ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso  con  ricorso  del  Consiglio  Superiore  della
 Magistratura  notificato  il 2 giugno 1995, depositato in Cancelleria
 l'8 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a  seguito
 della  decisione  del  Consiglio  di  Stato,  sez. IV, n. 1074 del 27
 dicembre 1994 con la quale, in accoglimento  del  ricorso  del  dott.
 Mario Cozzi, si e' intimato al C.S.M. di conferire, nel termine di 60
 giorni  dalla  notificazione  della  stessa  pronuncia,  l'Ufficio di
 Procuratore della  Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale  di
 Napoli allo stesso dott. Cozzi, nominando, in caso di inutile decorso
 nel termine, commissario ad acta il Vice Presidente del C.S.M.;
    Ricorso iscritto al n. 17 del registro conflitti 1995;
    Visto l'atto di costituzione del Consiglio di Stato;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11  luglio  1995  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi l'avvocato Federico Sorrentino per  il  Consiglio  Superiore
 della  Magistratura  e  l'Avvocato  dello  Stato  Enrico Arena per il
 Consiglio di Stato;
                           Ritenuto in fatto
    1. -  Il  Consiglio  superiore  della  Magistratura  ha  sollevato
 conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato nei confronti del
 Consiglio di Stato  a  seguito  della  decisione  resa  dalla  quarta
 sezione,  n.  1074  del  27  dicembre  1994, con la quale, accolto il
 ricorso del dott. Mario Cozzi, si e' intimato al C.S.M. di provvedere
 entro   sessanta   giorni  al  conferimento  al  medesimo  ricorrente
 dell'Ufficio  di  Procuratore  della  Repubblica  presso  la  Pretura
 circondariale  di  Napoli, ed ha nominato, in caso di inutile decorso
 del termine, il Vice Presidente del C.S.M. quale Commissario ad acta.
    2. - Il C.S.M. rivendica l'integrita' delle  proprie  attribuzioni
 costituzionali,  ex  artt. 104 e 105 della Costituzione, a suo avviso
 lese dall'ordine del giudice  amministrativo  di  nominare  il  dott.
 Cozzi  all'Ufficio  di Procuratore della Repubblica presso la Pretura
 circondariale di Napoli, rimuovendo l'attuale titolare,  e,  inoltre,
 dal  provvedimento  con  il  quale  il  suo  Vice Presidente e' stato
 nominato  Commissario  ad  acta;  provvedimento  che   manifestamente
 inciderebbe sulla sua struttura organizzativa.
    Il  conflitto  assumerebbe  quindi,  per  un  verso,  il connotato
 tradizionale della vindicatio  potestatis  e,  per  altro  verso,  il
 carattere di conflitto da menomazione.
    3. - Sul merito, il ricorrente deduce in sostanza:
       a) la violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione
 agli  artt. 11 e 17 della legge n. 195 del 1958, per la lesione delle
 sue competenze, direttamente derivanti dalla norma costituzionale, in
 tema di nomina dei magistrati agli uffici direttivi. Inoltre, con  la
 decisione  che  ha  dato  luogo  al conflitto, il Consiglio di Stato,
 adito in sede di ottemperanza, avrebbe emesso una pronuncia di merito
 nei confronti  di  un  organo  (il  C.S.M.)  non  sottoponibile  alla
 giurisdizione   di   merito   in   virtu'   delle   sue  attribuzioni
 costituzionali;
       b) la violazione dell'art. 104 della Costituzione,  perche'  la
 garanzia  costituzionale  di indipendenza del C.S.M. escluderebbe che
 il suo Vice Presidente sia trasformato, con la nomina  a  Commissario
 in acta, in organo del giudice amministrativo.
    In conclusione, il ricorrente chiede che la Corte dichiari:
      che  non  spetta  al Consiglio di Stato alcun potere di emettere
 ordini nei confronti  del  C.S.M.,  ne'  disporre  la  nomina  di  un
 Commissario ad acta;
      che  non  spetta  al  Consiglio di Stato nominare Commissario ad
 acta il Vice Presidente del C.S.M.;
      annulli per conseguenza la decisione impugnata.
