 regioni di provvedimenti di prevenzione e di repressione del fenomeno
 dell'abusivismo: il tutto inserito nella manovra di risanamento della
 finanza pubblica posta in essere  dalla  legge  n.  724  del  1994  e
 destinata ad essere attuata non solo con misure di contenimento delle
 spese,  ma  anche  con  misure  di  acquisizione  di nuove e maggiori
 entrate.
    Quanto  alla  ratio  della  disposizione  censurata,  l'Avvocatura
 sottolinea  che  il  legislatore  nazionale  ha  inteso  sanare abusi
 generalizzati e non regolarizzabili mediante il ripristino dello sta-
 tus quo ante, per intervenute modificazioni irreversibili.
    In ordine alle lamentate disparita' che -  con  il  condono  -  si
 verrebbero   a   perpetrare   nei  confronti  dei  cittadini  onesti,
 l'Avvocatura rileva che vi sarebbe anzitutto la "necessita'  di  dare
 una risposta adeguata al fenomeno dell'abusivismo".
    Da ultimo si osserva che il contenuto dell'attuale condono sarebbe
 in  sintonia  con  quello  previsto dalla legge n. 47 del 1985 che ha
 superato il vaglio di costituzionalita'.
                        Considerato in diritto
    1. - Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei  giudizi
 stante  la  evidente  connessione  oggettiva dei ricorsi in relazione
 alla coincidenza della legge statale impugnata e alla  prospettazione
 di  questioni  in  buona  parte  identiche  anche  nei  parametri  di
 costituzionalita',    ovvero    strettamente    interdipendenti     o
 complementari.
    Le eccezioni di inammissibilita' proposte dall'Avvocatura generale
 dello Stato sotto il profilo che le censure non avrebbero attinenza a
 lesioni  della  sfera  di  attribuzioni  regionali (con richiamo alla
 sentenza n. 302 del 1988) sono  prive  di  fondamento,  in  quanto  i
 ricorsi   propongono   questioni   relative   a  norme  che  incidono
 direttamente  -  secondo  la  prospettazione  dei  motivi   -   sulle
 attribuzioni  regionali,  imponendo una serie di procedure e di oneri
 aventi possibilita' di conseguenze non solo organizzatorie, ma  anche
 finanziarie  con  riferimento  a  parametri  costituzionali attinenti
 proprio alla sfera di attribuzioni e all'autonomia  regionale.    Ne'
 puo'  essere  accolta  la eccezione di difetto di interesse, proposta
 sempre dalla difesa dello Stato, in quanto sulle  materie  rientranti
 nella  competenza  regionale  non  vi  sarebbe  stato  un  intervento
 legislativo regionale, essendo  indubitabile  la  sussistenza  di  un
 interesse  delle  regioni  a  rimuovere  norme  che sono destinate ad
 operare in modo inderogabile (sentenza n. 355 del 1993), anche  nelle
 regioni  che  propongono  l'impugnativa,  con  effetti  duraturi, che
 comunque non possono essere sostanzialmente modificati  da  eventuali
 successivi  interventi  legislativi regionali, attesa la natura degli
 interventi di finanza  pubblica  in  condizioni  di  emergenza  e  le
 giustificazioni  del  riordino  sanitario  a  cominciare  dal decreto
 legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordinamento della  disciplina
 in materia sanitaria a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992,
 n. 421).
    2. - Passando al merito delle censure proposte, la prima questione
 (sottoposta con il ricorso della Regione Lombardia) riguarda l'art. 3
 della  legge  30  dicembre  1994,  n.  724,  sotto  il  profilo  che,
 stabilendo al comma 1 che le regioni provvedono alla disattivazione o
 alla  riconversione degli ospedali, che non raggiungono alla data del
 30 giugno 1994 la dotazione minima di 120 posti letto e altresi', nei
 successivi commi 3 e  4,  il  procedimento  e  le  conseguenze  della
 disposta  disattivazione  o  riconversione  degli  ospedali di cui al
 comma 1, con disposizioni estremamente dettagliate e con applicazione
 delle procedure indipendentemente dai risultati di gestione ed  anche
 in  mancanza  di disavanzi, violerebbe gli artt. 117, 118 e 119 della
 Costituzione,  per  la  conseguente  compressione  delle   competenze
 regionali    in   materia   di   sanita'   (competenza   legislativa,
 amministrativa  e  programmatoria).    La  questione  e'   priva   di
 fondamento,   in   quanto   le  potesta'  regionali  sono  ampiamente
 salvaguardate dalla facolta' attribuita alle regioni  di  autorizzare
 il  mantenimento in attivita' dei suddetti ospedali (da disattivare o
 convertire) "in relazione a condizioni territoriali  particolari,  in
 specie  delle  aree  montane e delle isole minori, ed alla densita' e
 distribuzione della popolazione".  In altri termini le  regioni,  con
 una   valutazione   ampiamente  discrezionale,  conseguentemente  con
 obbligo di  specifica  motivazione  purche'  correlata  a  condizioni
 territoriali  particolari  (rispetto  alle  quali le condizioni delle
 aree montane e delle  isole  minori  costituiscono  solo  un  aspetto
 speciale  che puo' essere preso in considerazione accanto ad altri) o
 a profili attinenti alla popolazione (densita'  e  distribuzione  con
 riferimento  al bacino di utenza), possono disattendere la previsione
 generale ed astratta di disattivazione o riconversione.   Ovviamente,
 trattandosi  di  disposizione  inserita  in legge finanziaria e nella
 logica di razionalizzazione della spesa pubblica  e  di  contenimento
 del  disavanzo  (in  logica  connessione con l'art. 18 della legge 24
 dicembre 1993, n. 537 relativo alla dotazione media dei posti letto e
 con il comma 9 dello stesso art. 3 della legge n.  724 del 1994,  con
 tasso  minimo  di  occupazione  dei  posti  letto), l'interprete deve
 necessariamente dare al  meccanismo  della  facolta'  derogatoria  di
 scelta  di  mantenimento  della  struttura ospedaliera da parte della
 regione, un significato ed una valenza  anche  economico-finanziaria.
