ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  del  Consiglio Superiore della
 Magistratura notificato il 2 giugno 1995, depositato  in  cancelleria
 l'8 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito:
       a)  dell'ordinanza del T.A.R. del Lazio, I sezione, n. 2915 del
 7 dicembre 1994, con la quale, su ricorso del dott.  Benito  Vergari,
 e'  stato  ordinato "all'Amministrazione ( id est al C.S.M.) di porre
 in essere, entro il termine di 30 giorni dalla data di  comunicazione
 della  presente  ordinanza,  tutti gli adempimenti necessari per dare
 compiuta  esecuzione  all'ordinanza  1644   del   22   giugno   1994,
 riservando,  in  caso di ulteriore inottemperanza, di provvedere alla
 nomina di un Commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima";
      b) dell'ordinanza del T.A.R. del Lazio, I sezione, n. 209 del 25
 gennaio 1995, con la  quale,  sempre  su  ricorso  del  dott.  Benito
 Vergari,  e' stato nominato Commissario ad acta il Ministro di grazia
 e giustizia "il quale, direttamente,  o  attraverso  persona  da  lui
 specificamente   delegata,   che   operi   sotto  la  sua  vigilanza,
 provvedera', in sede di attuazione delle ordinanze  sopra  richiamate
 (1644/94  e  6873/94)  e senza la necessita' dell'intervento di alcun
 altro organo, a sollevare il dott. Francesco Cortegiani  dall'ufficio
 di  presidenza del Tribunale di Catania e ad immettere nelle medesime
 funzioni, interinalmente e  fino  alla  data  della  definizione  del
 ricorso  nel merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni di
 Presidente  reggente  il medesimo Tribunale alla data di adozione del
 provvedimento sospeso";
      c) del provvedimento 3 marzo 1995 - prot.  1637g/CS/1537  -  con
 cui,  in  esecuzione  dell'ordinanza  di  cui  sub b), il Ministro ha
 delegato le funzioni di  Commissario  ad  acta  al  Presidente  Carlo
 Adriano  Testi,  direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e
 degli Affari generali;
       d) del provvedimento 3 marzo 1995 - prot. 1637g/CS/1538  -  con
 cui  il  predetto  direttore  generale ha sollevato, interinalmente e
 fino  alla  data  di  decisione  del  ricorso,  il  dott.   Francesco
 Cortegiani  dall'ufficio di Presidente del Tribunale di Catania ed ha
 contestualmente immesso il dott. Benito  Vergari  nelle  funzioni  di
 Presidente reggente del medesimo Tribunale;
    Ricorso iscritto al n. 16 del registro conflitti 1995;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  T.A.R. del Lazio e l'atto di
 intervento del dott. Benito Vergari;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  luglio  1995  il   Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi  l'avvocato  Federico  Sorrentino per il Consiglio superiore
 della magistratura, l'Avvocato dello Stato Enrico Arena per il T.A.R.
 del Lazio, e l'avvocato Enzo Silvestri per Benito Vergari.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato il 7  maggio  1994,  il  dott.  Benito
 Vergari  impugnava  dinanzi  al  T.A.R. del Lazio, chiedendone in via
 incidentale la sospensione, il d.P.R. 18 aprile 1994 che, su conforme
 delibera 16 marzo 1994 del C.S.M., aveva conferito al dott. Francesco
 Cortegiani  l'ufficio  direttivo  di  Presidente  del  Tribunale   di
 Catania.
    Con ordinanza 22 giugno 1994, n. 1644, la I Sezione del T.A.R. del
 Lazio sospendeva l'esecuzione dell'atto impugnato.
    L'ordinanza,  appellata  sia dal controinteressato che dal C.S.M.,
 veniva confermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato.
    2. - A seguito del ricorso, notificato il 9 novembre 1994, con  il
 quale il dott. Vergari chiedeva l'esecuzione della predetta decisione
 cautelare,  la  I  Sezione  del  T.A.R.  del  Lazio,  con ordinanza 7
 dicembre 1994, n. 2915 (sub a),  "ordina(va)  all'Amministrazione  di
 porre  in  essere,  entro  il  termine  di 30 giorni ( ..), tutti gli
 adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione  all'ordinanza  n.
 1644  del 22/6/1994, riservando, in caso di ulteriore inottemperanza,
 di  provvedere  alla  nomina  di  un  Commissario  ad  acta  ai  fini
 dell'esecuzione medesima".
