ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), promosso con ordinanza emessa il 1 marzo 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nel giudizio di responsabilita' promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Liotta Antonio ed altri, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di costituzione di Fresco Antonino ed altri, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il giudice relatore Riccardo Chieppa; uditi l'avv. Girolamo Rubino per Fresco Antonino ed altri e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), "nella parte in cui non prevede che le parti possano comparire alla pubblica udienza anche a mezzo di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o procuratori". Occorre premettere che la questione si radica nel corso di un giudizio di responsabilita' amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Liotta ed altri, e che prima dell'inizio della discussione relativa al predetto giudizio, l'avv. G. Rubino, non abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, ha depositato, in qualita' di difensore di alcune parti resistenti nel giudizio a quo una memoria con la quale ha eccepito la illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge n. 161 del 1953, questione ritenuta dal giudice a quo rilevante e non manifestamente infondata. L'art. 3, secondo comma, della legge n. 161 del 1953 stabilisce che, in tutti i giudizi di competenza della Corte dei conti, le parti non possono comparire alla pubblica udienza se non a mezzo di un avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione. In virtu' di detta previsione - ad avviso del giudice a quo - "la parte puo' agire o resistere nel processo anche con l'assistenza o la rappresentanza di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o dei procuratori, ma costoro non possono poi comparire in pubblica udienza". Detta previsione "rileva il giudice a quo" e' venuta, tuttavia, meno con riguardo ai giudizi pensionistici rientranti pure nella competenza della Corte dei conti. Infatti, l'art. 6 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, stabilendo che, relativamente ai giudizi pensionistici, "i ricorsi possono essere proposti anche senza patrocinio legale, ma i ricorrenti non possono svolgere oralmente, in udienza, le proprie difese" e che "l'assistenza legale dei ricorrenti puo' essere svolta da professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o dei procuratori" ha determinato il venir meno, con riguardo a questi giudizi, dell'obbligo delle parti di comparire in udienza a mezzo di avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione. Il remittente sottolinea che il predetto obbligo persiste, per contro, in ordine ai giudizi di responsabilita' amministrativa e che in virtu' e per effetto di esso il predetto avv. Rubino non puo' essere ammesso alla discussione in quanto non abilitato al patrocinio in Corte di cassazione. Di qui, ad avviso del remittente, la rilevanza della proposta questione attesoche' - solo nell'ipotesi che la disposizione censurata venga dichiarata costituzionalmente illegittima - il predetto difensore, costituitosi in rappresentanza di alcuni convenuti, potrebbe essere ammesso a discutere la causa in pubblica udienza. Ma la questione sarebbe, altresi', non manifestamente infondata sotto il profilo del contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Al riguardo, il remittente dopo avere sottolineato che l'art. 24, secondo comma, della Costituzione esige che "in ogni stato di un procedimento giurisdizionale ... sia comunque garantita la effettivita' del contraddittorio per tutta la durata del procedimento medesimo rileva che la previsione contenuta nell'art. 3, secondo comma, della legge n. 161 del 1953, nell'escludere che le parti possano comparire a mezzo dell'avvocato o del procuratore legale ai quali hanno legittimamente e liberamente deciso di affidare la loro difesa o assistenza legale, incaricandoli di sottoscrivere ricorsi e memorie, obbliga le parti stesse, che vogliano effettivamente esercitare il loro diritto di difesa, ad affidare il compito di partecipare all'udienza ad altro avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione". Ad avviso del remittente siffatto obbligo pregiudicherebbe, da un lato, l'efficienza della difesa tecnica, attesoche' impedirebbe l'unitarieta' e la continuita' della relativa prestazione professionale vulnerando il diritto di difesa formale e sostanziale della parte e, dall'altro, renderebbe molto piu' oneroso l'esercizio concreto di tale difesa. 2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituite le parti private - resistenti nel giudizio a quo e rappresentate dall'avv. Rubino "di concerto" con gli avvocati G. Maniscalco Basile e M. G. Vittorelli - le quali, in adesione alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione, chiedono che la norma censurata sia dichiarata costituzionalmente illegittima. In particolare si sostiene - nella memoria di costituzione - che il non consentire che il diritto di difesa venga esercitato tramite lo stesso difensore che ha introdotto il giudizio, configurerebbe "una patente violazione del diritto di difesa", avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte per la quale le modalita' richieste per l'esercizio del diritto di difesa non debbono essere tali da render detto diritto impossibile o comunque difficoltoso. Si sostiene, altresi', che il non consentire la comparizione all'udienza pubblica del difensore scelto dalla parte violerebbe un principio generale e fondamentale dell'ordinamento giuridico, in quanto concreterebbe una "manifesta violazione" dell'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo (il quale garantirebbe "l'assistenza di un difensore