    4. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del  Consiglio  di
 Stato,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale  dello stesso,
 insistendo  per  la  dichiarazione  d'inammissibilita'   o   comunque
 d'infondatezza, del ricorso.
    Ad  avviso del resistente sarebbe stato necessario provvedere alla
 vocatio in ius del Presidente del collegio che ha emesso la decisione
 impugnata (IV sezione) e non del Presidente del Consiglio  di  Stato,
 poiche'  le attribuzioni costituzionalmente garantite, nell'esercizio
 delle quali e' stata emessa la decisione impugnata dal C.S.M.  (artt.
 103  e  113  della  Costituzione), sono state esercitate dal Collegio
 giudicante,  e  non  dall'organizzazione  amministrativa,  funzionale
 all'esercizio  dell'attivita'  giurisdizionale,  cui  e'  preposto il
 Presidente del Consiglio di Stato.
    5. -  Anche  sotto  altro  profilo,  prosegue  il  resistente,  il
 conflitto di attribuzione dovrebbe ritenersi inammissibile.
    La  nomina  dei  magistrati agli uffici direttivi e' di competenza
 del C.S.M., mentre al relativo  procedimento  partecipa  il  Ministro
 guardasigilli nella forma del concerto.
    Di  un  siffatto provvedimento si discuteva nel giudizio a seguito
 del quale e' stata  adottata  la  decisione  di  ottemperanza;  e  la
 mancata adozione del provvedimento richiesto costituisce la causa che
 ha dato luogo al giudizio di ottemperanza.
    Da  cio'  conseguirebbe  che  il conflitto di attribuzione avrebbe
 dovuto  essere  posto  in  essere  dal  Consiglio   Superiore   della
 Magistratura e dal Ministro di grazia e giustizia, dall'esercizio dei
 cui poteri scaturiscono i provvedimenti di nomina dei magistrati.
    Se   e'   vero,   rileva   il   resistente,  che  le  attribuzioni
 costituzionalmente garantite, che nella fattispecie si assumono lese,
 appaiono riservate al C.S.M. (art. 105 della Costituzione), e'  anche
 vero  che  il C.S.M. ha chiesto, in sede di conflitto, l'annullamento
 di una  pronuncia  resa  in  un  giudizio  in  cui  era  stato  parte
 necessaria anche il Ministro di grazia e giustizia.
    Sotto  questo  profilo,  risulterebbe evidente l'impossibilita' di
 pronunciare l'annullamento di un decisione del Consiglio di Stato  ad
 istanza  di uno solo dei soggetti che nel giudizio amministrativo era
 stato,   invece,   litisconsorte    necessario.    Detta    obiettiva
 impossibilita'   di   pervenire  ad  una  pronuncia  di  annullamento
 escluderebbe, inoltre, l'interesse  del  C.S.M.  alle  altre  domande
 spiegate con le conclusioni dell'atto introduttivo.
    6.  - Nel merito, il ricorso e', ad avviso del Consiglio di Stato,
 privo di fondamento.
    Dalla certa assoggettabilita' degli atti del C.S.M., riguardanti i
 magistrati, al controllo di legittimita' del  giudice  amministrativo
 deriverebbe,  in  via di stretta conseguenzialita', la sottoposizione
 del C.S.M.  all'attivita'  giurisdizionale  concernente  l'attuazione
 delle  decisioni emesse dal giudice amministrativo. Tale conseguenza,
 prosegue   il   resistente,   deriva   direttamente    dal    sistema
 costituzionale   che,   prevedendo   la   effettivita'  della  tutela
 giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini
 (art. 24 della Costituzione), implicitamente, ma chiaramente, postula
 la necessita' che tale tutela  venga  realizzata  anche  in  caso  di
 inadempienza delle parti tenute a provvedere.