 Di conseguenza la valutazione della regione deve riguardare anche gli
 effetti  finanziari del mantenimento di un singolo ospedale, sia pure
 in un quadro territoriale, che  non  puo'  essere  circoscritto  alle
 difficolta'  dei  trasporti e delle comunicazioni di particolari zone
 (montane o isole minori) o alle situazioni degli  insediamenti  della
 popolazione,  ma  deve  riguardare  necessariamente l'obiettivo della
 tutela della salute in bilanciamento con  il  valore  dell'equilibrio
 finanziario,  presupposto  della continuita' dell'intervento pubblico
 nel settore (il dissesto ulteriore e perdurante del sistema  porrebbe
 in  pericolo  la stessa ulteriore azione pubblica di tutela della sa-
 lute).  Giova sottolineare che l'anzidetta disposizione  deve  essere
 interpretata  nel  quadro  complessivo  della  linea fondamentale del
 nuovo  assetto  del  settore  sanitario,  che  crea  una   serie   di
 responsabilita'  (argomentando  dagli  articoli  6,  comma  5  -  che
 modifica l'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 come modificato
 dal d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 - e 10, della  legge  23  dicembre
 1994,  n.  724)  a vari livelli, con esonero di interventi finanziari
 dello Stato oltre quelli programmati - salvo quanto  verra'  appresso
 specificato - in tutti i casi di disavanzi di gestione di istituzioni
 del settore, ormai configurate come vere e proprie aziende (v. d.lgs.
 7  dicembre  1993, n. 517, artt. 4 e 5 modificativi degli artt. 3 e 4
 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502; v. inoltre  il  d.P.R.  1  marzo
 1994:  "Approvazione  del  Piano  sanitario nazionale per il triennio
 1994-1996").  Di modo che le conseguenze di eventuali  disavanzi  per
 effetto  esclusivo  o  determinante  delle  scelte  della regione nel
 mantenimento  di  singoli  ospedali,  destinati  alla   soppressione,
 secondo  i  principi  fissati dalla legge in esame, sulla base di una
 valutazione di dimensione ottimale e di economia di scala, devono re-
 stare a carico della stessa regione, che ha disposto il mantenimento.
 Pertanto,  tale   profilo   dell'equilibrio   finanziario   e   delle
 conseguenze   di  eventuali  disavanzi  deve  necessariamente  essere
 valutato dalla regione, con obbligo di indicare la copertura mediante
 risorse proprie in tutti i casi in cui  le  entrate  dell'ente  e  le
 assegnazioni  di finanziamento sui vari fondi non siano sufficienti a
 coprire l'onere nel complesso (sentenze n. 355 del 1993; n. 427 e  n.
 352 del 1992; n. 177 del 1988).
    3.  -  Il secondo profilo di ricorso relativo all'art. 3, comma 1,
 della  anzidetta  legge  30  dicembre  1994,  n.  724,  riguarda   la
 previsione  di  poteri  sostitutivi  unicamente preordinati (e quindi
 distinti da quelli di cui al comma 2) all'inadempimento regionale  in
 ordine  alla  pubblicazione dell'elenco degli ospedali specializzati:
 detti  poteri  sostitutivi  sarebbero  -   secondo   il   ricorso   -
 esercitabili  immediatamente  allo  scadere  di  un termine di trenta
 giorni  dall'emanazione  del  decreto  del  Ministro  della   sanita'
 contenente  i criteri di classificazione degli ospedali specializzati
 (in quanto tali esclusi dal limite minimo di 120 posti  letto)  senza
 una previa diffida ad adempiere, in violazione del principio di leale
 collaborazione tra Stato e regioni (ricorso della Regione Lombardia).
 Il motivo e' privo di fondamento, in quanto si basa su un presupposto
 non  corrispondente  ad  una  corretta  interpretazione  della  norma
 impugnata (art. 3), che deve  essere  considerata  in  modo  unitario
 (commi 1 e 2) in ordine all'esercizio dei poteri statali sostitutivi,
 per  quanto  riguarda  la procedura del "previo invito alle regioni",
 essendovi un collegamento testuale del comma 2 ai  "provvedimenti  di
 cui  al  comma  1", senza alcuna distinzione tra quelli relativi alla
 pubblicazione  dell'elenco  regionale  degli  ospedali  specializzati
 (comma  1,  secondo  periodo) e quelli relativi alla disattivazione o
 alla riconversione o al mantenimento degli ospedali con  posti  letto
 inferiori  alla  dotazione  minima  di  120 (comma 1, primo ed ultimo
 periodo).    L'interprete,  infatti,  di  fronte  ad  una   possibile
 pluralita'  di  interpretazioni  deve  preferire  quella  conforme ai
 principi costituzionali applicabili,  nella  specie  quelli  relativi
 alla  leale  collaborazione  tra  Stato e regioni, per cui "il previo
 invito" alle regioni deve intendersi riferito a tutti i provvedimenti
 del  comma  1,  ancorche'  le  rilevazioni  ufficiali   del   sistema
 informativo   sanitario   (che   devono   essere  poste  a  base  dei
 provvedimenti da adottare) si attaglino, in  via  normale,  meglio  a
 provvedimenti   relativi   agli  ospedali  per  quanto  attiene  alla
 dotazione di posti letto.