di propria scelta") nonche' dell'art. 14 del patto internazionale sui diritti dell'uomo e liberta' fondamentali (reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881). Si richiama, inoltre, l'art. 5, ultimo comma, del decreto legislativo 7 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della Direttiva n. 89/48/CEE) che, "disciplinando la durata della formazione professionale, dispone esplicitamente che in ogni caso non puo' richiedersi la prova di un'esperienza professionale superiore ai quattro anni". Si rileva - per contro - che in Italia il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori e' consentito solo dopo avere esercitato per almeno otto anni la professione di avvocato (art. 33 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1178) e che, d'altro canto, ai fini dell'iscrizione all'Albo degli avvocati e' richiesta la prova dell'esercizio della professione di procuratore legale per almeno sei anni. Sicche' l'accesso alle giurisdizioni superiori sarebbe consentito ai procuratori legali dopo 14 anni in difformita' da quanto previsto dalla normativa comunitaria. Si osserva, altresi', che gli avvocati provenienti da altri Stati membri della comunita' europea sono ammessi - in virtu' dell'art. 8 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 - al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori italiane "purche' dimostrino di avere esercitato la professione per almeno otto anni" e quindi ben prima dei loro colleghi italiani. Infine si richiama l'ordinanza, pronunciata nel corso dell'udienza 19 aprile 1995 e allegata alla sentenza n. 154 del 1995, con la quale si afferma che gli avvocati di altri Paesi della Comunita' - abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori italiane - debbono comunque operare di concerto con un avvocato italiano munito delle abilitazioni richieste dalla legge. In considerazione di cio' l'avv. Rubino dichiara, infine, di costituirsi - pur non essendo iscritto all'Albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori - davanti a questa Corte "di concerto" con altri difensori muniti dei requisiti richiesti dalla legge italiana. 3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte e', altresi', intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la inammissibilita' o per la manifesta infondatezza della proposta questione. In ordine alla inammissibilita', l'Avvocatura rileva che la questione e' stata introdotta da soggetto privo di jus postulandi e capacita' di stare in giudizio per la parte asseritamente rappresentata, attesoche' non abilitato al patrocinio in Corte di cassazione e, pertanto, sfornito di titolo idoneo a legittimarne la partecipazione al giudizio pendente avanti al remittente. In via subordinata la questione sarebbe palesemente infondata. L'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che la necessita' di avvalersi di un avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione - al fine di comparire alla pubblica udienza - troverebbe la sua ragione nella peculiarita' della trattazione ivi svolta e nella particolare preparazione ed esperienza all'uopo necessaria. Il tutto, peraltro, ad avviso dell'Avvocatura, e' certamente preordinato ad assicurare la migliore e piena tutela del diritto di difesa della parte avanti a giurisdizioni superiori e speciali. In altri termini, il ricorso all'avvocato abilitato al patrocinio in Corte di cassazione, mirando proprio ad assicurare la maggiore efficienza della difesa tecnica, sarebbe del tutto in armonia con l'art. 24 della Costituzione, e comunque concernerebbe le modalita' di esercizio del diritto di difesa, rimesse alla discrezionalita' del legislatore. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione, sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la questione sarebbe inammissibile in quanto "introdotta" da un soggetto non abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori e privo di jus postulandi dinanzi al giudizio pendente avanti al rimettente. L'eccezione e' priva di fondamento in quanto la questione, se accolta, consentirebbe allo stesso difensore di partecipare alla discussione del giudizio a quo. 2. - Occorre sottolineare che alcune delle considerazioni svolte dalla difesa della parte privata tendono a riproporre in questa sede taluni profili gia' proposti dalla stessa parte e dichiarati infondati o irrilevanti dal giudice a quo e quindi non suscettibili di essere reintrodotti in questa sede. 3. - Deve, infine, sempre in via preliminare essere riconfermata la statuizione contenuta nell'ordinanza della Corte, emessa in udienza il 9 gennaio 1996, secondo cui e' inammissibile la partecipazione dell'avvocato Rubino alla discussione in udienza avanti alla Corte costituzionale in rappresentanza e difesa delle parti private. Infatti l'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87 abilita alla rappresentanza e difesa delle parti avanti alla Corte costituzionale gli avvocati ammessi al patrocinio avanti alla Corte di cassazione, ne' puo' contestarsi la legittimita' di una tale scelta legislativa che si basa su una valutazione diretta precisamente ad assicurare, mediante la previsione di un titolo abilitativo, il possesso di requisiti attitudinali, proprio in garenzia di una efficienza della difesa tecnica in armonia con l'art. 24 della Costituzione. D'altro canto le considerazioni della difesa della parte privata secondo cui il diritto di difesa sarebbe reso oltremodo oneroso e difficile qualora fosse preclusa la partecipazione, in una fase incidentale del giudizio, del difensore che ha iniziato il giudizio stesso (avanti al giudice a quo), sono prive di fondamento. Infatti trattasi di un giudizio (ancorche' incidentale) di legittimita' costituzionale, che si svolge in un livello superiore, con regole e norme procedurali diverse anche per quanto attiene alla qualificazione dei difensori, che sono su un piano differente rispetto a quello della difesa avanti ad altri giudici. A queste norme proprie del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (e alle giurisdizioni superiori) deve conformarsi sia l'esercizio del diritto di difesa dell'avvocato che voglia esercitare il patrocinio avanti alla Corte costituzionale, sia la libera scelta del difensore ad opera delle parti. 