    Con  ordinanza 25 gennaio 1995, n. 209 (sub b) della I Sezione, il
 T.A.R., nuovamente adito dal dott. Vergari, nominava  Commissario  ad
 acta  "Il  Ministro  di  grazia  e giustizia, il quale direttamente o
 attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la
 sua vigilanza, provvedera', in sede  di  attuazione  delle  ordinanze
 sopra richiamate e senza la necessita' dell'intervento di alcun altro
 organo,  a  sollevare  il  dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di
 Presidenza del Tribunale di Catania e  ad  immettere  nelle  medesime
 funzioni,  interinalmente  e  fino  alla  data  della definizione del
 ricorso nel merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni  di
 Presidente  reggente  il medesimo Tribunale alla data di adozione del
 provvedimento sospeso".
    A  seguito  di  quest'ordinanza,  il  cui  termine  di adempimento
 veniva, su richiesta del Ministro, prorogato di quindici  giorni  con
 ordinanza  n. 362 del 15 febbraio 1995 della I Sezione del T.A.R. del
 Lazio, il Direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e  degli
 affari  generali  a  cio' delegato dal Ministro di grazia e giustizia
 (sub c), sollevava, con provvedimento 3 marzo 1995 (sub d), sia  pure
 interinalmente e fino alla decisione del ricorso, il dott. Cortegiani
 dall'ufficio  di  Presidenza  del Tribunale di Catania, immettendo il
 dott. Vergari "nelle funzioni, gia' rivestite, di Presidente reggente
 del medesimo Tribunale".
    3. - Avverso tali  provvedimenti,  del  T.A.R.  del  Lazio  e  del
 Ministro   di  grazia  e  giustizia,  il  Consiglio  superiore  della
 Magistratura ha sollevato  conflitto  per  la  difesa  delle  proprie
 attribuzioni,   deducendo   la   violazione   dell'art.   105   della
 Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195  del
 1958.
    Premesso  che la nomina dei magistrati agli uffici direttivi e' di
 competenza del C.S.M. in base all'art. 105 della Costituzione, e  che
 i  decreti  presidenziali di nomina attraverso i quali viene espressa
 la  volonta'  del  C.S.M.  sono  impugnabili   dinanzi   al   giudice
 amministrativo  in  base  all'art. 17 della legge n. 195 del 1958, il
 ricorrente  contesta  che,   nell'ambito   della   giurisdizione   di
 legittimita',  affidata  al giudice amministrativo, nei confronti dei
 suoi  atti,  possa  inserirsi  una  fase  subprocedimentale   diretta
 all'esecuzione  delle  ordinanze  di  sospensione  che,  a sua volta,
 implichi l'esercizio di una giurisdizione di merito analoga a  quella
 di cui all'art. 27 n. 4 del T.U. sul Consiglio di Stato.
    Dopo  aver richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul
 punto del giudizio di esecuzione delle ordinanze cautelari, il C.S.M.
 osserva che, se e' vero che tale giudizio e', come  quello  dell'art.
 27  n.  4  del T.U. sul Consiglio di Stato, un giudizio di merito, in
 quanto consente al giudice valutazioni ampiamente  discrezionali  sui
 modi e sui limiti dell'esecuzione delle proprie decisioni, nonche' di
 esercitare  poteri  sostitutivi dell'amministrazione, esso non potra'
 esercitarsi   che   con   riferimento   ad   attivita',   non    solo
 sostanzialmente  (come  quelle  di  competenza  del C.S.M.), ma anche
 formalmente amministrative.
   Cio' in quanto  la  riflessione  dottrinale  sull'esecuzione  delle
 ordinanze  cautelari avrebbe individuato, insieme con l'estensione al
 merito dei poteri del giudice, la  ratio  di  tale  estensione  nella
 posizione  di  appartenenza  istituzionale del giudice amministrativo
 all'amministrazione.
    Ma, ove a quest'appartenenza non si  possa  far  riferimento,  per
 l'esistenza  di una sfera di attribuzioni costituzionalmente protetta
 (art. 105) e per  l'esistenza,  tra  le  delibere  del  C.S.M.  e  il
 giudizio   amministrativo,   del  filtro  rappresentato  dal  decreto
 presidenziale o ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non
 sarebbe  consentito  al  giudice  amministrativo,  nell'esercizio  di
 poteri  di  merito  che  non gli competono, superare quel filtro, ne'
 emanare ordini nei confronti dell'organo di autogoverno, ne' disporne
 la sua sostituzione.
