ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  primo  e
 terzo  comma,  del  d.-l.  23  dicembre  1976, n. 857 (Modifica della
 disciplina  dell'assicurazione  obbligatoria  della   responsabilita'
 civile  derivante  dalla  circolazione  dei  veicoli  a  motore e dei
 natanti), convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39,  promosso  con
 ordinanza  emessa  l'11 gennaio 1995 dalla Corte d'appello di Trieste
 nel procedimento civile vertente tra Quattrocchi Giuseppe e  Crevatin
 Lucio  ed  altra,  iscritta  al  n. 293 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  22,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1995  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  del  giudizio  d'appello  promosso  da Giuseppe
 Quattrocchi  contro  Lucio  Crevatin  e  la  S.p.a.   La   Previdente
 Assicurazioni  per  l'annullamento  della sentenza 25 luglio 1992 del
 tribunale di Trieste, che aveva liquidato il danno da lucro cessante,
 cagionato all'appellante da un incidente  stradale,  sulla  base  del
 reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali acquisite al processo,
 la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza dell'11 gennaio 1995, ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  primo  e  terzo  comma,  del  d.-l. 23
 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26  febbraio  1977,  n.
 39.
    Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la normativa impugnata - in
 quanto prevede che per i lavoratori il danno da  lucro  cessante  sia
 liquidato  sulla  base  del  reddito risultante dalle denunce fiscali
 prodotte in giudizio, mentre "in tutti gli altri  casi"  la  base  di
 calcolo non puo' essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della
 pensione   sociale  -  determina  una  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento tra i lavoratori che esibiscano una dichiarazione da  cui
 risulta  un  reddito  inferiore  al  triplo  della pensione sociale o
 coloro che, non  avendo  offerto  alcuna  dimostrazione  del  proprio
 reddito  effettivo,  ottengono  un  risarcimento liquidato sulla base
 convenzionale, per ipotesi piu' elevata,  indicata  nel  terzo  comma
 dell'art. 4.
    Una   diversa   interpretazione,  sostenuta  da  una  parte  della
 giurisprudenza, che generalizza  l'applicabilita'  di  tale  base  di
 calcolo  riferendola anche al caso di esibizione di una dichiarazione
 fiscale attestante un reddito  inferiore  al  triplo  della  pensione
 sociale, e' ritenuta preclusa dalla lettera del primo comma. Il terzo
 comma ha carattere di norma residuale, la quale finisce col "premiare
 chi  furbescamente  non  si premura di dare prova del proprio reddito
 inferiore".
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale e' intervenuto
 il   Presidente   del   Consiglio   dei    ministri,    rappresentato
 dall'Avvocatura   dello   Stato,   chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata infondata.
    Secondo l'interveniente l'art. 4, primo comma, del  d.-l.  n.  857
 del  1976  ha  una  finalita' esclusivamente probatoria, e quindi non
 esclude che il criterio del triplo della  pensione  sociale  previsto
 nel  terzo comma possa essere assunto a parametro di liquidazione del
 danno da lucro cessante non solo in ipotesi di mancanza  di  reddito,
 ma  anche  in  ipotesi  di  dimostrazione  di  un  reddito piu' basso
 rispetto al detto criterio.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte d'appello  di  Trieste  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  primo e terzo comma, del
 d.-l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella  legge  26  febbraio
 1977, n. 39.
    Il  primo  comma  dispone: "Nel caso di danno alle persone, quando
 agli  effetti  del  risarcimento  si  debba  considerare  l'incidenza
 dell'inabilita'   temporanea  o  dell'invalidita'  permanente  su  un
 reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito  si  determina
 per  il lavoro dipendente sulla base del reddito di lavoro maggiorato
 dei redditi esenti e delle detrazioni  di  legge,  e  per  il  lavoro
 autonomo  sulla  base  del  reddito netto risultante piu' elevato tra
 quelli dichiarati dal danneggiato ai fini  dell'imposta  sul  reddito
 delle persone fisiche degli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti
 dalla  legge,  dall'apposita  certificazione rilasciata dal datore di
 lavoro, ai  sensi  dell'art.  3  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 29 settembre 1973 n. 600".
    Fatta  salva  nel secondo comma la prova contraria, il terzo comma
 soggiunge:  "In  tutti  gli  altri  casi,  il  reddito  che   occorre
 considerare  ai  fini  del  risarcimento  non  puo'  comunque  essere
 inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale".
    Secondo il giudice rimettente tale disciplina viola  il  principio
 di  eguaglianza  (art.  3  Cost.)  perche'  determina una irrazionale
 disparita' di trattamento tra i danneggiati, lavoratori dipendenti  o
 autonomi,  che  dimostrino,  mediante  esibizione  in  giudizio delle
 rispettive denunce fiscali o altrimenti,  il  reddito  effettivamente
 goduto e coloro che tale prova non forniscono: ai secondi il danno da
 lucro  cessante sarebbe liquidato sulla base convenzionale del triplo
 della pensione sociale, mentre ai primi sarebbe liquidato sulla  base
 del   reddito   effettivo,   anche   se  inferiore  al  detto  limite
 convenzionale.  Sarebbe  cosi' posto "in condizione piu' svantaggiata
 colui che percepisce un  reddito  inferiore  al  triplo  annuo  della
 pensione  sociale  rispetto  a  chi  allo  stato  non  gode  di alcun
 reddito".
    2. - La questione non e' fondata.