    4. - La terza questione  proposta  riguarda  l'art.  4,  comma  2,
 sempre  della  legge  23  dicembre  1994,  n. 724, nella parte in cui
 dispone il divieto di assunzioni di personale per il  primo  semestre
 del  1995,  nonche'  il  divieto parziale per il secondo semestre del
 1995, in quanto vincolerebbe l'assunzione del personale a limitazioni
 rigide  e  dettagliate  -  e  per  di  piu'  del tutto disancorate da
 parametri  obiettivi  -  sottraendola  alla  programmazione  e   alle
 determinazioni   regionali,  con  pretesa  violazione  dell'autonomia
 regionale garantita dagli artt. 117, 118  e  119  della  Costituzione
 (ricorsi  delle  Regioni  Lombardia  ed Emilia- Romagna), nonche' del
 principio di buon andamento  della  amministrazione  (art.  97  della
 Costituzione)  (ricorso  della Regione Emilia-Romagna).  Innanzitutto
 la norma del  primo  periodo  dell'art.  4,  comma  2  anzidetto,  e'
 collegata al temporaneo (semestrale) divieto di assumere personale di
 ruolo  ed  a tempo determinato di cui al successivo art. 22, comma 6,
 applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche di cui  all'art.  1,
 comma   2,  del  d.lgs.  3  febbraio  1993,  n.    29,  per  esigenze
 straordinarie di contenimento della spesa pubblica.  L'art. 4  citato
 contiene un divieto assoluto per le categorie anzidette (personale di
 ruolo  e  a  tempo indeterminato), fissato in modo secco per il primo
 semestre dell'anno 1995.  D'altro canto la verifica  dei  carichi  di
 lavoro  e'  condizione per poter procedere alle assunzioni consentite
 con  particolari  limiti  quantitativi  e  procedurali  nel   secondo
 semestre  del  1995  (art.  4, comma 2, secondo periodo), dopo taluni
 adempimenti  necessariamente  consequenziali  alla  disattivazione  e
 riconversione  degli  ospedali e agli accorpamenti e riorganizzazioni
 di strutture e servizi da parte delle Unita' sanitarie locali e delle
 aziende  ospedaliere  (art.  4,  comma  2,  terzo  periodo).    Cosi'
 configurati  il  divieto  transitorio  e  temporaneo  (c.d. blocco di
 assunzioni) e le successive limitazioni di assunzioni, ai fini  della
 infondatezza  delle  questioni  proposte,  e' sufficiente il richiamo
 alla giurisprudenza della  Corte  in  ordine  alla  legittimita'  del
 blocco  delle  assunzioni,  quando  si  tratti  di  misure temporanee
 preordinate  ad  instaurare   un   regime   transitorio   in   attesa
 dell'attuazione  della  riforma  sanitaria o in vista di un riassetto
 generale del settore che presuppone l'indicizzazione delle  effettive
 esigenze  e  la  razionalizzazione organizzativa (sentenze n. 610 del
 1988; n. 245 del 1984; n. 307 del 1983).    Inoltre,  occorre  tenere
 conto  che  la  stessa  legge  n. 724 del 1994 comprende una serie di
 ulteriori  misure  innovative  del   sistema   sanitario   quali   la
 disattivazione  o riconversione degli ospedali con dotazione di posti
 letto  inferiore  alla  minima  prevista  (art.  3,  comma   1),   in
 correlazione alla previsione di tasso minimo di occupazione dei posti
 stessi  (art. 3, comma 9); la disattivazione dei servizi direttamente
 gestiti in caso di affidamento a terzi in base  ad  appalto  o  altri
 sistemi  (art  6,  comma  4);  la  attivazione di residenze sanitarie
 assistenziali con possibilita' di assorbimento di personale (art.  3,
 comma  4);  l'obiettivo  del pieno utilizzo delle strutture pubbliche
 (art. 4, comma 1); il nuovo sistema  graduale  di  finanziamento  con
 rilevanza  del profilo di convenienza delle prestazioni da soddisfare
 nella sede pubblica mediante programmazione e contrattazione (art. 6,
 comma 5); il nuovo sistema di  responsabilita'  per  i  disavanzi  di
 gestione (art. 10); la mobilita' per il personale in esubero (art. 3,
 comma   3).  Rispetto  alle  anzidette  previsioni  resta  rafforzata
 l'esigenza  di  blocco  temporaneo  di  assunzioni   in   attesa   di
 adempimenti,  in quanto altrimenti le finalita' di contenimento della
 spesa rischierebbero di essere facilmente eluse.