    5. - Nemmeno potrebbe dirsi, prosegue il C.S.M., che in  tal  modo
 viene eliminata la tutela giurisdizionale che lo stesso art. 17 della
 legge n. 195 assicura ai magistrati, e di cui l'esecuzione sarebbe lo
 sbocco necessario.
    In  primo  luogo, ad avviso del ricorrente, una siffatta obiezione
 proverebbe troppo, in quanto tende a ridurre alla sola fase esecutiva
 la tutela giurisdizionale, mentre esistono molti altri settori in cui
 alla fase  di  cognizione  non  segue  ne'  puo'  seguire  quella  di
 esecuzione  (basterebbe pensare, osserva il ricorrente, alle sentenze
 di mero accertamento o alle decisioni della Corte  nei  conflitti  di
 attribuzione).
    In  secondo  luogo  non  appare  pensabile  ne' giustificabile che
 proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del
 giudice  amministrativo,  frustrando  i  diritti  e   gli   interessi
 legittimi dei magistrati di cui esso e' rappresentativo.
    Infine,    il   C.S.M.   sottolinea   che,   essendo   la   tutela
 giurisdizionale nei confronti degli atti del C.S.M. configurata  come
 giudizio   di   annullamento,  la  realizzazione  delle  pretese  dei
 magistrati interessati gia' avviene con l'eliminazione, eventualmente
 previa sospensione, dell'atto lesivo  e  la  restituzione  all'organo
 deliberante  del  potere  discrezionale  di eseguire la pronuncia del
 giudice amministrativo.
    6. - Le considerazioni sviluppate nel precedente  motivo  inducono
 il  ricorrente  a  censurare  anche  la  statuizione  con la quale il
 giudice amministrativo ha nominato il Ministro di grazia e  giustizia
 commissario  ad  acta,  disponendo  che il dott. Vergari debba essere
 immesso nelle funzioni di Presidente del Tribunale di Catania  "senza
 necessita' d'intervento di alcun altro organo".
    Le  garanzie  sull'indipendenza  del  C.S.M., come impediscono che
 esso possa essere soggetto al potere discrezionale di un altro potere
 dello  Stato,  cosi',  a  maggior  ragione,  escluderebbero  che   la
 necessita'  del  suo intervento possa, per ordine del giudice, essere
 esclusa con provvedimento dell'autorita' amministrativa.
    D'altra parte, poiche',  nella  specie,  dalla  sospensione  della
 nomina del dott. Cortegiani a Presidente del Tribunale di Catania non
 discenderebbe automaticamente la nomina del dott. Vergari (altrimenti
 non  sarebbe  stata  necessaria  l'ulteriore  fase di esecuzione), ma
 l'individuazione ad opera del C.S.M. del  soggetto  cui,  sulla  base
 dell'art.  104  dell'Ordinamento  giudiziario spetta la supplenza del
 titolare, l'ordinanza del T.A.R. avrebbe esercitato un potere ad esso
 non spettante, impingendo  sull'esercizio  di  quelli  attribuiti  al
 C.S.M.
    Per  le  stesse  ragioni vengono censurati gli atti del Ministro e
 del Dirigente  che,  in  ottemperanza  agli  illegittimi  ordini  del
 giudice  amministrativo,  hanno  rimosso  il titolare dell'ufficio di
 Presidente del Tribunale di Catania nominando al suo posto  il  dott.
 Vergari.
    Con   tali   provvedimenti  l'Amministrazione  avrebbe  invaso  la
 competenza del C.S.M. in  ordine  alla  nomina  dei  magistrati  agli
 uffici  direttivi,  quale definita dall'art. 11 della legge n. 195 in
 relazione all'art. 105 della Costituzione.
    In conclusione il C.S.M. ricorrente chiede  che  la  Corte  voglia
 dichiarare che:
      non  spetta  al T.A.R. del Lazio alcun potere di emettere ordini
 nei confronti del C.S.M., ne' di disporne la sostituzione  attraverso
 la nomina di commissari ad acta;
      non  spetta  al  Ministro  di  grazia  e  giustizia,  ne' al suo
 delegato, di sostituirsi al C.S.M. nelle sue attribuzioni  in  ordine
 alla  nomina  dei magistrati agli uffici direttivi; e per conseguenza
 annulli tutti gli atti in epigrafe indicati.