    Negare  l'esperibilita' del giudizio di ottemperanza nei confronti
 del C.S.M. significherebbe,  in  buona  sostanza,  negare  la  tutela
 giurisdizionale con riferimento alle relative deliberazioni, o quanto
 meno, negare l'effettivita' di questa tutela.
    7.  - Rileva il Consiglio di Stato che con il ricorso proposto dal
 C.S.M. viene messa  in  discussione  quella  forma  di  tutela  delle
 posizioni   soggettive  dei  cittadini  che  si  realizza  attraverso
 l'ottemperanza: attraverso quel procedimento, cioe', che  suppone  la
 mancata  esecuzione da parte dell'Amministrazione delle decisioni del
 giudice amministrativo.
    Occorre, quindi, rammentare che la considerazione del giudizio  di
 ottemperanza  nell'ambito  della  giurisdizione di merito del giudice
 amministrativo (art. 27, n. 4, r.d. 26 giugno 1924,  n.  1054)  trova
 origine  non  nella  specialita'  della materia, ma nella circostanza
 dell'obiettivo mancato adempimento, da parte del  soggetto  pubblico,
 all'obbligo di conformarsi al giudicato.
    Sarebbe  quindi  una  amministrazione  "inerte"  (o, comunque, non
 adempiente ad un  obbligo  nascente  dal  giudicato)  quella  che  il
 giudizio di ottemperanza si trova dinanzi. Nessun vincolo nuovo nasce
 per  l'amministrazione - e quindi anche per il C.S.M. con riferimento
 agli atti concernenti i magistrati - in sede di ottemperanza.  Se  un
 vincolo  e'  sorto, esso e' frutto della decisione di annullamento (e
 del conseguente contenuto direttivo) adottata in sede di giudizio  di
 legittimita'.
    Se tutto questo e' vero, prosegue il resistente, appare palese che
 la  tutela assicurata con il giudizio di ottemperanza non puo' essere
 considerata, in  thesi,  invasiva  dell'autonomia  costituzionalmente
 garantita  del  C.S.M.,  giacche' il presupposto dell'ottemperanza e'
 proprio che tale autonomia non sia stata  esercitata.  L'ottemperanza
 suppone, infatti, che la parte pubblica non abbia posto in essere gli
 atti  relativi  a  quel potere il cui esercizio, dopo la sentenza del
 giudice  amministrativo,  secondo   le   indicazioni   contenute   in
 quest'ultima, appare ormai, doveroso.
    E'   noto,   d'altra   parte,   che   le   decisioni  del  giudice
 amministrativo, adottate in sede di giudizio di  legittimita',  oltre
 ad  un  contenuto  eliminatorio,  hanno anche un contenuto direttivo,
 volto a conformare l'attivita' dell'Amministrazione  successiva  alla
 pronuncia  di  annullamento  e  spesso  necessaria  per soddisfare la
 pretesa fatta valere in  giudizio.  Sarebbe  proprio  tale  contenuto
 direttivo   della   decisione   adottata   in  sede  di  giudizio  di
 legittimita' che costituisce, in realta', l'oggetto nei confronti del
 quale si appunta il ricorso per conflitto di attribuzioni del C.S.M.;
 la qual cosa evidenzia, ancora  un  volta,  come  con  esso  sia,  in
 realta',   posta   in   discussione,   non   l'ottemperanza,   ma  la
 giurisdizione di legittimita' ed una sua conseguenza tipica, quale il
 contenuto direttivo della decisione del giudice amministrativo.
    8. - Anche in ordine alla seconda censura, secondo cui  la  nomina
 del  Vice  Presidente  del  C.S.M.  quale Commissario ad acta avrebbe
 interferito nell'autonomia organizzativa del  C.S.M.,  il  resistente
 conclude per l'infondatezza.
