ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 279, quarto
 comma, seconda parte, del codice di procedura  civile,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  28  giugno  1995  dal  giudice  istruttore del
 tribunale di Casale Monferrato nel procedimento civile  vertente  tra
 Gatti  Laura  e  Badarello  Anna  ed  altro,  iscritta  al n. 583 del
 registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  17 aprile 1996 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   Il tribunale di Casale Monferrato,  in  un  giudizio  di  divisione
 ereditaria,  dopo  aver  emesso  sentenza  non definitiva sui capi di
 domanda relativi alla titolarita' dei diritti sui beni, rimetteva  la
 causa,   con   separata  ordinanza,  al  giudice  istruttore  perche'
 procedesse ad ulteriore istruttoria  in  ordine  ad  alcuni  aspetti,
 prevalentemente  tecnici,  della  controversia.  Avverso  la predetta
 sentenza  proponevano  appello  immediato  alcune  delle  parti,  che
 avanzavano   altresi'  istanza  di  sospensione  dell'istruttoria  al
 giudice istruttore. Quest'ultimo, preso atto  dell'opposizione  della
 controparte,  rigettava  la  richiesta,  disponendo  la  nomina di un
 consulente tecnico.
   Dopo  una  serie  di  differimenti  dell'udienza  derivanti   dalla
 difficolta'  di  acquisire  i fascicoli di parte depositati presso la
 corte di appello, il  giudice  istruttore,  a  fronte  di  una  nuova
 richiesta  di sospensione, con ordinanza emessa il 28 giugno 1995, ha
 sollevato - in riferimento agli artt. 3 e  97  della  Costituzione  -
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 279, quarto comma,
 del  codice  di  procedura  civile,  nella  parte in cui subordina il
 potere  del  giudice  istruttore  di   sospendere   la   prosecuzione
 dell'ulteriore   istruttoria   della   causa  sino  alla  definizione
 dell'appello avverso sentenza non  definitiva,  all'istanza  concorde
 delle parti, anziche' alla richiesta della (sola) parte interessata.
   Il  rimettente,  dopo  aver rilevato che il provvedimento negatorio
 della sospensione  e'  astrattamente  revocabile,  premette  che  tra
 l'oggetto  del  contendere  in  appello  e  quello della residua lite
 pendente in primo grado vi e' rapporto di dipendenza, ma osserva  che
 la  norma  impugnata  subordina  la  sospensione  della  prosecuzione
 dell'ulteriore istruzione alla concorde istanza  delle  parti.  Cosi'
 disponendo,  la  norma  stessa evidenzierebbe anzitutto un difetto di
 ragionevolezza, in quanto equipara una situazione processuale  simile
 a  quella  posta a base della sospensione necessaria ex art. 295 cod.
 proc. civ. - in cui il giudice puo' sospendere, anche  d'ufficio,  il
 processo  - a quella della sospensione cosi' detta volontaria ex art.
 296 cod.  proc. civ., che richiede l'istanza di tutte le parti.
   Inoltre, se si pone mente  al  contenuto  dell'art.  129-bis  disp.
 att.  cod. proc. civ. - che in caso di ricorso per cassazione avverso
 la sentenza di  riforma  di  sentenza  non  definitiva  subordina  la
 sospensione  dell'istruzione  ulteriore,  oltre  che  al  vincolo  di
 dipendenza logica delle res judicandae, all'istanza di una sola parte
 interessata  -  si rileva come tale regola sia modellata su un regime
 processuale che configurava come provvisoriamente esecutiva  ex  lege
 soltanto  la sentenza di secondo grado. Ma in ragione delle modifiche
 degli artt. 337,  primo  comma,  e  282  cod.  proc.  civ.,  potrebbe
 accadere  che in tempi anche ravvicinati si producano due dispositivi
 entrambi dotati di pari forza esecutiva, uno dei quali, quello  cioe'
 definitivo  di  primo grado, contrastante nei suoi presupposti logici
 con quanto deciso dal giudice di grado superiore. Rafforzerebbe  tale
 tesi  anche  la nuova formulazione dell'art. 336, secondo comma, cod.
 proc. civ., secondo cui gli effetti della  riforma  si  estendono  ad
 atti    e   provvedimenti   dipendenti   dalla   sentenza   riformata
 indipendentemente  dal  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di
 appello.
   Ulteriore  tertium  comparationis sarebbe poi fornito dal combinato
 disposto degli artt. 187, secondo e terzo comma,  e  189  cod.  proc.
 civ. (cui andrebbe aggiunto l'art. 190-bis per i nuovi processi), che
 affidano  all'apprezzamento del solo giudice istruttore se richiedere
 una decisione definitiva su questioni pregiudiziali o preliminari per
 evitare inutili attivita' istruttorie ulteriori, oppure se correre il
 rischio di compiere le stesse nella prospettiva di pervenire  ad  una
 decisione piena e definitiva nel merito.