    7. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza n.
 214 del 31 maggio 1995, di questa Corte, ed il  relativo  ricorso  e'
 stato  notificato  in data 2 giugno 1995 al Presidente del T.A.R. del
 Lazio.
   Costituendosi  in  giudizio  con  il   patrocinio   dell'Avvocatura
 generale  dello  Stato, il resistente sottolinea, in primo luogo, che
 il provvedimento n. 2915 del 7 dicembre  1994  della  I  sezione  del
 T.A.R.  del  Lazio con il quale si ordinava "di porre in essere tutti
 gli adempimenti necessari,  riservandosi  il  Tribunale  in  caso  di
 inottemperanza di provvedere alla nomina di un commissario ad acta ai
 fini  dell'esecuzione  medesima" faceva seguito al precedente n. 1644
 del 22 giugno 1994, che aveva accolto la richiesta di sospensione del
 provvedimento impugnato, all'esito del rigetto da parte del Consiglio
 di Stato del ricorso in appello del C.S.M. e  della  declaratoria  di
 inammissibilita'      dell'identico      gravame     proposto     dal
 controinteressato.
    Il Consiglio Superiore nelle more, pur avendo avuto tutto il tempo
 per adeguare  il  suo  comportamento  all'ordine  di  giustizia,  era
 rimasto inerte.
    In  relazione  a  tale  inerzia  e  comunque  non avendo il C.S.M.
 esposto ragioni per la  inesecuzione,  il  T.A.R.,  confortato  dalla
 giurisprudenza  costante  e consolidata, costituente diritto vivente,
 non avrebbe potuto quindi non emanare l'ordinanza ora contestata.
    Il T.A.R., prosegue il  resistente,  solo  con  ordinanza  del  25
 gennaio 1995 n. 209 aveva disposto la nomina del Ministro di grazia e
 giustizia  come  commissario ad acta, sempre nell'inerzia del C.S.M.,
 e, per evitare nei limiti del possibile un conflitto, ma senza venire
 meno ai suoi doveri, aveva anche acceduto ad una breve  richiesta  di
 proroga avanzata dal Ministro di grazia e giustizia.
    8.  -  Nel merito, il resistente osserva che la tesi del Consiglio
 Superiore  della  Magistratura  si  basa   sostanzialmente   su   tre
 argomenti, tutti, a suo avviso, non fondati.
    Il  primo  sembra postulare che gli atti del C.S.M., attesa la sua
 posizione costituzionale, sia pure  attraverso  l'impugnazione  degli
 atti  di  ricezione da parte dell'Esecutivo, non sarebbero sottoposti
 in sostanza a tutela cautelare.
    Il secondo mira a contestare  la  legittimita'  della  esecuzione,
 cioe'   dell'attuazione   della   misura  cautelare,  in  quanto  non
 espressamente  prevista  dalla  legge.  Ma  e'  facile  replicare  al
 riguardo,  osserva il resistente, anche in relazione a sentenze della
 Corte  costituzionale  in  ordine  alla  effettivita'  della   tutela
 cautelare,  che  a partire dalla decisione dell'Adunanza plenaria del
 Consiglio di Stato del 30 aprile 1982, n. 12, si e' stabilito che nel
 caso l'Amministrazione rifiuti o  eluda  l'esecuzione  dell'ordinanza
 cautelare  di  sospensione del provvedimento impugnato, l'interessato
 ben puo' adire nuovamente il giudice che ha emanato l'ordinanza,  per
 chiedere   l'emanazione   di   provvedimenti   idonei  ad  assicurare
 l'esecuzione della sospensione, nelle forme stabilite per l'ordinario
 giudizio cautelare "di cui la domanda stessa rappresenta niente  piu'
 che una fase integrativa" come appunto e' avvenuto nel caso.
    Il  terzo  argomento, quale sintesi dei primi due, andrebbe ben al
 di la' della esecuzione o della  attuazione  della  tutela  cautelare
 incentrandosi  direttamente sul giudizio di ottemperanza a seguito di
 sentenza  passata  in  giudicato  e  non  eseguita.   Esso   consiste
 nell'affermazione che nei confronti degli atti del C.S.M. e di quelli
 dell'Amministrazione  conseguenti  (decreto  presidenziale  o decreto
 ministeriale) non potrebbe trovare applicazione il disposto dell'art.