    5.  -  La  quarta  questione  sottoposta  all'esame ha per oggetto
 l'art. 6, comma 1,  nella  parte  in  cui  stabilisce,  per  ciascuna
 regione, un "tetto" massimo alla spesa di beni e servizi per gli anni
 1995,  1996  e  1997  calcolato  mediante una riduzione a percentuale
 decrescente rispetto all'importo registrato nel  1993,  assoggettando
 le  regioni  a  rigide limitazioni in ordine agli anzidetti acquisti,
 con asserita violazione dell'autonomia legislativa, amministrativa  e
 programmatoria  regionale  (ricorso  della  Regione Lombardia e della
 Regione  Emilia-Romagna),  nonche'  dell'autonomia  finanziaria   (in
 quanto  detti  "tetti"  prescindono  dai  concreti bilanci regionali)
 (art. 119 della Costituzione) (ricorso della Regione Lombardia).   La
 stessa  norma  viene censurata specificatamente anche sul punto che i
 vincoli alle anzidette spese in modo generalizzato, e  senza  operare
 alcuna  distinzione  tra  i  diversi  beni e servizi, violerebbero la
 speciale autonomia regionale garantita dagli  artt.  17  e  19  dello
 statuto  della  Regione  Siciliana,  nonche' gli articoli 3, sotto il
 profilo della irrazionalita', e 32 della Costituzione (ricorso  della
 Regione  Siciliana),  l'art.  97  della Costituzione sotto il profilo
 della incongruita' di detto disposto con il sistema  di  pagamento  a
 tariffa   delle  aziende  sanitarie  ed  altresi'  con  l'obbligo  di
 ripianamento dei disavanzi,  in  quanto  detto  limite  generalizzato
 creerebbe  ostacoli  ingiustificati  alla  erogazione  di un servizio
 sanitario efficiente (ricorso della Regione Siciliana),  penalizzando
 le  regioni  che  hanno  attuato  una politica di riduzione dei costi
 proprio con riguardo a quella voce di spesa  (ricorso  della  Regione
 Emilia-Romagna).    Ai  fini  della  dimostrazione della infondatezza
 delle censure valgono i richiami alla giurisprudenza della  Corte  in
 ordine  al  blocco  delle  assunzioni (sentenze surrichiamate) e alla
 legittimita'  di  misure  "urgenti",  "provvisorie"   e   "volte   al
 contenimento  del  disavanzo  pubblico" (sentenze n. 222 del 1994; n.
 357 e n. 128 del 1993; n. 356 del 1992), nonche'  sulla  legittimita'
 di  disposizioni  di  dettaglio  in "rapporto di coessenzialita' e di
 necessaria  integrazione"  con  le  norme  di  principio  e  pertanto
 inderogabili  (sentenza  n.  355 del 1993) e sulla legittimita' degli
 interventi di contenimento della spesa sanitaria (sentenze n. 355 del
 1993 e n. 357 del 1993).   Infatti la  norma  impugnata  deve  essere
 qualificata  come  intervento  eccezionale e temporaneo, in un quadro
 finanziario di emergenza,  inserito  in  una  azione  complessiva,  a
 carattere  generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico per
 ridurre la spesa pubblica in pluralita' di settori; anche le  regioni
 devono  essere  coinvolte  nell'opera  di  risanamento  della finanza
 pubblica  che  "richiede  un  impegno  solidale  di  tutti  gli  enti
 territoriali  erogatori  di  spesa,  di  fronte  al quale la garanzia
 costituzionale dell'autonomia  finanziaria  delle  regioni  non  puo'
 fungere  da  impropria  giustificazione  per  una  simile  esenzione"
 (sentenze n. 128 del 1993 e n. 222 del  1994).  La  finalita',  anche
 nella  presente  legge,  perseguita  dal Governo e dal Parlamento, di
 contenere il perdurante disavanzo  della  spesa  pubblica  (aggravata
 dalla  persistenza  nello  specifico  settore  sanitario)  giustifica
 l'adozione di misure del genere attraverso una manovra complessiva di
 riduzione della spesa in tutti i settori e con specifico  riferimento
 alla  spesa sanitaria, mediante misure che incidono su tutti gli enti
 di autonomia a statuto speciale e ordinario (sentenze n. 357 del 1993
 e n. 356 del 1992).   Giova, infine, sottolineare  che  i  limiti  di
 spesa  (meglio  riduzioni  globali di spesa) per l'acquisto di beni e
 servizi  sono  posti  globalmente  a  livello regionale in previsione
 complessiva,  in  modo  da   consentire   compensazioni   nell'ambito
 regionale  e tra i diversi tipi di beni e servizi. Di conseguenza una
 equilibrata  politica  di  programmazione  regionale   basata   sulla
 convenienza   della   soddisfazione   nella   "sede  pubblica"  delle
 necessita'  di  prestazioni  (art.  6,  comma   5),   integrata   con
 l'obiettivo di un ottimale e pieno utilizzo delle strutture pubbliche
 (art.  4,  comma  1),  puo'  consentire  -  in  una  valutazione  non
 irrazionale del legislatore - economie  di  spesa,  senza  mettere  a
 rischio  l'erogazione  di  un  servizio  sanitario efficiente, tenuto
 conto dell'enorme dilatazione della spesa negli ultimi anni  e  della
 entita'  degli acquisti di beni e servizi, tali da consentire una pur
 limitata elasticita' complessiva in  ambito  delle  singole  regioni.
 Quanto  ai  profili  di  ricorso  interdipendenti con le modalita' di
 finanziamento e  con  il  sistema  di  pagamento  a  tariffa  occorre
 sottolineare che il sistema di cui all'art. 6, comma 5, surrichiamato
 ha  carattere  temporaneo,  essendo valido per il 1995, mentre dovra'
 essere progressivamente superato nell'arco di un triennio al  termine
 del   quale   diverra'   esclusivo  il  sistema  di  remunerazione  a
 prestazione degli erogatori pubblici e privati.