   La  norma  impugnata  contrasterebbe  infine  con  l'art.  97 della
 Costituzione, in quanto il vincolo imposto dal giudice istruttore  di
 optare per la sospensione - ove ricorra il citato nesso di dipendenza
 -  solo in presenza di istanza concorde, lo costringerebbe a compiere
 attivita' che  ex  post  potrebbero  rivelarsi,  oltre  che  costose,
 perfettamente improficue ai fini di una decisione definitiva.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice  a  quo dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 279, quarto comma, seconda parte, cod. proc. civ., la' dove
 richiede l'istanza concorde delle parti, e non gia' della sola  parte
 interessata,  affinche'  sia  sospesa l'ulteriore istruzione disposta
 dal collegio che abbia emesso sentenza non definitiva, in pendenza di
 appello avverso quest'ultima.
   La norma si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della  Costituzione,
 per   irragionevolezza,   equiparando   "una  situazione  processuale
 pressoche' simile a quella posta  dall'ordinamento  alla  base  della
 sospensione  necessaria  di cui all'art. 295 cod. proc. civ. - per la
 quale il giudice puo' disporre la sospensione  anche  d'ufficio...  -
 viceversa  a  quella  della sospensione cosi' detta volontaria di cui
 all'art.  296 cod. proc. civ. - che richiede l'istanza  di  tutte  le
 parti,  rimettendo  ogni  decisione  del  giudice  istruttore  a mere
 ragioni di opportunita' -"; nonche' con l'art. 97 della Costituzione,
 imponendo "al giudice istruttore di compiere attivita' che, come  nel
 caso  di  specie,  potrebbero  ex  post rivelarsi, oltre che costose,
 perfettamente improficue ai fini di una decisione definitiva".
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - La sospensione facoltativa prevista  dalla  norma  impugnata
 consegue direttamente alla possibilita' di proporre appello immediato
 avverso  le  sentenze  non  definitive, introdotta nel codice di rito
 dalla legge 14 luglio 1950, n. 581, la quale ha modificato  il  testo
 originario degli artt. 339 e 340 cod. proc. civ., lasciando solo come
 facolta' della parte soccombente il differimento dell'appello avverso
 le  sentenze  parziali,  che  prima  potevano invece essere impugnate
 soltanto insieme con la  sentenza  definitiva.    L'innovazione  pose
 l'esigenza  di  coordinare,  nel  quadro  della  formale  unita'  del
 processo, il giudizio  di  primo  grado  con  l'esito  che  l'appello
 immediato puo' spiegare sull'ulteriore corso di esso. Il legislatore,
 onde  prevenire  la  possibile  caducazione  dell'ulteriore attivita'
 compiuta  sulla  base  della  sentenza   parziale,   avrebbe   potuto
 provvedere   disponendo   la   sospensione  necessaria  del  giudizio
 dipendente,  sino  alla  formazione  del  giudicato  sulla  questione
 pregiudiziale risolta con la sentenza parziale impugnata. In tal modo
 avrebbe  realizzato  in  pieno  il principio di economia processuale,
 pero'  sacrificando  la  posizione   della   parte   provvisoriamente
 vittoriosa.  Ma  in  modo  egualmente  non irrazionale avrebbe potuto
 lasciare  che  comunque  il  giudizio  di  primo   grado   procedesse
 autonomamente  sino  alla sentenza definitiva, col rischio che questa
 potesse rimanere travolta dall'esito finale  dell'impugnazione  della
 sentenza  parziale.    Il  legislatore del 1950 optava per la seconda
 soluzione, debitamente corretta, introducendo appunto  nell'art.  279
 cod.  proc.  civ.  la  norma  ora denunciata (e, simmetricamente, con
 riguardo al caso di pendenza del ricorso per  cassazione  avverso  la
 sentenza parziale emessa in grado d'appello, inserendo l'art. 123-bis
 nelle  disposizioni d'attuazione, di egual contenuto). Attraverso poi
 la novellazione anche dell'art.  336, secondo comma, cod. proc. civ.,
 recuperava pienamente la coerenza del sistema  delle  impugnazioni  -
 scompaginato   nelle   sue   linee   originarie   con  l'introduzione
 dell'appello immediato - disponendo che la riforma estendesse i  suoi
 effetti  ai  provvedimenti  e  agli  atti  dipendenti  dalla sentenza
 riformata, solo dopo il suo passaggio in giudicato,  e  in  tal  modo
 escludendo un costante immediato adeguamento di quei provvedimenti ed
 atti.   Con la successiva modifica del citato art. 336, secondo comma
 - che la legge n. 353 del 1990 ha ripristinato nel testo  originario,
 svincolando  cosi'  dalla necessita' del passaggio in giudicato della
 sentenza di riforma la menzionata estensione dei suoi  effetti  -  e'
 stata  bensi' incrinata la coerenza di cui s'e' detto, ma senza alcun
 riflesso logico sistematico, ai fini che qui interessano, sulla norma
 dell'art. 279, quarto comma, poiche'  immutato  e'  rimasto  l'ambito
 dell'efficacia caducatoria derivante dalla riforma pronunziata con la
 sentenza  d'appello,  essendosene  solo  anticipati  gli  effetti  al
 momento della pubblicazione.