 27 n. 4 del T.U. del Consiglio di Stato, poiche' l'esercizio di  tale
 potere  impinge  nel  merito, laddove gli atti del C.S.M., attraverso
 l'impugnazione dei decreti di ricezione dell'Esecutivo, sono soggetti
 solo al sindacato di legittimita' del giudice amministrativo.
    Ma il rilievo, ad avviso  del  T.A.R.  del  Lazio  e'  addirittura
 sconvolgente  rispetto ai poteri del giudice amministrativo, quali si
 sarebbero venuti configurando nell'arco di  quasi  un  secolo  e  che
 vengono  confermati,  occorrendo,  dal disposto dell'articolo 4 della
 legge 12 aprile 1990, n. 74, atteso che coessenziale al  giudizio  di
 legittimita'  del giudice amministrativo su qualsiasi atto soggetto a
 tale  sindacato  e'  la  fase   (eventuale   ma   culminante)   della
 ottemperanza.
    Ogni  limitazione  del  giudizio suddetto effettuato nei confronti
 degli atti del C.S.M. si porrebbe in contrasto, rileva il T.A.R.  del
 Lazio, con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
    Una  volta  che  venisse eliminata la fase esecutiva, le ordinanze
 cautelari  (e  le  stesse  sentenze   del   giudice   amministrativo)
 verrebbero  a  perdere il connotato della effettivita', riducendosi a
 nulla di piu' di una manifestazione di opinione.
    Proprio  per  questo,   ad   avviso   del   resistente,   stupisce
 l'affermazione  contenuta  nel  ricorso  del C.S.M., smentita proprio
 dalla vicenda  in  esame,  secondo  cui  "non  appare  pensabile  ne'
 giustificabile  che proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione
 delle decisioni del giudice amministrativo, frustrando  i  diritti  e
 gli   interessi   legittimi   dei   magistrati   di   cui   esso   e'
 rappresentativo".
   Infine, quanto all'ultimo motivo del ricorso, il resistente  rileva
 che  si  e'  ritenuto  di nominare commissario ad acta il Ministro di
 grazia e giustizia "senza necessita' di  intervento  di  alcun  altro
 organo  ",  proprio per le ragioni ordinamentali esposte nello stesso
 ricorso, essendo il  Ministro  di  grazia  e  giustizia  l'organo  di
 vertice  dell'amministrazione  giudiziaria,  cui  solo  poteva essere
 affidata la funzione di alter ego del giudice. Peraltro,  l'ordinanza
 suddetta  non  escludeva  affatto  un  previo  fattivo intervento del
 C.S.M., sol che lo avesse voluto.
    9. - Con ordinanza  pronunciata  nella  pubblica  udienza  dell'11
 luglio  1995 questa Corte ha dichiarato inammissibile l'intervento in
 giudizio del dott. Benito Vergari.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Su  ricorso  di  uno  tra  i  candidati   al   conferimento
 dell'Ufficio  direttivo  di  Presidente  del Tribunale di Catania, il
 T.A.R. del Lazio ha  sospeso,  con  ordinanza  del  22  giugno  1994,
 l'esecuzione  della  nomina  del  magistrato  prescelto dal Consiglio
 superiore della magistratura.
   Successivamente, ritenuta l'inottemperanza del detto  organo,  gia'
 sollecitato  con  ordinanza  del  7  dicembre  1994  a  dare compiuta
 esecuzione al provvedimento di sospensione, il giudice amministrativo
 ha nominato, con ordinanza n. 209 del 25 gennaio 1995, commissario ad
 acta  il  Ministro di grazia e giustizia disponendo che il Presidente
 del Tribunale  fosse  sollevato  dall'incarico,  con  la  contestuale
 nomina  di  un  supplente, individuato dal T.A.R. nella persona dello
 stesso magistrato che gia' esercitava  tale  funzione  alla  data  di
 adozione del provvedimento sospeso.
    Le    disposizioni   sono   state   eseguite   con   provvedimento
 commissariale del 3 marzo 1995.
    2. - Nei confronti del T.A.R. del Lazio, nonche' del  Ministro  di
 grazia  e  giustizia,  e  in relazione a tutti gli atti di esecuzione
 della indicata ordinanza  di  sospensione  del  22  giugno  1994,  il
 Consiglio  superiore  della  magistratura  ha  sollevato conflitto di
 attribuzione  lamentando,  sulla  base  di   due   distinti   motivi,
 l'invasione  delle  proprie  competenze  in  materia  di  nomina  dei
 magistrati  agli  uffici  direttivi  previste  dall'art.  105   della
 Costituzione.