    6. - Un esame complessivamente unitario deve essere effettuato per
 i gruppi di questioni riguardanti l'art. 6, commi 5, 6 e 7, e  l'art.
 10,  comma 1, relativi alle modalita' di finanziamento, al sistema di
 accreditamento e alla facolta' di libero accesso e  scelta  da  parte
 dell'utente   delle  strutture  pubbliche  e  private,  con  riflessi
 sull'organizzazione e sulla  spesa  sanitaria,  nonche'  al  connesso
 problema  dell'onere  di ripiano dei disavanzi di gestione, in quanto
 posti a carico delle regioni anche in relazione a scelte  legislative
 statali  (ricorso  della  Regione  Siciliana:  art.  6,  comma  5, in
 relazione agli artt. 17 e 19 dello statuto della  Regione  Siciliana,
 artt.  3  e  32  della  Costituzione;  ricorso  della Regione Emilia-
 Romagna: art. 6, comma 6, in relazione agli artt. 3, 32, 97, 117, 118
 e 119 della Costituzione; ricorso della  Regione  Lombardia,  ricorso
 della  Regione Emilia- Romagna, ricorso della Regione Siciliana: art,
 6, comma 6, in relazione agli artt. 117  e  118  della  Costituzione,
 nonche'  agli  artt.  119 della Costituzione e 17, e 19 dello statuto
 della Regione  Siciliana,  limitatamente  al  ricorso  della  Regione
 Siciliana;  ricorso  della  Regione  Lombardia:  art.  6, comma 7, in
 relazione agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione; ricorso della
 Regione Siciliana: art. 10, comma 1, in relazione all'art.  19  dello
 statuto di autonomia).
    6.1.   -  In  ordine  al  sistema  della  utilizzazione  a  scelta
 dell'utente delle strutture pubbliche e private e  del  finanziamento
 delle  aziende sanitarie deve essere preliminarmente sottolineato che
 il sistema dell'accreditamento non altera, di per se', gli  equilibri
 attualmente   esistenti,   ne'   incide,  scavalcandoli,  sui  poteri
 amministrativi regionali: infatti l'accreditamento e' una  operazione
 da  parte  di una autorita' o istituzione (nella specie regione), con
 la quale si riconosce il possesso da parte di un  soggetto  o  di  un
 organismo   di  prescritti  specifici  requisiti  (c.d.  standard  di
 qualificazione) e si risolve, come nella fattispecie,  in  iscrizione
 in  elenco,  da  cui  possono  attingere  per  l'utilizzazione, altri
 soggetti  (assistiti-utenti  delle  prestazioni   sanitarie).   Viene
 riconosciuto   un  "diritto  all'accreditamento  delle  strutture  in
 possesso  dei  requisiti  di  cui  all'art. 8, comma 4, del d.lgs. 30
 dicembre 1992, n. 502  e  successive  modificazioni",  escludendo  in
 radice    una    scelta   ampiamente   discrezionale   ed   ancorando
 l'accreditamento al possesso di requisiti prestabiliti  (strutturali,
 tecnologici  e  organizzativi minimi, a tutela della qualita' e della
 affidabilita' del servizio-prestazioni, in modo  uniforme  a  livello
 nazionale  per strutture erogatrici), stabiliti con atto di indirizzo
 e coordinamento emanato di intesa con la Conferenza permanente per  i
 rapporti  tra  lo  Stato,  le regioni e le province autonome (art. 6,
 comma 6, della legge n. 724 del 1994; art. 8, comma 4, del d.lgs.  30
 dicembre  1992, n. 502).  In via transitoria per il biennio 1995-1996
 l'accreditamento avviene automaticamente (come forma  di  conversione
 del  rapporto in atto, ma sempre a seguito di procedimento regionale,
 comportante  ricognizione  e  verifica)  per  gli  attuali   soggetti
 (pubblici  e  privati)  che  forniscono le prestazioni (sulla base di
 preesistenti determinazioni  regionali),  cioe'  oltre  le  strutture
 pubbliche  e i soggetti eroganti le prestazioni in base a convenzioni
 o eroganti prestazioni ad alta specialita' in  regime  di  assistenza
 indiretta, regolata da leggi regionali alla data di entrata in vigore
 del  citato  d.lgs  n.  502  del  1992,  all'unica  condizione  della
 accettazione del sistema (nuovo) della  remunerazione  a  prestazione
 sulla  base  di  tariffe.   L'accreditamento, una volta effettuato da
 organo regionale, non esclude, ma anzi  presuppone  il  potere-dovere
 della  regione  di svolgere i controlli e le verifiche che i soggetti
 accreditati permangano  "effettivamente  in  possesso  dei  requisiti
 previsti  dalla  normativa vigente" ed osservino l'obbligo assunto di
 "accettare il sistema della remunerazione a prestazione". Infatti  il
 potere  di  controllo e la verifica da parte della regione persistono
 in quanto le anzidette due condizioni sono il presupposto  necessario
 della  facolta'  di  libera  scelta  da parte dell'assistito (art. 6,
 comma  6).     Inoltre  l'accreditamento,   come   ogni   operazione-
 procedimento    di    autorita'    amministrativa    consistente   in
 qualificazione e in riconoscimento (certificazione  e  garanzia)  del
 possesso  di  specifici  requisiti con effetti di natura continuativa
 (nella specie iscrizione in elenco che da'  facolta'  permanente  per
 altri  di  scegliere  il soggetto erogatore delle prestazioni), resta
 sottoposto a tutti  i  poteri  di  autotutela  e  di  verifica  della
 medesima  autorita'  amministrativa  (regione), dovendo questa tenere
 conto anche di fatti, situazioni e disposizioni sopravvenute rispetto
 alla fonte iniziale del rapporto.   Anzi l'esercizio di  tali  poteri
 costituisce  preciso  obbligo della regione, trattandosi di requisiti
 minimi (condizioni essenziali per l'ammissibilita'  di  prestazioni),
 la  cui  mancanza  puo'  costituire  sia pericolo per la salute degli
 assistiti e per gli obiettivi delle prestazioni sanitarie, sia  fonte
 di   danno   patrimoniale  (le  tariffe,  specie  se  a  prestazione,
 presuppongono  un  livello   minimo   strutturale,   tecnologico   ed
 organizzativo,  costituente  componente del calcolo).  Ne' il sistema
 porta ad escludere che quelle regioni,  che  si  preoccupano  di  non
 penalizzare  strutture  private  di  grande  qualita'  rimaste finora
 estranee al sistema pubblico, nella loro  autonomia  organizzativa  e
 normativa,  possano provvedere anche immediatamente ad aggiornare gli
 accreditamenti  (una  volta  applicato  il  sistema)  procedendo   ad
 istruire  le  domande nuove o quelle convertite relative a precedenti
 procedure  di  convenzionamento  non  ancora  definite,  con  l'unico
 obbligo  di  accertamento  del  possesso  dei  requisiti  previsti  e
 dell'accettazione del sistema di remunerazione a prestazione su  base
 di apposite tariffe, non essendovi alcuna preclusione dalle norme de-
 nunciate.