    A suo avviso, detta decisione lungi dal risolversi in un attentato
 all'autonomia,  anche  organizzativa, del C.S.M., appare ispirata, al
 contrario, proprio dalla esigenza di assicurare il rispetto  di  tale
 prerogativa.   La  scelta  sarebbe  infatti  motivata  proprio  nella
 volonta' di affidare allo stesso Consiglio Superiore - e per esso, al
 suo Vice Presidente che, in  concreto,  e'  il  soggetto  deputato  a
 dirigerne i lavori - l'adozione dei necessari atti di ottemperanza.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Consiglio  superiore  della  Magistratura  ha sollevato
 conflitto di attribuzione nei confronti  del  Consiglio  di  Stato  a
 seguito  della  decisione  n.  1074  del 27 dicembre 1994, resa dalla
 quarta sezione giurisdizionale in sede di giudizio  di  ottemperanza,
 con  la  quale,  accolto  il  ricorso  del  dott.  Mario Cozzi, si e'
 intimato  al  C.S.M.  di  provvedere   entro   sessanta   giorni   al
 conferimento al medesimo magistrato dell'Ufficio di Procuratore della
 Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli, ed ha nominato,
 in caso di inutile decorso del termine, il Vice Presidente del C.S.M.
 quale Commissario ad acta.
    2.  -  Sulla base di due distinti motivi, ex artt. 105 e 104 della
 Costituzione, il  ricorrente  rivendica  l'integrita'  delle  proprie
 attribuzioni  costituzionali,  a  suo  avviso  lese  dall'ordine  del
 giudice amministrativo di nominare  il  dott.  Cozzi  all'Ufficio  di
 Procuratore  della  Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale di
 Napoli, rimuovendo l'attuale titolare, e, inoltre, dal  provvedimento
 con  il  quale  il  Vice  Presidente  del  C.S.M.  e'  stato nominato
 Commissario ad acta;  provvedimento  che  manifestamente  inciderebbe
 sull'autonomia e sull'indipendenza dell'organo.
    Con  il  primo, e principale, motivo, il C.S.M., posto che in sede
 di  giudizio  di  ottemperanza  il  giudice  amministrativo  esercita
 funzioni  giurisdizionali di merito, ai sensi dell'art. 27, n. 4, del
 t.u. sul Consiglio di Stato, sostiene che le  proprie  deliberazioni,
 in virtu' delle competenze costituzionalmente garantite dall'art. 105
 della  Costituzione, siano sottoponibili soltanto, ed esclusivamente,
 alla generale giurisdizione di legittimita', e quindi sottratte  alla
 fase  esecutiva  imposta  dal  Consiglio  di Stato; con il secondo, e
 subordinato,  motivo,  il  ricorrente  lamenta  anche  la  violazione
 dell'art.   104   della   Costituzione,   in   quanto   la   garanzia
 costituzionale di indipendenza del C.S.M.  escluderebbe  che  il  suo
 Vice Presidente sia trasformato, con la nomina a Commissario ad acta,
 in organo del giudice amministrativo.
    3.   -   Occorre   innanzitutto   esaminare   in   via  definitiva
 l'ammissibilita' del conflitto di attribuzione,  sulla  quale  questa
 Corte   si  e'  gia'  pronunciata,  in  linea  di  prima  e  sommaria
 delibazione, con l'ordinanza n. 215 del 31 maggio 1995.
   Sotto  il  profilo  oggettivo  ricorrono  certamente  i   requisiti
 previsti  dall'art.  37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
 costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo
 cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere  ad  oggetto  "la
 delimitazione  della  sfera  di  attribuzioni  determinata fra i vari
 poteri da norme costituzionali"; il  ricorrente  lamenta  infatti  la
 lesione  della  sfera di attribuzioni costituzionalmente spettante al
 Consiglio superiore della magistratura sullo  status  dei  magistrati
 (art.  105  della  Costituzione)  ad  opera  di  un  atto  del potere
 giudiziario.