    Con  il  primo,  e principale, motivo, il ricorrente, posto che in
 sede   di   esecuzione   delle   ordinanze   cautelari   il   giudice
 amministrativo  esercita una giurisdizione di merito analoga a quella
 di cui all'art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di  Stato,  sostiene
 che   le  proprie  deliberazioni  siano  sottoponibili  soltanto,  ed
 esclusivamente, alla generale giurisdizione di legittimita', e quindi
 sottratte alla fase esecutiva imposta dal T.A.R. del  Lazio;  con  il
 secondo,  e  subordinato,  motivo,  il C.S.M. rivendica la competenza
 anche in ordine  all'individuazione  del  soggetto  cui,  sulla  base
 dell'art.  104  dell'Ordinamento giudiziario, spetta la supplenza del
 Presidente del Tribunale.
    3.  -   Occorre   innanzitutto   esaminare   in   via   definitiva
 l'ammissibilita'  del  conflitto  di attribuzione, sulla quale questa
 Corte  si  e'  gia'  pronunciata,  in  linea  di  prima  e   sommaria
 delibazione, con l'ordinanza n. 214 del 29 maggio 1995.
    Sotto  il  profilo  oggettivo  ricorrono  certamente  i  requisiti
 previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
 costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo
 cui  i  conflitti  tra poteri dello Stato devono avere ad oggetto "la
 delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  fra  i  vari
 poteri  da  norme  costituzionali";  il ricorrente lamenta infatti la
 lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente  spettante  al
 Consiglio  superiore  della  magistratura sullo status dei magistrati
 (art. 105  della  Costituzione)  ad  opera  di  un  atto  del  potere
 giudiziario.
    Per  quanto  invece concerne il profilo soggettivo del ricorso, va
 evidentemente confermata la legittimazione  del  Consiglio  superiore
 della  magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto,
 come  gia'  detto,  organo  direttamente  investito  delle   funzioni
 previste dall'articolo 105 della Costituzione.
    Del pari, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte,
 il T.A.R. del Lazio, quale organo della giurisdizione amministrativa,
 cui   spettano   le   attribuzioni   previste   dall'art.  103  della
 Costituzione, deve essere ritenuto legittimato  a  resistere,  mentre
 deve  riconfermarsi  l'inammissibilita'  del  conflitto sollevato nei
 confronti del Ministro di grazia e giustizia.
    Nella   vicenda   in   esame,  infatti,  non  viene  in  questione
 l'esercizio delle competenze  attribuite  al  Ministro  guardasigilli
 dall'art.  110 della Costituzione, in ordine all'organizzazione ed al
 funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, bensi'  l'adozione
 di  alcuni  provvedimenti  nella  qualita'  di  commissario  ad  acta
 nominato dal  giudice  amministrativo,  e  da  questi  specificamente
 predeterminati  nel  contenuto;  in  quanto tali, detti provvedimenti
 risultano meramente esecutivi e direttamente riferibili,  per  quanto
 qui   rileva,  al  citato  organo  giurisdizionale;  rimane  esclusa,
 pertanto, ogni possibilita' di imputare tale attivita' al Ministro di
 grazia e giustizia.
    4. - Nel merito, con il motivo principale del  ricorso  il  C.S.M.
 sottopone all'esame di questa Corte una tesi radicale ed assoluta.
    Il  ricorrente  non  lamenta  (se non genericamente con il secondo
 motivo) che il  T.A.R.  del  Lazio,  in  sede  di  esecuzione,  abbia
 travalicato   il   limite   posto   dal   contenuto  della  pronuncia
 giurisdizionale, male esercitando i suoi poteri ed  invadendo  cosi',
 nel  caso  specifico,  le  competenze  discrezionali  dell'organo  di
 autogoverno della magistratura, bensi'  contesta  l'esistenza  stessa
 del  potere,  in  capo  al giudice amministrativo, di dare esecuzione
 coattiva alle decisioni giurisdizionali nei suoi confronti, anche  in
 caso  di  rifiuto  o  di  attivita'  elusiva  della decisione stessa:
 poiche'  detta   fase   esecutiva   comporta   l'esercizio   di   una
 giurisdizione di merito, questa non sarebbe mai attuabile, risultando
 il sindacato di merito precluso dall'art. 105 della Costituzione.