    6.2.  -  Il sistema anzidetto, neppure se collegato al pagamento a
 prestazione secondo tariffa o a meccanismi di tetto massimo di  spesa
 o  di  personale,  puo'  costituire  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione nei sensi denunciati (per i profili che  incidono  sulla
 sfera  regionale)  perche', se correttamente attuato secondo principi
 di economicita' e di mercato e con una responsabile collaborazione  e
 programmazione  organizzativa,  non  crea ostacoli alla erogazione da
 parte della regione di un  servizio  sanitario  efficiente.  Anzi  il
 nuovo  sistema, contenente prevalentemente prescrizioni di principio,
 lascia  alle  regioni  sufficiente  margine  di  scelta   nell'ambito
 dell'autonomia  caratterizzata  dalla  responsabilita' e capacita' di
 spesa con i propri fondi e risorse  non  derivate  (il  principio  ha
 valore  di  reciprocita'  ed  e'  quindi  applicabile,  come appresso
 specificato, anche nei confronti dello Stato) e puo' contribuire - in
 una scelta del legislatore statale non irragionevole - a rimuovere  o
 attenuare alcune delle situazioni esistenti di carenza di effettiva e
 completa   copertura  sanitaria  del  cittadino,  correlata  a  ormai
 croniche situazioni di squilibri finanziari, che rischiano di mettere
 in crisi la stessa sopravvivenza di  un  servizio  sanitario  con  un
 minimo indispensabile di funzionalita'.
    6.3.  -  La  liberta'  di  scegliere  da  parte dell'assistito chi
 chiamare a fornire le prestazioni sanitarie  non  comporta,  affatto,
 una  liberta'  sull'  an e sull'esigenza delle prestazioni, in quanto
 permane (cosi' come disciplinato in precedenza dall'art. 8, comma  5,
 del  d.lgs.  30  dicembre 1992, n. 502, che gia' contemplava, sia nel
 testo originario, sia in quello risultante dalle modifiche introdotte
 dall'art. 9 del d.lgs. 7 dicembre 1993,  n.  517,  la  previsione  di
 "appositi  rapporti  fondati sulla corresponsione di un corrispettivo
 predeterminato a fronte della prestazione", ritenuti compatibili  con
 il   sistema   di  libera  scelta  dell'assistito,  confermato  anche
 dall'art. 15 del d.lgs n. 517 del 1993,  modificativo  dell'art.  14,
 comma  6,  del  d.lgs.  n.  502 del 1992) il principio essenziale che
 l'erogazione  delle  prestazioni,  soggette  a   scelta   (da   parte
 dell'utente-assistito) della struttura o dei professionisti eroganti,
 e'  "subordinata  all'apposita  prescrizione,  proposta  o  richiesta
 compilata su modulario del servizio sanitario nazionale dal medico di
 fiducia dell'interessato" (v. ora art. 6, comma  5,  della  legge  23
 dicembre  1994,  n.  724).  Permangono  pertanto  tutti  i  poteri di
 controllo,  indirizzo  e  verifica  delle  regioni  e  delle   Unita'
 sanitarie locali (sentenze n. 126 del 1994 e n. 283 del 1991).
   6.4.  -  Le  modalita'  di  finanziamento delle aziende ospedaliere
 prevedono per l'anno 1995 che le  prestazioni,  sia  di  degenza  che
 ambulatoriali  da  rendere  a  fronte  del finanziamento regionale di
 quota del fondo sanitario, "devono formare oggetto di apposito  piano
 annuale   preventivo   che,   tenuto  conto  della  tariffazione,  ne
 stabilisca  quantita'  presunte  e  tipologia   in   relazione   alle
 necessita' che piu' convenientemente possono essere soddisfatte nella
 sede  pubblica"  (art.  6,  comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n.
