ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 324, sesto
 comma, e 309, decimo comma, del codice di procedura  penale  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  13  maggio 1995 dal Tribunale di Roma nel
 procedimento penale a carico di Angelo Micozzi, iscritta  al  n.  482
 del  registro  ordinanze  1995  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  15 maggio 1996 il giudice
 relatore Enzo Cheli;
   Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Roma,  giudice  di   rinvio   nel
 procedimento  di  riesame  del sequestro probatorio di un immobile in
 danno di  Angelo  Micozzi,  indagato  per  violazioni  edilizie,  con
 ordinanza   del   13   maggio   1995,   ha   sollevato  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 324, sesto comma, del codice di procedura
 penale, in riferimento all'art.  3 della  Costituzione,  interpretato
 dalla  Cassazione  nel  senso  che non e' consentito al tribunale, in
 sede  di  riesame,  integrare  mediante  ulteriore   termine   quello
 inferiore  a  tre  giorni liberi dalla notifica dell'avviso, nonche',
 dell'art. 309, primo comma0,  del  codice  di  procedura  penale,  in
 riferimento  all'art.  24,  secondo  comma, della Costituzione, nella
 parte in cui non prevede che  la  Corte  di  cassazione  dichiari  la
 perdita  di efficacia della misura coercitiva quando annulla, perche'
 emanata all'esito di giudizio affetto  da  nullita',  l'ordinanza  di
 conferma  della  stessa  misura  da  parte  del  tribunale in sede di
 riesame;
     che, rispetto all'art. 324, sesto comma,  il  giudice  rimettente
 premette  che  la  Cassazione  ha  annullato, con rinvio, l'ordinanza
 confermativa del sequestro per violazione del termine libero  di  tre
 giorni  e  che,  secondo il principio di diritto cui e' vincolato, e'
 necessaria  la  decorrenza  ex  novo  del  termine   libero   ed   e'
 insufficiente la sua integrazione;
     che,  secondo  il  giudice  a  quo  l'interpretazione  vincolante
 fornita   dalla   Cassazione,   diversa   da    quella    prevalente,
 contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della
 ragionevolezza,   apparendo  irrazionale  che  un  termine  effettivo
 superiore a tre giorni,  per  effetto  della  proroga,  sia  ritenuto
 lesivo del diritto di difesa;
     che,  rispetto all'art. 309, decimo comma, il giudice rimettente,
 premesso che - secondo le Sezioni Unite della Cassazione - la perdita
 di efficacia della misura coercitiva si  verifica  solo  in  caso  di
 mancata  decisione  e  non  anche  in  caso  di  decisione affetta da
 nullita',  osserva  che,  potendosi  evitare  la  decadenza  mediante
 l'emanazione  di  un  provvedimento  nullo,  sarebbero lesi i diritti
 della difesa garantiti dall'art. 24 della Costituzione;
     che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' di  entrambe
 le questioni;
   Considerato,  con  riferimento  alla  prima questione, che la norma
 impugnata prevede che l'avviso della data fissata  per  l'udienza  in
 camera  di consiglio e' comunicato al pubblico ministero e notificato
 al difensore e a chi ha  proposto  la  richiesta  almeno  tre  giorni
 prima;
     che  il  giudice,  in  esito  all'udienza  camerale, dubita della
 costituzionalita'  dell'interpretazione  adottata  dalla  Cassazione,
 nonostante  che,  come  emerge  dagli  atti,  la  prescrizione di cui
 all'art. 324, sesto comma, sia stata  di  fatto  rispettata,  essendo
 stato assicurato il termine di tre giorni tra la notifica dell'avviso
 e  la  data dell'udienza, mentre non si sono verificate le condizioni
 per  l'applicazione  del  principio  di   diritto   affermato   dalla
 Cassazione;
     che,  pertanto,  la  questione sollevata non appare rilevante nel
 giudizio a  quo  e,  di  conseguenza,  va  dichiarata  manifestamente
 inammissibile;
     che,  inoltre,  con  riferimento  all'art.  309, decimo comma, la
 norma  impugnata  prevede  la  perdita  di  efficacia  della   misura
 coercitiva  ove la decisione del tribunale sulla richiesta di riesame
 non intervenga entro il termine di dieci giorni prescritto  dal  nono
 comma dello stesso articolo;
     che  la  norma censurata non attribuisce al tribunale del riesame
 alcuna cognizione sulla perdita di efficacia della misura coercitiva,
 competente a verificare la quale e' il giudice che procede e  non  il
 giudice  del  riesame  dei  provvedimenti  applicativi  delle  misure
 coercitive;
     che, pertanto, anche la seconda questione sollevata  deve  essere
 dichiarata   manifestamente   inammissibile,   in  quanto  priva  del
 requisito della rilevanza nel giudizio a quo;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.