    L'interpretazione seguita dal giudice rimettente, che ascrive alla
 normativa  denunciata  un  significato  assurdo,  non  e'   la   sola
 compatibile  con  la  lettera  della legge. Pur nei limiti del tenore
 letterale della disposizione, il canone  dell'interpretazione  logica
 impone  una  diversa  interpretazione,  che riconduce la normativa in
 esame a razionalita'.
    Quando il  danneggiato  sia  titolare  di  un  reddito  di  lavoro
 dipendente  o  autonomo,  la  base  di  calcolo  del  danno per lucro
 cessante  conseguente  all'inabilita'  temporanea  o  all'invalidita'
 permanente  causata  dal  sinistro  e'  -  giusta un criterio di piu'
 probabile corrispondenza al vero - il reddito  effettivo  commisurato
 al   reddito   monetario   percepito  in  un  periodo  immediatamente
 precedente, definito dalla legge. Il primo comma dell'art. 4  agevola
 al  danneggiato  l'assolvimento  dell'onere  della  prova attribuendo
 valore di presunzione legale alle risultanze delle dichiarazioni rese
 dal sostituto d'imposta (modello 101) o dal lavoratore (modello  740)
 ai   fini   dell'imposta   sul  reddito  delle  persone  fisiche.  La
 presunzione e' iuris tantum, essendo ammessa la prova contraria,  sia
 nel  senso  della  dimostrazione di un reddito piu' elevato di quello
 dichiarato,  sia  nel  senso  della  dimostrazione   di   circostanze
 contingenti   ed   eccezionali   che   hanno   inciso   negativamente
 sull'attivita' produttiva del reddito  nel  periodo  di  riferimento,
 rendendolo  inattendibile come parametro di determinazione della base
 di calcolo.
    Malgrado la lettera della legge, che parla di  prova  contraria  e
 quindi  sembra  presupporre  l'acquisizione al processo delle denunce
 fiscali, il primo comma non limita la  disponibilita'  dei  mezzi  di
 prova.    Il    danneggiato   puo'   omettere   l'allegazione   della
 documentazione fiscale fornendo con altri mezzi la prova del  proprio
 reddito,  e  del  resto non mancano casi in cui il criterio del primo
 comma non e' applicabile,  quali  i  casi  dell'evasore  totale,  del
 titolare   di  un  reddito  inferiore  al  minimo  imponibile  o  del
 lavoratore di nuova assunzione al quale l'infortunio ha  impedito  di
 prendere  servizio.  Cio'  che  al lavoratore non e' consentito e' il
 rifiuto di esibire le dichiarazioni fiscali allo scopo  di  sottrarsi
 all'onere  di  provare il reddito effettivo invocando la liquidazione
 del risarcimento sulla base del reddito minimo  forfettario  indicato
 nel  terzo  comma.  Se  il  lavoratore non fornisce alcuna prova, ne'
 secondo il criterio privilegiato del primo  comma  (incluso  il  caso
 sopra  ricordato  di  allegazione  di  una  dichiarazione fiscale con
 reddito   negativo   imputabile   a   circostanze   contingenti    ed
 eccezionali),  ne'  con  i  mezzi normali previsti dal secondo comma,
 nessun risarcimento potra'  essergli  liquidato  a  titolo  di  lucro
 cessante  per il periodo trascorso di inabilita' temporanea, e solo a
 certe condizioni, tali da giustificarne l'equiparazione  ai  soggetti
 attualmente  privi  di  reddito di lavoro, potra' essere applicato il
 terzo comma per la liquidazione del  danno  futuro  derivante  da  un
 eventuale residuo di invalidita' permanente.
    3.   -   Secondo   l'orientamento  piu'  recente  della  Corte  di
 cassazione, il terzo comma dell'art. 4, "riferito a tutti  gli  altri
 casi,  disciplina  le  fattispecie  in  cui  il  danneggiato  non  e'
 lavoratore dipendente o autonomo o, piu' in generale, quelle  in  cui
 il  danno  futuro incide su soggetti nell'attualita' privi di reddito
 da lavoro, ma potenzialmente idonei a produrlo" (Cass. nn.  5669  del
 1994,  6074  del  1995).  La norma e' applicabile anche ai lavoratori
 dipendenti  o   autonomi   non   solo   nell'ipotesi,   espressamente
 contemplata  dalla  prima  delle  sentenze citate, di reddito attuale
 negativo in relazione a  particolari  contingenze,  ma  in  tutte  le
 ipotesi  di  reddito, anche positivo, con caratteristiche (esiguita',
 discontinuita'  o  precarieta'  del  lavoro,  livello   di   mansioni
 inferiore  alle capacita' professionali del lavoratore, ecc.) tali da
 escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo
 probabilistico delle possibilita' di reddito futuro, e sempre che  il
 materiale  probatorio  non  fornisca  altri  elementi di calcolo piu'
 favorevole di quello operato  sulla  base  convenzionale  del  triplo
 annuo della pensione sociale.
    Cosi'  interpretate, le norme denunciate non presentano aspetti di
 irrazionalita', ne' di  contrarieta'  al  principio  di  eguaglianza.
 L'ultima   obiezione   del   giudice  rimettente,  secondo  cui  esse
 attribuiscono irragionevolmente un trattamento piu' vantaggioso a chi
 non gode allo stato di alcun reddito di lavoro rispetto al lavoratore
 che  esibisce  una  dichiarazione  fiscale  attestante   un   reddito
 inferiore  a  tre volte l'ammontare della pensione sociale, muove dal
 raffronto di due termini non omogenei e percio' non comparabili.