 724, sostitutivo del comma 7, dell'art.  4  del  d.lgs.  30  dicembre
 1992,  n.  502).  Tale metodo trova completamento in un meccanismo di
 verifica  a  consuntivo  e  valutazione  degli  scostamenti,  tale da
 influire sulla misura di finanziamento nell'anno successivo,  in  una
 previsione  di  un triennio 1996-98 transitorio, al termine del quale
 dovra' essere esclusivo il sistema  di  remunerazione  a  prestazione
 degli  erogatori  pubblici e privati (art. 4, comma 7-ter, del d.lgs.
 30 dicembre 1992, n. 502, sostituito  dall'art.  6,  comma  5,  della
 legge  n.  724  del  1994).  In  tale  maniera  si  rende graduale il
 passaggio verso un nuovo sistema attuandosi una ragionevolezza  della
 previsione  secondo  i  principi  affermati dalla sentenza n. 355 del
 1993.  Di conseguenza i poteri della regione, sotto i profili innanzi
 considerati (diverso  dovendo  essere  il  discorso  in  ordine  alla
 responsabilita'  dei  disavanzi)  non  vengono  alterati con le norme
 impugnate, mentre sono rafforzati la tutela e i diritti  dell'utente-
 assistito,   con   una   scelta   del   legislatore   nazionale   non
 irragionevole,   perche'   tende   al   potenziamento   dei   diritti
 dell'assistito  stesso  (destinatario  del  servizio  e  soggetto che
 costituisce la ragione stessa dell'esistenza del  servizio),  ad  una
 sostanziale  garanzia della eguaglianza delle prestazioni in tutte le
 regioni attraverso il rafforzamento della facolta'  di  scelta  e  di
 determinazione  degli standards minimi, alla concorrenza tra soggetti
 erogatori  delle  prestazioni  con  miglioramento  dei   livelli   di
 efficienza   complessivi.     Nel  contempo  non  vi  e'  affatto  un
 allargamento, nella fase transitoria, degli enti erogatori, in ordine
 ai quali continua la facolta'  di  scelta  del  cittadino,  anche  se
 questa viene rafforzata per accentuare il regime di competizione, cui
 devono  essere sottoposte anche le strutture pubbliche, in una logica
 applicazione  della   qualificazione   aziendale   gia'   attribuita.
 Richiamando le linee fondamentali del nuovo assetto del settore della
 sanita'  innanzi  esposte  in  ordine alle serie di responsabilita' a
 vari livelli e ai limiti degli  interventi  finanziari  dello  Stato,
 deve essere sottolineato il collegamento tra responsabilita' e spesa,
 in  conseguenza delle scelte effettuate da ciascun ente, ed autonomia
 dei  vari  soggetti   ed   organi   correlata   alle   disponibilita'
 finanziarie.  Infatti, come ha avuto occasione di sottolineare questa
 Corte  (sentenza  n.  356 del 1992), in presenza di limitatezza delle
 risorse e riduzione delle disponibilita' finanziarie accompagnata  da
 esigenze  di risanamento del bilancio nazionale, "non e' pensabile di
 poter spendere senza limite,  avendo  riguardo  soltanto  ai  bisogni
 quale  ne  sia la gravita' e l'urgenza; e' viceversa la spesa a dover
 essere commisurata  alle  effettive  disponibilita'  finanziarie,  le
 quali  condizionano  la  quantita'  ed  il  livello delle prestazioni
 sanitarie, da  determinarsi  previa  valutazione  delle  priorita'  e
 compatibilita'  e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze
 connesse  alla  tutela  del  diritto  alla  salute,  certamente   non
 compromesse con le misure ora in esame".
    Inoltre  si  puo'  aggiungere  l'ulteriore  considerazione  che la
 disponibilita' finanziaria costituisce  limite  alla  autonomia,  con
 duplice  funzione  di protezione dei vari soggetti e con carattere di
 reciprocita', cioe' nel senso  che  gli  enti  di  autonomia  debbono
 provvedere   con  risorse  proprie  in  presenza  di  maggiori  spese
 dipendenti da proprie  scelte,  giustificabili  da  esigenze  locali.
 Cosi' lo Stato, una volta trasferiti o determinati i mezzi finanziari
 di  cui  vi  e'  disponibilita',  puo'  rifiutare  di  addossarsi gli
 ulteriori  disavanzi  per  spese  estranee  alle  proprie  scelte   o
 dipendenti   da  determinazioni  degli  enti  gestori,  ma  non  puo'
 addossare al bilancio regionale oneri relativi alla  spesa  sanitaria
 che   derivano  da  decisioni  non  imputabili  alle  regioni  stesse
 (sentenza n. 452 del 1989).  In altri termini ciascun soggetto  resta
 tenuto  per  i  disavanzi di gestione conseguenti alle scelte operate
 nell'ambito   della   propria   autonomia   fissata    anche    dalle
 disponibilita'  finanziarie,  sulla  base  di proprie determinazioni,
 specie se eccedenti dai predetti limiti, ma non  puo'  pretendere  di
 addossare  i  conseguenti  disavanzi, derivanti in via esclusiva o in
 modo determinante da scelte proprie, su altri soggetti.  Pertanto  e'
 evidente  che  una  norma,  che  impone alle regioni di provvedere al
 ripiano dei disavanzi di gestione anche in relazione a scelte  legis-
 lative  dello  Stato (come l'art. 10, comma 1, della legge n. 724 del
 1994), viola l'autonomia finanziaria, di bilancio e  di  spesa  delle
 regioni,   operando   un   condizionamento   della  medesima  finanza
 regionale,  ed  urta  contro  il  principio  del   parallelismo   tra
 responsabilita'  di  disciplina  e  di  controllo  e  responsabilita'
 finanziaria, affermato dalla sentenza  n.  355  del  1993  di  questa
 Corte.  L'esclusione entro gli anzidetti limiti della responsabilita'
 della  regione  non  porta  necessariamente  ad escludere in linea di
 principio la eventuale  responsabilita'  degli  amministratori  delle
 aziende  per  le  violazioni dei loro doveri in materia di spesa e di
 bilancio. Alla  stregua  delle  predette  considerazioni  risulta  la
 fondatezza   della   questione   concernente   l'art.  10,  comma  1,
 limitatamente alla parte che impone alle  regioni  di  provvedere  al
 ripiano  degli  eventuali disavanzi di gestione nel settore sanitario
 anche in relazione a scelte (esclusive o  determinanti)  dello  Stato
 con violazione dell'autonomia finanziaria regionale, e l'infondatezza
 degli anzidetti altri profili di gravame.