4. - La questione sottoposta all'esame della Corte, nel corso di un giudizio di responsabilita' amministrativa, riguarda l'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), "nella parte in cui non prevede che le parti possano comparire alla pubblica udienza anche a mezzo di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o procuratori", e consiste quindi nello stabilire se nei giudizi di responsabilita' amministrativa lo svolgimento della difesa in pubblica udienza dinanzi alla Corte dei conti possa essere limitata agli avvocati abilitati al patrocinio presso le giurisdizioni superiori; ed in particolare se detta previsione violi l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto pregiudica l'unitarieta' e la continuita' della prestazione professionale, nonche' l'efficienza della difesa tecnica, rendendo, altresi', molto piu' oneroso l'esercizio di detta difesa. La questione e' priva di fondamento in quanto - come ha sottolineato la difesa dell'intervenuto Presidente del Consiglio dei Ministri - la necessita' di avvalersi, per i giudizi (di responsabilita' amministrativa), come quello in cui e' stata sollevata la questione avanti alla Corte dei conti, al fine di comparire alla pubblica udienza, di un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, trova fondamento nella peculiarita' della trattazione ivi svolta e della particolare preparazione ed esperienza all'uopo necessaria ed e' diretta a realizzare la migliore e piena tutela del diritto di difesa della parte attraverso una efficiente difesa tecnica in udienza mediante un professionista dotato di requisiti attitudinali e di esperienza, che la suddetta abilitazione puo' assicurare secondo una valutazione del legislatore tutt'altro che irragionevole. Inoltre, come ha avuto occasione di sottolineare questa Corte, le modalita' della tutela giurisdizionale possono essere regolate dal legislatore in modo non rigorosamente uniforme a condizione che non siano vulnerati i principi fondamentali di garenzia ed effettivita' della tutela medesima (sentenze n. 82 del 1996; n. 251 del 1989; n. 38 del 1988; n. 49 del 1979), mentre l'esistenza di una differente tipologia di processi legata alla obiettiva diversita' delle situazioni e delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti, non contrasta con l'art. 24 della Costituzione, non essendovi la necessita' di uniformita' (sentenza n. 82 del 1996: principio affermato in fattispecie riferita alla procura al difensore e al raffronto tra norme del processo civile e quello amministrativo, ma applicabile anche nell'ambito della medesima giurisdizione nel raffronto tra le diverse tipologie e fasi procedimentali). Giova da ultimo sottolineare che, per i giudizi pensionistici avanti alla Corte dei conti, l'art. 6 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, ha fatto venire meno l'obbligo del patrocinio legale di avvocato, pur precludendo ai ricorrenti, che agiscono difendendosi di persona, di comparire in udienza per svolgere oralmente la difesa, mentre - come sottolineato dal giudice a quo - sempre nei giudizi pensionistici e' stata data anche facolta' alle parti di avvalersi della assistenza legale di semplici avvocati e procuratori essendo venuto meno l'obbligo di farsi rappresentare da avvocato ammesso al patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori. La anzidetta semplificazione ed agevolazione, introdotta dal legislatore come eccezione esclusivamente per i giudizi pensionistici, in relazione alla particolarita' e semplicita' delle relative questioni, non puo' avere alcun rilievo nel diverso giudizio di responsabilita' avanti alla Corte dei conti, per il quale continua a valere la regola generale che la discussione orale puo' essere svolta solo da un avvocato c.d. cassazionista, cioe' abilitato alla difesa avanti alle giurisdizioni superiori. Infatti il legislatore, con una scelta non irragionevole, tenuto conto delle conseguenze che puo' produrre una statuizione di responsabilita' amministrativa, non ha voluto modificare il livello tecnico-professionale con particolare abilitazione richiesto per partecipare alla discussione orale avanti alle giurisdizioni superiori, cio' proprio per assicurare una adeguata difesa della parte privata nel giudizio di responsabilita'. Del resto nei giudizi avanti alla Corte dei conti, ed in particolare anche nei giudizi di responsabilita', il sistema processuale (in maniera non dissonante con il processo amministrativo) configura la fase della discussione orale in pubblica udienza come non assolutamente necessaria essendo rimessa alla libera scelta della condotta delle parti di partecipare e di discutere dopo avere presentato memorie, istanze e difese, trattandosi di procedimento essenzialmente scritto: la causa puo' passare in decisione anche senza la presenza dei rappresentanti delle parti e senza lo svolgimento della discussione orale. Nello stesso tempo permane in ogni momento, fino all'udienza pubblica, il potere liberamente esercitabile dalle parti di affiancare, al difensore da esse stesse scelto e nominato, che sia semplicemente avvocato (quando cio' sia ammissibile), altro abilitato alle giurisdizioni superiori per poter partecipare alla discussione.