    Anche per quanto riguarda il profilo soggettivo  del  ricorso,  va
 innanzitutto  confermata  la  legittimazione  del Consiglio superiore
 della magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in  quanto,
 come  prima  detto,  organo  direttamente  investito  delle  funzioni
 previste dall'art. 105 della Costituzione; del  pari,  in  base  alla
 consolidata giurisprudenza di questa Corte, il Consiglio di Stato, in
 quanto  organo  della  giurisdizione  amministrativa, cui spettano le
 attribuzioni previste dall'art. 103 della Costituzione,  deve  essere
 ritenuto legittimato a resistere.
    4.  -  Vanno  quindi  esaminate,  ancora  in linea preliminare, le
 eccezioni di inammissibilita' del ricorso, sollevate  dal  Presidente
 del Consiglio di Stato, costituitosi nel giudizio.
    In  primo  luogo,  ad  avviso  del  resistente, il ricorso avrebbe
 dovuto essere notificato al Presidente del Collegio che ha emesso  la
 decisione  impugnata,  e non al Presidente del Consiglio di Stato; in
 secondo luogo, poiche' al procedimento di nomina dei magistrati  agli
 uffici  direttivi  partecipa,  nella  forma  del  concerto,  anche il
 Ministro di grazia e giustizia, il conflitto  avrebbe  dovuto  essere
 sollevato  da  entrambi  i  soggetti  dall'esercizio  dei  cui poteri
 scaturiscono i provvedimenti di nomina dei magistrati, e non dal solo
 C.S.M.
    Entrambe le eccezioni devono essere disattese.
    E'  ben  vero  che  questa Corte ha in piu' occasioni affermato il
 principio secondo cui, essendo il potere  giurisdizionale  un  potere
 diffuso,  la  legittimazione  a  sollevare  conflitto  o a resistervi
 spetta a ciascun organo giurisdizionale, nondimeno, poiche' nel  caso
 in  esame il conflitto e' sollevato in relazione ad atti compiuti dal
 giudice amministrativo in sede di  ottemperanza,  il  contraddittorio
 puo'  ritenersi  correttamente instaurato ove il medesimo giudice sia
 investito nelle  stesse  forme  che  l'art.  90  del  regolamento  di
 procedura   innanzi  al  Consiglio  di  Stato  -  come  pacificamente
 interpretato alla stregua delle leggi sopravvenute  nella  materia  -
 prevede  per  tale  giudizio,  e che appunto indica il Presidente del
 Consiglio di Stato quale destinatario dei ricorsi diretti ad ottenere
 l'esecuzione del giudicato amministrativo.
    Del pari infondata risulta  la  seconda  censura  in  quanto  -  a
 prescindere  da  ogni altra considerazione sull'autonomia decisionale
 del Ministro di grazia e giustizia nel sollevare conflitti tra poteri
 dello Stato - ai sensi dell'articolo 11, terzo comma, della legge  24
 marzo  1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del
 Consiglio superiore della magistratura), come modificato dall'art. 32
 del d.P.R. 22 ottobre 1988, n. 449,  il  Ministro  guardasigilli  non
 partecipa  al procedimento per il conferimento dell'Ufficio direttivo
 di Procuratore della Repubblica presso le preture circondariali.
    5. - Nel  merito,  con  il  primo  motivo  di  ricorso  il  C.S.M.
 ripropone  all'esame di questa Corte sostanzialmente la medesima tesi
 gia' sostenuta in altro analogo conflitto sollevato nei confronti del
 T.A.R. del Lazio e deciso con sentenza n. 419 del 1995.