    7.  -  Un  discorso  separato  deve  essere  fatto per i motivi di
 ricorso relativi all' art. 39 della legge n. 724 del  1994,  proposti
 solamente  dalla  Regione Emilia-Romagna (profili di violazione degli
 artt. 3, 97 e 117 della  Costituzione  e  dei  principi  fondamentali
 dello Stato di diritto).
    Innanzitutto  deve escludersi che la riapertura e l'estensione dei
 termini (riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono edilizio
 (peraltro con  ulteriori  limiti  e  presupposti  riduttivi)  il  cui
 carattere  essenziale  nella fattispecie e' quello di norma del tutto
 eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento  sulla
 disciplina  concessoria  e  a  contingenti  e  straordinarie  ragioni
 finanziarie e di  recupero  della  base  impositiva  dei  fabbricati,
 vanifichi  di  per  se'  l'azione di controllo e di repressione delle
 amministrazioni ed  in  particolare  delle  piu'  attente.    Infatti
 l'entita'  del  fenomeno di applicazione ed utilizzazione della norma
 impugnata nelle varie regioni (con un  introito  effettivo  di  quasi
 tremila  miliardi  limitato  alla prima fase dei pagamenti), induce a
 ritenere  la  diffusione  tutt'altro   che   isolata   del   fenomeno
 dell'abusivismo   edilizio   e   della   persistenza  delle  relative
 costruzioni, compiute nel  periodo  successivo  al  31  ottobre  1983
 (termine  di  riferimento  dell'art. 31, della legge n. 47 del 1985),
 fino alla nuova data  di  riferimento,  31  dicembre  1993.  Cio'  e'
 avvenuto  non  solo per il difetto di una attivita' di polizia locale
 specializzata sul controllo del territorio, ma anche  in  conseguenza
 della  scarsa  (o  quasi  nulla  in  talune  regioni)  incisivita'  e
 tempestivita'  dell'azione  di  controllo e di repressione degli enti
 locali e delle regioni, che non e' valsa ad impedire  tempestivamente
 la  suddetta attivita' abusiva o almeno a impedire il completamento e
 a rimuovere i relativi manufatti.   Ben diversa sarebbe,  invece,  la
 situazione  in  caso  di  altra reiterazione di una norma del genere,
 soprattutto con  ulteriore  e  persistente  spostamento  dei  termini
 temporali   di   riferimento   del   commesso   abusivismo  edilizio.
 Conseguentemente differenti sarebbero i risultati  della  valutazione
 sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere contingente
 e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche
 della  singolarita'  ed  ulteriore  irrepetibilita')  in relazione ai
 valori in  gioco,  non  solo  sotto  il  profilo  della  esigenza  di
 repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e
 di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma
 soprattutto  sotto  il  profilo  della  tutela  del  territorio e del
 correlato ambiente in cui vive l'uomo.   La gestione  del  territorio
 sulla  base  di  una  necessaria  programmazione  sarebbe  certamente
 compromessa  sul  piano  della  ragionevolezza  da  una   ciclica   o
 ricorrente   possibilita'   di   condono-sanatoria   con  conseguente
 convinzione  di  impunita',  tanto  piu'  che  l'abusivismo  edilizio
 comporta  effetti  permanenti  (qualora non segua la demolizione o la
 rimessa in pristino), di modo che il semplice pagamento di  oblazione
 non  restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la
 perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno  approssimativo
 sul   piano   patrimoniale.     Giova  chiarire  che  dalle  predette
 considerazioni non deriva una applicazione, in  via  assoluta,  degli
 anzidetti  principi  alle  varie forme di composizione agevolata o di
 condono in altri settori  e  materie,  quando  vi  sia  l'adempimento
 dell'obbligo  originario  violato (ad esempio obbligo di imposte o di
 contributi, ancorche' con speciale sistema semplificato o  facilitato
 di  determinazione  dell'ammontare)  ed una attenuazione o esclusione
 delle misure sanzionatorie per effetto di autodenuncia da  parte  del
 soggetto obbligato.
    Per   gli   altri   profili  ai  fini  della  dimostrazione  della
 infondatezza vale il richiamo alle considerazioni espresse da  questa
 Corte  in  occasione della precedente legge n. 47 del 1985, in ordine
 alla appartenenza allo Stato della materia  del  condono-oblazione  e
 alla  mancanza  di  lesione  della  sfera  regionale nella previsione
 statale di condono-sanatoria edilizia (sentenza n. 369 del 1988).