   2.2.  -  La  norma  denunciata,  che  non  ha   subi'to   ulteriori
 modificazioni,  nel  richiedere  la  concorde  istanza  delle parti -
 perche' il giudice istruttore, "qualora ritenga che  i  provvedimenti
 dell'ordinanza  collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella
 sentenza  impugnata",  possa  "disporre...  che  l'esecuzione  o   la
 prosecuzione   dell'ulteriore   istruttoria  sia  sospesa  sino  alla
 definizione del giudizio di appello" - salvaguarda la posizione della
 parte rimasta vincitrice relativamente alla pronuncia di primo grado.
 La ratio del meccanismo legislativamente  predisposto  e'  quella  di
 escludere  che  la  possibilita' d'impugnazione immediata rallenti il
 corso del processo per il solo  fatto  della  pendenza  del  gravame.
 L'eventualita' di un accoglimento di questo deve cioe' essere tale da
 indurre  a  richiedere  la  sospensione  anche  la parte che si giova
 dell'assunzione della prova dipendente  dalla  (ad  essa  favorevole)
 sentenza  non  definitiva.  E  il  giudice  e'  chiamato  solo ad una
 valutazione del legame tra l'istruttoria che dovrebbe  aver  corso  e
 l'idoneita'  della  possibile  riforma  della  sentenza  appellata  a
 vanificarla del tutto: cosi' descrivendosi una  sorta  di  unanimita'
 dei  soggetti  del  processo, nell'assumersi il rischio di blocco del
 medesimo.  Per tale via lo strumento della sospensione si adegua alle
 molteplici    possibili     articolazioni     del     rapporto     di
 pregiudizialita'-dipendenza,  e  consente  di evitare che il mezzo di
 immediato gravame si risolva in un ulteriore  intralcio  processuale:
 salvi  i  casi  in cui attraverso la sentenza di riforma si determini
 automaticamente la decisione della causa dipendente, come  quando  le
 sentenze  che  abbiano  rigettato  eccezioni  pregiudiziali di rito o
 preliminari di merito siano idonee a definire il giudizio. Proprio il
 carattere radicale di tali ultime ipotesi - rispetto ad  altri  casi,
 in  cui  il  vincolo  di dipendenza comporta soltanto diversi criteri
 decisori per la domanda introdotta in primo grado - puo'  determinare
 il  venir  meno  della  fisiologica  contrapposizione degli interessi
 delle parti, in una prospettiva di attesa analoga a  quella  posta  a
 base  dell'art.  296 cod. proc.  civ., con l'operativita' correlativa
 della riassunzione ex art. 125-bis disp. att. cod. proc. civ.
   2.3. - Cosi' individuata la matrice logico-sistematica della norma,
 e'  da  escludere  la   prospettata   irragionevolezza   di   questa:
 irragionevolezza,    che   costituisce   l'unico   limite   all'ampia
 discrezionalita' del legislatore nel  conformare  il  processo,  piu'
 volte affermata da questa Corte (v., ex plurimis, sentenza n. 471 del
 1992).  Il  meccanismo  predisposto  appare  come la risultante di un
 equilibrato bilanciamento tra l'interesse a non compiere un'attivita'
 istruttoria che potrebbe alla fine rivelarsi inutile e l'esigenza  di
 proseguire   ulteriormente   secondo  le  coordinate  espresse  dalle
 decisioni del collegio, ma anche in funzione dell'eventuale  sviluppo
 della sequenza dei gravami.
   Alla luce di tali premesse, risulta parimenti l'inconsistenza delle
 censure espresse dal giudice a quo con specifico riferimento ad altre
 norme richiamate quali tertia comparationis.
