ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  29  della
 legge  16  giugno  1927,  n.  1766  (Conversione in legge del r.d. 22
 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento  degli  usi  civici
 nel  Regno,  del r.d. 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l'art. 26
 del r.d.  22 maggio 1924, n. 751, e del r.d 16 maggio 1926,  n.  895,
 che  proroga  i  termini  assegnati  dall'art. 2 del r.d.l. 22 maggio
 1924, n. 751), e 66 del d.P.R. 24 luglio  1977,  n.  616  (Attuazione
 della  delega  di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382),
 promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1995 dal  Commissario  per
 la   liquidazione  degli  usi  civici  della  Toscana,  del  Lazio  e
 dell'Umbria, nel  procedimento  civile  vertente  tra  il  comune  di
 Barbarano  Romano  e  Cocchi  Filippo ed altro iscritta al n. 433 del
 registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  20  marzo  1996  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
   Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio  promosso dal comune di
 Barbarano Romano contro i signori Filippo e Giuseppe Cocchi per  fare
 accertare  la natura giuridica di alcuni terreni, siti nel territorio
 comunale, attualmente posseduti dai convenuti, il Commissario per  la
 liquidazione degli usi civici della Toscana, del Lazio e dell'Umbria,
 con  ordinanza  in data 22 maggio 1995, ha sollevato - in riferimento
 agli artt.  3, 9, 24, primo comma, 97, primo comma, 104, primo comma,
 e 108, secondo comma, della Costituzione - questione di  legittimita'
 costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 29 della legge 16
 giugno 1927, n. 1766, e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616,  nella
 parte  in cui rendono possibile la contemporanea pendenza, in sede di
 giurisdizione commissariale e in sede di  amministrazione  regionale,
 di  due  procedimenti  paralleli  entrambi  tendenti  ad accertare la
 qualitas soli dei medesimi  terreni,  creando  le  premesse  per:  a)
 l'insorgenza  di  un  eventuale  conflitto  tra  le  attribuzioni del
 Commissario e quelle della Regione; b) l'eventuale  mancato  rispetto
 sostanziale,  da parte della Regione stessa, del giudicato formale in
 ipotesi formatosi in sede di giurisdizione commissariale;
     che, ad avviso del rimettente, i citati parametri  costituzionali
 sarebbero   violati   in  quanto  la  normativa  impugnata,  a  causa
 dell'irrazionale mancanza di coordinamento dell'art. 66 del d.P.R. n.
 616 con l'organico sistema normativo preesistente nella materia,  non
 assicura  "un'efficace  tutela  giudiziaria  ai  diritti di carattere
 immobiliare, privati e collettivi, a  rilievo  anche  paesaggistico",
 coinvolti  nelle  procedure  in  questione,  e  neppure garantisce la
 necessaria indipendenza dell'attivita' giudiziaria e  l'imparzialita'
 e  la  correttezza  dell'attivita'  amministrativa,  dando luogo alla
 possibilita' di accertamenti contraddittori;
     che, per rimuovere tale stato di diritto, ritenuto  non  conforme
 alla  Costituzione,  si  propone  a  questa  Corte una sentenza che o
 riconosca al giudicato commissariale in  tema  di  demani  collettivi
 efficacia   preclusiva  dell'esercizio  dei  poteri  di  accertamento
 dell'autorita'  amministrativa  regionale  oppure  attribuisca   alla
 pendenza  di  un giudizio di accertamento della qualitas soli davanti
 al Commissario efficacia sospensiva del  procedimento  amministrativo
 in corso;
     che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale e' intervenuto
 il    Presidente    del   Consiglio   dei   ministri,   rappresentato
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  chiedendo  che   la   questione   dia
 dichiarata inammissibile o infondata;
   Considerato  che non sussiste pregiudizialita' in senso tecnico tra
 l'accertamento giudiziale della qualitas  soli  e  l'esercizio  delle
 funzioni  amministrative  spettanti alla Regione in ordine ai diritti
 civici gravanti sui terreni di cui  si  controverte,  essendo  sempre
 possibile  promuovere  davanti  al  Commissario l'accertamento di una
 situazione giuridica  diversa  da  quella  asseverata  dalla  perizia
 regionale e posta a base del relativo provvedimento;
     che  pertanto il mancato coordinamento dei due procedimenti nella
 forma  della  sospensione  obbligatoria  di  quello   amministrativo,
 essendo  il  riflesso della loro autonomia, non contrasta con nessuno
 dei principi costituzionali richiamati, tanto piu' che  nel  caso  in
 esame  non  si  prospetta  nemmeno la possibilita', presente in altri
 casi, di  giudicati  contraddittori  (si  pensi,  per  esempio,  alla
 possibilita'  di  proposizione contestuale dell'azione individuale di
 impugnativa del licenziamento ex art. 18, ultimo comma,  della  legge
 20  maggio  1970, n. 300, e dell'azione collettiva inibitoria ex art.
 28 della medesima legge);
     che la soluzione  -  proposta  in  alternativa  alla  sospensione
 obbligatoria del procedimento amministra-tivo - di rendere opponibile
 il  giudicato  commissariale  alla  Regione  pur quando non sia stata
 parte del processo, in deroga al principio dell'art.  2909  cod.civ.,
 e' chiaramente osteggiata dall'art. 24 della Costituzione;
     che nei casi, come quello di specie, in cui la controversia sulla
 demanialita' civica di un terreno insorga tra il comune e un privato,
 il  Commissario  ha  il  mezzo per ovviare ai paventati inconvenienti
 ordinando l'intervento della Regione nel processo ai sensi  dell'art.
 107 cod. proc. civ.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 57, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.