    Anche nel ricorso in esame, infatti, il ricorrente non lamenta che
 il Consiglio di Stato, in sede di  giudizio  di  ottemperanza,  abbia
 travalicato  il  limite  posto  dal  dovere  di  dare  attuazione  al
 giudicato, invadendo cosi', nel  caso  concreto,  le  sue  competenze
 discrezionali,  bensi'  contesta  in  radice  l'esistenza  stessa del
 potere,  in  capo  al  giudice  amministrativo,  di  dare  esecuzione
 coattiva  alle decisioni giurisdizionali nei suoi confronti, anche in
 caso di rifiuto  o  di  attivita'  elusiva  della  decisione  stessa:
 poiche'   detta   fase   esecutiva   comporta   l'esercizio   di  una
 giurisdizione di merito, questa non sarebbe mai attuabile, risultando
 il sindacato di merito precluso dall'art. 105 della Costituzione.
    6. - La censura non e' fondata.
    Anche  nel  conflitto  in  esame   devono   essere   integralmente
 riaffermate le motivazioni gia' espresse nella citata sentenza n. 419
 del 1995.
    Occorre  subito  premettere  che  l'allegata  non sottoponibilita'
 degli atti del C.S.M. alla giurisdizione  estesa  al  merito  che  il
 giudice  amministrativo  esercita  in sede di ottemperanza non ha, di
 per  se',  alcun  esplicito   fondamento   costituzionale;   ne'   la
 titolarita'  delle  specifiche  competenze  attribuite  dall'art. 105
 della Costituzione puo'  comportare,  quale  conseguenza  automatica,
 franchigie    dell'attivita'    di   detto   organo   dal   sindacato
 giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi.
    La  posizione  e  le  funzioni  del  Consiglio   superiore   della
 magistratura,   sotto   il   profilo   dei   rapporti   generali  tra
 giurisdizione ed amministrazione,vanno invece esaminate alla luce dei
 seguenti, fondamentali, principi espressi nella Carta costituzionale.
    E'  evidente, in primo luogo, che tutti i soggetti di diritto, ivi
 compresi gli organi  di  rilevanza  costituzionale,  sono  egualmente
 tenuti al rispetto della legge.
    Coerentemente,  per  quanto  qui rileva, il principio di legalita'
 dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.),  unitamente  al
 principio  di  effettivita'  della  tutela giurisdizionale (artt. 24,
 101, 103 e 113  Cost.),  se  da  una  lato  affermano  l'indipendenza
 dell'amministrazione,     dall'altro     comportano    esplicitamente
 l'assoggettamentodell'amministrazione  medesima  a  tutti  i  vincoli
 posti  dagli  organi  legittimati  a  creare  diritto,  fra  i quali,
 evidentemente, gli organi giurisdizionali.
    In breve, la Costituzione accoglie il principio in base  al  quale
 il  potere  dell'amministrazione  merita  tutela solo sul presupposto
 della legittimita' del  suo  esercizio,  demandando  agli  organi  di
 giustizia  il potere di sindacato - pieno, ai sensi del secondo comma
 dell'art.  113  della   Costituzione   -   sull'esistenza   di   tale
 presupposto.
    A  cio'  si  aggiunga  che  il  contenuto  tipico  della pronuncia
 giurisdizionale e' proprio quello di esprimere la  volonta'  concreta
 della  legge o, piu' esattamente, la "normativa per il caso concreto"
 (come si e'  felicemente  precisato  in  dottrina)  che  deve  essere
 attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.
    7.  -  Tutto cio' comporta innegabilmente (e nemmeno il ricorrente
 ne dubita) che, una volta intervenuta una  pronuncia  giurisdizionale
 la  quale  riconosca  come  ingiustamente  lesivo  dell'interesse del
 cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione,  incombe
 su  quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di
 tale obbligo  consiste  appunto  nell'attuazione  di  quel  risultato
 pratico,   tangibile,  riconosciuto  come  giusto  e  necessario  dal
 giudice.