    5. - La censura non e' fondata.
    Occorre  subito  premettere  che  l'allegata  non sottoponibilita'
 degli atti del C.S.M. alla giurisdizione  estesa  al  merito  che  il
 giudice  amministrativo  esercita  in sede di ottemperanza non ha, di
 per  se',  alcun  esplicito   fondamento   costituzionale,   ne'   la
 titolarita' delle specifiche competenze conferite dall'art. 105 della
 Costituzione   puo'   comportare,   quale   conseguenza   automatica,
 franchigie   dell'attivita'   di   detto   organo    dal    sindacato
 giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi.
    La  posizione  e  le  attribuzioni  del  Consiglio superiore della
 magistratura,  sotto   il   profilo   dei   rapporti   generali   tra
 giurisdizione  ed  amministrazione,  vanno invece esaminate alla luce
 dei   seguenti,   fondamentali,   principi   espressi   nella   Carta
 costituzionale.
    E'  evidente, in primo luogo, che tutti i soggetti di diritto, ivi
 compresi gli organi  di  rilevanza  costituzionale,  sono  egualmente
 tenuti al rispetto della legge.
    Coerentemente,  per  quanto  qui rileva, il principio di legalita'
 dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.),  unitamente  al
 principio  di  effettivita'  della  tutela giurisdizionale (artt. 24,
 101, 103 e  113  Cost.),  se  da  un  lato  affermano  l'indipendenza
 dell'amministrazione     dall'altro     comportano     esplicitamente
 l'assoggettamento dell'amministrazione medesima  a  tutti  i  vincoli
 posti  dagli  organi  legittimati  a  creare  diritto,  fra  i quali,
 evidentemente, gli organi giurisdizionali.
    In breve, la Costituzione accoglie il principio in base  al  quale
 il  potere  dell'amministrazione  merita  tutela solo sul presupposto
 della legittimita' del  suo  esercizio,  demandando  agli  organi  di
 giustizia  il potere di sindacato - pieno, ai sensi del secondo comma
 dell'art.  113  della   Costituzione   -   sull'esistenza   di   tale
 presupposto.
    A  cio'  si  aggiunga  che  il  contenuto  tipico  della pronuncia
 giurisdizionale e' proprio quello di esprimere la  volonta'  concreta
 della  legge o, piu' esattamente, la "normativa per il caso concreto"
 (come si e'  felicemente  precisato  in  dottrina)  che  deve  essere
 attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.
    6.  -  Tutto cio' comporta innegabilmente (e nemmeno il ricorrente
 ne dubita) che, una volta intervenuta una  pronuncia  giurisdizionale
 la  quale  riconosca  come  ingiustamente  lesivo  dell'interesse del
 cittadino un determinato comportamento  dell'amministrazione,  o  che
 detti   le   misure   cautelari   ritenute  opportune  e  strumentali
 all'effettivita'    della     tutela     giurisdizionale,     incombe
 sull'amministrazione   l'obbligo   di  conformarsi  ad  essa;  ed  il
 contenuto di tale obbligo consiste appunto  nell'attuazione  di  quel
 risultato  pratico,  tangibile, riconosciuto come giusto e necessario
 dal giudice.
    Ma proprio in base al gia'  ricordato  principio  di  effettivita'
 della  tutela  giurisdizionale  deve  ritenersi  connotato intrinseco
 della stessa funzione giurisdizionale,  nonche'  dell'imprescindibile
 esigenza  di  credibilita'  collegata  al suo esercizio, il potere di
 imporre, anche coattivamente in caso di necessita', il rispetto della
 statuizione contenuta nella pronuncia e, quindi,  in  definitiva,  il
 rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa
 essere   portata  ad  effettiva  esecuzione  (eccettuati  i  casi  di
 impossibilita' dell'esecuzione in forma specifica) altro non  sarebbe
 che  un'inutile  enunciazione di principi, con conseguente violazione
 degli artt. 24 e 113 della  Costituzione,  i  quali  garantiscono  il
 soddisfacimento  effettivo dei diritti e degli interessi accertati in
 giudizio nei confronti di qualsiasi  soggetto;  e  quindi  anche  nei
 confronti   di   qualsiasi   atto  della  pubblica  autorita',  senza
 distinzioni di sorta, pur se adottato da  un  organo  avente  rilievo
 costituzionale qual e' il C.S.M .