   2.3.1.  -  Il  rimettente  richiama anzitutto l'art. 295 cod. proc.
 civ. e lamenta  la  diversita'  di  disciplina  "per  una  situazione
 processuale  pressoche'  simile". Ma, a parte il rilievo circa la non
 confrontabilita' tra quella disciplina, che postula  la  pendenza  di
 un'altra controversia, e la vicenda processuale de qua, tutta interna
 al  processo,  deve  osservarsi  che proprio la recente riforma della
 norma citata, nell'attenuare il nesso di pregiudizialita'  penale  in
 consonanza  con  l'autonomia  voluta  dal  nuovo  codice di procedura
 penale per le azioni civili restitutorie e risarcitorie, ha espresso,
 piu' in generale, il disfavore nei confronti del fenomeno  sospensivo
 in  quanto tale. Orientamento, quest'ultimo, che ha condotto altresi'
 la giurisprudenza a limitare le ipotesi di sospensione necessaria  ai
 soli casi di pregiudizialita' tecnica ed a quelli in cui sia la legge
 a prevedere che il giudicato di una causa si imponga sull'altra.  Non
 puo' poi trascurarsi di osservare come l'esercizio del potere ex art.
 295  cod.  proc.  civ.  trovi  un  suo  strumento  di  controllo  nel
 regolamento  necessario  di  competenza  ora  espressamente  previsto
 dall'art.  42 cod. proc. civ., cosi' saldandosi il sistema in una sua
 propria   compiutezza,   dalla   quale  esula  del  tutto,  quanto  a
 presupposti ed esiti, la norma denunciata. E, del  resto,  lo  stesso
 rimettente  non  chiede  che  questa Corte riporti col suo intervento
 additivo la fattispecie sotto la disciplina del citato articolo.
   2.3.2. - A conclusioni analoghe, in termini di non  comparabilita',
 e'  agevole  pervenire  con riguardo all'art. 129-bis disp. att. cod.
 proc.  civ.,  anch'esso  richiamato  nell'ordinanza  di   rimessione:
 preliminarmente  chiarendosi,  peraltro,  che  deve prescindersi - ai
 fini dello scrutinio  costituzionale  da  operare  considerando  tale
 norma  quale  tertium  comparationis  - dal quesito se il suo a'mbito
 applicativo sia da ritenere implicitamente modificato a seguito della
 recente riforma del processo civile, dalla quale  il  giudice  a  quo
 trae  spunto con riguardo alla generalizzata provvisoria esecutivita'
 riconosciuta alle sentenze di primo grado ed al nuovo testo dell'art.
 336 cod. proc. civ.  in  tema  di  effetti  espansivi  esterni  della
 sentenza  di  appello.   L'ipotesi di pendenza del gravame, descritta
 dalla norma denunciata, e il diverso caso previsto  dal  citato  art.
 129-bis,  in cui la riforma della sentenza parziale di primo grado e'
 gia' intervenuta, e  pende  il  ricorso  per  cassazione  avverso  la
 sentenza  di appello, sono con tutta evidenza nettamente distinti. La
 diversa scansione  temporale  ben  giustifica,  nell'ipotesi  di  cui
 all'art.   279,   un'altra   ottica   in   cui   valutare   la  sorte
 dell'istruttoria   di   primo   grado,   affidando   la   sospensione
 all'apprezzamento e quindi all'istanza di una sola parte (soccombente
 in appello), oltre che al giudizio del giudice istruttore sul vincolo
 di dipendenza.
   2.3.3.  - Ancor meno pertinente si appalesa infine il richiamo agli
 artt. 187, secondo e terzo comma,  189  e  190-bis  cod.  proc.  civ.
 Questi   infatti  attribuiscono  al  giudice  istruttore  poteri  che
 attengono alla conduzione del processo  collocandosi  in  un  momento
 processuale  diverso  rispetto  a quello in argomento, caratterizzato
 dalla concomitante presenza di  una  sentenza  non  definitiva  e  di
 un'ordinanza  correlata che conforma l'istruttoria ulteriore, nonche'
 dalla pendenza di un gravame immediato.
   2.4. - Quanto all'ulteriore parametro costituito dall'art. 97 della
 Costituzione, basti rilevare come questa  Corte  abbia  costantemente
 affermato  che  il  principio  di buon andamento e dell'imparzialita'
 della amministrazione, e' bensi'  riferibile  anche  agli  organi  di
 amministrazione  della giustizia, ma riguarda esclusivamente le leggi
 concernenti  l'ordinamento  degli  uffici  giudiziari   e   il   loro
 funzionamento  sotto  l'aspetto  amministrativo, rimanendo invece del
 tutto estraneo al tema dell'esercizio della funzione  giurisdizionale
 (v.,  da  ultimo, sentenze nn. 84 del 1996 e 313 del 1995 e ordinanza
 n. 69 del 1996).