    Ma proprio in base al gia'  ricordato  principio  di  effettivita'
 della   tutela  deve  ritenersi  connotato  intrinseco  della  stessa
 funzione giurisdizionale, nonche'  dell'imprescindibile  esigenza  di
 credibilita'  collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche
 coattivamente in caso di necessita', il  rispetto  della  statuizione
 contenuta  nel  giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della
 legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata
 ad  effettiva  esecuzione  (eccettuati  i  casi   di   impossibilita'
 dell'esecuzione  in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile
 enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e
 113 della  Costituzione,  i  quali  garantiscono  il  soddisfacimento
 effettivo  dei  diritti  e  degli interessi accertati in giudizio nei
 confronti di qualsiasi soggetto: e  quindi  anche  nei  confronti  di
 qualsiasi  atto della pubblica autorita', senza distinzioni di sorta,
 pur se adottato da un organo avente rilievo costituzionale qual e' il
 C.S.M.
    In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva
 delle decisioni di  giustizia,  in  quanto  connotato  intrinseco  ed
 essenziale  della  stessa  funzione  giurisdizionale,  deve ritenersi
 costituzionalmente necessaria.
    8. - Se quindi l'esercizio di poteri autoritativi  al  fine  della
 effettiva  realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione e'
 una  fase  (pur  se  eventuale)   intrinsecamente   complementare   e
 necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico
 corollario,  l'impossibilita'  di  operare  distinzioni  di sorta tra
 funzioni    giurisdizionali    di    natura    diversa    (ordinaria,
 amministrativa,  di legittimita', di merito, esclusiva) per inferirne
 (come sostiene il ricorrente) che solo in alcune,  e  non  in  altre,
 detti poteri sarebbero legittimamente esercitabili.
    La  tesi non puo' essere condivisa: in linea di principio non sono
 configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre  in  cui
 il  dovere  di  attuare  la  decisione  si  arresti  di  fronte  alle
 particolari competenze attribuite  al  soggetto  il  cui  operato  e'
 sottoposto  a  giudizio.  Al  contrario, la garanzia della competenza
 cede a fronte della contrapposta  garanzia  di  ogni  cittadino  alla
 tutela   giurisdizionale,   la  quale  rappresenta  e  da'  contenuto
 concreto, in definitiva, alla garanzia della  pari  osservanza  della
 legge: da parte di tutti ed in egual misura.
    9.  -  Con  il  secondo  motivo il C.S.M. lamenta sotto un diverso
 profilo la lesione della garanzia  d'indipendenza  sancita  dall'art.
 104 della Costituzione, in quanto la nomina da parte del Consiglio di
 Stato  del  Vice  Presidente  del  C.S.M.  quale  commissario ad acta
 avrebbe alterato il funzionamento dell'organo  ed  inciso  sulla  sua
 autonomia organizzativa.
    La  censura  risulta formulata in modo sostanzialmente generico e,
 pertanto, non e' fondata.
    Il ricorrente, infatti, non chiarisce in che  termini  e  con  che
 effetti la nomina del Vice Presidente del C.S.M. quale commissario ad
 acta  abbia  concretamente  inciso sull'indipendenza e sull'autonomia
 dell'organo, e, d'altronde, nessuna  interferenza  puo'  configurarsi
 tra   l'attivita'   del   commissario   ad   acta   e   le   funzioni
 istituzionalmente spettanti  al  Vice  Presidente  del  C.S.M.;  come
 questa Corte ha avuto occasione di affermare fin dalla sentenza n. 75
 del 1977, l'attivita'
 commissariale,  pur  essendo,  praticamente,  la medesima che avrebbe
 dovuto essere prestata dall'amministrazione, ne  differisce  tuttavia
 giuridicamente perche' si fonda sull'ordine contenuto nella decisione
 del giudice amministrativo, alla quale e' legata da uno stretto nesso
 di  strumentalita'. In breve, poiche' i provvedimenti del commissario
 ad   acta   risultano   disposti   dal   giudice   e   specificamente
 predeterminati  nel  contenuto, sono da ritenersi meramente esecutivi
 ed a questi direttamente riferibili, con esclusione  quindi  di  ogni
 possibilita'  di interferenza nelle altre attivita', quali che siano,
 della persona fisica chiamata a svolgere le funzioni commissariali.