    In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva
 delle  decisioni  di  giustizia,  in  quanto  connotato intrinseco ed
 essenziale della  stessa  funzione  giurisdizionale,  deve  ritenersi
 costituzionalmente necessaria.
    7.  -  Se  quindi l'esercizio di poteri autoritativi al fine della
 effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione  e'
 una   fase   (pur   se  eventuale)  intrinsecamente  complementare  e
 necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico
 corollario, l'impossibilita' di  operare  distinzioni  di  sorta  tra
 funzioni    giurisdizionali    di    natura    diversa    (ordinaria,
 amministrativa, di legittimita', di merito, esclusiva) per  inferirne
 (come  sostiene  il  ricorrente)  che solo in alcune, e non in altre,
 detti poteri sarebbero legittimamente esercitabili.
    La tesi non puo' essere condivisa: in linea di principio non  sono
 configurabili  giurisdizioni  passibili di esecuzione ed altre in cui
 il  dovere  di  attuare  la  decisione  si  arresti  di  fronte  alle
 particolari  competenze  attribuite  al  soggetto  il  cui operato e'
 sottoposto a sindacato. Al contrario, la  garanzia  della  competenza
 cede  a  fronte  della  contrapposta  garanzia di ogni cittadino alla
 tutela  giurisdizionale,  la  quale  rappresenta  e   da'   contenuto
 concreto,  in  definitiva,  alla garanzia della pari osservanza della
 legge: da parte di tutti ed in egual misura.
    Che,  infine,  una  fase  esecutiva possa risultare in determinati
 casi indispensabile, anche quando la sentenza  del  giudice  dovrebbe
 essere  in grado di assicurare ex se la tutela giurisdizionale (come,
 in genere, avviene  nella  giurisdizione  di  legittimita')  e'  reso
 evidente proprio dalla vicenda in esame.
    Infatti,  nonostante  il provvedimento di sospensione adottato dal
 T.A.R. del Lazio sia  autoesecutivo  ed  immediatamente  efficace  ex
 lege,  risulta  che  il  magistrato la cui nomina e' stata sospesa ha
 continuato ad esercitare le relative funzioni, indiscutibilmente sine
 titulo,  fino  a  che  un  esplicito  provvedimento,   adottato   dal
 commissario ad acta, non lo ha sollevato dall'incarico.
    8. - Con la seconda e subordinata censura il C.S.M. lamenta, sotto
 un diverso profilo, l'invasione delle proprie competenze da parte del
 T.A.R. del Lazio il quale, individuando autonomamente il soggetto cui
 conferire  la  supplenza del titolare dell'ufficio direttivo, avrebbe
 esercitato un potere non spettantegli, ed  inciso  sull'esercizio  di
 quelli attribuiti al ricorrente.
    Anche tale censura non e' fondata.
    In   realta',   la  decisione  di  sospensione  del  provvedimento
 impugnato implica necessariamente il riemergere degli  atti  e  delle
 situazioni  travolti  dall'atto  sospeso, e cioe' l'adeguamento dello
 stato di fatto e di diritto  esistente  al  momento  della  pronuncia
 giurisdizionale,  e  venuto  in  vita sulla base dell'atto impugnato,
 alla situazione giuridica prodotta dalla pronuncia stessa.
    Nominando come  supplente  il  magistrato  che  gia'  svolgeva  le
 medesime  funzioni  al  momento  dell'adozione,  da parte del C.S.M.,
 dell'atto impugnato, il T.A.R. del Lazio,  quindi,  ha  semplicemente
 ripristinato  lo  stato  di  fatto  e  di diritto preesistente, e non
 sovrapposto  una  sua  scelta  discrezionale  alle   competenze   del
 ricorrente.
    D'altronde   non   viene   esplicitato   come  altrimenti  avrebbe
 legittimamente potuto effettuarsi la scelta  del  supplente.  Proprio
 sulla  base  del  citato  art.  104 dell'Ordinamento giudiziario puo'
 invece ritenersi che tale  attivita'  sia  formalmente  vincolata,  e
 quindi  il  magistrato  indicato come supplente dal T.A.R. del Lazio,
 essendo il Presidente di sezione piu' anziano del Tribunale, risulta,
 anche per questo motivo, colui al quale la supplenza andava per legge
 conferita.  Le  stesse  delibere  adottate  in  materia  dal   C.S.M.
 confermano costantemente tale principio.